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Autore: Layla    24/06/2020    0 recensioni
Questa fiction inizia alla fine dell'ultimo capitolo pubblicato del manga.
Cosa è successo a Nana? Come mai se ne è andata?
Come ha raggiunto Londra.
E Hachi? Hachi cerca di vivere la sua vita senza di lei, imprigionata nella sua vita di casalinga con due figlie, ma innamorata di un altro uomo. Il suo scopo è trovare Nana.
Quando troverà Nana troverà il coraggio di cambiare la sua vita?
Shin, da parte sua, troverà finalmente l'amore in qualcuno di inaspettato...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nana Komatsui, Nana Osaki, Nobuo Terashima, Reira Serizawa
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo diciassettesimo

 

Sai, Nana…
Avevo sempre desiderato dei figli, ora che ne avevo due non ce la
facevo. Il blocco che avevo avuto nei confronti di Satsuki si era sciolto,
ma quello nei confronti  di Ren era più forte che mai e non sapevo
come aggirarlo. Lui poi piangeva sempre e Takumi non c’era mai.
Stavo per scoppiare.

 

Erano passate due settimane da quando Reira aveva visitato suo figlio e le cose erano persino peggiorate.  
Mi era passato l’appetito ed ero dimagrita di botto, la mia faccia era segnata da occhiaie e borse perenni, senza contare il colorito pallido e malsano. Avevo vissuto gli ultimi mesi della mia vita tra cambi di pannolini, allattamenti, ninne nanne e tutto quello che riguardava l’essere madre. Ora sentivo Satsuki come mia figlia, il problema era ancora Ren.
Mi sforzavo di vederlo come il figlio di Shin – cioè come qualcuno da amare – ma il trucco non mi riusciva, la maggior parte del tempo lo percepivo come un estraneo portato in casa mia al solo scopo di farmi andare fuori di testa e il fatto che con Reira si fosse calmato non mi aiutava affatto.
Era come se quel mocciosetto sapesse a istinto chi fosse la sua vera madre e a chi chiedere affetto, da me voleva solo cibo.
Satsuki aveva iniziato da poco con la pappette, quindi il mio latte stava diminuendo, ma Ren non sembrava accorgersene. Voleva latte di continuo, dormiva poco e piangeva molto, non sapevo più cosa fare e non potevo contare su nessuno: Takumi continuava a trascorrere molto tempo con Reira.
Ero sul punto di scoppiare e fu così che mi trovò Shin una volta, sdraiata per terra che piangevo con le mani sulle orecchie per ignorare il pianto del bambino.
La vista sembrò sconvolgerlo, rimase paralizzato, guardando alternativamente me e il piccoletto, alla fine si diresse alla culla e calmò suo figlio in qualche modo, poi venne da me. Con gentilezza mi aiutò ad alzarmi e mi fece adagiare sul divano, mi lasciò piangere per un altro po’ e poi mi asciugò le lacrime con il suo sorriso triste. Non volevo gettare i miei problemi sulle sue spalle, ma sapevo che non ce l‘avrei fatta a trattenermi, un argine si era rotto in me.
“Shin, non ce la faccio!”
Esclamai tra i singhiozzi.
“Io ci provo ad amare Ren, ma non ci riesco. Non ci riesco.
Sono una donna orribile.”
“Mi dispiace di causarti così tanti problemi.”
Spalancai gli occhi e lo guardai.
“Tu sai che…?”
“Ren è mio figlio? Sì.
Ho fatto un po’ di conti e il fatto che mi somigli me l’ha reso chiaro.
Grazie per prendertene cura, ma Takumi dov’è in tutto questo?”
“Dove è da sempre: da Reira.”
Borbottai scontenta, lui strinse le mani.
“Va tutto bene, Hachi.”
Disse piano, poi estrasse il suo cellulare.
“Ciao, dove sei?”
Il tono era poco amichevole.
“Lo so che sei a Tokyo, Reira mi ha scritto ieri.
Beh, vieni a casa tua, ammesso che ti ricordi dove sia.”
Concluse brusco.
