Sai, Nana…
Avevo sempre desiderato
dei figli, ora che ne avevo due
non ce la
facevo. Il blocco che
avevo avuto nei confronti di
Satsuki si era sciolto,
ma quello nei confronti
di Ren era più forte che mai e non sapevo
come aggirarlo. Lui poi
piangeva sempre e Takumi non c’era
mai.
Stavo per scoppiare.
Erano passate due settimane da
quando Reira aveva
visitato suo figlio e le cose erano persino peggiorate.
Mi era passato l’appetito ed ero dimagrita di botto, la
mia faccia era segnata da occhiaie e borse perenni, senza contare il
colorito
pallido e malsano. Avevo vissuto gli ultimi mesi della mia vita tra
cambi di
pannolini, allattamenti, ninne nanne e tutto quello che riguardava
l’essere
madre. Ora sentivo Satsuki come mia figlia, il problema era ancora Ren.
Mi sforzavo di vederlo come il figlio di Shin –
cioè come
qualcuno da amare – ma il trucco non mi riusciva, la maggior
parte del tempo lo
percepivo come un estraneo portato in casa mia al solo scopo di farmi
andare
fuori di testa e il fatto che con Reira si fosse calmato non mi aiutava
affatto.
Era come se quel mocciosetto sapesse a istinto chi fosse
la sua vera madre e a chi chiedere affetto, da me voleva solo cibo.
Satsuki aveva iniziato da poco con la pappette, quindi il
mio latte stava diminuendo, ma Ren non sembrava accorgersene. Voleva
latte di
continuo, dormiva poco e piangeva molto, non sapevo più cosa
fare e non potevo
contare su nessuno: Takumi continuava a trascorrere molto tempo con
Reira.
Ero sul punto di scoppiare e fu così che mi trovò
Shin
una volta, sdraiata per terra che piangevo con le mani sulle orecchie
per
ignorare il pianto del bambino.
La vista sembrò sconvolgerlo, rimase paralizzato,
guardando alternativamente me e il piccoletto, alla fine si diresse
alla culla
e calmò suo figlio in qualche modo, poi venne da me. Con
gentilezza mi aiutò ad
alzarmi e mi fece adagiare sul divano, mi lasciò piangere
per un altro po’ e
poi mi asciugò le lacrime con il suo sorriso triste. Non
volevo gettare i miei
problemi sulle sue spalle, ma sapevo che non ce l‘avrei fatta
a trattenermi, un
argine si era rotto in me.
“Shin, non ce la faccio!”
Esclamai tra i singhiozzi.
“Io ci provo ad amare Ren, ma non ci riesco. Non ci
riesco.
Sono una donna orribile.”
“Mi dispiace di causarti così tanti
problemi.”
Spalancai gli occhi e lo guardai.
“Tu sai che…?”
“Ren è mio figlio? Sì.
Ho fatto un po’ di conti e il fatto che mi somigli me
l’ha reso chiaro.
Grazie per prendertene cura, ma Takumi dov’è in
tutto
questo?”
“Dove è da sempre: da Reira.”
Borbottai scontenta, lui strinse le mani.
“Va tutto bene, Hachi.”
Disse piano, poi estrasse il suo cellulare.
“Ciao, dove sei?”
Il tono era poco amichevole.
“Lo so che sei a Tokyo, Reira mi ha scritto ieri.
Beh, vieni a casa tua, ammesso che ti ricordi dove sia.”
Concluse brusco.
“Chi hai chiamato?”
Chiesi impaurita, anche se una parte di me aveva già
intuito tutto.
“Takumi, deve rendersi conto delle sue
responsabilità.
Ha degli obblighi anche verso di te, non solo verso
Reira.”
Io sbarrai gli occhi, tra Shin e mio marito non scorreva buon sangue e
sperai
che non degenerasse tutto in una rissa.
“Hai paura, Hachi?”
“Sì.”
“Non devi. Ti ho già detto che andrà
tutto bene, non c’è ragione di averne.”
Il suo tono adesso era calmo e gentile, ma io non mi
tranquillizzai.
