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Autore: Digihuman    22/06/2020    4 recensioni
[IN CORSO]
Mi chiamo Brent Smith, ho trent'anni e voglio raccontarvi la mia storia. […]
A dirla tutta il mio certificato di nascita indica Tokyo come mia città natale, ma la città in cui ho vissuto per la maggior parte della mia infanzia e adolescenza è Exeter. […] E niente, la maggior parte dei miei ricordi sono proprio legati a questa città. Ricordi, che tra le tante cose, mi riportano a lei, alla mia dolce Yoshiko. […]
Spesso mi ritrovo a pensare a quando, temporaneamente parlando, potrei collocare il momento esatto in cui mi sono innamorato di lei. Avevo sentito le farfalle allo stomaco già la prima volta che la vidi. […] L'unica certezza che ho è che il mio amore è nato con lei e che morirà ciecamente con lei.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Buongiorno,
questa storia originale si intreccia con una mia storia già scritta precedentemente, ovvero Choices. Per chi l'avesse letta, riconoscerà subito il personaggio di Bee. Per chi non l'avesse ancora letta, ALT! Consiglio la lettura SOLO dei primi tre capitoli e non del quarto poiché contiene spoiler per questa originale.

Ringrazio con il cuore LadyMoon89 per aver intrapreso con me questo percorso in veste di Beta Reader!

Rating capitolo: giallo per accenni a tematiche forti
Personaggi capitolo: Brent, Taichi, altri

Capitolo 9



Gli ultimi sei mesi trascorsi in Russia sono stati impegnativi per Taichi e me. Abbiamo dovuto fronteggiare una rivolta popolare proprio alle porte di San Pietroburgo.
Quella città dall'estrema bellezza rappresenta forse una delle mete più ambite in Russia, non tanto per le vaste dimensioni che ricopre, ma per lo più per l'importanza che riveste il suo porto e la sua storia. A livello architettonico ospita alcune tra le strutture più maestose e belle al mondo. Parliamo di secoli di storia dell'arte, un viaggio incredibile alla scoperta dello stile barocco e neoclassico. Non per niente l'intero centro storico di San Pietroburgo è stato riconosciuto come patrimonio dell'UNESCO.
Purtroppo, però, la ricchezza di questa città è racchiusa al suo interno, abbracciando esternamente un grado di povertà che rasenta l'estremo. Ed è proprio per questo motivo che nel secolo precedente si è verificato un brusco picco nel livello di criminalità. In realtà, la causa maggior di questa presa di potere da parte della malavita è dovuta ai cambiamenti avvenuti dopo la perestroika. Parliamo di riforme economiche e politiche avviate sotto lo stato federale dell'Unione Sovietica, finalizzate alla riorganizzazione dell'economia e della struttura politica e sociale del Paese. Tutto ciò, come previsto, ha comportato un declino del tenore di vita ed una diminuzione dell'efficacia delle forze di polizia locali. Motivo per cui è stato reso necessario l'intervento dell'esercito. In particolar modo, dopo l'assassinio del vice governatore Manevic e della deputata Starovojtova, San Pietroburgo fu soprannominata dalla stampa russa come la capitale del crimine. Ed è un nome che tutt'ora si trascina dietro.
Seppur il Giappone non sia un alleato politico e militare della Russia, adempie comunque al suo patto di salvaguardare le rivolte ed i suoi connazionali all'estero. Motivo per cui io e Taichi siamo qui ora, in Russia.
La cerchia di persone più povere del paese ha ben pensato di assediare l'esterno di San Pietroburgo, cercando così di prendere il potere dell'intera città. E per farlo si è avvalsa di alcune ambasciate straniere, rapendo tra i tanti alcuni dei nostri connazionali. Ed ecco che qui interveniamo io e Taichi, che, attraverso una missione di recupero, abbiamo l'ordine di riportare tutti i nostri compatrioti in Giappone. Ovviamente sani e salvi, altrimenti che razza di operazione di salvataggio sarebbe questa.
