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Autore: sunonthesea    22/06/2020    1 recensioni
una raccolta di songfics dove si uniscono due delle mie cose preferite: la musica italiana e Good Omens.
Non è detto che le tematiche delle canzoni vadano a pari passo con quelle della one shot, ma posso assicurare che ci sarà tanta tristezza.
Scusate in anticipo.
Genere: Angst, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La libertà spaventa più di una prigione
E tutti cercano qualcuno per cui liberarsi
L'odio uccide forse è vero come dicono
Ma so che è da un veleno che nasce un antidoto

Aziraphale si era addormentato tra le braccia di un demone e si era svegliato in Paradiso.

Aveva sentito la luce accecante attraverso le palpebre, per poi aprirli con confusione.

Non si era mai abituato a tutto il bianco del suo luogo d’origine, le nuvole brillanti alla luce del sole fuori dalle infinite finestre.

Tutto quell’ordine non gli era mai piaciuto. Tutto troppo freddo. Tutto troppo macchinoso.

Tutto troppo poco umano.

-Buongiorno- si era ritrovato vestito di tutto punto, la giacca beige e il farfallino crema che avevano rimpiazzato la canottiera e i pantaloni che usava come pigiama, e cercava disperatamente di fare quello specifico sorriso angelico tanto richiesto ai piani alti, ma riuscì soltanto a mostrare una smorfia confusa. -Cosa succede?-.

Lo sguardo truce di Gabriele gli aveva già fatto capire tutto, ma voleva sentirlo.

-Succede che hai infranto le leggi del Paradiso, Aziraphale- aveva sempre trovato inquietanti le sue espressioni, soprattutto quando era vicino a Sandalphon e Michele.

-Cosa avrei fatto, di grazia?- lo sapeva benissimo, però voleva sentirlo. Ridacchiò nervosamente, iniziando poi a dondolarsi sui talloni.

-Hai fraternizzato con il nemico- il tono di Michele era statuario nella sua severità, quando nelle sue mani apparve una spada luminosa di riflesso.

Non prometteva niente di buono.

-Io...io non ho fatto proprio nulla- non poteva negare, ma poteva almeno tentare di difendersi. Barcollò all’indietro, quando toccò timidamente altri due angeli dietro di lui.

Non li aveva mai visti, ma i loro occhi bianchi e privi di emozioni parlavano per loro.

- Altroché. Non solo hai fraternizzato con il nemico...- Sandalphon si era avvicinato, un ghigno di disgusto a coronare il suo volto –ma a quanto c’è scritto sui nostri rapporti siete andati a vivere assieme, e state pianificando un matrimonio-.

Il modo in cui pronunciò l’ultima parola era calcato, fatto apposta per far ridacchiare gli altri esseri celestiali e far arrossire con vergogna Aziraphale.

Era nel posto sbagliato.

Doveva andare via.

- Non è affare vostro quello che io faccio della mia vita- si riprese subito, il tono forzatamente educato che usava nelle situazioni d’emergenza che fuoriusciva dalle sue labbra con eleganza.

Doveva scappare. E presto.

- Tu non hai una vita. Sei stato creato come tutti noi per seguire gli ordini e adesso non solo non li hai seguiti durante il piano per l’Apocalisse, ma ci stai pure sputando sopra con questa storia della relazione con quello...- Gabriele, nel camminare verso il biondo con quel suo sorriso in volto, cercava le parole giuste –sporco, lurido demone-.

-Non ti permetto di chiamarlo così-

Si sentì stringere il collo con una mano, gli occhi viola del suo superiore che parevano emanare dei lapilli di fuoco sul suo viso. -E invece sì. Perché è la pura verità-.

La stretta era forte, ma non sentiva l’aria mancare.

Lo dimenticava sempre: non aveva bisogno di respirare, in Paradiso.

