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Autore: EleWar    21/06/2020    10 recensioni
Ancora ansante, nella penombra della stanza, lentamente mise a fuoco la sua situazione. Era legata mani e piedi ed assicurata alla testiera in ferro battuto di un letto. Indossava ancora il vestito da sposa.
Non c'è mai pace per i nostri due sweeper tanto amati, cosa succederà in questa mia nuova fic? ;-)
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Kaori Makimura, Nuovo personaggio, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Ed eccoci al tanto sospirato cap. 2, almeno per me che fra correzioni infinite, betature esterne, pc ad aggiustare e internet ballerino, non riuscivo mai a postarlo.
Per il resto che dire? GRAZIE per i commenti incoraggianti che mi avete lasciato, ho acceso la vostra curiosità e spero tanto che la mai storiellina non deluda le vostre aspettative.
Ancora grazie a tutti quelli che leggono, che passano e vanno, a chi lascia un commento,  a chi l’ha messa fra le preferite, ricordate, seguite.
Vi lovvo
Eleonora





Cap. 2 Attese e speranze
 
Le ore non passavano mai per la povera sweeper, e ben presto sentì il bisogno di andare in bagno.
Sembrava che l’avessero abbandonata a sé stessa, perché non si era più visto nessuno, nemmeno a portarle da mangiare un tozzo di pane, quello che non manca mai neanche ai peggiori prigionieri.
 
Il posto in cui si trovava sembrava disabitato, eppure la stanza, al centro della quale campeggiava quell’enorme letto a cui era assicurata, doveva essere lussuosa.
Aveva avuto tutto il tempo di studiare l’ambiente intorno a lei, e aveva dedotto che quella fosse la discreta camera da letto di una grande villa o palazzo.
Seppure fosse quasi spoglia negli arredi, il letto, in stile occidentale, era sontuoso e le lenzuola di seta; anche la pesante tenda sembrava di broccato, ne intravedeva i deliziosi disegnini ricamati.
Data l’assenza di rumori, fuori e dentro la casa, valutò che il luogo in cui si trovava fosse distante da qualsiasi strada mediamente trafficata, e anzi, che fosse piuttosto immersa nella natura, perché poteva sentire il cinguettare degli uccellini e il frusciare delle foglie.
 
Stanca di aspettare, e preoccupata di farsela addosso, riprese a gridare:
 
“Ehi! Vi siete dimenticati di me? Devo andare in bagno e ho fame!”
 
Quel bel vestito da sposa che tuttora indossava, inoltre, non era l’ideale per starsene distesa e legata su un letto.
Iniziavano a pizzicarle tutti quei pizzi e quei ricami sulle spalle.
Non era così che aveva immaginato l’accoppiata vestito da sposa + letto, e si diede della stupida per quei pensieri insulsi, ma non poteva farci niente.
E poi starsene così tanto tempo da sola, senza un’anima viva, era deleterio per una come lei, solare e chiacchierona; quella prigionia la stava logorando, e forse era anche la fame che la faceva sragionare.
Provò di nuovo a tirarsi su a sedere, facendo un enorme sforzo di addominali, ma riuscì solo a inclinare leggermente il busto, tanto da vedere le caviglie legate, e sorrise amaramente notando che calzava ancora le scarpe bianche col tacco.
L’avevano proprio lasciata così com’era nel momento della prova del suo abito.
 
Quel giorno si era recata dalla sua amica stilista Eriko, in cerca di un vestito per il suo matrimonio.
L’amica aveva detto che non ne aveva molti, ma ce n’erano un paio che avrebbero fatto al caso suo.
Miki non aveva potuto accompagnarla, e lei ci era andata da sola; era fuori discussione che vi andasse con Ryo!
Era così emozionata.
Ricordò, inoltre, che nonostante la felicità, una sottile ombra di malinconia le stava rovinando il momento; aveva più volte scacciato quel pensiero, e si era detta che fosse normale, per una giovane futura sposa, avere dei dubbi, dei tentennamenti.
Per esempio, avrebbe tanto voluto che suo fratello l’accompagnasse all’altare, ma non sarebbe stato possibile; ecco quello le causava tristezza.
Forse era per quel motivo che la mattina, uscendo di casa, aveva voluto mettersi al dito l’anello dell’amato Hideyuki, lo stesso che lui non aveva fatto in tempo a regalarle in quel tragico compleanno.
Durante la prova lo aveva stretto, come a trovarne conforto, ma poi, si ricordò, aveva dovuto toglierselo per non rischiare di smagliare le calze, che Eriko le aveva dato da indossare sotto l’ampia gonna.
Sì, aveva infilato l’anello nel borsellino delle monete, in mancanza della custodia, che era rimasta sul comodino, e lo aveva lasciato nella sua borsa.
Se ne rallegrò, così non lo avrebbe perso o rovinato, proprio ora che era legata così stretta tanto da non potersi muovere.
 
