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Autore: _justabibliophile_    25/06/2020    4 recensioni
Tra poco probabilmente il Sole sorgerà di nuovo e tu forse aprirai gli occhi, sbattendo le palpebre un sacco di volte e cercando a tentoni gli occhiali sul tuo comodino, occhiali che non troverai perché come sempre io te li avrò nascosti in un posto troppo lontano per la tua mente ancora annebbiata dal sonno.
Ma io non sono così sicuro di voler restare qui quando ti sveglierai. [...]
Perché quella che ti hanno fatto, James, è Magia Oscura. E se pensavo che questa guerra l'avremmo combattuta fianco a fianco, andando allo sbando come nostro solito e senza un piano ben preciso a cui attenerci, ora devo arrendermi di fronte alla consapevolezza di non esserne più così sicuro. Perché se credevo che ormai non potessi più provare sulla mia pelle il dolore dell'abbandono, del tradimento, dell'assenza di chi ero convinto non se ne sarebbe andato mai, oggi devo gettare la spugna e rendermi conto che non esiste più nemmeno questa certezza.
Perché il Sole sorgerà di nuovo, l'alba rischiarerà un'ennesima giornata e tu aprirai gli occhi.
Ma di te, di lei, di noi, tu non ricorderai più nulla.
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans, Ordine della Fenice | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Remus.

Sono uscito dall'Infermeria questa mattina all'alba, reduce da una nottata in cui, grazie anche all'effetto anestetizzante di tutte le pozioni che mi sono state rifilate, sono crollato nel sonno più profondo. Al mio risveglio stavo bene e questa è una certezza innegabile che mi ha colpito con ferocia nell'esatto istante in cui ho aperto gli occhi.

Non è difficile rivivere il dolore che ho provato nel preciso momento in cui la fattura scagliata da una sagoma incappucciata mi ha colpito esattamente sul torace, facendomi boccheggiare per la mancanza d'aria e facendomi crollare drasticamente a terra. Non ricordo un granché in realtà, solo un dolore atroce che lentamente si propagava in ogni angolo del mio corpo, mentre il sangue fuoriusciva a fiotti ed io, contemporaneamente, perdevo i sensi.

Quando ho aperto gli occhi e mi sono ritrovato totalmente fasciato nel lettino dell'Infermeria, sono rimasto davvero sorpreso dell'assenza quasi totale di dolore e del fatto di provare solo un minuscolo, fastidioso intorpidimento. Sono abituato alle ferite post luna piena, quando mi risveglio e a stento riesco a far funzionare i miei muscoli e a muovere gli arti, dunque è stato piacevolmente spiazzante realizzare di saper camminare, di avere un corpo e di saperlo gestire.

Madama Chips era sveglia quando mi ha visto riprendere coscienza, poco distante da me mentre cambiava le bende di Elizabeth Light - una studentessa Corvonero del sesto anno - dunque non ci ha messo un granché a finire di medicarmi e a comunicarmi che, se lo desideravo, potevo tornare a dormire nella mia stanza.

Anche questa sua frase mi ha totalmente colto alla sprovvista, perché lei è la stessa donna che insiste nel far rimanere i ragazzi almeno un giorno in più sotto sorveglianza - spesso per precauzione, raramente per vera necessità - e che storce sempre il naso quando, la mattina dopo la luna piena, i miei amici entrano baldanzosi in Infermeria e mi riportano alla base già nel primo pomeriggio.

Ma non ho obiettato, perché Madama Chips ha parlato con un tono  dolce e tranquillo, ma con l'aggiunta di una vena di apprensione che a me, l'empatico per eccellenza, non è sfuggita per niente.
Senza considerare, poi, che la sensazione di angoscia che mi ha colto quando ho fatto vagare lo sguardo sui lettini dell'Infermeria e non ho trovato nessuno dei miei amici è stata nettamente peggiore del dolore fisico che posso aver provato nelle ultime ore.