“Chi hai chiamato?”
Chiesi impaurita, anche se una parte di me aveva già intuito tutto.
“Takumi, deve rendersi conto delle sue responsabilità.
Ha degli obblighi anche verso di te, non solo verso Reira.”
Io sbarrai gli occhi, tra Shin e mio marito non scorreva buon sangue e sperai che non degenerasse tutto in una rissa.
“Hai paura, Hachi?”
“Sì.”
“Non devi. Ti ho già detto che andrà tutto bene, non c’è ragione di averne.”
Il suo tono adesso era calmo e gentile, ma io non mi tranquillizzai.
Avrei recuperato il pieno controllo di me solo quando quella storia sarebbe finita senza vittime.
Mezz’ora dopo la porta della casa si aprì, Takumi entrò con un’espressione seccata e delle brutte occhiaie.
“Allora, perché mi hai chiamato, Shin?”
“Per Hachi. Guardala.”
Mio marito mi rivolse uno sguardo inespressivo.
“Non ce la fa più a badare a due bambini da sola, tu dove sei?
Perché sei sempre da Reira? Non sai di avere una moglie?”
“Non ti impicciare in cose che non ti riguardano, ragazzino.
Rispose secco Takumi.
“Mi riguardano visto che le hai accollato in pieno la responsabilità di mio figlio!”
Gli occhi di Shin mandavano lampi, l’altro invece scoppiò a ridere.
“Ah, lo sai! Reira non sa stare zitta.
Parli di responsabilità, allora perché non prendi il piccolo bastardo e lo cresci tu visto che sei suo padre?
Tu e la sorellina di Nana potreste essere dei buoni genitori.”
Shin si irrigidì e strinse i pugni.
“Come sai di me e Misato?”
“Vi hanno visti insieme, ti devo fare i miei complimenti, sai?
Questa volta hai dimostrato buon senso, ti sei scelto una ragazza della tua età almeno, carina, ma senza quell’aria da psicopatica di Nana.”
Il mio amico strinse i pugni ancora di più, aveva l’aria di voler attaccare da un momento all’altro.
“Ma non divaghiamo, perché non prendi Ren e lo cresci tu?”
Il silenzio si allargò come una macchia tra di loro.
“Perché non puoi. Sei solo un ragazzino senza arte né parte, non hai il diploma né un lavoro stabile, ti puoi mantenere a malapena. E sei costantemente a rischio, un passo falso e sei di nuovo nel giro della prostituzione.”
Gli occhi del mio figliolo adottivo si strinsero fino quasi a ridursi a due linee dure e ostili.
“Non mi prendo cura di lui perché tu e Reira mi avete tagliato fuori, come sempre d’altronde. Insieme avete deciso che tu l’avresti riconosciuto e cresciuto. Beh, vedi di farlo!
Smettila di scappare dalle tue responsabilità e di lasciare Hachi da sola!”
Dopo quelle parole afferrò il suo giubbotto di pelle e corse fuori da casa mia, aveva l’aria di uno che era sull’orlo di dare matto e picchiare il primo essere che fosse stato sgarbato con lui.
L'atteggiamento da padrone del mondo di Takumi, quello che aveva sempre avuto e che mi aveva affascinato ai primi tempi, mi fece perdere le staffe.
Senza dire nulla lo schiaffeggiai così forte che la sua testa si voltò di lato.
“Cosa ti prende?”
Mi chiese con il suo solito tono arrogante.
“C’è che quello che ha detto Shin è vero! Smettila di scappare dalle tue responsabilità, smettila di darle in carico a me!
Sei tu che hai riconosciuto Ren come tuo figlio, non io.
Io… io sono stanca di questa situazione! Non è facile badare a Satsuki e con Ren è anche peggio e tu non ci sei mai, stronzo!
Tu sei sempre da quella troia che ti sbava dietro da una vita, perché non fai l’uomo per una volta?
Mollami, prendi Ren e vattene con lei da qualche parte a prenderti cura della tua vera famiglia, io per te sono una specie di serva, un cagnolino fedele da scopare ogni tanto!