La sua borsa, i suoi vestiti…
Ryo li avrebbe recuperati?
Sì, certamente.
Era sicura che Eriko, non trovandola più, avrebbe subito allertato il suo socio, e lui, nonostante tutto, avrebbe fatto l’impossibile per andare a liberarla.
Però… però… come avrebbe fatto a rintracciarla senza il segnale del localizzatore?
Niente di ciò che aveva indosso le apparteneva; nemmeno la biancheria intima… che sarebbe tanto piaciuta a Ryo!
Ma ecco che faceva di nuovo strani pensieri.
In un momento come quello, quasi disperato, lei andava a pensare a Ryo e alla sua insana passione per la biancheria intima!
Stava diventando come lui, l’aveva così tanto condizionata, in tutti quegli anni di convivenza, che finiva per avere i suoi stessi pensieri.
Le venne quasi da ridere, e dovette ammettere che questo scherzetto della mente aveva avuto il pregio di farle dimenticare la drammaticità del momento.
Mentalmente, e contortamente, ringraziò il suo socio: nel bene e nel male era sempre con lei.
E ora più che mai gli mancava così tanto!
 
 
 
***
 
 
 
 
Era già scesa la sera, quando Kaori si ridestò dal torpore che l’aveva vinta durante quelle lunghe ore di prigionia, in quella solitudine opprimente e ovattata.
Percepì subito la presenza di qualcun altro dentro la stanza, e si prese del tempo per valutare la situazione; non voleva rivelare subito al suo misterioso visitatore che era ben sveglia e vigile: voleva fingersi ancora addormentata per studiare quella persona, che chissà da quando era lì.
Peccato che ora la stanza fosse completamente al buio, e che quindi non potesse vedere nulla di più rispetto alle ore precedenti.
Iniziava a non poterne più: si sentiva al limite della sopportazione, tutto quell’immobilismo l’aveva spossata, era indolenzita, affamata e aveva un urgente bisogno di andare in bagno; e nonostante i suoi propositi di rimanere immobile, non poté impedirsi di muoversi a disagio.
Al fruscio del taffetà sulle lenzuola, fece eco una voce, di nuovo, di donna:
 
“Se prometti di non urlare, né di scappare, ti libero, così potrai andare in bagno.”
 
Kaori non rispose subito, ma si concentrò solo su quella voce; non si stupì di sentirla ancora, perché qualcosa le diceva che la persona che le stava accanto, sarebbe stata l’unica con cui avrebbe parlato finché fosse rimasta lì.
Solo che ora, a differenza della prima volta, la voce sembrava stanca, in qualche modo amareggiata.
E comunque la sweeper non percepiva un reale pericolo provenire dalla sua carceriera; magari lei era solo un’esecutrice, il braccio di una mente contorta che per il momento la teneva in scacco.
In ogni caso non aveva scelta, e dal momento che così, al buio, l’altra non poteva vederla e quindi non poteva fare nessun tipo di accenno, si decise a parlare:
 
“E va bene, non scapperò… se non al bagno!” sbuffò, e nonostante tutto finì per ridacchiare; era più forte di lei: anche in certi momenti l’ironia saltava sempre fuori, e comunque in più occasioni l’aveva salvata dalla disperazione e dalla paura incombente, e le veniva naturale.
Non si aspettava, però, che anche la donna ridesse, con una risata sincera ma trattenuta e che la fece esclamare, con un tono divertito:
 
“Allora sei anche simpatica!” e poi “Ora accenderò una candela, così potrai vedere dove andare. Se avrai un po’ di pazienza ti slegherò.”
 
Improvviso, nel buio si sentì l’inconfondibile crepitio dello sfregamento di un fiammifero, a cui seguì, repentino, il guizzo sfavillante della piccola fiamma della capocchia incendiata.
Kaori diresse istintivamente lo sguardo a quel bagliore che irrompeva nella stanza, e si concentrò sull’alone di luce che circondava quel piccolissimo legnetto fiammeggiante, e su ciò che illuminava nelle immediate vicinanze.
Dita lunghe e magre lo reggevano con cura, mentre un palmo ne schermava la fiamma affinché non si spegnesse.
La ragazza seguì la danza della fiammella, fino allo stoppino di una candela, infilata in un candelabro finemente cesellato in metallo, che lentamente era emerso dall’oscurità, mano a mano che vi si era avvicinata.
Quelle mani esperte accostarono la fiamma al cordoncino cerato, e quando il fuoco si trasferì sul più promettente supporto, poco prima che il legno finisse per ardere dal tutto, le dita lo agitarono con una mossa decisa e secca, spegnendolo definitivamente.
La luce della candela non era sufficiente ad illuminare quella grande stanza ma, in cuor suo, Kaori si sentì leggermente più sollevata.
 