E ci siamo quasi riusciti. Circa tredici persone tra adulti e bambini. Dico quasi perché purtroppo gli intoppi non sono mancati.
Nel gruppo dei tredici vi era anche una ragazza italiana, una certa Ilaria. Si era trasferita nel paese di ghiaccio come medico volontario. Aveva abbandonato una vita agiata e piena di ricchezze per privarsi di ogni bene e aiutare il prossimo. Una ragazza che poteva avere all'incirca l'età di Taichi o al massimo la mia. Ilaria aveva ammesso di aver trascorso un paio di anni in una prigione politica russa a causa dei suoi solidi ideali. Lei credeva nelle seconde possibilità e nel rispetto reciproco. Aveva imboccato quella strada perché voleva poter dare assistenza medica gratuita anche a coloro che non se lo potevano permettere. Una ragazza d'oro che aveva prestato il suo sapere a coloro che più lo necessitavano.
L'abbiamo salvata da una fine lenta e dolorosa. Ciò nonostante Ilaria, seppur non supportata dall'ambasciata italiana, ha deciso di rimanere in Russia per proseguire il suo lavoro di volontariato.
In ogni caso, quella missione mi ha letteralmente privato di forze ed emozioni. Poter vedere con i miei stessi occhi la diversità che si può riscontrare all'interno ed all'esterno di una singola città, è sconvolgente. Tutti i magnate e le famiglie benestanti possono godere di certi privilegi, che la maggior parte dei rifugiati esiliati all'esterno della città non potrebbero mai avere nella loro intera vita.
In ogni caso, anche in questo frangente, sono stato grato di aver accanto una persona come Taichi. Certo, è un tantino inesperto e alle volte troppo impulsivo, ma cavoli se ha coraggio da vendere! Il suo carattere così determinato lo spinge ad agire persino alla luce del sole. Perciò non mi resta che coprirgli le spalle scaricando l'intero caricatore del mio mitra sul suolo nemico. E quale nemico. Il popolo, i rifugiati, i ribelli non sono altro che persone come me, come te. Persone comuni, disperate e angosciate dalla situazione per lo più economica che vige sulle loro teste. Spesso abbiamo scoperto che l'arma più efficace con loro non è altro che la moneta. La moneta d'oro vera e propria, i rubli. Perché non hanno paura delle armi, non temono di morire. È gente che ormai non ha nulla da perdere. Se non muoiono sotto le armi nemiche, muoiono ugualmente di fame. Perciò poter contrattare con loro è relativamente facile, basta un pezzo di pane, o dell'acqua, o alle volte delle medicine.
Alla fine questa missione è stata una delle meno sanguinarie mai vissute. Non ho colpito neanche un uomo, se non un soldato russo ubriaco in procinto di violentare una giovane bielorussa scappata da Minsk alla ricerca di una vita nuova. E quale scelta peggiore se non cercare di scavalcare clandestinamente i confini russi.
Tutto ciò ha aiutato me e Taichi a riflettere su una cosa molto importante: per quanto i nostri trascorsi possano apparire a noi stessi turbolenti, vi è sempre una persona a noi estranea che sta vivendo una situazione di disagio ben peggiore della nostra.

È una sera come le altre, Taichi mi ha appena offerto un bicchiere di birra -mi fa strano pensare che siamo qui ormai da oltre sei mesi-.
-Già...- sussurro io bevendone un sorso.
Il freddo nordico di quel Paese ostico non mi tange più ormai. Lo trovo quasi ospitale. Mi siedo accanto a Taichi, il quale ha raccolto un paio di ceppi di legno per poter accendere un focolare davanti a noi.
-Raccontami di questa Sora- gli chiedo io alzando il bicchiere verso di lui e chiedendogli di versarmi ancora della birra.
-Non credo ci sia molto da dire- mi risponde lui allungandomi una sua foto -è la ragazza con i capelli ramati-.
-Bella- rispondo guardandola con attenzione e sorridendo -eravate piccoli qui- aggiungo notando il viso fanciullesco di Taichi.