Perché io posso concedermi di stare male, non è mai stato un problema: sono abituato a provare dolore una volta al mese all'incirca da quando ero bambino. Ma che a uno solo di loro sia successo qualcosa, no, questo non posso permettermelo.

«Felix Felicis.» dico convinto al ritratto della Signora Grassa, dopo aver sfruttato praticamente ogni scorciatoia di mia conoscenza per evitare di prendere le scale e affaticarmi troppo.

La Sala Comune è vuota, come sospettavo. È ancora buio là fuori, il cielo è tinto di quel blu incerto che a breve sfumerà nei toni accesi e vivaci dell'alba. Questo colore così scuro inganna, comunque: il rosso del fuoco che bruciava le case di Hogsmeade e del sangue che sgorgava dai nostri corpi, l'argento brillante delle maschere che i seguaci di Voldemort portavano sul volto, il verde pallido di quel terrificante simbolo comparso a sporcare il cielo notturno e delle Maledizioni che volavano da un angolo all'altro sono colori nettamente più vividi nella mia mente.

Salgo l'ultima rampa che mi separa dalla mia stanza, il cuore in gola e la necessità quasi fisica di constatare con i miei stessi occhi che i miei migliori amici stanno bene, che sono tutti integri e che non esiteranno ad alleggerire l'atmosfera con le loro stupide battute. Potrebbero prendermi in giro sull'essere per davvero il più cagionevole di tutti loro, quello che se non passa almeno due nottate al mese in Infermeria non è contento. Potrebbero dire qualunque cosa, davvero, e a me non importerebbe un granché: mi basta sapere che sono vivi, tutto il resto perde di importanza.

Tuttavia, quando mi decido definitivamente a spalancare la porta della nostra stanza con un'impazienza che raramente mi è capitato di provare prima, quello che mi si para davanti è uno spettacolo piuttosto singolare. Peter è seduto sul suo letto a gambe incrociate, la schiena appoggiata alla testiera del letto e lo sguardo che, all'istante, saetta nella mia direzione colmo di gratitudine. In un primo momento non capisco perché sembri esprimere tutta questa riconoscenza - forse perché sono vivo e sono ancora in grado di camminare - ma non passa molto prima che io mi volti verso destra e scopra il vero motivo di questa sua reazione.

Sdraiato sul suo letto c'è Sirius, con addosso ancora i vestiti bruciacchiati e macchiati di sangue a causa dello scontro, le braccia incrociate dietro la testa e gli occhi fissi sulla parte alta del suo baldacchino. Nemmeno il mio ingresso improvviso sembra svegliarlo da questo stato di catalessi ed io spero, prego che il suo stato d'animo sia dovuto ancora al trauma post battaglia. Il campanello d'allarme che ho nel cervello e che è solito suonare quando succede qualcosa di grave, tuttavia, mi suggerisce che c'è sotto ben altro.

«Remus! Stai bene?» mi domanda subito Peter, guardandomi mentre sono ancora fermo sulla soglia con la mano avvolta intorno alla maniglia.

«Sto molto meglio, Wormy. Madama Chips mi ha detto di tornare in dormitorio appena mi ha visto sveglio.» spiego rapidamente, chiudendomi la porta alle spalle e appoggiando la schiena alla parete. I miei occhi tornano su Sirius, immobile e silenzioso come mai prima d'ora, e quelle tre parole premono con talmente tanta forza sulla mia lingua che mi è impossibile aspettare ancora per pronunciarle. «Va tutto bene?»

Probabilmente era la domanda che Peter si aspettava, nonché quella che sperava con tutto se stesso di evitare come il Vaiolo di Drago. Mi fissa infatti con gli occhi sgranati e un'espressione terrorizzata, ma la mia attenzione viene comunque catturata da quell'impercettibile contrarsi della mascella di Sirius che mi fa pensare che sia sveglio e che no, non vada affatto tutto bene.