La donna, apparentemente, non aveva intenzioni malvagie, e già il fatto che si fosse in qualche modo palesata, le dava più sicurezza.
 
La sua insolita e misteriosa ospite fece appena un passo in direzione di Kaori, la quale poté finalmente studiarla un poco; in quella semioscurità calda e avvolgente, rischiarata appena dalla fiamma tremolante della candela, che disegnava ombre fantasmagoriche sugli scarni mobili e sulle pareti, non riusciva a vedere tantissimo, ma la prima cosa che le saltò agli occhi fu il suo abbigliamento.
La donna indossava un giubbotto di pelle nera, corto in vita, che voleva fare il verso a quello dei motociclisti, ma che in realtà era decisamente molto più femminile, mentre le gambe, lunghe e snelle, erano fasciate in un bellissimo paio di jeans attillati e strappati in più punti; un pensiero balzano attraversò la mente della sweeper, che si ritrovò a dover ammettere che le piaceva come la donna fosse vestita, e che avevano gli stessi gusti!
Ma quando questa estrasse un lungo coltello dalla lama seghettata dall’interno del giacchino, Kaori trasalì. Poi si ricordò che aveva detto di volerla liberare, e quindi si rilassò pensando che l’arma, in quel caso, sarebbe servita per tagliare le corde che l’imprigionavano.
Quasi che avesse letto nei suoi pensieri, la nuova venuta le disse, atteggiando la bocca in un sorriso sghembo:
 
“Non avere paura, non ti farò del male. Devo solo tagliare quei duri legacci.”
 
La sweeper, nonostante tutto, inghiottì a fatica.
 
Tutta quella situazione era strana: la sua carceriera era una donna, non l’avevano rapita per colpire Ryo, ed ora le concedevano un filo più di libertà fidandosi della sua promessa di non urlare né fuggire.
E per il fatto che non sapessero che era la metà femminile di City Hunter, ignoravano che lei fosse anche in grado di lottare, difendersi, mettere a tappeto un potenziale nemico; la stavano sottovalutando perché, una volta libera, avrebbe potuto approfittarne e aggredire la sua custode.
E in tutto questo, Ryo non era ancora venuto a salvarla, e lei non sapeva come mettersi in contatto con lui.
 
Ancora una volta la donna stupì Kaori, quando le disse:
 
“So a cosa stai pensando… Sì, io credo alla tua promessa di non scappare, e anche se apparentemente sto commettendo un’imprudenza liberandoti, sappi che se tu decidessi di lasciare questo luogo di, diciamo così, villeggiatura forzata, non potresti andare da nessuna parte. Questa villa è immersa nella campagna, a diversi chilometri dal primo centro abitato, circondata da ettari e ettari di campi, boschi e radure. Sarebbe impossibili per te raggiungere la libertà senza sapere come e dove andare. Esiste una sola strada per arrivare fin qui, e solo un mezzo, la mia moto, quindi… non ti conviene provarci. Dopo che avrò tagliato le corde che ora ti stanno stringendo così malamente polsi e caviglie, potrai girare liberamente per la stanza ed avere libero accesso al bagno attiguo. Ah, giusto, mi avevi detto che ne avevi urgentemente bisogno” e fece un sorriso che aveva tutta l’aria di essere piuttosto una smorfia.
 
Riprese:
 
“Dicevo: potrai girare liberamente per la stanza, e se ti comporterai bene ti lascerò vagare addirittura per la villa che, per inciso, è deserta. Attualmente è abitata solo da te… e da me, quando vengo a trovarti.”
E le strizzò l’occhio.
 
Poi proseguì dicendo:
 
“Tanto, ripeto, non hai nessuna possibilità di lasciare questo posto a piedi.”
 
Kaori, che non aveva proferito parola durante quella tirata, si azzardò a dire:
 
“Ma perché fai tutto questo? Perché mi tieni prigioniera qui?”
 
“Saprai tutto a tempo debito” rispose quella, con un tono che non ammetteva repliche.
 
La sweeper accettò di buon grado quella risposta; era abituata a questi atteggiamenti stranamente drammatici, come se i criminali amassero tutti darsi importanza, assumere una posa di fatale superiorità.
E anche lei, evidentemente, non faceva eccezione.
 
