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Autore: AdhoMu    20/06/2020    3 recensioni
Romilda – Calamity Vane per gli amici - si è fatta conoscere per il suo piglio leggero e superficiale: ha fama di essere un po’ sciocchina e di innamorarsi spesso, soprattutto quando si tratta di avvenenti campioni di Quidditch.
Non tutti, però, la pensano così: Mechka (in bulgaro, “orso”), l’amico con cui Romilda trascorre le sue estati, la conosce come nessun altro e sa che la briosa Grifondoro, al contrario, possiede un’interiorità complessa e sensibile, occulta agli occhi dei più.
Queste pagine di Diario registrano momenti sparsi, disseminati nel corso dei sei anni durante i quali Romilda cresce e, con non poca fatica, forgia la propria personalità ed affina la sua visione dell’amore, anche grazie all’aiuto di un Mechka che, spesso, si trova fisicamente lontano ma che, anche se lei forse lo capirà un po’ tardi, le è sempre vicino.
Un Mechka che forse, a sua volta, non è ciò che sembra...
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Roger Davies, Romilda Vane, Viktor Krum
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Diario di una Groupie.
1994-1996

 


Krapets, Bulgaria, estate 1994
 
Mechka è tutto allegro, quest’anno.
Allegro e quasi... esaltato, direi.  Qualche volta non sembra neanche più lui.
Okay: capisco che possa trattarsi del fatto che la Bulgaria è in finale, ma secondo me c’è dell’altro. Ci vuole ben altro per fregarmi, a me.
Curiosa come una scimmia, ho subito cominciato ad assillarlo per carpirgli che cosa bolle in pentola, ma lui, sbrigativo (ed elusivo) come suo solito, ha inarcato quei due cespugli scuri che ha al posto delle sopracciglia e ha esclamato (in tono piuttosto monocorde, in realtà; bisogna conoscerlo bene per capire quando si tratta di un’esclamazione):
«Vinale di Koppa del Mondo. Top, Rommi. Top».
Di nuovo al punto di partenza, insomma.
In ogni caso, devo confessare che mi ha stupita il fatto di scoprirlo tanto appassionato di Quidditch perché, francamente, non mi sembra proprio il tipo. Cioè, sì, di Quidditch ne abbiamo sempre parlato, in effetti, ma lui non è che abbia mai fatto trapelare sta grande passione. Impacciato com’è, non mi sarei certo aspettata che fosse così platealmente interessato a quello sport divino, praticato da veri e propri Adoni su scopa.
(Fra parentesi: per il suo bene, mi auguro che, mai e poi mai, gli salti in mente di mettersi ad emulare gente come quella. Si ammazzerebbe, ne sono sicura. E sempre per il suo bene, ovviamente, mi sono premurata di farglielo presente. Lui ha ridacchiato discretamente, e poi si è subito ricomposto).
In ogni caso, Caro Diario, l’invidia che provo nei suoi confronti è tutt’altro che trascurabile.
E come potrebbe essere altrimenti?
Come ben sai, ho scocciato papà per mesi e mesi, nella speranza di farmi regalare un biglietto per la finale. Niente da fare, purtroppo: ogni mio tentativo si è rivelato un miserevole buco nell’acqua.
«Devo lavorare, Romi, lo sai» ha ribadito ogni volta.
«Ma non posso andarci con la famiglia di Demelza?» l’ho supplicato io, in extrema ratio.
«Mi dispiace, tesoro» la voce pacata di mamma ha chiuso definitivamente il caso. «L’Inghilterra è troppo lontana da qui, non ce la sentiamo di delegare una responsabilità così grande ai signori Robins».
«Ma compirò quattordici anni a dicembre!» ho piagnucolato io, in un tono che (debbo ammetterlo) ha significativamente neutralizzato ogni mio tentativo di spacciarmi per un’adulta.
E difatti: rien a faire.
Ahh.