Il silenzio è già di per sé una risposta più che precisa - rara per noi Malandrini, certo, ma pur sempre precisa - e fa sì che il mio cervello cominci a lavorare freneticamente, pensando ai mille scenari drammatici che, dopo tutto quello che si è appena concluso questa notte, possono essersi svolti davanti ai loro occhi. E poi eccola, la vera domanda che scivola dalle mie labbra e alla quale, come so per certo, una risposta concreta giungerà senza dubbio.

«James?» chiedo laconicamente e senza muovere un passo, gli occhi puntati su Padfoot pronti a cogliere una qualunque piccola ombra passare sul suo volto stanco.

Sirius resta immobile per secondi che paiono ore intere, prima di decidersi a voltare la testa verso di me e a rivolgermi quello sguardo che rimarrà per sempre lì, incastrato in un punto imprecisato del mio cervello, un tragico promemoria che serve a ricordarmi che le catastrofi possono per davvero piombare su di noi nella maniera più inaspettata e violenta possibile.

«Gli hanno fatto un Incantesimo di Memoria.» risponde con un tono duro, freddo, mentre posso sentire chiaramente Peter trattenere il respiro. «Non si ricorda più niente.»

Ma tra tutte le risposte che la mia mente aveva prodotto come possibili opzioni, certamente questa non era contemplata. È per questo che rimango a fissarlo in silenzio per un tempo che pare interminabile, la bocca socchiusa e la chiarissima sensazione di non riuscire più a proferire una singola parola.

«Che intendi dire?» mi sento mormorare, la schiena ancora appoggiata alla porta come unico appiglio che mi permette di stare in piedi.

«Quello che hai capito, Remus. Silente e gli altri Auror sono arrivati in nostro soccorso, i seguaci di Tu-Sai-Chi hanno cominciato a smaterializzarsi e lui li ha seguiti. Ha trascinato James con sé.»

Ne parla con un distacco che quasi mi uccide, tirandosi su a sedere ma senza smettere di guardarmi negli occhi. Lo so cosa sta cercando di fare, conosco Sirius come le mie tasche e non è nuova per me questa sua reazione: sa che con le parole non è un asso, sa che non può e non deve permettere che da esse ne traspaia una minima parvenza di emozione. E allora mi guarda, lasciando che siano i suoi occhi a parlare per lui.

«Perché...»

«Volevano informazioni che nessuno di noi ha. Pensavano che James fosse abbastanza vicino a Silente da sapere cose che in verità tutti ignoriamo, per questo è probabile che abbiano usato la Cruciatus su di lui.» interrompe sul nascere la mia domanda, mentre io sento il pavimento mancarmi sotto i piedi e poco alla volta scivolo per terra, le braccia mollemente avvolte intorno alle ginocchia e un fischio acuto che mi rimbomba nelle orecchie. «Quando l'abbiamo ritrovato a Hogwarts, non si ricordava nemmeno chi fossimo.»

Conclude con un mezzo sorriso amaro sulle labbra, scuotendo la testa e tornando a fissare un punto imprecisato davanti a lui. Ho perso i sensi in battaglia e sono successe tutte queste cose, senza che io potessi anche solo minimamente dare una mano, essere utile a qualcuno. È successo tutto questo e io ero addormentato, incapace di sostenere i miei amici come avrei voluto fare.

«Ha chiamato Lily Sanguesporco.» precisa Peter, trovando il coraggio di inserirsi nella conversazione e parlando con un ribrezzo nel tono di voce che, forse, in un'altra occasione mi avrebbe fatto persino sorridere.

Ma ora non riuscirei a farlo nemmeno sotto tortura.

Lily. Il dolore che può aver provato lei nessuno al mondo riuscirebbe a immaginarlo, figuriamoci se posso farlo io. È che è tutto assurdo, dannatamente assurdo: sette anni passati a rincorrersi ed ecco che, quando finalmente riescono a raggiungersi, il tempo decide di nuovo di non schierarsi dalla loro parte, aggiungendosi alla lista di ostacoli che si frappongono tra loro e quella felicità che sembra essere così irraggiungibile.