La donna, dopo aver messo in chiaro le cose, si decise ad avanzare verso il letto di Kaori, la quale pensò che così avrebbe potuto finalmente vederla da vicino e in tutta la sua interezza, e non solo vagheggiarla dai neri vestiti, anche se la palpitante luce della candela a volte veniva oscurata dai suoi movimenti, mentre si affannava intorno alle corde delle sue caviglie.
Per una frazione di secondo Kaori considerò l’ipotesi di allontanarla scalciando, appena avesse riguadagnato libero movimento delle gambe, ma così avrebbe contravvenuto alla parola data, e non avrebbe risolto granché, visto che le braccia sarebbero rimaste comunque saldamente ancorate alla testiera del letto.
E non era da escludere che, agendo in quel modo, avrebbe peggiorato ulteriormente la sua condizione.
Inoltre non era abituata a picchiare un’altra donna, e prenderla a calci sulla faccia, come sarebbe finita per fare: era qualcosa che le ispirava una profonda repulsione; di solito i loro nemici erano sempre brutti ceffi, appartenenti alla parte più abietta dell’universo maschile, e le donne… be’, le donne erano invariabilmente le affascinanti clienti bisognose dell’aiuto di Ryo.
Scacciò dalla testa questi propositi violenti e s’impose la pazienza, cosa non facile per lei, notoriamente impulsiva e dal carattere fumantino.
Doveva farsela amica, piuttosto, e guadagnare tempo per trovare un modo per uscire di lì, scappare e tornare finalmente a casa.
Troppi misteri dovevano ancora essere svelati, però, e soprattutto se la stava facendo addosso: non poteva più aspettare.
 
 
***
 
 
 
Nello stesso istante, Ryo fu svegliato con violenza, da quella specie di dormiveglia in cui era sprofondato, dal suono insistente del telefono.
Saltò su a sedere sul divano, dove era crollato, quasi avvoltolato nei vesti della socia, e il primo pensiero fu:
Kaori!” seguito dalla speranza che a chiamare fossero i rapitori, desiderosi di dettare le regole del gioco e sfidarlo apertamente, o ricattandolo con qualcosa di altrettanto sordido, in cambio dell’incolumità della partner.
Recuperò tutto il suo sangue freddo e, schiarendosi la voce, si diresse al telefono, misurando i passi e cercando di frenare il cuore impazzito: la sua voce non avrebbe dovuto tradire nessun tipo di emozione.
 
“Pronto, qui è Saeba. Chi è che si è permesso di disturbare il mio riposino?” rispose con la consueta ironia tagliente.
 
Ma fu stupito di sentire la voce di Akira Murakami esordire con:
 
“Hanno rapito Kaori!”
 
“Lo so” fu la laconica riposta dello sweeper.
 
“Però non sa che i rapitori mi hanno chiesto un forte riscatto in cambio della sua vita…”
 
Ryo si sentì morire.
Come era possibile che stavolta non avessero rapito la sua adorata socia solo per arrivare a lui, come succedeva sempre?
E perché avevano chiesto un pagamento in denaro al suo fidanzato?
Sì, era un uomo ricco e potente, ben inserito nella finanza, e di certo il suo patrimonio faceva gola a parecchi, ma addirittura rapire la sua promessa sposa, era una cosa inaudita… o forse no?
E Ryo che aveva sperato fin dall’inizio che per Kaori sarebbe iniziata quella meravigliosa vita che si meritava, e che lui non era in grado di assicurarle!
Un’esistenza scevra dai problemi economici che così spesso li affliggevano, ma soprattutto una vita normale, lontano dalla violenza e dal pericolo che la condizione di sweepers comportava.
Era pronto a rinunciare a lei, pur di saperla in salvo, e invece… non era ancora sposata che di nuovo rischiava la vita.
Non c’era forse scampo per loro?
 
Akira, di fronte al suo mutismo, lo incalzò:
 
“Allora, cosa facciamo? So che lei è il numero uno nel suo campo, e che non lascerà la sua ex-collega in mano a quei balordi, e che… nonostante tutto l’aiuterà lo stesso, giusto?”
 