Mechka, sant’uomo, ha tentato di farmi ragionare a suon di dialettica (scarna) e di byurek bulgare, divinamente cucinate, stando a quanto afferma, da lui medesimo.
«Oh, zi, lo zo» ha commentato «Vinale è ezperienza van-ta-sti-ka nela vita...»
«Non sei d’aiuto, Mechka» ho mormorato io, incaponita.
«... ma no zarà l’unnica, Rommi» ha concluso lui, senza darmi retta. «1998, ci zarà altrha».
«Sì, ma io... » ho replicato, tirando su col naso  «io, quella finale, non me la sarei voluta perdere per nulla al mondo».
E dato che lui non diceva niente, ho aggiunto:
«Quel bel manzo di Viktor Krum si troverà in campo, non lo sai?» (L’ho detto tanto per dargli un’idea dell’importanza vitale dell’essere presente all’evento). «Mi sarebbe tanto piaciuto poterlo ammirare in volo».
Alle mie parole, Mechka ha assunto la precisa consistenza di una statua di sale.
E come dargli torto? Immagino che neanche a un tipo tranquillo e out come lui piaccia veder tirati in ballo soggetti di quel calibro, con i quali si finisce puntualmente per stabilire inevitabili (e frustranti) confronti.
«Krum?» ha borbottato, cupo come non mai.
«Krum, Krum» ho confermato io, addentando con nonchalance una di quelle sue eccezionali pastelle dall’incredibile scioglievolezza. «Proprio lui. Il più giovane membro... » e giù quella spataffiata trita e ritrita circa le virtù incomparabili del prodigioso (e senz’altro bellissimo) Cercatore verderosso.
Insofferente, Mechka ha emesso un grugnito di disapprovazione.
E come per magia, le mie sinapsi si sono attivate.
«Oddio, Mechka!» ho urlato, improvvisamente colta da epifania. «Ma certo! Che stordita che sono!... Studia anche lui a Durmstrang... e tu devi conoscerlo benissimo... siete in classe insieme??»
«Il Krum ti piache?» mi ha stoppata lui, ruvido come una corteccia di abete.
«Beh, ma è ovvio!... » ho cinguettato io, ispirata. «Cioè... per dire il vero io non l’ho mai visto, neanche in foto... » (come ben sai, Caro Diario, l’immagine di Viktor Krum si ostina a rifuggire, con estremo metodo, le mie avide pupille: è sempre fuori campo o, al massimo, di spalle e distante) «... però so per certo che si tratta di uno gnocco da capogiro: ci metterei la mano sul calderone... »
I suoi lineamenti si sono sciolti un pochino ed hanno assunto un’aria riflessiva.
Dopo un paio di minuti, Mechka ha agguantato l’ennesima byurek e ha preso parola.
«Facciamo kozì, Rommi» mi ha proposto. «Io andare a Vinale, zi. Tu qui, zi. Ma ti porto regalo. Okkey?»
E va beh.
Mi dovrò accontentare del souvenir.
 
Dopo una settimana, Mechka ha fatto ritorno dall’Inghilterra.
Come c’era da aspettarsi, a discapito della sconfitta, era piuttosto elettrico (per i suoi canoni, almeno); devo dire, però, che l’ho trovato anche leggermente... sciupato, ecco.
Che abbia esagerato coi bagordi commmorativi del secondo posto?
Mah, francamente non ce lo vedrei proprio. Però, anche se così fosse, sarebbe normale. La sua squadra ha quasi vinto, in fondo. Perfino uno cui, eventualmente, non fregasse un piffero di Quidditch si esalterebbe, con premesse del genere; perché una finale, tutto sommato, è pur sempre un grande evento.
Comunque.
Pensandoci bene (sì: mi piace farmi del male), chissà quanto devono avere festeggiato, su alla Dean Forest; e io, chiaramente, mi rodo io fegato perché ritengo molto probabile che Mechka, in qualità di compagno di classe di Krum, sia stato invitato da quest'ultimo ad unirsi a lui e al resto della squadra.
E se ci fossi stata anch'io... Ah! non posso proprio fare a meno di rimuginare su come, con l'aiuto di Mechka, mi sarei potuta imbucare in un party esclusivo, e magari...
Va beh: occasione bruciata. Tanto vale mettrci una pietra sopra e piantarla di piangersi addosso.
Quando mi ha vista fare capolino oltre il promontorio, con un muso lungo così, Mechka mi ha rivolto un sorriso burbero.
«La zmettiamo, con qvesta faccia di vunerale?» mi ha apostrofata, facendomi cenno di raggiungerlo sul bagnasciuga. «Fieni dare mano, zu».
«Dove andiamo?» ho domandato io, senza reale interesse, mentre lo aiutavo a spingere nell’acqua la barchetta colorata che, ogni tanto, usiamo per realizzare piccole escursioni piratesche.
«Izolotto di Beluga, pella».
 