-Eh sì, ci è stata scattata anni fa, quando ancora giocavamo a calcio insieme- mi risponde lui continuando a scolarsi la bottiglia di birra -lei è ciò che c'è di più irraggiungibile -.
Scoppio a ridere di gusto -ma come, Yagami. Corri come un velocista per tutta la distesa siberiana, saltando tra una mina e l'altra, e poi vuoi farmi credere di non riuscire a dichiararti ad una ragazza?-.
Mi guarda con sguardo severo. Probabilmente il mio appunto non gli è piaciuto, ma sorrido, è più forte di me. Mi piace stuzzicarlo, perché spesso capita che si inalbera tanto da perdere le staffe e tenermi il muso per ore intere.
-Lei è diversa da tutte le altre ragazze- mi risponde dopo un po'.
-Questa frase te l'ho già sentita dire- rispondo bevendo un altro sorso di birra -tipo un milione di volte!-.
Taichi ridacchia e proseguiamo così per circa un'oretta. Scopro che anche lui, come me, è legato ad un amore infantile. Una ragazza che sin dal primo sguardo lo ha rapito, con il quale ha un legame speciale.
Beviamo ancora e ancora. Tracannando un barile di birra e qualche bottiglia di vodka fino allo sfinimento. Alla fine siamo uno più ubriaco dell'altro.
La sua presenza mi fa piacere, è una buona spalla su cui affogare gli amari dispiaceri della vita da militare.
-Okay, okay ora tocca a me!- ridacchio io afferrando un'altra bottiglia di birra -pronto?-.
Taichi mi guarda incuriosito e, con lo sguardo annebbiato dall'alcool, mi dice -vai spara!-.
Mi posiziono meglio, con le gambe incrociate, dietro ad un prepotente falò che ormai scoppietta animatamente e domando -preferiresti andare in Iraq o restare qui in Russia?-.
-Cioè no, aspetta, tu mi stai seriamente chiedendo dove vorrei schiattare?- mi chiede Taichi alticcio -decisamente in Russia! Se mi va bene creperei prima per il freddo, piuttosto che per il fuoco nemico!-.
Scoppiamo a ridere a pieni polmoni. Siamo entrambi consci di non dover scherzare su certi argomenti, ma il poterne parlare liberamente e ad alta voce è un po' come poter espiare i nostri timori.
-Ok, di nuovo me!- dico ancora io.
-No, che cazzo, ora tocca a me!- controbatte invece Taichi.
-Non sono pronto, credo di essermi appena pisciato addosso- mi lamento un tantino sbronzo, toccandomi il cavallo dei pantaloni -no, scherzo, sono asciutti-.
Taichi cade rovinosamente con la faccia a terra a causa dell'ilarità che ho provocato in lui... o più semplicemente a causa della sua sbronza.
-Taichi, allora...- mi metto addirittura in piedi davanti a lui per essere sicuro di essere udito -quante seghe ti fai al giorno, fratello?-.
Taichi allunga un braccio verso di me e mi atterra senza indugio a terra.
-Tante, troppe per ricordarmelo- alzando la bottiglia ormai vuota di birra urla -ma le dedico tutte alla mia Sora!-.
Che idiota. È così ridicolo. Taichi non è proprio in grado di reggere l'alcool. Decisamente non fa per lui.
Ma sono questi i momenti che mi fanno sentire vivo.

Questa notte ho dormito come un bambino, un po' per l'alcool ancora in circolo, un po' perché nulla ha disturbato realmente il mio sonno.
Tutto tace intorno a me, fatta eccezione per il ronfare di Taichi. Quello sì che ci dà dentro quando cade tra le braccia di Morfeo.
Poi il mio telefono squilla. Una notifica. Una email. Erano giorni che attendevo nuove direttive circa la missione in Russia. Ormai avevamo terminato l'incarico che ci era stato affidato, perciò era questione di giorni prima di ricevere nuovi ordini.