Sai, che c’è? Mi sono rotta i coglioni!”
Lui mi mollò un ceffone che mi mandò a fuoco la guancia, io la toccai per qualche secondo e poi cominciai a tempestargli il petto di pugni e insultandolo come mai avevo fatto.
Gli rinfacciai tutti i suoi sbagli – quando mi aveva portato a letto per divertimento, poi per ripicca verso Nobu, quando mi aveva scopato contro la mia volontà solo per ferire Nana che ci avrebbe sentito, il suo passare sempre più tempo con Reira, la gravidanza, Ren – e lui mi urlò che la puttana ero io.
Ero io ad avere aperto le gambe alla rockstar.
Gli rifilai un altro ceffone, questa volta non disse nulla.
Si limitò a girare i tacchi e a uscire dalla porta della villa.
Era quello che gli riusciva meglio.

 

Il giorno dopo mi svegliai al pianto di Ren, gemendo disperata mi tirai il cuscino sul volto.
Dopo qualche minuto dovetti cedere e mi alzai, guardai il calendario e trasalii, era il 20 novembre, di lì a dieci giorni sarebbe stato il mio ventiduesimo compleanno.
Intanto che allattavo il bambino fui presa da una profonda tristezza, l’anno prima l’avevo celebrato con Nana e tutti i miei amici – tranne Nobu, per ovvi motivi – e quest’anno?
Probabilmente a causa dei bambini sarebbe passato in secondo piano, credo fosse quello il piano di Takumi, qualcosa  che seguiva uno schema più grande: allontanarmi da tutti i miei affetti per avere il pieno controllo della mia vita e modellarla a suo piacimento.
Beh, non glielo avrei lasciato fare, mi ero lasciata calpestare come uno zerbino abbastanza!
Non sapevo da dove venisse quella rabbia e quella voglia di ribellione – ma probabilmente da tutti gli eventi che erano accaduti da quando mi ero trasferita a Tokyo, con la perdita di Nana come catalizzatore – ma mi ci aggrappai con tutte le mie forze. Era quello che mi permetteva di esistere ancora come Nana Komatsu e non solo e unicamente come Nana Ichinose, la moglie devota di un uomo spietato.
Stasera, mi dissi, chiamerò Takumi e gli dirò che voglio festeggiare il mio compleanno nell’appartamento 707 con gli altri. Non avrei ceduto e avrei fatto quella festa a ogni costo.
Finalmente Ren si calmò, diedi da mangiare a Satsuki e scrissi a Shin, scusandomi per la stronzaggine di mio marito e chiedendogli come stava.
La risposta arrivò poco dopo mentre ero immersa nei miei tentativi di imparare l’arte della vestizione – un lato positivo di vivere con quello stronzo era che aveva assunto una cameriere che mi sollevava dall’obbligo delle faccende domestiche –  e lo lessi subito.
“Sto bene, mamma.
Sono al lavoro, stanotte ero da Misato, quella vera.
Non ti devi preoccupare per me. Tu stai bene, piuttosto?”
Misato quella vera? Si riferiva alla sorellina di Nana?
“Sì, sto bene. Io e Takumi abbiamo litigato.
Gli ho dato un ceffone per la prima volta, è stato liberatorio.
Vorrei festeggiare il mio compleanno come l’anno scorso, spero che non rompa troppo.
Tu ti riferisci a Misato, la sorella di Nana? Da quando uscite insieme?
Perché non me l’hai detto?”
La risposta arrivò poco dopo.
“Se riesci a mettere Takumi davanti alle sue responsabilità ti darà un giorno di libertà, credo che sappia che ti ha rovinato la vita. Sì, la sorellina di Nana. Esco con lei più o meno.
Ci siamo visti un paio di volte, ma solo come amici. Non te l’ho detto perché penso di essermi innamorato per la prima volta e volevo avere un po’ di tempo per pensarci e poi lei non lo sa. Avevo anche paura che reagissi male :P”
“Non sono una madre gelosa! Ma la voglio conoscere e se ti dovesse trattare male la picchierò con un mestolo.”