Ecco: io adoro quando io e Mechka andiamo all'Isolotto dei Beluga, perché amo passare il tempo con quei deliziosi cetacei bianco-panna, soprattutto quando si fa vivo anche Boris, il più giocherellone di tutti, che ogni santa volta ci inzuppa d’acqua da capo a piedi con i suoi schizzi di coda. I beluga sono così intelligenti e simpatici che, all'inizio, avevo addirittura pensato fossero creature magiche.
Tutto questo per dire che, al di là del muso lungo (prontamente svanito), mi sarei facilmente e felicemente accontentata dell'escursioncina, ecco.
Non mi aspettavo certo la sorpresa che poi è venuta.
Perché è vero: prima di partire, Mechka aveva accennato ad un ipotetico regalo, ma questa volta, devo proprio dirlo, si è davvero superato.
Infatti, dopo avermi aiutata a scendere dalla barca, è venuto a sedersi accanto a me sul moletto; e poi, senza dire nulla, dal taschino di una delle sue leggendarie camicie col collo a fratino (quelle che lui non si toglie mai, neppure per entrare in acqua!) ha estratto, afferrandolo con tre dita, un piccolo oggetto sferico e  brillante.
E a quel punto... ah, Caro Diario, non riuscivo quasi a crederci.
«È un Boccino d'Oro» ho mormorato con un filo di voce, lapalissiana da far paura.
«No è UN Poccino» mi ha corretta Mechka, tutto serio e orgoglioso. «Qvesto è IL Poccino, Rommi».
Io ho spalancato gli occhi, sbalordita.
«Cioè, tu mi stai dicendo» ho boccheggiato, incredula « che questo... che questo è il Boccino catturato da... da... da... Krum?!»
(Devo aver fatto la figura dell'ingenua, lo so. Ma per un momento, ci ho creduto davvero...)
Mechka ha sbuffato leggermente come a dire "che palle 'sto Krum" e mi ha guardata un po' scorato, come si guarda un caso perso. Poi, però, ha sorriso e ha brandito la bacchetta:
«Reducto».
Il Boccino ha assunto le dimensioni di una biglia: una bellissima biglia dorata e sberluccicante.
«Qvi, piccolo rikordo di qvando Bălgarija ha qfasi vinto Koppa» mi ha detto facendo passare una catenella attraverso un gancetto precedentemente saldato sull'aurea sferetta, per poi stendere (un po' goffamente, che tenero) le braccia ed infilarmela sulla testa.
In questa operazione le maglie della catenina mi hanno estirpato un po' di capelli, ma io non ci ho neanche fatto caso e, anzi, me la sono subito sistemata intorno al collo, felicissima, perché davvero, non credo di aver mai ricevuto un regalo così bello.
Per... per il valore simbolico, più che altro.
Perché Mechka è stato così adorabile, con questo pensierino che tanto si discosta al suo temperamento abituale, che, in sua presenza, farò finta di credere che si tratta davvero del Boccino di Krum - e non di paccottiglia (per quanto assai ben fatta, questo va detto) per turisti grullini e tifosi creduloni.
 
