La sigaretta dopo un compito in classe di Greco è probabilmente la migliore dell’intera giornata, seguita da quella dopo mangiato. Feci un ultimo tiro prima di lasciarla a Gianluca, gustando il sapore che
-Quasi non ci speravo più in una versione di Erodoto.. Mi ha salvata dal corso di recupero a febbraio!- Disse Valeria alzando i pugni al cielo vittoriosa. –Io amo quella donna, oggi me la sposerei!- Aggiunse sorridente.
-Adesso non esagerare.. Io non mi sposerei
-Io per un sette la sposerei e ci andrei a letto!- Esclamò Matteo scoppiando poi a ridere. Inutile dire che lo seguimmo tutti a ruota in quella risata, scrollandoci di dosso la tensione accumulata nell’ora e mezza precedente. Matteo Bassotti era una di quelle persone che dopo quattro anni in classe insieme ancora non riuscivo a capire perfettamente. Era molto furbo, sveglio, sapeva come arruffianarsi le professoresse e senza il minimo sforzo aveva una media decente. Però era anche il classico teppista che si sfondava di alcol, fumo di tutti i generi. Un giorno poteva essere la persona più gentile ed altruista del mondo, quello dopo uno stronzo che ti faceva contrarre tutte le viscere per la rabbia. Era famoso in tutta la scuola per la sua famosa schiacciata di pallavolo: le ragazze di tutto il liceo quando c’erano le partite del torneo interno, evitavano di giocare nella partita contro il IIE proprio per non rompersi un dito o un polso, com’era già successo precedentemente.
-Che schifo!- Gianluca diede una spintarella a Matteo, buttando nel frattempo la sigaretta. –Mi stavo immaginando la scena e.. CHE SCHIFO!- Ormai la risata ci aveva contagiati tutti ed eravamo piegati in due, con le lacrime agli occhi. Quando riuscii bene o male a riprendermi mi rimisi dritta, inspirando profondamente e guardando in direzione dell’entrata a scuola vidi uscire due ragazzi. Aguzzai la vista e ne riconobbi uno: Emanuele.
Era passata ormai una settimana dal nostro casuale scambio di borse e conseguente incontro, e quella era la prima volta che lo rivedevo dopo che ci eravamo salutati davanti la sua moto. Indossava dei jeans scuri, delle converse blu, un maglione grigio e sopra aveva il giubbotto nero della Museum.
-Chi è quello?- Domandai tranquilla ai miei amici. Era distante almeno venti metri, sicuramente non avrebbe sentito niente. Tutti quanti si girarono a guardarlo mentre io cercavo di fare la disinteressanta fissando il mio sguardo sulle finestre dei bagni di ogni piano da dove erano affacciati alcuni quartini (*)
-Quello col cappotto nero è Emanuele Benassi, l’altro è Federico della Valle- Rispose prontamente Sara. Poi mi guardò con quel suo modo curioso e birichino. –Perché ti interessa, Ginni? Ti piace per caso?- Domandò facendomi l’occhiolino. Tutti i miei amici mi fissarono incuriositi. Raramente a me, Ginevra Sforza, la lentigginosa rossa del IIE, piaceva un ragazzo. Solitamente avevo differenti spasimanti ma li consideravo tutti estremamente appiccicosi e stupidi, così mi ero guadagnata con il tempo la fama di “stronza”. In realtà non mi ero mai lamentata di quell’appellativo che accompagnava spesso il mio nome fra i ragazzi, perché in fondo un po’ stronza lo ero davvero, senza impegnarmici. Il mio problema più grande con i ragazzi era che sì, magari fisicamente mi piacevano e ci uscivo un paio di giorni, ma dopo quarantotto ore se non avevano neanche un po’ di sale in zucca li scaricavo senza farmi troppi problemi e senza dar loro troppe spiegazioni. Restava il fatto che a me, quel ragazzo, non piaceva. Indubbiamente aveva qualcosa che catturava la mia attenzione ma, oltre a ciò, non c’era assolutamente nulla.