Afferro il telefono in mano e resto abbastanza stranito nel notare un indirizzo a me familiare. Scuoto il capo, sono perfettamente conscio di aver bevuto come un cammello, ciò nonostante non mi capacito ancora una volta di quanto la mia mente voglia giocarmi brutti scherzi.
Apro l'email e leggo molto lentamente, non tanto per poter comprendere bene quanto scritto, quanto per assicurarmi di non aver seriamente le allucinazioni. Sin dalle prime due parole mi sento il cuore in gola.

Caro Bee,
non so neanche da dove iniziare... so perfettamente di essere sparita dalla circolazione e vorrei poterti spiegare il perché, ma non così, non per email.
Purtroppo ho il tempo contato in questo istante e anche solo mandarti questa email, per me, significa rischiare il tutto per tutto. Perciò andrò dritta al punto. Anni fa ti chiesi se, qualora avessi avuto l'istinto di scappare di casa, mi avresti potuta ospitare. Io purtroppo non ho altro modo per contattarti. Ma l'ho fatto, Bee. Sono scappata. E ora ho bisogno di te. Sono una codarda, sono un'egoista e probabilmente non mi merito neanche una tua risposta. Ma ti prego, sei veramente l'unica persona al quale potrei mai chiedere una cosa simile.
Yo

Nella stessa email trovo un numero di telefono con prefisso +81 e lì realizzo che lei è ancora in Giappone. Non posso far a meno di volare con la mente e leggere e rileggere quell'email quasi risuonasse particolarmente criptica nella mia mente.
Il tono con cui è stata scritta, la scarsa accuratezza con cui è stata inviata – vi sono errori di scrittura e distrazione, niente punteggiatura – tutto mi fa pensare che lei sia in pericolo. Per quanto io abbia voltato pagina, anni e anni fa, in quello stesso istante vengo catapultato brutalmente al passato e la figura di quella giovane ragazza asiatica, conosciuta anni prima sulle rive del Quay, appare nitida davanti a me.
Rimango stranito. Mi guardo a destra e sinistra, quasi mi aspetto che qualcuno possa sbucare da chissà dove dicendomi che si tratta solo di uno scherzo. Eppure lì ci sono solo io, un cielo particolarmente silenzioso, il frinire delle cicale ed il ronfare beato di Taichi.
Guardo il mio telefono e mi rendo conto di essere più titubante del previsto nel chiamarla.
Per anni ho sempre sperato di poterla incontrare di nuovo. Di riuscire finalmente a riconciliarmi a lei, riuscendo così a dirle tutto quello che per troppo tempo mi sono tenuto dentro. Eppure, ora che ne ho la possibilità, tentenno. Dall'email Yoshiko appare visibilmente sconvolta, qualcosa non va, mi pare chiaro. Forse, richiamandola, potrei scoprire di aver sempre fantasticato su una persona che non è assolutamente ciò che ho immaginato. Magari Yoshiko è stata idealizzata nella mia mente più del previsto e l'idea di poter scoprire che quell'essere per me perfetto, non esiste assolutamente, quasi mi fa paura.
Ma al diavolo i se ed i ma: non è aspettando altro tempo che troverò risposte alle mie domande. Perciò, digito pesantemente il numero da lei lasciato e appoggio il cellulare all'orecchio, faticando a trovare una frequenza di respiro sufficientemente rilassata.
-Bee?- sento rispondere dall'altra parte del telefono.
Il mio sguardo subito si spalanca e mi sento pervadere dal gelo più totale.
Mi aspettavo che, una volta sentita la sua voce, mi sarei surriscaldato tanto da arrossire in sua compagnia. Ed invece, il contrario.
Nonostante abbia detto solo il mio nome, posso giurare che la sua voce sia sottotono, cupa e rotta dal pianto.
-Dove sei?- le domando.
-Io...- attende un attimo prima di rispondere -non ne ho la più pallida idea, Bee-.
Mi agito. Ha paura, anzi, è proprio terrorizzata. Quel suo fiato corto, il sussurrare quasi non voglia essere udita da nessuno. Tutto mi fa pensare che lei sia in guai seri.