“Hachi, grazie di essere nella mia vita.
Buona fortuna.
Io sorrisi alla sua risposta, mi aveva scaldato il cuore con pochissime parole.
Ripresi il mio lavoro, un’occhiata al manuale e una al chimono che avevo cucito con Miu, fino a mezzogiorno. La cameriera mi chiamò per il pranzo, io mangiai e nutrii anche i bambini.
Mi sarebbe piaciuto uscire e incontrare Takumi in un bar, ma a chi avrei affidato Ren e Satsuki?
Sbuffando presi il mio cellulare e chiamai mio marito, che mi rispose dopo non so quanti squilli.
“Cosa vuoi?”
Mi chiese sgarbato.
“Parlarti. Vieni a casa.”
Io ero altrettanto secca.
“È urgente?”
“Dal mio punto di vista, sì.”
“Uno dei bambini sta male?”
“Devono per forza centrare i bambini? Ti devo solo parlare o devo prendere un appuntamento con la tua segretaria?”
“Va bene, arrivo.”
Chiuse la chiamata e io sbuffai di nuovo. Sapevo che sarebbe stata dura, ma non così dura.
Un’ora dopo entrò dalla porta, controllò i bambini e poi me alla ricerca di qualcosa, chissà cosa poi…
“I bambini stanno bene e tu stai bene, perché mi hai fatto precipitare qui?”
“Tu dovresti stare qui o al lavoro, non da Reira!
Lo sai che è venuta a vedere suo figlio?”
Mi rivolse uno sguardo vacuo.
“Non importa, non ti ho chiamato per discutere di questo.
Tra dieci giorni è il mio compleanno, voglio festeggiarlo con i miei amici, uscire quindi da qui per una sera e andare all’appartamento 707.”
Lo sguardo divenne più vacuo.
“E chi baderà ai bambini?”
“Tu. Sei il loro padre.”
“Non ho tempo per queste cazzate, devi proprio festeggiarlo?
Che senso ha ricordarsi che diventi più vecchia di un anno?”
Io strinsi i pugni.
“Perché voglio vedere i miei amici per una sera, voglio sentirmi una ragazza della mia età, non mi sembra una richiesta eccessiva.”
“Sei la solita ragazzina infantile, sei una madre, cazzo! Questo dovrebbe venire prima di tutto!”
“E tu sei un padre, dovrebbe venire prima di Reira, ma per te non è così!
Sei sempre da lei e mi lasci da sola, quanto sei padre?”
“È la madre che si deve prendere cura dei bambini!”
I suoi occhi mandavano fulmini.
“Questa è una concezione antiquata e non ho intenzione di seguirla!”
Mi diede uno schiaffo molto violento, io lo guardai piena d’odio.
“Ascoltami bene, Takumi Ichinose. Se tu non mi concedi la serata libera io prendo Satsuki e me ne torno dai miei. Poi divorzio, ti spenno e ti lascio da solo a crescere il tuo piccolo bastardo.
E lo farò, perché sono stanca morta di te!”
La mia minaccia sembro andare a segno perché lui parve afflosciarsi su se stesso.
“Perché cazzo mi hai sposato?”
“Dio! Perché tu mi offrivi più soldi e sicurezza di Nobu, quando mai ci siamo amati?
Io ero solo infatuata di te e anche adesso, quando dico a tutti di amarti, mento per il bene dei bambini, perché voglio che – nonostante i nostri errori – abbiano una famiglia il più serena possibile.
Cosa credevi? Che ti amassi davvero dopo tutto quello che mi hai fatto?
Non sono tonta come pensi.”
Sbottai, la verità finalmente fuori dal mio petto e dal mio cuore.
Lui mi guardò sorpreso, non era la risposta che si aspettava probabilmente, io lo avevo abituato alla docilità non a risposte sincere e taglienti.
Fare da mamma mi aveva cambiato, mi aveva fatto capire che non potevo e non dovevo sempre abbassare la testa e dire di sì per paura di rimanere da sola e non saper gestire la situazione. Questi mesi mi avevano dimostrato che ero in grado di gestire una situazione senza nessun aiuto.