-No, ma che dici!- Distolsi lo sguardo dalla figura di Emanuele e mi concentrai a dissuadere i miei amici dalla teoria che stavano silenziosamente covando. –Solo che lui era il famoso proprietario della borsa che ho scambiato ieri e non sapevo il suo cognome!- Mi giustificai determinata riuscendo apparentemente a convincerli.
-E ci hai anche parlato?- Domandò Valeria lanciandogli di tanto in tanto un’occhiata.
-Mmm.. Sì, perché?- Quella domanda mi aveva un po’ stupita effettivamente. Se ci avevo parlato? Certo.. Mica mi ero presentata, mi ero presa la borsa, gli avevo ridato la sua e poi ero corsa via!
-Hai parlato con Benassi? Non ci credo!- Questa volta era Sara che mi guardava con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca aperta. –Perché non me l’hai detto!- Lanciai una silenziosa richiesta d’aiuto a Gianluca e Matteo, sperando di essere salvata da quelle due che mi stavano lentamente circondando. Però i ragazzi hanno un brutto vizio, purtroppo: parlare sempre ed esclusivamente di calcio, donne e moto. In quel momento il loro discorso verteva sul nuovo calendario di Megan Fox e sapevo che pretendere un salvataggio d’emergenza era agli stessi livelli di chiedere ai miei come regalo di compleanno un Ferrari: inutile e deludente.
Tornai a posare lo sguardo sulle mie due amiche che mi guardavano in preda ad una voglia irrefrenabile di novità ed abbassai un momento lo sguardo prima di parlare. –Ma sì che ci ho parlato! Abbiamo scherzato un po’ sulla storia dello scambio e su queste cose.. Poi me ne sono andata! – Dissi tutto d’un fiato sperando di calmarle ma le mie parole ebbero l’effetto contrario. –Perché diamine fate quelle facce!- Sbottai esasperata.
-Hai parlato, riso, scherzato con Emanuele Benassi! Te ne rendi conto?- Disse Valeria con foga mentre Sara accanto a lei annuiva. –Emanuele Benassi! Quello lì non scende mai in cortile, non parla mai con nessuno che non sia Federico della Valle o un compagno di classe ed è un figo allucinante! E’ ricco da far paura.. Il padre è il proprietario di un’importantissima multinazionale e la loro famiglia passa l’anno scolastico qui e le vacanze a New York in un attico sulla 5th Avenue!- Certo che Valeria Guglielmino si stava rivelando un vero e proprio database di gossip. Valeria era una ragazza tutto pepe: capelli castani, portati a caschetto, uno stile tutto suo ed originale. I suoi occhietti vispi sembravano sempre sul punto di combinare qualche pasticcio ed era un’amante della risata di prima classe.
-Grazie per avermi detto la sua vita, morte e miracoli ma davvero, non mi interessa, ci ho solamente parlato per quella questione della borsa!- Sara e Valeria si guardarono per un istante, decidendo silenziosamente di non insistere più. Probabilmente immaginavano che ben presto i motivi per insistere si sarebbero presentati spontaneamente.
-Comunque sta in II A- Disse ad un tratto Sara. Mi aveva letto nel pensiero per caso? Avevo passato gli ultimi due minuti a chiedermi in che classe stesse, per capire anche perché non lo avevo mai visto nel mio corridoio. Lui stava sempre al mio stesso piano, solo con la classe nel corridoio che si affacciava sulla grande piazza, mentre la mia finestra dava sulla scuola elementare.
Passò poco tempo ed il discorso su Emanuele Benassi era stato archiviato. Nel frattempo era suonata la campanella che annunciava l’inizio della ricreazione ed un mare di gente si era riversato nel cortile. La maggior parte della popolazione studentesca trascorreva quei quindici desiderati minuti nel cortile, mentre una parte più ristretta preferiva vagare per i corridoi, o restare in classe a ripassare o affacciarsi alle finestre dei bagni ed osservare la vita da sopra senza però prenderne parte. Molte persone desideravano quella campanella per poter scendere e contemplare per quindici minuti la persona che volevano ma con cui non avevano ancora mai parlato, altri per incontrarsi con i rispettivi fidanzati o con amici che stavano nelle classi, molti semplicemente per sedersi o con la schiena contro la palestra o sul campetto esterno di pallavolo e chiaccherare ripassando nel frattempo qualcosa tutti insieme. Una volta mi era capitato di dover restare su in classe durante la ricreazione e solo allora mi ero affacciata ad una delle famose “finestre” e dovetti ammettere che era uno spettacolo seguire tutto da sopra, soprattutto se si stava al primo o al secondo piano, da dove c’era una visuale perfetta visto che si entrava nel cortile solamente dal piano seminterrato.