Ilvermorny, States, anno scolastico 1994-1995
 
Oh yesh, my Deary (dear+diary, hahaha), here we aaaaare!
Calamity Vane alla conquista degli States, urrah!
Ah, Caro Diario, che bellezza. Che bellezza trovarsi qui, finalmente nel posto giusto e al momento giusto, pronta e carica come non mai, per trascorrere uno sfavillante anno di interscambio scolastico!...
Nel momento esatto in cui i portoni di ottone di Ilvermorny si sono chiusi alle mie spalle, ho provato una gratitudine infinita nei confronti di mamma e papà che, dopo tante insistenze (e anche grazie al trasferimento temporaneo di babbo al Gramo’s di Chicago), hanno acconsentito a farmi fare questa incredibile esperienza!
Inutile dire che le mie amiche sono schiattate d’invidia quando le ho informate dei fatti... e che cosa posso farci: sarò una stronzetta ma, una volta tanto, questa cosa mi ha ringalluzzita troppissimo! ♥
 
Ah, Diario Mio, che mestizia.
Ormai è ufficiale: sono una sfigata senza speranza.
Che amarezza, che amarezza infinita!... Il mio momento di gloria è durato meno di ventiquattro miserrime ore,  ci crederesti?
Eppure è così.
Non ho fatto neanche in tempo a godermi il mio primo risveglio in terre americane, seguito da lauta colazione nel salone della scuola: l’arrivo dei gufi postali ha prontamente e impietosamente annichilito, riducendolo a meno della metà, l’entusiasmo che provavo ieri.
In pratica: ad Hogwarts, quest’anno, si terrà un torneo (“Torneo Tremaghi”, l’ha chiamato la Robins nel suo tempestivo – e forse compiaciuto, ma potrebbe essere una mia impressione -biglietto).
E, per prendere parte a questo benedetto torneo, sono arrivate le delegazioni di due importanti istituti magici europei: Beauxbatons e... Durmstrang.
E nella delegazione di Durmstrang c’è anche... lui.
Viktor Krum.
Il quale, secondo quanto confermatomi sempre dalla Robins, è altero e bello come un sole ombroso – e accidentaccio alle sue immagini sfuggenti: attanagliata dall’esasperazione, ho trascorso il resto della giornata a fargli la posta, piantata davanti al poster che ho appeso sopra al letto, ma niente, non sono riuscita a vederlo, e mi sono pure dovuta sorbire l’espressione velatamente ironica di Mechka che, dalla foto affissa a fianco (quella che abbiamo scattato insieme l’ultimo agosto), sembrava quasi godersi la scena e farsi beffe di me.
 
Inutile dire che quindi, punta dal demone che spinge la gente a sfogare la rabbia sulle creature paciose, ho cominciato a tormentare Mechka (il quale, ovviamente, fa parte della delegazione: ma porca di quella pupazza, oltre il danno la beffa!) con lettere chilometriche, rigurgitanti dettagli assolutamente gratuiti circa l’avvenenza e l’appeal dei bei giocatori di Quodpot che circolano ad Ilvermorny.
L’ho fatto –non me ne vanto, ma sono abbastanza onesta da ammetterlo – al puro scopo di infastidirlo, primo perché so che Mechka, il Quodpot, lo considera una porcheria, e secondo perché so anche, avendomelo lui ripetuto più volte, che lui non approva quando mi esprimo in modo così frivolo, sciocco, inopportuno e svenevole (da gŭska, “oca”, dice lui).
E probabilmente, questa volta, devo proprio avere esagerato perché, fatto inedito, Mechka mi ha risposto per le rime (in modo sottile ma diretto, quasi chirurgico, direi), cogliendomi in assoluto contropiede.
«Ho conosciuto ragazza interessante, qvi a Hokfarts» mi ha scritto, senza alcun giro di parole. «Molto carina, di tua Casa, capelli molto ricci, intellighentissima. Vorrei molto infitare lei al Yule Ball».
Caro Diario, te lo confesso: la notizia mi ha letteralmente scioccata.
Immaginare Mechka che propone ad una ragazza di andare con lui ad un ballo è, già di per sé, qualcosa di inconcepibile. Se poi questa ragazza è quella secchia di Hermione Granger (la descrizione non lascia adito a dubbi, ahimè)... bah, io getto la spugna, davvero.
 