In passato mi ero appoggiata a Junko, a Shoji, a Nana, a Nobu e infine a Takumi. Non avevo dimostrato di essere autonoma, ora invece sapevo di poterlo essere. Sapevo che il giorno in cui Nana sarebbe tornata nella mia vita e i bambini sarebbero stati abbastanza grandi da sopportare una separazione, la mia strada si sarebbe separata da quella di Takumi per ricongiungersi a quella di Nobu. O almeno lo speravo.
“Quindi non mi ami?”
“No, non ti amo.”
“Nemmeno io ti ho mai amata, sei stata una scommessa che ho vinto con Nobu Terashima.”
Io scossi le spalle.
“Sì, immaginavo fosse qualcosa del genere.
Stai cercando di ferire una persona che ora non c’è più, dimmi qualcosa che possa davvero ferirmi ora.”
Allargai le braccia come a indicare la casa piena di giocattoli e altre cose per bambini.
“Prova a dirmi qualcosa che mi faccia più male di questo.
Hai distrutto il mio sogno di diventare madre e di avere una famiglia, dimmi qualcosa che faccia più male.”
Takumi rimase in silenzio.
“Va bene, festeggia il tuo compleanno con i tuoi amici.”
“Bene, sono felice che abbiamo raggiunto un accordo.”
Lui mi guardò di nuovo stranito, non riconosceva la persona che aveva davanti.
Aveva ragione, ma questi mesi mi avevano insegnato molto su di me e sulla vita.
Non potevo tornare indietro, non sarei mai tornata a essere Hachi, ossia la ragazza spensierata, rumorosa e ingenua. Quell’identità era andata in pezzi, sparita insieme a Nana.
Ero diventata più forte e la prova era Takumi stesso, forse faceva un countdown mentale su quanto sarebbe durata la nostra relazione.
“Tu ami Terashima, vero?”
“Takumi, ascoltami.”
Sbuffo.
“Il tempo in cui tu te la contendevi a lui è finito, davvero finito.
Io so chi amo adesso, ma so anche che non posso stare con lui. Sarà un matrimonio di facciata, ma le cose non cambieranno perché lo è già adesso. Tu sei sempre da Reira, nel tuo distortissimo modo è l’unica donna che tu abbia mai amato e prima lo accetterai meglio sarà. Lei ti ama e non mollerà fino a quando non ti avrà avuto. È testarda e tu le hai costruito un castello con i Trapnest per farla felice e lei lo sa.”
“Credo sia meglio che me ne vada, tu chiama i Blast.”
Tagliò corto lui, la  verità era una medicina amara e a nessuno faceva piacere essere forzato ad ingoiarla.
Strinsi il mio cellulare e poi lo aprii, non sapendo chi chiamare per primo, le mie dita si mossero in automatico e prima che potessi fermarle o pensare cosa dire avevano composto il numero di Nobu.
Ora squillava a vuoto e il mio cuore batteva così forte forse stavo per avere in infarto o qualcosa del genere.
“Pronto?”
La voce di Nobu mi diede un brivido e non riuscii a parlare.
“Hachi?”
“Sì, sono io, Nobu.”
Dissi piano.
“Ehi, ciao. Come mai questa chiamata?”
Il suo tono forzatamente allegro mi fece male, tutte le persone a cui tenevo finivano per soffrire.
Nana, lo hai pensato anche tu questo?
È per questo che te ne sei andata?
“Tra una decina di giorni è il mio compleanno, vorrei festeggiarlo con le persone a cui tengo nell’appartamento 707 come ai vecchi tempi. Mi chiedevo se tu potessi venire.
So che il preavviso è poco, ma mi farebbe piacere che tu venissi.”
“Certo, conta pure su di me, verrò molto volentieri.
Mi manca Tokyo e… mi manchi tu.”
“Anche tu mi manchi, sempre.”
“Che sfigati che siamo, ne Hachi?”
“Sì, terribilmente sfigati.
Mi veniva di piangere e non riuscivo a continuare il discorso anche se avrei voluto dirgli mille cose.