E il problema non è solo questa mancanza improvvisa di memoria, perché sono sicuro al cento per cento che, se anche non ricordasse niente di lei, James non faticherebbe a innamorarsi di nuovo di Lily in questa e in mille altre vite.
Il problema reale è che lui, tra tutto quello che poteva dire, ha usato proprio quella parola.

Va bene, il termine Sanguesporco è per noi impronunciabile e sempre lo sarà, ma non vuol dire che tutta la comunità magica - purtroppo - la pensi allo stesso modo. Non è un caso se due anni fa, per colpa di quella minuscola parolina detta forse in un momento di rabbia e di frustrazione, la stramba ma piuttosto solida amicizia che c'era tra Lily e Piton si è disintegrata in maniera definitiva e irreparabile.

Ed è proprio questo, il fatto di aver osato rivolgersi a lei con un epiteto tanto crudele e discriminatorio, che ha sempre rappresentato nella maniera più concreta la spessa linea che, dall'alba dei tempi, distingue James da Severus. Il mio migliore amico sarà anche un idiota con i fiocchi, certo, ma al contempo non ha mai esitato a schierarsi con ferocia contro chiunque abbia osato sminuire un Nato Babbano solo per il sangue non puro che scorre nelle sue vene. Per quanto riguarda Piton, invece, certamente non si può dire il contrario: non credo sia necessario specificare le idee deplorevoli che circolano nel suo gruppetto di futuri Mangiamorte.

Ed ecco James diventare inspiegabilmente come loro, a causa di una fattura a cui nessuno riesce a dare una corretta interpretazione se non attribuirla alla meschinità di Voldemort e dei suoi seguaci, che hanno così prodotto l'espediente perfetto per ferire il mio amico. Per ferire tutti noi.

«Non c'è niente che possiamo fare?»

«Uno stupido intruglio di Lumacorno potrebbe aggiustare le cose con molta probabilità.» La notizia sembra positiva, ma Sirius si è improvvisamente alzato dal suo letto e quasi posso sentirla dentro di me, la sua rabbia che monta lentamente. «Tra un mese

Serro le palpebre di scatto di fronte allo schiaffo che rappresenta la sua frase, sospirando piano e passandomi una mano sugli occhi. Tutto questo non è reale, semplicemente non può esserlo.

«Dov'è adesso?»

E mi sto odiando perché non riesco a fare a meno di porre domande su domande, cercando di riempire quel vuoto causato dalla mia perdita di sensi e dal non aver assistito insieme a loro a tutto questo. Non lo so se riuscirò mai a sanare questa ferita, non ho poteri particolari tra le mani e non ho nemmeno la minima idea di come affrontare questa dannata situazione.

E lo leggo negli occhi di entrambi che si aspettano che io abbia un piano, che la mia proverbiale calma e la mia lucidità possano aiutare tutti noi in questa condizione ai limiti del sopportabile. Ma io un piano non ce l'ho, semplicemente perché non riesco a pensare a qualcosa di sensato nemmeno per sbaglio.

«Nell'ufficio di Madama Chips. I professori vorranno monitorarlo e tenerlo lontano da tutti, per ora.»

Di nuovo la sua voce distaccata, di nuovo un mugolio sconfortato di Peter, a cui si aggiunge un rumore indistinto di oggetti spostati che mi induce ad aprire di scatto le palpebre. Sirius è in piedi davanti a me e sta trafficando con il suo baule, che chiude con uno scatto secco e tira su, cominciando a tracinarlo dietro di sé. Ha un'espressione tesa e imperturbabile, quella maschera così tipicamente in stile Black che indossa nei momenti più difficili, ed è proprio guardandolo che mi rendo conto di non essermi mai sbagliato prima.

Mi sono svegliato poco fa e non provavo quasi nessunissimo dolore fisico, stupendomi della cosa e mostrandomi addirittura soddisfatto. Ora, posso dire con certezza di non essermi mai sentito morire dentro come in questo preciso istante.