-Riesci a prendere il treno o l'aereo?- le domando senza neanche realmente ragionare.
-Il treno o l'aereo?- mi chiede lei confusa -ho circa 20.000 yen con me-.
-Perfetto, ti mando un indirizzo, quando arrivi richiamami- le dico velocemente.
-Bee, io... grazie- cerca di dirmi lei scoppiando a piangere al telefono.
Mi sento morire. Una morsa terrificante mi prende al petto. La curiosità allo stesso tempo mi assale, domandandomi cosa diavolo possa essere successo. Oggi e negli anni.
-No, non c'è tempo per i convenevoli- le rispondo forse un po' troppo glaciale -ne parleremo meglio quando potremo rivederci-.
-Okay...- mi risponde Yoshiko prima di chiudere la chiamata.
Sento il telefono scivolarmi dalle mani. Lo stringo con forza e allo stesso tempo con cura. Lo abbasso a livello del petto e osservo il display sgomento.
La sua voce.
Sono ormai trascorsi ormai quasi cinque anni dall'ultima volta che le ho parlato per email, sei contando l'ultima volta che ci siamo visti di persona. In questi ultimi sei anni, per l'appunto, ho fantasticato su di lei in ogni modo possibile ed inimmaginabile. Sono stato con altre donne, consapevole che nessuna potesse mai essere al suo pari. Mi sono limitato nelle relazioni, preferendo stare con una ragazza palesemente lesbica, piuttosto che ritrovarmi in una relazione duratura con una donna reale. Ed invece no, solo ora realizzo che non ho mai voluto instaurare un rapporto serio con nessuna donna, proprio perché avrebbe significato il mio distacco totale da lei. Io ero il diversivo di Sam e lei era il mio.
Non potrei mai equiparare Sam a Yoshiko, per il semplice fatto che, tralasciando le grosse diversità che vi sono tra le due, con una potevo fare sesso, mentre con l'altra potrei fare l'amore.
Ma no, non voglio soffermarmi su questo pensiero. Yoshiko sta chiedendo il mio aiuto e sarei un vero stronzo ad approfittarne in quel modo.

Quella notte ovviamente non sono riuscito a dormire. E come potrei farlo.
Avviso Taichi del cambio di piano. Lui viene subito affidato ad un mio pari per intraprendere una missione piuttosto leggera in Bosnia. In quanto a me, raccolgo i miei quattro stracci, faccio il pieno al mio monoposto e via dritto a casa.
Quando raggiungo Shin Chitose afferro il cellulare e chiamo subito Yoshiko. La chiamata non dura molto. Mi dice di trovarsi al piano interrato, esattamente dove si trova il treno che da Sapporo l'ha condotta sin lì.
E parto in quella direzione. Le mie gambe mantengono prima un passo piuttosto contenuto, fino ad avanzare sempre più veloci ed intraprendere una corsa quasi estenuante verso l'ascensore. Attendo impalato ed inebetito innanzi a quelle due porte metalliche e scorrevoli. Il suono di un campanello mi fa intendere che è giunto il grande momento. Appena si spalancano, esco. Questa volta a passo lento. Tentenno e allo stesso tempo mi affretto a guardarmi intorno. Una serie di sensazioni, una più contrastante dell'altra, prendono il sopravvento su di me.
E se non fossi all'altezza? E se non le piacessi più? E se mi stesse solo sfruttando? E se fosse tutto uno scherzo?
Poi la vedo e subito la riconosco.
Lei alza lo sguardo e subito mi riconosce.
In quel preciso istante si aprono le porte del diretto per Higashi Muroran e un fiume di gente scende aumentando per un istante la distanza che ci divide. Vedo gli occhi di Yoshiko calamitarsi sui miei. Si alza dal proprio posto e inizia a venirmi incontro. Cerco di camminare verso di lei, ma la gente tenta di trascinarmi altrove. Allungo le braccia nella sua direzione, aggrappandomi saldamente al desiderio di poterla abbracciare. Sul suo volto leggo dolore e sofferenza. Pian piano la gente si screma e la distanza tra di noi si azzera. Ci fronteggiamo, ma non ci salutiamo. Poi lei si getta tra le mie braccia ed io resto lì, completamente imbambolato, mentre inconsciamente la stringo forte a me.