Krapets, Bulgaria, estate 1995
 
L’estate è incominciata un po’ sottotono, purtroppo.
E non potrebbe essere altrimenti, non è vero, Diario Mio?
Il mio anno ad Ilvermorny è stato piacevole, foriero di belle amicizie (ma zero baci: su quel fronte, perdiana, rimango sempre a secco); tuttavia, come ben sai, non è passato giorno in cui non rivolgessi per lo meno un pensiero amareggiato agli eventi in corso ad Hogwarts e a tutto ciò che mi stavo perdendo.
Poi, chiaramente, la stangata in seguito alle notizie pervenutemi a giugno. Non posso pensare a Cedric senza che gli occhi mi si riempiano di lacrime amare, e di sicuro non sono la sola.
 
Anche Mechka mi è sembrato piuttosto malinconico, poverino.
Un po’ per il fatto di aver presenziato personalmente ai fatti. E un po’, credo, a causa della sparizione del suo Direttore – da quanto ne so, Mechka apprezzava molto il professor Karkaroff, nonostante la sua reputazione tutt’altro che benigna.
E c’è dell’altro.
Un giorno di questi, mentre facevamo il bagno nella caletta, un’onda un po’ più forte gli ha messo in disordine la camicia ed io, che per combinazione stavo guardando proprio da quella parte, ho intravisto un brutto segno scuro sulla pelle del suo torace; un’ecchimosi che a me, personalmente, ha subito ricordato l’aspetto (il professor Lupin è stato molto preciso a riguardo) di un livido da Schiantesimo.
Insomma: mi sa che il povero Mechka si è beccato una fattura coi fiocchi da qualcuno, lassù ad Hogwarts.
 
Inutile dire che la mia fantasia ha immediatamente preso a galoppare, più sfrenata che mai.
Soprattutto perché, modestia a parte, sono sempre stata brava a fare due più due; e quindi, cucendo insieme le varie informazioni in mio possesso, sono giunta alla seguente conclusione: lo Schiantesimo, a Mechka, gliel’ha appioppato Krum (il quale, secondo quanto riferitomi dalla Robins, si è aggiudicato – robe da matti! Fermate il mondo, voglio scendere! – la compagnia della Granger al Ballo del Ceppo).
Le mie teorie sono state confermate, seppur indirettamente, da Mechka stesso.
«E con quella ragazza che ti piaceva... com'è andata a finire, poi?» gli ho domandato un giorno, con quel tono vago di chi discorre del più e del meno.
Lui ha fatto spallucce.
«Niente fare. Herr-mioni piace un altro. Zolo amici, con lei».
Ebbè.
Il confronto (non solo teorico, a quanto pare) con quel bel fusto di Krum deve proprio averlo indotto a farsene una ragione.
Come volevasi dimostrare, insomma.
 
E poi... boh.
Non saprei proprio spiegarmene la ragione ma, con l’avanzare dell’estate, un’idea balzana ha cominciato a profilarsi fra le pieghe della mia fervida mente.
All’inizio ho cercato strenuamente di ricacciarla indietro, ma niente: la malandrina ha continuato a riaffiorare, prendendo via via una forma più precisa finché, alla fine, non si è consolidata, conficcandomisi in testa come un post-it rosa schocking affisso con uno spillo.
E i risultati sono stati... ma lascia che ti racconti tutto con calma, Caro Diario.
 