Ma Ryo era ancora troppo sconvolto da quella notizia, per dire alcunché.
Lui era abituato ad avere sempre tutto sotto controllo, conosceva il modus operandi di quasi tutti i criminali che, gira e rigira, si comportavano tutti nella stessa maniera.
Era in grado di pianificare una controffensiva, far saltare la trappola in cui volevano farlo cadere, o sbaragliare i nemici impegnati a tendergli un agguato.
Quando Kaori veniva rapita, in un certo senso, c’era sempre uno schema che si ripeteva, e lui vi era in qualche modo abituato; e nonostante l’ansia fosse onnipresente, insieme al timore di non arrivare in tempo, di sbagliare mossa condannando irrimediabilmente la socia, lui era anche consapevole della propria forza e astuzia.
E quell’insopprimibile desiderio di salvarla, sempre e comunque, anche da sé stesso, lo spingeva oltre, oltre i suoi stessi limiti, perché saperla in pericolo era la spinta più potente che avesse mai provato per osare fare anche l’impossibile, pur di correre da lei, come vincere la sua paralizzante paura degli aerei, o sfidare un’intera armata, anche a mani nude se necessario.
Sapeva come comportarsi quando era lui il principale obiettivo di quelle azioni malvagie, e la sua incolpevole partner l’esca, o il tramite, per arrivare a lui.
Ma ora…
Assurdamente, pensò, anche in questo era stato tagliato fuori dalla vita di Kaori; ora era la donna di un altro, e ad un altro si voleva nuocere attraverso di lei.
Ma il destino tornava a bussare alla sua porta e gli chiedeva, ancora una volta, di precipitarsi a salvarla; e non si sarebbe di certo tirato indietro, né ora né mai, perché era la donna che amava, e sarebbe anche morto per lei, pur di sottrarla al pericolo.
 
Si riscosse, in preda ad una ferma risoluzione, e si decise a rispondere al suo rivale in amore:
 
“Raggiungimi qui a casa, insieme escogiteremo una soluzione, ma non avvertire la polizia, intesi?”
 
“Va bene, farò ciò che mi dirà. Sono nelle sue mani.” E riattaccò.
 
Ryo sospirò frustrato.
Non si sarebbe mai aspettato di dover vivere, un giorno, una situazione del genere.
 
Si guardò intorno come se non riconoscesse la sua casa, e si accorse di aver portato con sé, fino al telefono, i vestiti di Kaori, che ancora stringeva spasmodicamente nelle mani grandi e callose; proprio come quei poveri abiti ormai spiegazzati, non riusciva a lasciarla andare; il suo cuore la teneva stretta, mentre la ragione gli gridava di dirle addio.
 
 
Prima dell’arrivo di Akira si diresse in camera sua, dove adagiò sul letto la maglia e i jeans di Kaori; per un attimo pensò alla stranezza di vederli lì, stesi sulle lenzuola, perché mai i vestiti della socia erano giaciuti abbandonati sul suo letto, nemmeno per sbaglio.
Nei suoi sogni più fantasiosi li vedeva sparsi per terra, sul pavimento, o gettati alla rinfusa sul divano o sulla poltrona, perché tolti con foga da lui o da lei, inutili ostacoli a ben precisi e piacevoli incontri; incontri che nella realtà lui si era sempre premurato di non far accadere, perché troppo dolorosi e struggenti anche solo da immaginare.
 
Quando ridiscese in salotto, si accese una sigaretta e si avvicinò alla finestra aspettando il signor Akira Murakami, e ripensò a quando, un mese prima, era entrato così prepotentemente nella loro imperfetta vita di sweeper.
 
 
 
Un mese prima, o poco più, Akira Murakami era comparso dal nulla, e la sua venuta aveva avuto lo stesso effetto dello scoppio di una potente bomba.
Non tanto per l’esatto momento in cui era apparso, e cioè mentre Ryo e Kaori stavano litigando, perché a conti fatti non era una novità per loro, ma per essere giunto in un periodo difficile e di profonda crisi.
 