***

Peter.

«Cosa stai facendo?»

Vorrei far notare a Remus che la sua domanda, per quanto lecita e assolutamente pertinente, dovrebbe essere sostituita ancora da un'altra frase. 
"Dove stai andando?" mi sembra decisamente più appropriata, considerando che quello che Sirius ha appena chiuso con la bacchetta è il suo baule ed è lo stesso oggetto che si sta trascinando dietro con una rabbia disarmante.

«Me ne sto andando.»

E sono solo quattro parole, questo lo so, ma mi colpiscono come se fossero pugni in pieno stomaco e fanno traballare pericolosamente il filo sottile sul quale mi sembra di camminare da quando siamo tornati in dormitorio. Non c'è James, non c'è equilibrio.

Deglutisco e non stacco lo sguardo da Sirius, che vedo solo di spalle ma di cui riesco a immaginare con meticolosa precisione l'espressione impassibile e spaventosamente distaccata che certamente indossa. Quello che scorgo con i miei stessi occhi, al contrario, è Remus che si alza di scatto da terra e si posiziona davanti alla porta, le braccia lungo i fianchi e la bacchetta stretta nella mano destra.

«Cosa diamine stai dicendo?»

«Intendo che me ne vado, Remus.» risponde freddamente Sirius, sbuffando ma senza staccare la mano dal suo baule. «Spostati dalla porta.»

«Hai deciso di vagabondare per le colline scozzesi?» domanda ancora Moony, il tono beffardo e provocatorio che raramente gli ho visto sfoderare e un sopracciglio inarcato, che riesco a scorgere tremare impercettibilmente.

Le spalle di Sirius sono ora incredibilmente tese ed io trattengo di nuovo il respiro, perché per la prima volta ho seriamente paura di lui. Questa situazione è nuova, l'armonia che da sempre regola la nostra amicizia è stata minacciata e noi - ed io - non sappiamo cosa fare, se non tirare fuori il lato peggiore che abbiamo.

«Non sono io quello che resta.»

«No, dici bene.» La rabbia nel tono di Remus è palpabile, rintracciabile perfettamente nel suo sorriso amaro. «Tu sei quello che scappa.»

Sirius lascia di scatto la presa sul manico e fa un passo indietro, come se la frase appena pronunciata gli avesse fatto male sul serio. È che è davvero impossibile non scorgere l'evidente riferimento a quel giorno di due anni fa, quando Padfoot scappò da casa sua dopo tutte quelle estati in cui aveva dovuto convivere con l'etichetta di traditore che gli era stata appiccicata sulla fronte a forza, rifugiandosi nell'unico porto sicuro che aveva allora, che ha sempre avuto: da James, da suo fratello.

E la furia di Remus la capisco, così come capisco che non pensa nemmeno la metà delle cose che sta dicendo, ma che si sente in obbligo di parlare con cattiveria per farlo reagire. Ma comprendo altrettanto bene Sirius, che si è visto strappare da davanti agli occhi l'unica certezza che gli restava in questo mondo.

«Sì, sono proprio io quello che scappa. L'ho fatto con i miei genitori, non ho grandi difficoltà a rifarlo una seconda volta.» risponde dopo qualche secondo di silenzio, il respiro pesante e la mano che trema.

«Lo capisco, scegli la via più facile. Affrontare la situazione di petto sarebbe troppo anche per te, non è così?»

Una risata tristissima esce dalle labbra di Sirius, che comincia a misurare la stanza e si passa nervosamente una mano tra i capelli.

«Non ho intenzione di restare qui e vederlo in queste condizioni, lo sai anche tu.» dice tra i denti, stringendo le mani a pugno per darsi una calmata. «Vado via da Hogwarts, trovo un posto in cui stare e vi aspetto. Vi aspetto là fuori e quando tutto questo sarà finito ricominceremo da capo.»

«Ma non ha senso, Sirius. È...è solo un mese.» mormoro, inserendomi nella conversazione per cercare di farlo ragionare.