Dopo pochi secondi lo liberò, voltando la schiena per non vedere l’altro ritornare al suo ordine. -Ma il nostro Signore è clemente, e ha deciso per te una punizione molto meno grave- nel voltarsi fece un cenno agli angeli dietro Aziraphale, che immediatamente venne preso con forza dalle spalle e obbligato ad inginocchiarsi.

Il biondo non oppose resistenza. Osservò Michele avvicinarsi con la spada.

Era a conoscenza del suo destino.

L’aveva visto fare, in passato.

Aveva sempre pensato una cosa, nel guardare cose del genere: “chissà se farà male”.

-Ti verranno recise le ali-.

Con quelle semplici parole, Gabriele attivò un meccanismo. Gli angeli strapparono via la giacca e la camicia del biondo, lasciando scoperti alla luce tutti quei segni che Crowley gli aveva meticolosamente lasciato quella sera, obbligandolo poi ad aprire le braccia e a far uscire le sue stupende ali bianche.

Aziraphale aveva paura, ma non poteva ammetterlo a voce troppo alta.

Era stato un protettore dell’Eden, in passato.

Si limitò a stringere i denti così come gli occhi, sentendo poi la lama incandescente vicina alla pelle nuda.

Si dimenticò di respirare, mentre l’incandescenza gli tagliava la pelle. I muscoli. Le ossa.

Sentiva il calore entrargli dentro, il ferro che gli stava staccando dei pezzi del corpo fino quasi a fargli dimenticare della loro stessa esistenza, la mente resa sterile e vitrea dal dolore lancinante che provava in ogni singola molecola del suo corpo, impedendogli di pensare a qualsiasi altra cosa oltre ad una sola parola: “perché?”.

Malediceva silenziosamente il Paradiso, la sua carne così fragile e ogni altra cosa che l’aveva portato a quel punto. Per un attimo si dannò di essere stato così debole, di aver dato ascolto a Crowley e di averlo seguito.

Ma poi si morse la lingua.

Era colpa sua. Solamente sua.

Dopo un numero di minuti impossibili da calcolare, Aziraphale non sentì più la lama progredire nel suo intento, mentre una pozza di sangue dorato decorava il pavimento immacolato.

Il pulsare del suo cuore era coordinato con quello che sentiva alle ferite, sordo nel suo essere così rumoroso nella sua testa.

Non aveva fatto nemmeno troppo male.

 

Vieni con me, la strada giusta la troviamo
Solo quando ci perdiamo e restiamo da soli
Perché è dagli incubi che nascono i sogni migliori
Anche a Chernobyl ora crescono i fiori

Crowley, nel dormiveglia, aveva sentito un tonfo. Un rumore profondo, come di un qualcosa che cade.
Allungò la mano per toccare il suo compagno, per poi sentire un brivido lungo la schiena nel sentire il vuoto accanto a lui.
Si stropicciò gli occhi.
Collegò il rumore con il vuoto.
Scattò via dal letto con una velocità che doveva rasentare quella di un lampo, percorrendo il breve corridoio fino a trovarsi davanti una sagoma nella penombra.
Dei brevi mugolii erano gli unici rumori che riusciva a percepire oltre al suo respiro agitato.
-Aziraphale!- esclamò, la preoccupazione palpabile nella sua voce mentre si inginocchiava attorno all’altro, cercando in qualche modo di scuoterlo per svegliarlo.
Cosa poteva essere successo? Aveva visto molte volte i corpi degli umani perdere energie e smettere di funzionare.
Ma Aziraphale umano non era.
-Cosa ti è successo?- sentiva vagamente i suoi sospiri affannati, quando percepì sotto le dita i muscoli muoversi.
-Niente, niente- nonostante la penombra, il demone poteva vedere i suoi occhi azzurri brillare dalle lacrime. -Sono andato a bere e sono inciampato, tutto qui- non doveva dirgli nulla, anche perché non c’era sangue o altro a parte il dolore lancinante che ancora gli faceva venire voglia di urlare a squarciagola, e doveva farlo solo per non farlo sentire in colpa.
C’erano dolori che non potevano essere condivisi.
-Oh, certo- Crowley lo aiutò a rialzarsi, accompagnandolo poi nella loro camera da letto.
Si misero sotto le coperte e si addormentarono, ognuno dal proprio lato del letto.