Quel giorno il mio sguardo cercò comunque incuriosito Emanuele Benassi. La descrizione che me ne avevano dato Sara e Valeria mi fece distrarre completamente dai discorsi che venivano nel frattempo condotti all’interno del gruppetto con cui passavo le mie ricreazioni. Aveva quel non so che si misterioso, quel ragazzo, di irraggiungibile che mi intrigava. Forse perché noi umani siamo fatti così: ci interessiamo di qualcosa solo quando quel qualcosa non sa minimamente della nostra esistenza.
Ad un tratto lo notai e mi destai dai mille pensieri che già inconsciamente stavo facendo. Era seduto sugli scalini che collegavano la faccia della scuola che dava sulla piazza ed il cortile, con Federico della Valle ed altri ragazzi della sua classe che avevo già visto qualche volta in giro per la scuola. Era tranquillo, rilassato, rideva e si vedeva che stava a proprio agio. Non lo avevo davvero mai notato in quei quattro anni a scuola? Com’era possibile? Eppure le mie amiche e, secondo il loro parere, moltissime altre ragazze sarebbero morte pur di ottenere un suo sguardo, una minima considerazione da parte sua. Eppure lui era così.. Riservato. Non era come Gianluca. Gianluca era un bellissimo ragazzo, desiderato da mezza scuola, ed era aperto, parlava con tutte le ragazze che timidamente si presentavano. Lo faceva per poi illuderle, certo, perché come ho già detto un po’ stronzo lo era, ma almeno non si chiudeva a riccio, conquistando giorno dopo giorno sempre maggiore popolarità all’Umberto Eco. Benassi invece era completamente l’opposto.. O era timido e non a conoscenza dell’effetto che faceva il suo aspetto alle ragazze, oppure era un ricco, viziato figlio di papà che si considerava estremamente superiore e non si mischiava con la ‘gente comune’. Chissà perché avevo il presentimento che fosse lo specchio della mia seconda ipotesi. Eppure il giorno precedente si era rivelato simpatico, aveva scherzato, riso, mi aveva anche presa in giro, se volevamo essere precisi, rivelandosi un tipo alla mano.
Driiin
Senza
che me
ne fossi accorta era trascorsa l’intera ricreazione che io
avevo passato a guardare imbambolata un ragazzo. Un ragazzo! Come se
fosse il
primo essere di sesso maschile decente che vedessi! Dio, sembravo una
dodicenne
in calore!
-Come mai oggi eri così silenziosa?- Mi domandò
Gianluca mettendomi un
braccio intorno le spalle mentre stavamo rientrando
nell’edificio. –Di solito
non stai zitta un minuto. Mi nascondi qualcosa, roscia?- Sorrideva lui,
ma
sapevo che in realtà nutriva forti sospetti.
-Ma che! Stavo solamente pensando alle due ore infernali che ci
aspettano!
Matematica e fisica!- Mentii spudoratamente facendo spallucce. Non
dovetti
fingere più di tanto l’odio che nutrivo per quelle
due materie.. In fondo stavo
ad un Liceo Classico e l’odio per le materie scientifiche era
innato in quasi
tutti.
-Ma se oggi andiamo a vederci quel documentario!- Si intromise Sara
prendendomi sottobraccio. La mia mano destra finì sulla mia
fronte. –Sei la
solita sbadata!- Ridacchiò insieme a Gianluca.