Dopo quella contorta, ma per certi versi inequivocabile, confessione nella radura, le cose sembravano dover prendere un ben preciso avvio e invece, ancora una volta, la codardia dello sweeper si era riaffacciata e aveva raffreddato gli animi di entrambi.
Kaori, seppur stupita e frustrata dal comportamento del partner, che sempre tornava sui suoi passi e mai era deciso e concreto, come invece, in definitiva, era lei, aveva finito per accettare il suo atteggiamento, ora che era sicura di essere amata da lui, e ricambiata in un certo senso.
Pensava che fosse solo questione di tempo e tutto si sarebbe aggiustato, inoltre la sua innata timidezza e soprattutto il terrore paralizzante di essere respinta, frenavano i suoi slanci e non si arrischiava a fare ulteriori passi nella direzione del compagno.
Tanta era la paura che quel debolissimo filo che li legava si potesse spezzare per sempre, che viveva costantemente in punta di piedi.
Ma il tempo passava e la vita scorreva come al solito, o meglio come prima, senza avanzare di un millimetro, e anzi a volte Ryo sembrava comportarsi male di proposito, giusto per cercare la lite, per far sì che entrambi finissero per insultarsi, e sfogare la reciproca insoddisfazione.
L’uomo, inoltre, sperava che le cose fra loro, per l’ennesima volta, si sistemassero da sole, senza che lui facesse o dicesse niente, peggio, augurandosi che qualche fattore esterno, non dipendente dalla sua volontà, venisse a ribaltare la situazione.
Oppure, che la stessa compagna prendesse lei una decisione per entrambi, mettendolo di fronte al fatto compiuto.
In fondo non era andata sempre così anche in passato?
Appena c’era il sentore di un cambiamento, fosse anche migliore rispetto alla vita che stavano vivendo, lui andava in panico totale, e per quanto sconvolgente potesse essere l’esperienza che entrambi avrebbero vissuto, se le conseguenze che ne seguivano avrebbero potuto portare ad un avanzamento della loro relazione, era pur sempre preferibile il ritorno alla normalità piuttosto che andare avanti.
Un po’ come era stato con la venuta di Kaibara e la terribile sfida a bordo della sua nave; prima dello scontro i due soci si erano chiariti sui loro sentimenti, lui si era aperto come mai prima d’ora, si era sentito pronto a prendersi le sue responsabilità, e in seguito, durante quel momento angosciante in cui aveva temuto che sarebbero morti entrambi, o che si sarebbero persi per sempre, si erano scambiati quel bacio struggente attraverso il vetro, che valeva più di mille parole.
Poco prima di lasciarsi, lui le aveva promesso che sarebbe vissuto per tornare da lei, e lo aveva fatto, era stato di parola; e per mantenere la parola data, si era spinto fino al limite delle sue forze, sfidando la morte.
Sembrava tutto deciso, chiarito, senza ombra di dubbi, non c’era più spazio per fraintendimenti e lui finalmente era pronto ad accettare la svolta che si stava preannunciando.
Poi però, l’amnesia di Kaori era stata in un certo senso provvidenziale, perché gli era servita per rimettere in discussione tutto, rinnegare sé stesso, tornare a come erano prima.
Ryo, inoltre, era convinto di essersi in qualche modo spiegato con lei, che ciò che provava per la sua compagna fosse palese, e non avesse bisogno di ulteriori spiegazioni o chiarimenti, riteneva di essersi esposto fin troppo, e per questo si sentiva vulnerabile.
 
Ma quelle parole gridate al nemico durante una drammatica situazione di pericolo, quelle parole in cui professava la sua volontà di vivere e sopravvivere per la donna amata, e di proteggerla, per Kaori stavano perdendo via via spessore, si stavano scolorendo, perché ad esse non era seguito nessun cambiamento, nessun approccio, anche fisico, nella loro relazione.
Alla ragazza sembravano sempre più solo begli ideali, una causa eroica per cui battersi e vincere, quasi alla maniera dei vecchi samurai, qualcosa che aveva riempito il cuore dell’uomo lì per lì, nel momento in cui le proclamava, ma nulla più.
Perché il loro era rimasto un amore platonico, se possibile più contorto di quando giocavano a non farsi scoprire: un amore che li stava consumando, ma che non li faceva bruciare di passione e desiderio soddisfatto.
Un amore malato, che scottava senza ardere.
 
In quel periodo stavano letteralmente vivendo sul filo del rasoio e, mai come in quel momento, valeva tutto e il contrario di tutto; la gelosia di Kaori era alle stelle e, per contro, Ryo non faceva niente per rassicurarla, anzi, sembrava che provasse un piacere morboso nel farla soffrire continuando la sua solita pantomima di uomo di mondo, seduttore, maniaco… nonostante le fosse, al contrario, fedelissimo.
E lei era finita per credere che il suo partner non sarebbe cambiato mai, che quel suo lato perverso sarebbe rimasto comunque, e cercava di consolarsi pensando che, quando sarebbero stati finalmente una coppia, almeno sarebbe tornato sempre da lei perché era lei che amava.
In tutto questo, però, le famose martellate erano drasticamente diminuite: quelle mazzate che sempre rappresentavano il simbolo della gelosia, e quindi dell’amore, che Kaori nutriva per il suo Ryo, si erano trasformate in scenate rabbiose, indifferenza a volte, fughe improvvise con tanto di porte sbattute, e pianti soffocati per orgoglio, e tutto ciò preoccupava enormemente l’uomo, perché sentiva che l’amore della sua partner si stava lentamente affievolendo; che Kaori, infine, si stava semplicemente stancando di lui.
Ed era innegabilmente tutta colpa sua.
Ma allo stesso tempo non riusciva a comportarsi in modo diverso, non era in grado di mostrarsi gentile con lei, temeva di non esserne capace, e questo suo esasperante atteggiamento la allontanava sempre di più.
 