“Nobu, parliamone di persona. Al telefono non ce la faccio.”
“Nemmeno io. Vorrei essere lì con te.”
“Che tu ci creda o no, anche io voglio la stessa cosa.”
“Arrivederci, Hachi. Ci vediamo all’appartamento 707 come sempre.”
“Sì. Ciao, Nobu.”
Chiusi la chiamata e mi accorsi che le mie guance erano bagnato di lacrime, avevo pianto e non me ne ero nemmeno accorta. Non mi ero trattenuta alla fine.
La telefonata più importante l’avevo fatta, ora toccava agli altri.
Ren scoppiò a piangere, lo calmai e presi di nuovo in mano il cellulare.
Chiamai Junko, Kyosoke, Yasu, Miu, Shin e Misato Tsuzuki.
Accettarono tutti di buon umore.
“Mamma, posso portare una persona?”
Mi chiese Shin, immaginai che fosse Misato.
“Sì, certo. Puoi portare chi vuoi.”
“Grazie, mamma.”
“Di niente. Mi dispiace ancora per come sia finita l’altra volta.”
Mi riferivo al litigio tra lui e Takumi in cui erano volate parole grosse e accuse reciproche, mi sembrò quasi di vederlo mentre scuoteva le spalle.
“Tutto a posto, ma’.”
“Shin, lo sa che puoi parlare con me se c’è qualcosa che ti infastidisce o ferisce.”
“È tutto a posto. Takumi ha ragione, io a mio figlio non posso offrire proprio nulla.”
“Ma puoi  amarlo.”
“Non ne sono sicuro. Guardare lui mi ricorderebbe Reira in continuazione e sai che tra noi non può più esserci un futuro. Mi dispiace solo che sia tu a pagare il prezzo dei miei errori.”
“Shin.”
“Va tutto bene, adesso devo andare.”
Chiuse la chiamata in tono triste.
Era evidente che soffriva, più di quello che avrebbe ammesso o dato a vedere, ma non mi avrebbe permesso di aiutarlo su quel fronte. Era un dolore intimo e personale che non voleva condividere, un qualcosa che affondava le sue radici nel suo passato da bambino abbandonato dalla madre.
Non era giusto che si tenesse tutto dentro, sperai che ne parlasse almeno con Misato, da solo non ce l’avrebbe fatta a sopportare un tale peso.
È così che va quando un genitore ti abbandona, Nana?
Tieni per te il dolore? Lo stringi come se fosse un segreto prezioso finché non diventa parte della tua stessa anima?
È così che ti sei sentita?
È per questo che sei scappata?
La morte di Ren era un peso troppo grande e avevi paura a condividerlo con me o con gli altri?
Ma è a questo che servono gli amici, ti aiutano nei momenti bui, tu con me ci hai provato e non me lo scordo.
Pensai questo, schegge disarticolate che non riuscivano a formare un ragionamento coerente, cercavo parallelismi con tutto quello che mi accadeva per cercare di capire la sua fuga. Era un atteggiamento stupido – ogni essere umano è diverso dall’altro – ma non potevo farne a meno. La sua scomparsa era una caverna buia e ogni luce che illuminasse anche solo un pochino di quell’abisso era benvenuta.
Tutto quello che mi poteva aiutare a capire era benvenuto.
Mi sentivo stanca e svuotata, ma soprattutto lasciata indietro.
Non era il fatto che tutti proseguissero la loro vita e io fossi bloccata tra pannolini e biberon, era perché Nana non si era confidata con me dopo tutte le conversazioni nella vasca con i piedi di leone.
Mi aveva tagliato fuori, mi aveva lasciata a brancolare.
Mi aveva lasciata sola.
Mi aveva abbandonata come sua madre aveva fatto con lei.
Mi chiesi se se ne rendesse almeno conto, ma la mia mente aveva paura della risposta.
Quanto avrei voluto parlare con lei anche solo per un secondo e dissipare i miei dubbi, ma lei era in un posto che io non potevo raggiungere.
Per il momento.

 

   
 
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