Le premesse erano semplici: io e Mechka: due sfigati sentimentali.
Ma nel contempo: io e Mechka: due persone che, tutto sommato, si fidano l’una dell’altra (o almeno, io mi fido, ma credo anche lui).
E quindi: perché non unire l’utile al dilettevole?
Voglio dire: non sta scritto da nessuna parte che gli amici non servano anche a questo.
La cosa urgente, naturalmente, era trovare un escamotage che facesse sembrare il tutto più semplice e naturale. Ho pensato a varie soluzioni, ma nessuna mi sembrava adatta; e così, alla fine, ho visto bene di vestire i panni della Buona Samaritana, che è sempre di moda.
E quindi oggi pomeriggio – mentre io e Mechka, stravaccati sulla duna, attendevamo il tramonto – ho rotto gli indugi.
«Senti un po’, Mechka» gli ho detto, senza staccare gli occhi dal cielo né sollevare la testa, perché un po’ mi vergognavo ma non volevo che lui lo subodorasse. «Tu lo sai che, su di me, puoi sempre contare, vero?»
Parlando, giocherellavo nervosamente con la Biglia d’Oro appesa alla mia catenella.
«Ma certo ke lo zo» ha risposto lui dopo una manciata di secondi.
«Be-benissimo» ho balbettato io, agitata ma fermamente determinata ad andare al punto. «Perché vedi, avrei deciso di farti un regalo per dimostrartelo in modo più... concreto».
Il suo volto corrucciato ha invaso il mio campo visivo.
«Ah zì?».
«Se ben ti conosco immagino che, alla soglia dei vent’anni» ho continuato, obbligandomi a guardarlo in quei suoi occhi scuri e acuti come quelli di un falco «tu non abbia mai baciato una ragazza... » (e poco importa che gli anni siano, in realtà, diciotto; la calcata di mano era voluta).
Mechka ha messo su una faccia alquanto perplessa, che io mi sono sforzata di ignorare.
«... e quindi ecco» ho concluso «io... io sarei disposta ad insegnarti come si fa. Una sorta di favore fra amici, insomma».
Per tutta risposta, lui mi ha scoccato una delle sue consuete occhiatacce torve, nella quale, però, ho rintracciato un non troppo sottile velo di scherno.
«Tu... vuole fare favore. A me. Aham».
(Pure spocchioso, il ragazzo!)
Mechka ha ritirato giù la testa ed è tornato a stendersi sulla duna, a pochi centimetri da me. Io mi sentivo le guance in fiamme, perché con lui è molto, molto più difficile ostentare comportamenti da donna vissuta (senza in realtà esserlo) di quanto non lo sia con chiunque altro; ciononostante, ho deglutito e sono andata fino in fondo.
«Non devi sentirti inibito solo perché quella sciocchina della Granger ti ha preferito Viktor Krum... sono cose che succedono, suvvia».
L’ho sentito sbuffare.
Poi, per la seconda volta nel giro di pochi secondi, il suo volto mi si è parato davanti agli occhi.
Mechka mi è rotolato vicino e ha piantato il palmo della mano libera a terra, oltre il mio collo.
E non si è fermato lì.
È sceso, col viso.
E si è arrestato a pochi millimetri dalle mie labbra.
«Tu... proprio mooolto generoza, Rommi» ha sussurrato, in un alito caldo e profumato di alloro. «... e  qvindi chi zono, io, per dirhe di no?»
E così detto, ha colmato il vuoto.
E il bacio che mi ha dato... ah, Godric Santo.
Come faccio a descrivere su carta ciò che estrapola il mio pensiero, da tanto intenso e perfetto?
Il modo in cui le sue dita si sono annodate ai miei riccioli, sospingendo la mia nuca verso l’alto, il modo in cui la sua lingua e le sue labbra hanno accarezzato le mie, il modo in cui i nostri respiri si sono fatti un tutt’uno e il suo aroma familiare mi si è insinuato su per le narici, fin nel profondo... come faccio ad esprimere ciò che ho provato?
Ah, Caro Diario.
Parola mia: se questo è baciare, ossia, se un assoluto principiante è capace di fare ciò che ha fatto Mechka... non oso immaginare come deve essere baciare qualcuno che sa il fatto suo.
 