-Quello su Einstein, è vero!- Dissi ridendo anche io. Quei
due erano la mia
dose di allegria giornaliera. Sapevano farmi ridere sempre, in
qualsiasi
occasione, senza fare niente di speciale. Non dovevano inventarsi
balletti,
fare facce buffe, bastava che parlassero, facessero una battuta, ed io
già ero
a terra morta dal ridere.. Era la loro presenza. La presenza dei miei
due
migliori amici.
-Anche voi andate?- Una voce alle nostre spalle parlò quando
arrivammo al
pianerottolo del nostro piano. Ci voltammo ed incrociammo lo sguardo di
Giacomo
De Angelis, il rappresentante di classe del II A. Fermi tutti: II A? La
classe
di Emanuele?
-Sì! Infatti l’Angelucci ce lo aveva anticipato
che ci sarebbe stata
un’altra classe!- Disse Gianluca dopo aver stretto la mano di
Giacomo.
-Ah, davvero l’aveva detto?- Chiesi senza neanche
accorgermente. I tre mi
fissarono un po’ straniti.
-Oggi stai un po’ fra le nuvole eh!- Disse Giacomo
sorridendo. –Chissà a
cosa o a chi pensa la signorina!- Tutti scoppiarono a ridere ma io
ringraziai
il cielo, nel frattempo, per avere tutte quelle lentiggini che
mascheravano
sempre i miei rossori improvvisi.
-Ma sei un deficiente eh!- Sbottai tanto una piccola botta in testa a
Matteo. –Ti pare che butti il tre di briscola con
l’asso che non è ancora
uscito! Ti sta bene!-
-Non avevo visto che era di briscola!- Provò a giustificarsi
cercando di
recuperare l’irrecuperabile. Un secondo dopo aveva messo il
telefono in tasca
scocciato per non leggere l’enorme scritta “HAI
PERSO” che sarebbe apparsa a
breve sullo schermo. Mi guardai intorno e riuscii a scorgere Emanuele,
seduto
con Giacomo e Federico qualche fila avanti a me, tutto impegnato a
ridersela
con i due amici. Distolsi lo sguardo e decisi di non imbambolarmi a
fissarlo
più, concentrandomi su Sara e Davide che stavano cercando di
vincere
all’ennesimo gioco stupido che il ragazzo aveva scaricato
dall’iStore.
-Silenzio, ragazzi, silenzio!- Disse l’Angelucci ad alta
voce. –Accendete i
vostri cervelli e spegnete i cellulari!- Le battutine di quella donna
circolavano da anni per la scuola e, anche quella, provocò
qualche risatina per
la sala.
-Come sapete, Albert Einstein.. – Continuò
-Prof ma che è sta cosa!- La voce di Davide
sovrastò quella inglese del
narratore e tutti si girarono verso di noi prima di scoppiare in una
sonora risata.
Fra tutte quelle teste girate c’era anche quella di Emanuele
che rideva insieme
agli amici guardandoci. Guardandomi, forse. Chissà se mi
aveva notata,
riconosciuta. Lo guardai con un sorriso ma lui sembrò non
accorgersi di me,
tanto è vero che si girò e con le braccia
incrociate al petto continuò a
seguire il filmato. Maledetto ragazzo! Poi aveva dato della secchiona a
me,
quello?
Sbuffai imbronciata, come una bambina a cui si rompe la bambola
preferita.
Mi poggiai allo schienale della sedia e cominciai a cercare di seguire
quel
dannato documentario. Peccato che il II E fosse la classe
più casinista
dell’intera scuola e la nostra cattiva fama era giunta
ovunque.. Neanche
volendo mi sarei riuscita a concentrare! I ragazzi cominciarono a
tirarsi
palline di carta e ben presto nelle ultime due file scoppiò
una vera e propria
guerra con tanto di urla barbare, alleanze e comportamenti non adatti a
dei
diciassetteni e a dei diciottenni.
-Matteo questa me la paghi!- Dissi a voce forse un po’ troppo
alta nel momento
decisamente sbagliato. In quel momento l’Angelucci aveva
interrotto la
riproduzione del filmato e Davide aveva tirato una pallina di carta
proprio in
testa a lei. La donna si voltò e mi becco con il braccio a
mezz’aria pronta a
dare un’amorevole carezza
a Matteo.