Avrei recuperato il pieno controllo di me solo quando
quella storia sarebbe finita senza vittime.
Mezz’ora dopo la porta della casa si aprì, Takumi
entrò
con un’espressione seccata e delle brutte occhiaie.
“Allora, perché mi hai chiamato, Shin?”
“Per Hachi. Guardala.”
Mio marito mi rivolse uno sguardo inespressivo.
“Non ce la fa più a badare a due bambini da sola,
tu dove
sei?
Perché sei sempre da Reira? Non sai di avere una
moglie?”
“Non ti impicciare in cose che non ti riguardano, ragazzino.
Rispose secco Takumi.
“Mi riguardano visto che le hai accollato in pieno la
responsabilità di mio figlio!”
Gli occhi di Shin mandavano lampi, l’altro invece
scoppiò a ridere.
“Ah, lo sai! Reira non sa stare zitta.
Parli di responsabilità, allora perché non prendi
il
piccolo bastardo e lo cresci tu visto che sei suo padre?
Tu e la sorellina di Nana potreste essere dei buoni
genitori.”
Shin si irrigidì e strinse i pugni.
“Come sai di me e Misato?”
“Vi hanno visti insieme, ti devo fare i miei complimenti,
sai?
Questa volta hai dimostrato buon senso, ti sei scelto una
ragazza della tua età almeno, carina, ma senza
quell’aria da psicopatica di
Nana.”
Il mio amico strinse i pugni ancora di più, aveva
l’aria di voler attaccare da
un momento all’altro.
“Ma non divaghiamo, perché non prendi Ren e lo
cresci tu?”
Il silenzio si allargò come una macchia tra di loro.
“Perché non puoi. Sei solo un ragazzino senza arte
né
parte, non hai il diploma né un lavoro stabile, ti puoi
mantenere a malapena. E
sei costantemente a rischio, un passo falso e sei di nuovo nel giro
della
prostituzione.”
Gli occhi del mio figliolo adottivo si strinsero fino quasi a ridursi a
due
linee dure e ostili.
“Non mi prendo cura di lui perché tu e Reira mi
avete
tagliato fuori, come sempre d’altronde. Insieme avete deciso
che tu l’avresti riconosciuto
e cresciuto. Beh, vedi di farlo!
Smettila di scappare dalle tue responsabilità e di
lasciare Hachi da sola!”
Dopo quelle parole afferrò il suo giubbotto di pelle e corse
fuori da casa mia,
aveva l’aria di uno che era sull’orlo di dare matto
e picchiare il primo essere
che fosse stato sgarbato con lui.
L'atteggiamento da padrone del mondo di Takumi, quello che
aveva sempre avuto e che mi aveva affascinato ai primi tempi, mi fece
perdere
le staffe.
Senza dire nulla lo schiaffeggiai così forte che la sua
testa si voltò di lato.
“Cosa ti prende?”
Mi chiese con il suo solito tono arrogante.
“C’è che quello che ha detto Shin
è vero! Smettila di
scappare dalle tue responsabilità, smettila di darle in
carico a me!
Sei tu che hai riconosciuto Ren come tuo figlio, non io.
Io… io sono stanca di questa situazione! Non è
facile
badare a Satsuki e con Ren è anche peggio e tu non ci sei
mai, stronzo!
Tu sei sempre da quella troia che ti sbava dietro da una vita,
perché non fai
l’uomo per una volta?
Mollami, prendi Ren e vattene con lei da qualche parte a
prenderti cura della tua vera famiglia, io per te sono una specie di
serva, un
cagnolino fedele da scopare ogni tanto!
Sai, che c’è? Mi sono rotta i coglioni!”
Lui mi mollò un ceffone che mi mandò a fuoco la
guancia, io la toccai per
qualche secondo e poi cominciai a tempestargli il petto di pugni e
insultandolo
come mai avevo fatto.
Gli rinfacciai tutti i suoi sbagli – quando mi aveva
portato a letto per divertimento, poi per ripicca verso Nobu, quando mi
aveva scopato
contro la mia volontà solo per ferire Nana che ci avrebbe
sentito, il suo
passare sempre più tempo con Reira, la gravidanza, Ren
– e lui mi urlò che la
puttana ero io.