-Yoshiko- sussurro quasi a voler spezzare quella magia. Già, perché ancora di magia si tratta.
Dopo tutti quegli anni, mi accorgo di non aver solo idealizzato il suo ricordo, ma di averlo ben radicato nel mio cuore. Vorrei tanto scattare un'istantanea di questo momento, perché sono convinto che mai nella vita potrei mai provare tanti sentimenti così contrastanti come ora.
Abbasso il volto, la stringo forte a me, le accarezzo i capelli scuri e annuso il suo profumo. Chiudo gli occhi quasi a voler memorizzare ogni istante, ogni sensazione provata.
Lei alza lo sguardo ed io mi perdo in lei, in quelle pozze di petrolio che mi fissano umide e scintillanti. Le sorrido per la prima volta e le accarezzo il volto. Vorrei tanto dirle che va tutto bene, che ora è con me e che non potrà più succederle nulla. Ma la verità è che ho paura, tanto quanto lei probabilmente. Ho paura di lasciarmi andare ancora una volta, inconsciamente, proprio come al nostro primo incontro. Ho paura di farle promesse che forse, un indomani, non potrei mantenere. Ho paura di conoscere la sua storia e di farle conoscere la mia, scoprendo magari che è cambiato tutto. Ho paura che nulla potrà mai tornare come prima.
Poi la fisso negli occhi. È bella esattamente come ricordavo. Solo più grande, più matura, con quei suoi occhi grandi, a mandorla, terribilmente profondi ed espressivi. I capelli sono persino più lunghi di quanto ricordassi, mossi e completamente al naturale. Il viso dalle linee morbide e delicate, leggermente pallido, con le labbra che accennano ad un lieve rossore, insieme alle gote, leggermente imporporate probabilmente per la vicinanza dei nostri volti. Il mio occhio malizioso scende giù, scrutando le sue curve, decisamente più sinuose e mature di quel che ricordavo.
Con la testa completamente fuorviata, cerco di riprendere il controllo su me stesso, tornando nuovamente sui suoi occhi e cercando di decifrare quello sguardo così emblematico.
-Seguimi- le dico prendendola per mano e conducendola fuori dall'aeroporto. Chiamo un taxi e senza alcun indugio decido di portarla lontana dall'accademia.

-Un hotel?- mi domanda quasi preoccupata, mentre io la guardo imbarazzata.
-Non è come credi- le rispondo velocemente avvicinandomi alla hall di quel posto -la ragazza alla reception è la fidanzata di un mio commilitone-.
Yoshiko annuisce lievemente, mentre io prendo le chiavi di una stanza e mi allontano insieme a lei verso il retro dell'edificio.
-Stanza numero 13, allora è un vizio- sussurro tra me e me, non notando però che Yoshiko mi sta fissando.
-Il tuo numero...- mi dice lei abbassando lo sguardo.
-Tu...- ma non ho il tempo di fiatare altro che lei sorride ad annuisce.
Sorrido a mia volta. Quasi quasi inizio a convincermi dell'idea che anche lei possa avermi pensato in tutto questo tempo.
Apro la porta della nostra camera e come un cavaliere di altri tempi la invito ad entrare per prima. Oltrepassa la soglia con la coda tra le gambe, testa china in avanti e sguardo di chi ha il timore persino di respirare.
Vorrei chiederle cosa le è successo, ma so bene che prima o poi parlerà di sua spontanea volontà.
Si guarda intorno, come a volersi assicurare che qui lei è al sicuro.
-Yo...- le dico cercando di attirare la sua attenzione -hai fame?-.
Lei mi guarda, ma decide di non fiatare. Annuisce solamente.