-Sforza!- Il mio cognome rimbombò per tutta l’Aula
Magna e fra le due
classi calò il silenzio. –Ringrazia Dio che non ti
mando dalla preside per
questa!- Urlò alzando la mano con la pallina tirata da
Davide in mano.
Boccheggiai, pronta a rispondere, ma la gomitata nello stomaco da parte
di sara
mi intimò il silenzio. –Te la cavi uscendo
solamente dall’aula fino alla fine
della riproduzione del filmato! Non ti metto una nota solo
perché siamo agli
sgoccioli del primo quadrimestre ed un sette in condotta ti
rovinerebbe!- I
suoi occhi sembravano pronti ad incenerirmi. Presi velocemente la borsa
e me la
misi a tracolla, mentre sentivo i miei compagni esprimere pareri tipo
“Pur di
non vedere questo schifo mi faccio sbattere fuori pure io!” e
gli occhi di
quaranta persone puntati su di me. Anche i suoi
occhi. Lo guardai per un istante mentre tentavo di uscire da
quella fila di
sedie.
-Non sei poi tanto secchiona!- Mi disse ad un tratto facendomi
l’occhiolino. Inutile dire quanto fosse giunto inaspettato
quel commento alle
mie orecchie. Si era accorto della mia presenza, di tutto.. Non ero
stata un
fantasma per lui in quell’ora e un quarto di stupido
documentario. Scossi la
testa e sorrisi, uscendo poi dall’Aula Magna senza proferire
altra parola.
Non appena chiusi la porta sospirai sollevata: in fondo mi ero tolta il
peso di dover seguire quel noiosissimo video fino alla fine! Nonostante
ciò,
non vedeva l’ora di vedere uscire Davide Manili da quella
stanza per fargliela
pagare. L’Angelucci già la detestava abbastanza,
le mancava pure quel ricordino
per avere un perfetto “pacco regalo” da dare ai
miei genitori ai prossimi
colloqui. Maledetto ragazzo!
Sbuffando mi incamminai verso la macchinetta del caffé e
dopo aver inserito
trenta centesimi presi quello che era il terzo caffé
macchiato della giornata.
Uscii in cortile, presi una sigaretta e me l’accesi,
gustandomi quei trenta
minuti di pace che mi aspettavano.
Perché tutto d’un tratto Benassi mi rivolgeva la
parola? Era passata una
settimana senza che lo vedessimo, quel giorno non mi aveva calcolata di
striscio ed ormai lo vedevo troppo ben puntato sul suo piedistallo.
Magari
voleva essere simpatico, divertente. Poi per aver fatto quella battuta
aveva
dovuto ricordare il fatto che mi aveva dato della secchiona quel
giorno! Fermi,
fermi, fermi. Io, Ginevra Sforza, stavo cominciando a farmi filmini su
un
ragazzo? Io che i ragazzi non li desideravo mai e loro si presentavano
di
continuo? Dov’era finita quella parte di me che era definita
stronza e che
andava a braccetto con la mia popolarità? Feci un altro tiro
di sigaretta e
scossi la testa. Non era possibile, mi stavo riducendo a fare cose che
non
erano da me. In quella settimana non ci avevo mai pensato a quel
ragazzo, ma
possibile mi fosse bastato solamente rivederlo per rifarmi tanti tanti
viaggi
mentali?
Finii la sigaretta e la buttai, bevendo poi l’ultimo sorso di
caffé e
gettando il bicchierino di plastica nel secchio che stava accanto alla
porta
dov’ero poggiata.
-I
haven't
been home for a while I'm sure everything's the same mom and dad
both in denial and only jokes to take the blame..-(*) Cantavo ad
alta voce mentre
guidavo diretta a casa. Appena era suonata la campanella mi ero
precipitate
fuori da scuola, ero salita in macchinetta ed ero partita. Il cielo non
faceva
pensare a nulla di buono ed ero sicura che a breve avrebbe piovuto. Il
semaforo
diventò verde ed io proseguii diretta a Via della Grande
Muraglia, dove vivevo.