Ero io ad avere aperto le gambe alla rockstar.
Gli rifilai un altro ceffone, questa volta non disse
nulla.
Si limitò a girare i tacchi e a uscire dalla porta della
villa.
Era quello che gli riusciva meglio.
Il giorno dopo mi svegliai al
pianto di Ren, gemendo
disperata mi tirai il cuscino sul volto.
Dopo qualche minuto dovetti cedere e mi alzai, guardai il
calendario e trasalii, era il 20 novembre, di lì a dieci
giorni sarebbe stato
il mio ventiduesimo compleanno.
Intanto che allattavo il bambino fui presa da una
profonda tristezza, l’anno prima l’avevo celebrato
con Nana e tutti i miei
amici – tranne Nobu, per ovvi motivi – e
quest’anno?
Probabilmente a causa dei bambini sarebbe passato in
secondo piano, credo fosse quello il piano di Takumi, qualcosa che seguiva uno schema
più grande:
allontanarmi da tutti i miei affetti per avere il pieno controllo della
mia
vita e modellarla a suo piacimento.
Beh, non glielo avrei lasciato fare, mi ero lasciata
calpestare come uno zerbino abbastanza!
Non sapevo da dove venisse quella rabbia e quella voglia di ribellione
– ma
probabilmente da tutti gli eventi che erano accaduti da quando mi ero
trasferita a Tokyo, con la perdita di Nana come catalizzatore
– ma mi ci
aggrappai con tutte le mie forze. Era quello che mi permetteva di
esistere
ancora come Nana Komatsu e non solo e unicamente come Nana Ichinose, la
moglie
devota di un uomo spietato.
Stasera, mi dissi, chiamerò Takumi e gli dirò che
voglio
festeggiare il mio compleanno nell’appartamento 707 con gli
altri. Non avrei
ceduto e avrei fatto quella festa a ogni costo.
Finalmente Ren si calmò, diedi da mangiare a Satsuki e
scrissi a Shin, scusandomi per la stronzaggine di mio marito e
chiedendogli
come stava.
La risposta arrivò poco dopo mentre ero immersa nei miei
tentativi di imparare l’arte della vestizione – un
lato positivo di vivere con
quello stronzo era che aveva assunto una cameriere che mi sollevava
dall’obbligo delle faccende domestiche –
e lo lessi subito.
“Sto bene,
mamma.
Sono al lavoro, stanotte
ero da Misato, quella vera.
Non ti devi preoccupare
per me. Tu stai bene, piuttosto?”
Misato quella vera? Si riferiva alla sorellina di Nana?
“Sì,
sto bene. Io e Takumi abbiamo litigato.
Gli ho dato un ceffone
per la prima volta, è stato
liberatorio.
Vorrei festeggiare il
mio compleanno come l’anno scorso,
spero che non rompa troppo.
Tu ti riferisci a
Misato, la sorella di Nana? Da quando
uscite insieme?
Perché non me
l’hai detto?”
La risposta arrivò poco dopo.
“Se riesci a
mettere Takumi davanti alle sue
responsabilità ti darà un giorno di
libertà, credo che sappia che ti ha
rovinato la vita. Sì, la sorellina di Nana. Esco con lei
più o meno.
Ci siamo visti un paio
di volte, ma solo come amici. Non
te l’ho detto perché penso di essermi innamorato
per la prima volta e volevo
avere un po’ di tempo per pensarci e poi lei non lo sa. Avevo
anche paura che reagissi male
:P”
“Non sono una
madre gelosa! Ma la voglio conoscere e se ti dovesse trattare
male la picchierò con un mestolo.”
“Hachi, grazie
di essere nella mia vita.
Buona fortuna.”
Io sorrisi alla sua risposta, mi aveva scaldato il cuore con pochissime
parole.
Ripresi il mio lavoro, un’occhiata al manuale e una al
chimono che avevo cucito con Miu, fino a mezzogiorno. La cameriera mi
chiamò
per il pranzo, io mangiai e nutrii anche i bambini.