Sarebbe bastato così poco… ma erano entrati in un circolo vizioso da cui, apparentemente, non erano in grado di uscire.
 
I loro amici, in un primo momento, si erano fatti sotto, tentando di conciliare i due sweepers, spronandoli da una parte o dall’altra, favorendo le situazioni, invitandoli ad uscite insieme, magari una cena al ristorante o una serata in discoteca, come avevano fatto Mick e Kazue, o a gite nei dintorni di Tokyo in parchi rigogliosi o in montagna, come avevano tentato Miki e suo marito Umibozu.
Ma ogni occasione era buona per litigare, e le loro non erano più le solite scaramucce che così tanto li contraddistinguevano; queste avevano un fondo di frustrazione, di dolore da una parte, di voglia di farsi del male dall’altra.
Pareva che nascondessero molto di più delle consuete scenate di gelosia e prese in giro.
E i componenti della banda ne erano rimasti colpiti e addolorati.
Si erano ritirati in buon ordine, sempre più persuasi che forse i due soci erano arrivati ad un punto di non ritorno, che non prevedeva un lieto fine, ma una prossima separazione, necessaria per quanto lacerante.
Avevano avuto la sensazione che i due si sforzassero di stare ancora insieme, di voler fare funzionare il loro rapporto, nonostante qualcosa si fosse già spezzato, o peggio, logorato da tempo, dopo tutti quegli anni.
 
Quando era arrivato Murakami, i due City Hunter stavano camminando nel parco di Shinjuku: erano da poco usciti dal Cat’s Eye con l’intenzione di raggiungere a piedi la macchina dall’altra parte del polmone verde.
Stavano litigando, appunto, perché Kaori aveva appena scoperto che Ryo aveva accettato almeno un paio di casi, di nascosto da lei.
Manco a dirlo che le clienti, come sempre, erano delle belle donne, e chissà cosa il socio si era inventato anche quella volta, pur di saltargli addosso e soddisfare i suoi appetiti sessuali.
La socia era furibonda, sia perché lui, ancora una volta, l’aveva esclusa dalla sua vita, e in maniera pesante oltretutto, senza coinvolgerla né mettendola a parte del caso, sia perché, soprattutto, lei non era stata lì per impedirgli di fare il maniaco o anche di concretizzare con la bella di turno, visto che alla fine tutte si innamoravano di lui, e il flirt era bello che servito.
Anche se non si sarebbe mai legato a nessuna di loro, perché a lui bastava una notte di sesso - d’amore, come la chiamava lui - era pur sempre una sorta di mancanza di rispetto nei suoi confronti, un tradimento, a maggior ragione ora che le aveva fatto capire che l’amava, anche se ufficialmente non stavano ancora insieme.
E Kaori non poteva nemmeno consolarsi, se mai ci fosse riuscita dovendo inghiottire l’ennesimo boccone amaro, pensando che quello era pur sempre lavoro e che, alla fine, lo avrebbero pagato per il caso svolto, perché, di fatto, non condivideva con lei nemmeno l’eventuale compenso in denaro.
La ragazza era così stanca del suo modo di comportarsi…
Se sul piano amoroso stava andando tutto a rotoli, con questo palese disinteresse, le stava dimostrando che non la considerava nemmeno più la sua socia in affari, l’altra metà di City Hunter, come aveva orgogliosamente annunciato tanto tempo prima.
 
Kaori, già da un po’, aveva iniziato a pensare che fosse inutile sforzarsi di compiacerlo, di cercare di fare sempre meglio e migliorare, così da poter essere alla sua altezza e guadagnare la sua approvazione, diventare una brava sweeper, e una donna in gamba degna del grande Ryo Saeba, dal momento che aveva capito che quella era una battaglia persa.
Lui non le avrebbe insegnato niente di più di quello che, faticosamente, aveva imparato da sola o con l’aiuto di Falcon, Mick e Miki.
Semplicemente perché lui sperava che lei prendesse il largo e lo lasciasse in pace; anche la scusa di volerla preservare nella sua purezza, incorrotta, in mezzo a quel loro mondo marcio, stava diventando un patetico modo per non volerla più tra i piedi.
E se non poteva essere la donna di Ryo, né la partner di City Hunter, cosa ancora la teneva lì, accanto ad un uomo che non le dava né affetto, né considerazione?
Forse erano arrivati veramente al capolinea, e avrebbero fatto bene a prendere ognuno la propria strada, senza dover continuare a farsi del male, imbrigliati in un rapporto che li stava solamente distruggendo e togliendogli lentamente il rispetto reciproco, la stima, e la fiducia.
Era ora di dire basta?
 