Odio queste cicatrici perché mi fanno sentire diverso
Posso nasconderle da tutti ma non da me stesso

I giorni successivi li aveva passati con un groppo alla gola che non voleva saperne di sciogliersi.
Ogni volta che entrava in una stanza si voltava, il terrore di vedere i suoi vestiti scomparire per mostrare al mondo intero le cicatrici rimaste che gli riempiva la bocca, quasi come a volerlo far annegare nelle sue stesse debolezze.
Ogni volta che si vedeva allo specchio vedeva solo un’espressione di paura e di rimpianto sul suo volto.
Ogni volta che stava con Crowley non poteva che ritornare con vergogna a quei pensieri che aveva formulato durante la tortura, sentendosi indegno di restare in sua presenza.
Non doveva dirgli nulla.
Non voleva ferirlo.
Non poteva fargli credere che fosse colpa sua.
Era...cambiato, da quell’evento. Non solo all’interno di quel sacco di carne ambulante che lui chiamava corpo, non sentire più le ali all’interno della schiena era stato strano, a primo impatto, ma anche fuori.
Aveva iniziato a parlare molto meno. Se prima si perdeva sempre nei suoi discorsi, dopo non ne faceva più molti, limitandosi soltanto ad annuire e ad abbassare costantemente lo sguardo.
Ogni volta che apriva bocca temeva di cedere. Di tirare tutto fuori in un solo sospirp.
Aveva anche iniziato a sorridere decisamente meno. Non che fosse diventato una di quelle persone sempre il viso duro, ma rispetto a prima trovava molti meno motivi per sorridere.
Solo quando c’era Crowley faceva dei sorrisi sinceri.
Gli altri erano solo smorfie di pura finzione, il frutto di sentimenti e sensazioni che era costretto a tenere segreti.
E il demone aveva iniziato a notare sin dalla prima mattina stessa ogni singola cosa, continuando a farsi domande nel silenzio dell’altro.

Fa più rumore il tuo silenzio che le urla della gente
Un albero che cade che una foresta intera che cresce
Tengo i miei sogni nascosti dietro alle palpebre
Siamo fiori cresciuti dalle lacrime

-Ti è successo qualcosa e non vuoi dirmelo- il tono del demone non voleva essere inquisitorio o cattivo, mentre si arruffava i capelli da solo in vista di appoggiare la testa sul cuscino.
Osservava il suo compagno a pochi passi da lui schioccare le dita per mettersi il pigiama, aspettando il giusto momento per parlarne con calma.
Erano seimila anni che si conoscevano e appena qualche mese che abitavano assieme, aveva subito notato quei cambiamenti non indifferenti nemmeno alle persone più vicine a loro, come i Quelli o Anathema.
E non ne sapeva la causa, e quel fatto lo mandava letteralmente in bestia.