Mi sarebbe piaciuto uscire e incontrare Takumi in un bar,
ma a chi avrei affidato Ren e Satsuki?
Sbuffando presi il mio cellulare e chiamai mio marito,
che mi rispose dopo non so quanti squilli.
“Cosa vuoi?”
Mi chiese sgarbato.
“Parlarti. Vieni a casa.”
Io ero altrettanto secca.
“È urgente?”
“Dal mio punto di vista, sì.”
“Uno dei bambini sta male?”
“Devono per forza centrare i bambini? Ti devo solo parlare o
devo prendere un
appuntamento con la tua segretaria?”
“Va bene, arrivo.”
Chiuse la chiamata e io sbuffai di nuovo. Sapevo che sarebbe stata
dura, ma non
così dura.
Un’ora dopo entrò dalla porta,
controllò i bambini e poi
me alla ricerca di qualcosa, chissà cosa poi…
“I bambini stanno bene e tu stai bene, perché mi
hai
fatto precipitare qui?”
“Tu dovresti stare qui o al lavoro, non da Reira!
Lo sai che è venuta a vedere suo figlio?”
Mi rivolse uno sguardo vacuo.
“Non importa, non ti ho chiamato per discutere di questo.
Tra dieci giorni è il mio compleanno, voglio festeggiarlo
con i miei amici, uscire quindi da qui per una sera e andare
all’appartamento
707.”
Lo sguardo divenne più vacuo.
“E chi baderà ai bambini?”
“Tu. Sei il loro padre.”
“Non ho tempo per queste cazzate, devi proprio festeggiarlo?
Che senso ha ricordarsi che diventi più vecchia di un
anno?”
Io strinsi i pugni.
“Perché voglio vedere i miei amici per una sera,
voglio
sentirmi una ragazza della mia età, non mi sembra una
richiesta eccessiva.”
“Sei la solita ragazzina infantile, sei una madre, cazzo!
Questo dovrebbe
venire prima di tutto!”
“E tu sei un padre, dovrebbe venire prima di Reira, ma
per te non è così!
Sei sempre da lei e mi lasci da sola, quanto sei padre?”
“È la madre che si deve prendere cura dei
bambini!”
I suoi occhi mandavano fulmini.
“Questa è una concezione antiquata e non ho
intenzione di
seguirla!”
Mi diede uno schiaffo molto violento, io lo guardai piena
d’odio.
“Ascoltami bene, Takumi Ichinose. Se tu non mi concedi la
serata libera io prendo Satsuki e me ne torno dai miei. Poi divorzio,
ti spenno
e ti lascio da solo a crescere il tuo piccolo bastardo.
E lo farò, perché sono stanca morta di
te!”
La mia minaccia sembro andare a segno perché lui parve
afflosciarsi su se stesso.
“Perché cazzo mi hai sposato?”
“Dio! Perché tu mi offrivi più soldi e
sicurezza di Nobu, quando mai ci siamo
amati?
Io ero solo infatuata di te e anche adesso, quando dico a
tutti di amarti, mento per il bene dei bambini, perché
voglio che – nonostante
i nostri errori – abbiano una famiglia il più
serena possibile.
Cosa credevi? Che ti amassi davvero dopo tutto quello che
mi hai fatto?
Non sono tonta come pensi.”
Sbottai, la verità finalmente fuori dal mio petto e dal mio
cuore.
Lui mi guardò sorpreso, non era la risposta che si
aspettava probabilmente, io lo avevo abituato alla docilità
non a risposte
sincere e taglienti.
Fare da mamma mi aveva cambiato, mi aveva fatto capire
che non potevo e non dovevo sempre abbassare la testa e dire di
sì per paura di
rimanere da sola e non saper gestire la situazione. Questi mesi mi
avevano
dimostrato che ero in grado di gestire una situazione senza nessun
aiuto.