Svoltai a destra e presi la strada che avrei dovuto fare dritta per
dritta per
almeno altri cinque minuti. Guidavo piano, a quei cinquadue chilometri
orari
che l’Aixam mi permetteva. La radio era altissima, come mio
solito. Amavo
cantare ma avevo sempre avuto l’impressione di essere
abbastanza stonata e, di
conseguenza, se dovevo cantare dovevo farlo senza poter sentire la mia
voce.
Mentre mi lasciavo alle spalle il Laghetto dell’EUR pensavo
alla giornata che
mi aspettava una volta a casa. Dovevo studiare latino e biologia, fare
una
versione di greco e poi andare in piscina per il corso teorico da
bagnina.. Era
solo l’una e mezza, potevo tranquillamente farcela! Tutto
sommato ero
complessivamente di buonumore ma, la sfiga nera che mi perseguitava da
una
settimana circa, era pronta dietro l’angolo a colpire.
Boom
Avevo
preso
sicuramente una buca, ma la cosa più grave era che la
macchinetta si era spenta. Fortunatamente, se fortuna la si poteva
chiamare,
stavo sulla corsia a destra e così riuscii ad accostare il
più possibile la
macchinetta al marciapiede, nonostante il motore spento e mettere poi
le
quattro frecce. Uscii da quella inutile scatola di latta e mi guardai
intorno:
non c’era niente e nessuno che potesse essere utile a me e
all’Aixam. Mi portai
le mani fra i capelli e tirai fuori il cellulare. Spento. Mannaggia a
me che mi
scordavo sempre di metterlo in carica! Strinsi i pugni e guardai il
cielo.
Ecco, direte che è la scena più classica del
mondo, la più ridicola. Ma
credetemi, quella scena scontata e da due soldi capitò
proprio a me. La
pioggia. Piccole, stupide, insulsi gocce cominciarono a cadere sul mio
viso
bagnandomi gli occhi, il naso, le guance. Mi tolsi l’elastico
che portavo al
polso e lo usai per legarmi i capelli. Non che fossi una di quelle
bimbe amanti
dei propri capelli che sbraitavano appena si arricciavano, ma erano
lunghi fino
alla metà della schiena e quando erano bagnati si
appiccicavano ovunque dandomi
un fastidio micidiale.
Guardavo l’orologio senza riuscire a ragionare: cosa fare?
Dove lasciare la
macchinetta? Come tornare a casa? Intanto erano passati dieci minuti
senza che
io concludessi qualcosa. Ad un tratto, mentre la pioggia mi aveva fatto
completamente la doccia e le mie speranze erano finite sotto le suole
delle mie
scarpe, sentii il rombo di un motore ed il rumore di una fermata. Alzai
lo
sguardo e vidi una moto nera lucente davanti alla mia macchinetta
grigia.
Emanuele?
-Oddio sia ringraziato il cielo!- Esclamai forse a voce troppo alta,
perché
mentre si toglieva il casco lo vedevo che rideva sotto i baffi.
Probabilmente
non ero mai stata così felice in vita mia di vedere una
persona.
-Che ti è successo, studentessa modello?- Mi
domandò non appena scese dalla
moto, avvicinandosi. –La scatola di latta è
morta?- Solo io potevo chiamare in
quel modo il mio amatissimo catorcio. Arricciai un po’ il
labbro e poi annuii.
-Non riesco più a farla partire.. Ho provato tutti i modi
che il meccanico
mi ha suggerito di provare in questi casi..- Lui scoppiò a
ridere sotto il mio
sguardo accigliato. –Che ti prende?-
-Scommetto che ti si ferma regolarmente!-
-Sì..ma è la prima volta che non riparte!- Fu un
botta e risposta veloce.
Di sicuro non mi facevo tenere testa, in nessun discorso, scherzoso o
serio che
fosse, da nessuno. Emanuele salì in macchinetta e
provò ad avviarla senza alcun
successo, poi tolse le chiavi me le diede in mano e sorrise, come uno
che pensa
a qualcosa.