Mentre ordino una porzione di ramen e di sushi misto per telefono, la vedo rovistare nel suo zaino. Non ha altro con sé, solo un piccolo zainetto in pelle ed il portafoglio.
-Non hai caldo?- le domando dopo aver prenotato la cena e aver notato che indossa ancora un pesante cappotto invernale.
Lei si guarda intorno titubante, insicura se sbarazzarsi di quell'abito o meno. Il mio primo pensiero va a cosa potrebbe indossare lì sotto. Chiudo gli occhi e mi do dello stupido anche solo per averlo pensato.
Lei si blocca davanti a me, alza lo sguardo, mi fissa negli occhi e quasi mi studia. Poi noto i suoi occhi roteare, su e giù, analizzando la mia figura per intero. Mi gonfio di orgoglio e cerco quasi di fare una bella figura, ma i dubbi mi assalgono e subito mi domando se mai potrò essere alla sua altezza. Mi pare quasi una fotomodella. Non sono sicuro che lei sia effettivamente una bellezza mozzafiato o meno, ma è il pensiero che ho di lei che me la fa esaltare ancora di più. La trovo splendida, seducente persino in quel pesante e orrendo cappotto bordeaux. Sorrido e per un istante mi viene in mente l'abito da cerimonia che Ron indossava al Ballo del Ceppo in Harry Potter.
-Non ti piace, vero?- mi domanda poi prendendo tra le mani i lembi inferiori del cappotto e osservandolo imbarazzata.
-Diciamo che ti preferirei senza- le rispondo mordendomi la lingua prima ancora di terminare la frase -perdonami, io non intendevo quello-.
Lei ridacchia -ed invece sì-.
Allargo le braccia sconsolato, sapendo di aver ormai messo le carte in tavola -ed invece sì!- ammetto semplicemente.
Inizia a slacciare i bottoni molto lentamente. Non capisco se lo stia facendo per sedurmi, o se ogni sua movenza nella mia mente appaia più peccaminosa di ciò che realmente è.
Dopo aver liberato ogni singola asola dai bottoni, allarga i lati del cappotto sospirando rumorosamente per poi lasciarlo cadere a terra.
Sotto di esso non vi è altro che un paio di shorts fin troppo estivi ed una canottiera intima, per altro senza reggiseno. Purtroppo però i miei ormoni non hanno modo né tempo di impazzire come previsto, perché il mio sguardo viene catturato da ben altro. I miei occhi si assottigliano e si concentrano sul suo ventre libero da qualsiasi tessuto. Mi avvicino a lei con lo sguardo contrariato e con il volto di chi ha appena scoperto un segreto che lascia veramente il segno.
Le accarezzo il ventre facendola tremare più di paura che altro, poi, con la mano, risalgo fino a far strusciare il mio indice contro tutto il suo braccio destro.
-Ti prego, Bee- mi supplica lei con occhi ormai colmi di lacrime -non guardarmi in quel modo-.
-Io...- ingoio un rivolo di saliva che mi scende dalla bocca senza permesso.
- È stato mio padre- poi finalmente arriva la rivelazione -ha picchiato mia madre e poi ha punito me per essermi messa in mezzo. Lo fa ormai da che ne ho memoria-.
Rimango imbambolato a guardare il suo corpo ricoperto di lividi e un senso di nausea mi stringe la bocca dello stomaco.
Faccio per fiatare, ma qualcuno suona alla porta. Sul volto di Yoshiko appare un'espressione di puro terrore. La invito a chiudersi per un istante in bagno, mentre vado a vedere di chi si tratta. Per fortuna è solamente il ragazzo delle consegne. Pago la cena lasciandogli anche una generosa mancia, tutto pur di farlo filare via da qui nell'immediato.
Appoggio il sacchetto del take away sul tavolino della stanza e mi dirigo in bagno, ritrovando Yoshiko riversa a terra a piangere come una bambina indifesa.
-Bee, è stato orrendo- mi dice tra un singhiozzo e l'altro -ho seriamente creduto di morire-.