Hogwarts, anno scolastico 1995-1996
 
Roger Davies.
Il Capitano di Corvonero.
Ah, perdincibacco, che grandissimo fregno.
Un vero e proprio Incanto Confundus incarnato su scopa, quel benedetto ragazzo.
Non che la cosa non fosse già ampiamente risaputa, ovviamente: sono anni che quel monello vince alla stragrande tutti i concorsi di bellezza (più o meno ufficiali) indetti all’interno delle mura del castello, fra cui il disputatissimo Mister Sorriso Hogwarts, che lui regolarmente si aggiudica esibendo con grazia assoluta il suo strepitoso sorriso di perla.
Roger Davies.
Che, stando a quanto si dice in giro, bacia da Dio.
Non riesco proprio a pensare ad altro; non ora, almeno, che sono tutta ringalluzzita dalla mia edificante esperienza estiva.
Che è durata un pomeriggio soltanto, va detto, perché, nonostante la serie di baci che hanno fatto seguito al primo (“Non ho capito bene...” “Riprofiamo?” “Direi di sì...” “Ciusto. Amici zervono a qfesto”. E giù a screpolarci le labbra a vicenda), all’indomani dell’accaduto io e Mechka abbiamo ostentato contrizione esemplare e siamo docilmente rientrati nei rispettivi ranghi, che poi abbiamo coscienziosamente mantenuto fino al termine dell’estate.
Amici come prima, insomma.
 
Ora: a fronte della situazione attuale, un innegabile vantaggio, effettivamente, c’è.
Perché se, da una parte, Roger Davies è bello come la perdizione, altrettanto vero è che conquistarlo, stando a quanto si vocifera nei corridoi, è un assoluto gioco da ragazzi.
Roger Davies non si risparmia. È bello, sa di esserlo, e non dispensa servigi alle sue ammiratrici.
In una parola: Roger Davies è un ragazzo facile.
Il che, per una santa volta, gioca a mio favore...
 
... o forse no.
Perché, come si suol dire, anche il troppo stroppia, giusto?
E dire che Mechka, Sant’Orsolo, mi aveva avvisata.
«Conosko soggetto, Rommi» mi ha ammonita, quando gli ho scritto per raccontargli del mio ultimo crush. «Qvello Devis zolo fuole una kosa. E no è bacio. Mio consighlio? SKAPPA».
Ovviamente mi sono ben guardata dal dargli ascolto.
Mi son detta: Mechka è proprio un puritano, quando ci si mette (okay, cerchiamo di non rivangare i baci che mi ha dato lui, o la mia teoria va dritta dritta al Creatore).  E poi magari, sotto sotto, è pure un filino geloso.
E invece no: aveva perfettamente ragione.
E i risultati si sono visti.
Convincere Roger a darmi una chance è stato come offrire un pesciolino succulento ad un beluga affamato. Non solo, sorridendomi con quei suoi denti candidi come neve (tanto per rimanere in tema beluga), mi ha fatto un sacco di complimenti, facendomi sentire una bellezza ai limiti del raro; in aggiunta, al termine della nostra breve conversazione, lo strepitoso Corvonero mi ha anche dato appuntamento per la sera stessa, in loco segreto.
E qua sono cominciati i guai...
Infatti quando, col cuore a mille all’idea di ripetere l’esperienza bacereccia con un nuovo partner,  l’ho raggiunto all’interno di quella curiosa stanzetta che io, stordita come sono, non avevo mai notato, il belloccio non ha perso un minuto di tempo. Mi si è letteralmente incollato addosso, sottoponendomi quasi a forza (non che io non volessi, però che diamine, neanche uno stringato ‘buonasera’!) ad uno dei suoi leggendari french kisses che tanto fanno fangirlare la componente femminile della scuola.
E poi, è successo il finimondo.
Perché mentre Davies si dava da fare come un ossesso ad infilarmi la lingua in bocca (che imbarazzo, a ripensarci), io, immediatamente sgomenta, ho avvertito distintamente la sua mano che mi si infilava sotto la camicetta e che, in una carezza furtiva, scivolava verso l’alto.
E a quel punto io... mi sono scostata bruscamente e gli ho rifilato uno schiaffo a cinque dita.
Oddio.
E quando lui, premendosi il palmo sulla guancia pulsante, mi ha guardata a bocca aperta, io... mi sono messa a piangere.
Come una bimbaminkia della peggior specie. E solo perché Davies ha cercato di toccarmi una t... oddio, non riesco neanche a scriverlo. Non ce la faccio. Mi vergogno troppo.
In ogni caso, per fortuna, una volta passato il cancan iniziale siamo riusciti ad uscirne in modo piuttosto dignitoso (ecco, Mechka sicuramente non sarebbe d’accordo quanto a tale definizione, ma pazienza).
Perché Davies è senz’altro un ragazzaccio, ma, quando vuole, sa anche essere una persona di buon cuore.
«Que pasa, Vane?» mi ha chiesto, avvicinandosi con in mano un fazzoletto (pulito, per fortuna) appena evocato.
«Io... io... oh, ma che figure di merda, pergiove...»
Lui mi ha guardata con fare comprensivo.
«Quello che si dice in giro di te non è vero, mi sa» mi ha detto, sorridendo appena. «Tu, di scafato, non hai un bel niente, vero?»
Ho annuito e mi sono asciugata gli occhi col fazzoletto, rossa di vergogna.
«Io non sono il tipo da costringere una ragazza a fare quello che non le va di fare. E ci mancherebbe... » ha aggiunto lui dopo qualche tempo. «Però senti... ti dispiacerebbe se evitassimo di riferire quanto è veramente successo qui dentro? Ne va... ne va della mia reputazione, sai».
Io, ansiosa di porre fine a quella situazione incresciosa, gli ho subito assicurato che, da parte mia, la sua fama di latin lover poteva considerarsi bella che salva. E che avrei confermato, ben più che volentieri, qualsiasi pettegolezzo, scoop e diceria riguardanti qualsivoglia fantomatica nottata di fuoco gli fosse venuto in mente di raccontare in giro.
 