-Sali in macchina!- Mi disse, aprendomi la portiera. Alzai un
sopracciglio
senza muovere un passo. –Su dai, non fare la preziosa..
Dobbiamo parcheggiarla
in quel posto un po’ più avanti, non puoi mica
lasciarla qui finché non viene
il carroattrezzi!- Più che convinta salii in macchina e
tolsi il freno a mano,
mettendo poi le mani sul volante.
-Vai, sono pronta!- Lui si era già posizionato dietro la
macchina, con le
braccia tese e le mani che premevano sul vetro posteriore.
Cominciò a spingere
e la macchinetta senza troppi problemi si spostò.
Fortunatamente per entrare
nel posto non dovemmo fare molte manovre e dopo qualche situazione
esilarante e
risata, uscii dalla macchinetta soddisfatta con la borsa a tracolla.
Emanuele
sorrideva raggiante mentre era impegnato a tirare qualcosa fuori dalla
sua
cartella senza lasciare che i libri si bagnassero per la fitta pioggia.
Allungò
poi il braccio e mi porse un casco bianco, semplice, con qualche
scritta in
nero qua e là.
-Stai scherzando?- Avevo una paura folle delle moto e di qualsiasi cosa
avesse due ruote. Le mie avventure, o forse sarebbe stato meglio
chiamarle
disavventure, con la bicicletta erano note a tutti miei amici ed ogni
volta che
si organizzava una scampagnata io restavo a casa a guardarmi la
televisione.
-Come ci vorresti tornare a casa, di grazia?- Mi domandò
guardandomi negli
occhi. In quel momento mi persi completamente nel suo sguardo. I suoi
occhi
castani avevano qualche leggerissima sfumatura di verde ed era
così grandi,
dolci, espressivi. La frangia mora era appiattita contro la fronte e le
goccioline di pioggia scivolavano veloci sul suo viso. Diamine,
possibile che
mi incantassi come se nulla fosse?
-Sulla bicicletta mi sono rotta una gamba, poi un polso, poi tre dita.
Una
volta sono salita sul motorino di Sara ed abbiamo preso una buca,
cadendo.-
Dissi in fretta, quasi per nascondere l’imbarazzo provocato
dal raccontare sia
la mia incapacità di stare su mezzi a due ruote, sia quello
provocato
dall’essermi fissata a guardarlo.
-Hai paura?- Domandò ridacchiando. –Ma ti fai
tanto la dura, l’ho visto il
tuo diario, sai.. Tutte canzoni dei Metallica, dei Guns and Roses.. E
poi hai
paura della moto e della..- Qui la risata prese il sopravvento.
Impiegò qualche
secondo a riprendere controllo di sé. -..della bicicletta?-
Boccheggiai qualche
secondo prima di ridere un po’ anche io.
-Sono paure fondate perlomeno!- Mormorai alzando le mani e
facendogliele
vedere. –Guarda i miei mignoli..Sono stortissimi..- Dissi con
voce lamentosa. Lui
prese le mie mani fra le sue ed avvertii un calore unico, immenso. Lo
osservai
mentre le guardava divertito, tenendole strette.
-Sei proprio un personaggio!- Disse poi lasciando delicatamente le mie
mani
e passandosi le proprie fra i capelli. –Mettiti quel casco e
andiamo. Sta
diluviando e non smetterà.. E se non arriviamo a casa domani
ci sveglieremo con
la broncopolmonite.- Ormai le sue parole non suonavano più
come proposta, ma
come un vero e proprio ordine. Senza aggiungere altro salì
sulla moto e mi fece
cenno con la mano di montare. Con la maggiore lentezza di cui ero
capace mi
avvicinai a quella bestia di moto e salii, mettendomi poi in fretta il
casco. –Non
te lo stringere troppo che poi muori non per colpa della moto ma per
soffocamento!- Mi stava guardando nello specchietto retrovisore.