E, con un tempismo perfetto, era arrivato Akira Murakami, proprio mentre Kaori si stava rivolgendo così al suo socio:
 
“Allora? Guardami mentre ti parlo!”
 
Ma Ryo, che svogliatamente e con aria infastidita proseguiva con le braccia incrociate dietro la nuca, aveva preferito tenere gli occhi fissi al cielo, piuttosto che incontrare quelli fiammeggianti della socia, che stava chiedendo spiegazioni.
 
“Sei andato di nuovo alla stazione e hai preso un XYZ senza dirmi niente! E poi l’hai cancellato perché sono giorni che non ne vedo uno… Oppure è stata di nuovo Saeko ad appiopparti un caso dei suoi?”
 
“Mpf!” aveva sbuffato annoiatamente lo sweeper.
 
Ma quando la ragazza lo aveva raggiunto e gli si era parata davanti, prendendolo per i risvolti della giacca, strattonandolo, si era infine deciso a risponderle:
 
“Kaori, sei una scocciatura vivente, lo sai? Cosa vuoi che ti dica? Sì, sono passato, ho visto un messaggio e ho incontrato la cliente…”
 
“E…”
 
“Niente, era il solito noioso caso di una ragazza in difficoltà” e riuscì a non farle capire quanto la tipa fosse una vera bellezza, con cui lui ci aveva inutilmente provato fin dall’inizio, tanto che l’aveva licenziato prima del tempo.
 
“E be’? Non potevi dirlo anche a me? E non mi rifilare la solita scusa trita e ritrita che non volevi coinvolgermi  perché era pericoloso e tutto il resto, che in passato abbiamo avuto casi che ci hanno messo a dura prova, e nonostante questo mi hai voluto lo stesso accanto a te. Almeno ti ha pagato?”
 
“Makimura? Kaori Makimura” la bella socia si era sentita d’improvviso chiamare e, volgendosi verso il nuovo venuto, aveva risposto con malgarbo:
 
“Seeee???” con gli occhi che ancora sprizzavano faville di risentimento.
 
“Kaori, ma sei davvero tu?”
 
A quell’ennesima domanda, la ragazza si era concentrata sull’uomo che stava avanzando nella loro direzione e, dopo un iniziale smarrimento, aveva spalancato gli occhi sorpresa, esclamando:
 
“A-Akira!! Ma sei proprio tu?” E gli era volata fra le braccia.
 
E se questo aveva dell’incredibile, più strabiliante fu che l’uomo non solo l’aveva stretta forte a sé, coinvolgendola in un’entusiastica piroetta, ma, al colmo della felicità, le aveva preso il viso fra le mani e l’aveva baciata appassionatamente, sotto gli occhi esterrefatti di Ryo.
 
Ecco, il peggior incubo dello sweeper si stava svolgendo davanti a lui: Kaori tra le braccia di un altro; Kaori che baciava un altro.
 
Prima ancora di poter ragionare lucidamente, Ryo gli era già addosso e, prendendolo per una spalla con una morsa d’acciaio, l’aveva costretto ad interrompere quell’appassionata effusione; e mentre l’uomo si girava a guardarlo con odio, lo sweeper lo aveva apostrofato:
 
“Ehi, ma che stai facendo? Come ti permetti!”
 
Akira aveva risposto, senza paura:
 
“Come ti permetti tu!”
 
Al che, Ryo aveva rincarato con:
 
“Allora, si può sapere chi sei?”
 
“E tu, piuttosto! Tu, chi saresti?” aveva ribattuto il nuovo arrivato, per niente intimorito, e deciso a non arretrare di fronte al grande Ryo Saeba.
 
Kaori, che stentava a riprendersi dalla doppia sorpresa di aver prima rivisto il suo vecchio compagno di scuola, e poi di vedere Ryo così agguerrito e geloso, quasi violento, per calmare le acque che si erano fatte improvvisamente tempestose, si era frapposta fra i due; cercando di allontanarli, aveva detto con calma:
 
“Lui… lui è solamente il mio partner di lavoro.”
 
Ryo si era sentito il cuore trafitto da una lama rovente, che ne aveva bloccato per un attimo il battito, ma non ebbe il tempo di crogiolarsi nel dolore perché l’altro aveva risposto, sicuro:
 
“Bene, perché io sono il suo fidanzato e promesso sposo!”
 
 
   
 
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