Morale della favola: ci siamo salutati con una casta stretta di mano all’imboccatura delle rispettive torri.
E io... va beh, alla fine ci ho rimediato un bacio.
Che però, a me, non ha fatto poi tutto questo grande effetto.
L’ho trovato un tantino... esagerato, forzato... scenografico, certo, ma senza spessore.
Non so. Non che io, alla fine, disponga di chissà quale metro di paragone (o forse sì? Naah, ma che cosa vai a pensare, Romi), però boh: a mio avviso, a Davies, gli manca qualcosa.
Non chiedermi che cosa, Caro Diario, perché questo, purtroppo, non lo so.
 
 
Note.
Anzitutto, consiglio vivamente a tutti gli appassionati di gastronomia di dare un’occhiata (meglio ancora: un assaggio) alle byurek, che qua da me vengono chiamate burekas e che io ho avuto il privilgio di conoscere grazie al menù sopraffino della mitica Casa Bulgara di Bom Retiro.
Riguardo invece i beluga, credo sia giusto specificare che il litorale bulgaro non fa parte della loro abituale distribuzione geografica; tuttavia, negli anni ’90, fece scalpore la storia di Palla di Neve, un delfino beluga addestrato dai militari sovietici che, al termine di accese battaglie ambientaliste, venne liberato, per l’appunto, nel Mar Nero.
Passando ora alla storia: qualcuno può dare una svegliata a quella stordita della Vane, per favore?
Voglio dire: Mechka-Krum ha catturato il Boccino per lei (eeee! ora sappiamo il vero motivo per cui si è intestardito nel volerlo acchiappare, nonostante il vantaggio incolmabile degli irlandesi!) e la tonta pensa sia un semplice souvenir.
L’assoluta assenza di perspicacia da parte sua mi getta nello sconforto ma, al tempo stesso, mi fa riflettere circa l’opinione che Romilda ha di se stessa: la realtà dei fatti è lì, tutta da vedere (basterebbe volerlo fare), ma lei proprio non ci arriva... o forse il suo inconscio senso di inferiorità esclude a priori una possibilità per la quale non si sente all’altezza?
In ogni caso, bravo Mechka che, da esimio Cercatore, sa bene quando è il caso di prendere al balzo la sua pallina sciocchina.
 
Per capire meglio il personaggio di Roger Davies, bisognerebbe aver letto le mie altre storie in cui compare, ma credo sia piuttosto comprensibile anche così.
   
 
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