-A cosa ti riferisci?- Aziraphale sentì le parole colpirlo come una lama nella gola, facendolo improvvisare con una risata nervosa.
Non doveva parlare.
Non doveva assolutamente parlare.
Sapeva che sarebbe arrivato quel momento, perché non era mai stato bravo a nascondere le cose, però poteva ancora evitare di parlare. Allungare il brodo. Fare qualcosa.
Il demone si alzò dal letto in uno scatto, avvicinandosi all’altro fino a circondargli le spalle in un abbraccio delicato.
Quasi avesse paura di vederlo scomparire da un momento all’altro.
-Non sorridi più e parli sempre meno- nello specchio poteva vedere un’espressione ansiosa coronare il viso del suo angelo, segno che aveva fatto centro. -È una cosa mia? Ti ho fatto qualcosa?-.
i pensieri di Aziraphale si erano fatti rumorosi nella sua testa tu hai fatto tutto perché io arrivassi qui, ma non voglio metterti in mezzo.
Prese un respiro.
Perché non meriti di essere messo in mezzo.
-
Problemi con la libreria- scattò subito sulla difensiva, cercando di sembrare in qualche modo calmo.
Doveva restare calmo.
-Sei un pessimo bugiardo, angelo- sentì il sibilare nel suo orecchio, accompagnato da un fugace bacio sul collo. -C’è qualcosa che ti turba ma non so dire cosa, e ciò mi dà molto fastidio-
-Non dovrebbe-
-Ti vedo costantemente triste, e se prima eri aperto con me ora sembra che tu mi stia nascondendo qualcosa- guardò dritto il riflesso nello specchio, alzando il sopracciglio in senso di dubbio -mi stai tradendo?-
L’angelo sgusciò via dalla stretta del compagno, trovandosi a pochi passi da lui con le braccia conserte e il volto improvvisamente severo.
La situazione stava diventando più complicata di quello che aveva previsto.
-Come ti salta in mente di pensare una cosa simile? Anche così vicini dal nostro matrimonio?- ecco, sentiva la voce diventare sempre più incrinata. Sempre più vicina al frantumarsi.
Non ce la faceva più.
Quella frase era stata l’ultima goccia.
-Dammi un buon motivo per non pensarla, allora- Crowley stava mostrando la lingua serpentina, gli occhi rettili che parevano brillare dalla rabbia mentre si metteva in posizione d’attacco.
Non litigavano spesso, ma quando lo facevano entrambi dovevano essere pronti a tutto.
-Vuoi un buon motivo?- era il momento di sputare tutto, una lacrima pioniera che stava già lasciando l’occhio per scendere lenta sulla guancia -eccolo-.
Con uno schiocco di dita si tolse il pigiama, mostrando al demone due grosse cicatrici rossastre sulla sua schiena.
Erano grandi.
Parevano pulsare ancora, nel mostrare la carne sottostante con così tanta ferocia.
-Mi hanno reciso le ali-.

Portami in alto come gli aeroplani
Saltiamo insieme vieni con me
Anche se ci hanno spezzato le ali
Cammineremo sopra queste nuvole




Stettero in silenzio per molto tempo. Gli occhi del demone erano fissi sulle cicatrici dell’altro, cercando di dare un senso a tutto quello che aveva sentito.
Chi aveva fatto una cosa simile?
Chi aveva fatto del male al suo angelo?
Perché? Perché poi? Cosa aveva fatto? Cosa aveva fatto per ricevere una cosa simile?
Erano stati i suoi capi. Era stato Gabriel.
Ma non importava come era arrivato a quel punto, importava solo che qualcuno aveva osato ferire Aziraphale.
E lui era stato l’ultimo a scoprirlo.
Un attimo, e si ritrovò il volto dell’altro contro la spalla, lasciando che le lacrime gli bagnassero il tessuto della maglietta.
-Scusa se non ti ho detto nulla- il tono dell’angelo era flebile come la fiamma di una candela al vento, ed era compito del demone far sì che non si spegnesse del tutto.
Nonostante sapesse che l’altro stava aspettando un qualche tipo di risposta, il demone si limitò a stringerlo con forza, quasi a volergli imprimere nella pelle tutte le scuse immagazzinate nel suo cervello.
Se solo si fosse fermato in tempo, prima di dire quelle parole intrinseche di dubbio.
-Non...non era perché non mi fidavo...- i rantolii peggioravano man mano che il silenzio continuava, assieme alle lacrime che sgorgavano dagli occhi del biondo.
Era da secoli che non piangeva. Forse sfogarsi era quello di cui aveva bisogno di più.
Assieme agli abbracci del rosso. Di quelli aveva bisogno sempre.
Prese un profondo respiro.
Doveva continuare a parlare.
-Perché non volevo farti stare male, ecco-.
Crowley non sentiva tutto quello, stava solo lì, a creare cerchi attorno alle cicatrici del biondo quasi a volerle riparare con quei semplici tocchi.
Aziraphale era l’ultimo a doversi sentire in colpa per qualcosa.
-L’unico che si deve scusare, qui- iniziò, il tono di chi doveva assolutamente dire qualcosa di straordinaria importanza ma che allo stesso tempo cercava di nasconderne l’entità – sono io. Per non aver notato prima...- il ricordo di quella notte che lo attanaglia come a volerlo far annegare nei sensi di colpa. -E per averti detto quella cosa-.
Nei suoi occhi si poteva vedere il senso di colpa.
-Non fa niente. Oramai il peggio è passato-. Quando l’angelo usava quel tono così infantile, era impossibile restare tristi.
Perché gli angeli non sono fatti per provare paura, tristezza o rimorso.
Ma in quella stanza, di angeli non ce n’erano più.