In passato mi ero appoggiata a Junko, a Shoji, a Nana, a
Nobu e infine a Takumi. Non avevo dimostrato di essere autonoma, ora
invece
sapevo di poterlo essere. Sapevo che il giorno in cui Nana sarebbe
tornata
nella mia vita e i bambini sarebbero stati abbastanza grandi da
sopportare una
separazione, la mia strada si sarebbe separata da quella di Takumi per
ricongiungersi a quella di Nobu. O almeno lo speravo.
“Quindi non mi ami?”
“No, non ti amo.”
“Nemmeno io ti ho mai amata, sei stata una scommessa che ho
vinto con Nobu
Terashima.”
Io scossi le spalle.
“Sì, immaginavo fosse qualcosa del genere.
Stai cercando di ferire una persona che ora non
c’è più,
dimmi qualcosa che possa davvero ferirmi ora.”
Allargai le braccia come a indicare la casa piena di
giocattoli e altre cose per bambini.
“Prova a dirmi qualcosa che mi faccia più male di
questo.
Hai distrutto il mio sogno di diventare madre e di avere
una famiglia, dimmi qualcosa che faccia più male.”
Takumi rimase in silenzio.
“Va bene, festeggia il tuo compleanno con i tuoi
amici.”
“Bene, sono felice che abbiamo raggiunto un
accordo.”
Lui mi guardò di nuovo stranito, non riconosceva la persona
che aveva davanti.
Aveva ragione, ma questi mesi mi avevano insegnato molto
su di me e sulla vita.
Non potevo tornare indietro, non sarei mai tornata a
essere Hachi, ossia la ragazza spensierata, rumorosa e ingenua.
Quell’identità
era andata in pezzi, sparita insieme a Nana.
Ero diventata più forte e la prova era Takumi stesso,
forse faceva un countdown mentale su quanto sarebbe durata la nostra
relazione.
“Tu ami Terashima, vero?”
“Takumi, ascoltami.”
Sbuffo.
“Il tempo in cui tu te la contendevi a lui è
finito, davvero
finito.
Io so chi amo adesso, ma so anche che non posso stare con
lui. Sarà un matrimonio di facciata, ma le cose non
cambieranno perché lo è già
adesso. Tu sei sempre da Reira, nel tuo distortissimo modo è
l’unica donna che
tu abbia mai amato e prima lo accetterai meglio
sarà. Lei ti ama e non mollerà
fino a quando non ti avrà avuto. È testarda e tu
le hai costruito un castello con
i Trapnest per farla felice e lei lo sa.”
“Credo sia meglio che me ne vada, tu chiama i
Blast.”
Tagliò corto lui, la verità
era una
medicina amara e a nessuno faceva piacere essere forzato ad ingoiarla.
Strinsi il mio cellulare e poi lo aprii, non sapendo chi
chiamare per primo, le mie dita si mossero in automatico e prima che
potessi
fermarle o pensare cosa dire avevano composto il numero di Nobu.
Ora squillava a vuoto e il mio cuore batteva così forte
forse stavo per avere in infarto o qualcosa del genere.
“Pronto?”
La voce di Nobu mi diede un brivido e non riuscii a
parlare.
“Hachi?”
“Sì, sono io, Nobu.”
Dissi piano.
“Ehi, ciao. Come mai questa chiamata?”
Il suo tono forzatamente allegro mi fece male, tutte le
persone a cui tenevo finivano per soffrire.
Nana, lo hai pensato anche tu questo?
È per questo che te ne sei andata?
“Tra una decina di giorni è il mio compleanno,
vorrei
festeggiarlo con le persone a cui tengo nell’appartamento 707
come ai vecchi
tempi. Mi chiedevo se tu potessi venire.
So che il preavviso è poco, ma mi farebbe piacere che tu
venissi.”
“Certo, conta pure su di me, verrò molto
volentieri.
Mi manca Tokyo e… mi manchi tu.”
“Anche tu mi manchi, sempre.”
“Che sfigati che siamo, ne Hachi?”
“Sì, terribilmente sfigati.
Mi veniva di piangere e non riuscivo a continuare il discorso anche se
avrei
voluto dirgli mille cose.
“Nobu, parliamone di persona. Al telefono non ce la
faccio.”