Probabilmente
arrossii ma per fortuna non mi specchiai in quel momento, odiavo vedere
la mia
figura già prevalentemente rossiccia diventarlo ancora di
più.
-Dobbiamo andare alla fine di Viale della Grande Muraglia..poco prima
del benzinaio.-
Annunciai, schiarendomi prima la voce. Lui si limitò a fare
un leggero segno con
il capo.
–Sei pronta?- Deglutii e poi
mormorai un leggerissimo “sì” mentre
mettevo i piedi nel punto apposito–Puoi anche
stringerti a me, eh.. Non ti faccio del male.- Disse guardandomi per un
ultima
volta prima di abbassarsi la visiera e mettere in moto. Passai le mie
braccia
intorno al suo busto e chiusi gli occhi. In quel momento lui diede gas
ed un
attimo dopo la mia macchinetta era solo un lontano ricordo.
Emanuele guidava veloce, sicuro di sé, ma senza
esagerazione. In fondo
penso che si preoccupasse della mia innata paura per la moto e non ci
tenesse a
farmi prendere un infarto. Stringendomi a lui riuscivo a percepire
tutto il suo
calore e, dopo i primi istanti, aprii gli occhi e guardai il mio
quartiere
scorrermi veloce affianco. Si muoveva agilmente fra le macchine e le
sue
fermate non erano mai brusche ed improvvise ma anzi, completamente il
contrario. Mi aveva fatto apprezzare per una volta nella mia vita
quello che
chiamavano il “brivido delle due ruote” e quando si
fermò davanti alla mia
palazzina e non sentii più il vento sul mio viso, dovetti
ammettere che quasi
mi dispiaceva.
-Allora, fifona.. Com’è andata?- Mi
domandò mentre scendevo dalla moto e mi
toglievo il casco, senza reggermi neanche bene in piedi. Lui si era
tolto il
proprio senza però scendere dalla moto e mi guardava con un
sorriso.
-Strano ma.. bene.- Risposi sincera, restituendogli il casco e
cominciando
a prendere le chiavi di casa dal cappotto. Su una cosa aveva avuto
ragione.. La
pioggia non aveva proprio voglia di smettere di cadere.
-Sono proprio un guidatore provetto!- Disse ridendo con quel suo fare
spavaldo ed un po’ ammiccante.
-Te lo potrei anche lasciar credere, mister modestia!- Lo guardai
sistemare
il casco bianco nella borsa e risistemarsela in modo tale che non lo
disturbasse a guidare. –Grazie mille, comunque, davvero.. Mi
hai salvata da..
Non so nemmeno io che cosa..-
-Ma figurati!- La sua risposta fu gentile. Per un momento pensai alla
descrizione che mi aveva dato Valeria di quel ragazzo: chiuso nel suo
mondo,
viziato, ricco sfondato e menefreghista. Non vedevo nessuno di quegli
attributi
in lui.
-Ti devo un favore.- Dissi prima di salutarlo con un cenno della mano
ed
avviarmi al mio cancello. Lui ricambiò quel cenno con un
movimento più piccolo,
più impercettibile, e mi guardò mentre aprivo
piano il portone. Prima di
scomparire dietro di esso mi voltai per guardarlo un’ultima
volta. Si era già
messo il casco senza però abbassare la visiera.
-Ciao, Lentiggini!- Mi urlò con un largo sorriso beffardo
impresso sulle
labbra. Poi si sistemò il casco e tutto per
un’ultima volta e partì
velocemente, più velocemente di quando c’ero io
dietro di lui. Mormorai un
impercettibile “ciao” e poi entrai scuotendo la
testa.
Lentiggini? Mi aveva chiamata.. Lentiggini?
Grazie
mille a tutti coloro che hanno recensito, aggiunto la storia ai
preferiti e alle seguite, ma anche ai lettori silenziosi. Sono felice
che il
primo capitolo vi sia piaciuto e spero che questo non vi deluda visto
che io lo
adoro. Non so precisamente come farò continuare
l’intreccio ma fidatevi che me ne
uscirò con qualcosa di buono!
Un abbraccio a tutti,
Silvia.