Quelle poche parole mi prendono alla sprovvista. Mi sento impotente e inutile. Poi però la guardo avvinghiata alla mia maglia e capisco di poter fare qualcosa per lei. Forse è giunto il momento di tirare fuori l'uomo che è in me, dedicando anima e corpo all'unica persona che io abbia mai realmente amato in vita mia.
Le sollevo il capo e le faccio una promessa -giuro che d'ora in poi mi prenderò cura io di te-.
Lei annuisce. Nei suoi occhi leggo gratitudine, ma soprattutto scorgo uno sguardo di fiducia nei miei confronti.

Quasi tre anni fa dissi al generale Kobayashi di non credere nelle coincidenze. Ma quel giorno mentii.
Io credo nelle coincidenze, anzi, io spero nelle coincidenze. Perché la mia vita va avanti solo a coincidenze. È un caso che diversi anni fa io abbia conosciuto Sam? No, mio padre era in procinto di morire ed io avevo bisogno di una spalla su cui contare. E lei era lì, esattamente dove doveva essere. Dopo di lei è arrivato Taichi ed ora posso contare su di lui non solo come fratello d'armi, ma soprattutto come migliore amico.
Sebbene questo scambio fortemente imparziale di cause ed effetti possa apparire una nozione estremamente lontana da ciò che di più scientifico vi è al mondo, vi stupirà sapere che è un concetto chiave che si fonda sulla matematica e sulla fisica moderna. Una fisica moderna che non ha nulla a che fare con quella quantistica, ma che è fortemente legata alla teoria del caos. L'effetto farfalla è facile da comprendere e la mia vita, forse, ne è il più palese esempio. Ogni piccolezza da me vissuta, come quelle elencate sopra, mi ha portato ad essere ciò che di meglio non potevo essere. Certo, mi fa sorridere come l'icona della farfalla sia sempre così presente all'interno della mia vita, in maniera ben più concreta e sotto forma di essere vivente, o come idea astratta con basi fortemente scientifiche. La farfalla, così delicata nel suo volare e apprezzata per i suoi colori - monarca in particolare - immaginata come un essere innocuo, con un suo semplice e fievole battito di ali può causare una tempesta. Questo perché la variazione di pressione causata dalle ali può amplificarsi nello spazio e nel tempo e assumere dimensioni inimmaginabili.
Perciò la mia vita si riflette ancora una volta in una farfalla in tutto e per tutto.
Volete sapere perché anche in questo caso sono convinto che Yoshiko non sia una coincidenza? Ieri notte, prima di sbronzarmi insieme a Taichi, sono riuscito a coronare uno dei miei sogni d'infanzia. Eravamo solamente io e lui, Taichi e me. Lui era disteso sopra un manto erboso guardando il cielo tingersi prima di un viola scuro, poi di un blu notte. Poi ho scorto un lepidottero quasi fluorescente, illuminato dal timido bagliore della luna, che pian piano sorgeva in cielo. Una farfalla. Ma sono sicuro che avrete già capito che non si tratta di una farfalla qualunque, ma di una monarca. Ebbene sì, l'ho vista, luminosa e leggiadra. Taichi mi ha dato del matto quando ho iniziato a rincorrerla nel tentativo di acchiapparla. Per un attimo mi sono rivisto nei panni del Brent bambino, con quell'insulso retino da acquario, pieno di speranze che, con gli anni, sono solo andate scemando. Non questa volta, però. No, perché ieri sera sono riuscito a prenderla a mani nude. La tenevo serrata tra entrambi i miei palmi. Volevo guardarla, ammirarla e rendermi conto di quanto fossero magiche le sue ali. Allo stesso tempo, però, avevo paura a schiudere la mia morsa, perché temevo potesse volare via. Ed invece non è stato così. È rimasta lì, appoggiata sulla mano sinistra, lasciandosi ammirare.
Quella sera mi sono convinto che qualcosa di bello sarebbe successo. Ed in effetti eccomi qui, in compagnia di Yoshiko. Forse non nella situazione migliore che si possa sperare, ma finalmente insieme.
  
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