“Nemmeno io. Vorrei essere lì con te.”
“Che tu ci creda o no, anche io voglio la stessa
cosa.”
“Arrivederci, Hachi. Ci vediamo all’appartamento
707 come sempre.”
“Sì. Ciao, Nobu.”
Chiusi la chiamata e mi accorsi che le mie guance erano bagnato di
lacrime,
avevo pianto e non me ne ero nemmeno accorta. Non mi ero trattenuta
alla fine.
La telefonata più importante l’avevo fatta, ora
toccava
agli altri.
Ren scoppiò a piangere, lo calmai e presi di nuovo in
mano il cellulare.
Chiamai Junko, Kyosoke, Yasu, Miu, Shin e Misato Tsuzuki.
Accettarono tutti di buon umore.
“Mamma, posso portare una persona?”
Mi chiese Shin, immaginai che fosse Misato.
“Sì, certo. Puoi portare chi vuoi.”
“Grazie, mamma.”
“Di niente. Mi dispiace ancora per come sia finita
l’altra volta.”
Mi riferivo al litigio tra lui e Takumi in cui erano volate parole
grosse e
accuse reciproche, mi sembrò quasi di vederlo mentre
scuoteva le spalle.
“Tutto a posto, ma’.”
“Shin, lo sa che puoi parlare con me se
c’è qualcosa che ti infastidisce o
ferisce.”
“È tutto a posto. Takumi ha ragione, io a mio
figlio non
posso offrire proprio nulla.”
“Ma puoi amarlo.”
“Non ne sono sicuro. Guardare lui mi ricorderebbe Reira in
continuazione e sai
che tra noi non può più esserci un futuro. Mi
dispiace solo che sia tu a pagare
il prezzo dei miei errori.”
“Shin.”
“Va tutto bene, adesso devo andare.”
Chiuse la chiamata in tono triste.
Era evidente che soffriva, più di quello che avrebbe
ammesso o dato a vedere, ma non mi avrebbe permesso di aiutarlo su quel
fronte.
Era un dolore intimo e personale che non voleva condividere, un
qualcosa che
affondava le sue radici nel suo passato da bambino abbandonato dalla
madre.
Non era giusto che si tenesse tutto dentro, sperai che ne
parlasse almeno con Misato, da solo non ce l’avrebbe fatta a
sopportare un tale
peso.
È così che va quando un genitore ti abbandona,
Nana?
Tieni per te il dolore? Lo stringi come se fosse un
segreto prezioso finché non diventa parte della tua stessa
anima?
È così che ti sei sentita?
È per questo che sei scappata?
La morte di Ren era un peso troppo grande e avevi paura a
condividerlo con me o con gli altri?
Ma è a questo che servono gli amici, ti aiutano nei
momenti bui, tu con me ci hai provato e non me lo scordo.
Pensai questo, schegge disarticolate che non riuscivano a
formare un ragionamento coerente, cercavo parallelismi con tutto quello
che mi
accadeva per cercare di capire la sua fuga. Era un atteggiamento
stupido – ogni
essere umano è diverso dall’altro – ma
non potevo farne a meno. La sua
scomparsa era una caverna buia e ogni luce che illuminasse anche solo
un
pochino di quell’abisso era benvenuta.
Tutto quello che mi poteva aiutare a capire era
benvenuto.
Mi sentivo stanca e svuotata, ma soprattutto lasciata
indietro.
Non era il fatto che tutti proseguissero la loro vita e
io fossi bloccata tra pannolini e biberon, era perché Nana
non si era confidata con me dopo tutte le conversazioni nella vasca con
i piedi di leone.
Mi aveva tagliato fuori, mi aveva lasciata a brancolare.
Mi aveva lasciata sola.
Mi aveva abbandonata come sua madre aveva fatto con lei.
Mi chiesi se se ne rendesse almeno conto, ma la mia mente
aveva paura della risposta.
Quanto avrei voluto parlare con lei anche solo per un
secondo e dissipare i miei dubbi, ma lei era in un posto che io non
potevo
raggiungere.
Per il momento.