Se questa notte piove dietro le tue palpebre
Sarò al tuo fianco quando è l'ora di combattere
Portami con te, ti porterò con me

I due erano stretti l’uno all’altro, i loro corpi uniti da una stretta che non si sarebbe slegata in nessun modo.
Sembravano due parti della stessa corda legate assieme, impossibili da snodare e una che si appoggiava all’altra, quasi come avessero entrambi la paura di cadere in un qualsiasi momento.
Formavano una forma perfetta, a vederli. Le dita strette colmavano tutti gli spazi, le teste erano appoggiate in quell’equilibro che si poteva vedere rare volte e i piedi erano messi agli opposti, ben piantati come radici di un albero.
E il silenzio dominava la stanza. I singhiozzi dell’angelo erano andati via via a farsi sempre più brevi fino a scomparire del tutto.
-Aziraphale- quello stesso silenzio venne rotto dal suo nome, che suonava molto come l’amen alla fine di una preghiera –tu lo sai che io ti amo più di qualsiasi altra cosa, vero?-.
L’angelo annuì. A domande dalla risposta così ovvia non rispondeva nemmeno a parole.
-E che incontrarti è stata la cosa migliore che mi sia mai successa, vero?-
-Quando dici così è perché hai fatto qualche guaio- le guance rosse dalle lacrime non gli impedirono di sorridere, quei sorrisi che solitamente facevano scogliere anche i cuori più freddi.
- Non ho fatto nessun guaio! Sto soltanto...- il demone ridacchiò, cercando le parole giuste per mandare avanti il discorso, mentre con uno schiocco di dita teletrasportava entrambi sotto le coperte.
La visione degli occhi azzurro oceano dell’altro gli fecero tornare l’ispirazione.
- Sto soltanto cercando di dirti che qualsiasi cosa facciano, o dicano, io sarò sempre al tuo fianco- si scansò un ciuffo rosso dal volto, per permettere all’angelo di contare tutte quelle minuscole lentiggini che l’avevano fatto innamorare al primo sguardo dato sulle mura dell’Eden all’alba dei tempi.
-E ti proteggerò sempre, anche quando tu non vorrai parlarne- il rosso posò il palmo aperto sul petto dell’altro, in modo da percepire quasi il battito del suo cuore.
Aziraphale sorrise ancora, fino a che i suoi occhi non si riempirono di nuovo di lacrime calde.
-Ehi, non dirmi che ti stai per mettere di nuovo a piangere!- ridacchiando bonario, il demone lo strinse a sé, facendo attenzione a non toccare direttamente le cicatrici e lasciando che l’altro si sentisse a suo agio.
-Mi è entrato un insetto nell’occhio, lo giuro- mentì l’angelo, per poi spegnere la luce sempre con uno schiocco di dita.
Due sorrisi erano le uniche cose a brillare nell’oscurità.
Due cuori battevano vicini.
E per quella notte, e per tutte le altre notti che la succedettero, le cicatrici sulla schiena di Aziraphale non bruciarono.

Passeranno questi temporali
Anche se sarà difficile
Sarà un giorno migliore domani
Anche per te



   
 
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