Si volta di scatto verso di me, fissandomi in un modo che mi mette paura e soggezione al tempo stesso.

«Solo? Pete, hai idea di quanto sia lungo un mese e delle cose che dirà, che farà James in tutto questo arco di tempo?» domanda retoricamente, scuotendo la testa e abbassando poi il tono di voce, come se stesse parlando tra sé e sé. «Io non la voglio rivivere un'altra situazione del genere. Non voglio.»

«Devi farlo per Prongs.» tenta ancora Remus, addolcendosi visibilmente e fissandolo come se volesse trasmettergli sicurezza con la sola forza delle pupille. «Cosa credi che farebbe lui al tuo posto?»

«Ma io non sono lui, maledizione!»

Il primo pugno sul muro arriva forte e deciso, subito seguito da altri due ugualmente potenti. Remus ed io ci limitiamo a tacere, lasciando che si sfoghi e sperando che questo basti a fargli scaricare i nervi, a farlo tornare con i piedi per terra. Ma quando si gira e ricomincia a fissarci, ha qualcosa di estremamente pericoloso nello sguardo e le nocche spaccate, mentre boccheggia e riempie questo silenzio estenuante con il suo solo respiro ansante.

«Non ti ho mai chiesto di essere come lui.» asserisce Remus a bassa voce, dopo aver atteso quei minuti che ha ritenuto sufficienti affinché fosse pronto ad ascoltare le sue parole. «Ti chiedo solo di aspettare, per lui. Di farlo perché è tuo fratello, perché non c'è altro che possiamo fare e perché tu non sei un codardo. Non lo sei mai stato e non lo sarai di certo adesso che c'è di mezzo il tuo migliore amico.»

Le parole di Remus sembrano cominciare a fare effetto, perché il respiro di Padfoot si regolarizza lentamente e lui si limita a fissare il pavimento sotto di lui, come una bestia braccata che decide di lasciarsi addomesticare, di diventare più docile. E lo so che non ci sarebbe niente da aggiungere, perché Moony ha detto tutto e nessuno di noi avrebbe saputo farlo con la sua stessa lucidità.

Ma ci sono anche io. E forse non sarò convincente come Remus o impulsivo come Sirius, ma so per certo che tutti e due, adesso, hanno bisogno di sentire più che mai che rimarrò anche io al loro fianco, perché abbiamo cominciato questa avventura in quattro e sempre in quattro ne usciremo. Non conosco altri finali plausibili per questa storia.

«Glielo dobbiamo, Padfoot.» mi arrischio a sussurrare, torturandomi le mani e guardandolo in faccia. «Lui non vorrebbe saperci divisi.»

Sirius continua a non rispondere e ho paura che potremmo passare i restanti minuti che ci separano dall'alba in questo esatto modo, posizionati in tre punti diversi della stanza, a fissarci in silenzio finché uno di noi non avrà qualcosa di incredibilmente stupido da dire. Dovrebbe andare così, non c'è altro modo di finirla con questa assurda e atipica tensione che si è creata nella nostra stanza.

Ma poi Padfoot si riscuote, lancia un ultimo sguardo di fuoco al suo baule - sono piuttosto stupito che non si sia incenerito all'istante - e comincia a camminare verso la porta, evitando Remus senza troppe difficoltà e arpionandosi con forza alla maniglia. L'ultimo suono che sento è il rumore che Sirius produce sbattendosela alle spalle, poi torna di nuovo il silenzio.

Tutti i suoi vestiti e le sue cose sono ancora qui, comunque. E allora non posso che aggrapparmi a questo, vedendola come una sorta di piccola promessa: non se ne andrà. Non oggi.

***

Lily.

La Sala Comune è rimasta deserta da quando ho messo piede qua dentro, vale a dire appena una manciata di minuti fa. Non è stato affatto facile lasciare la mia stanza e scendere le scale per venire qui, perché Alice ha naturalmente insistito come la più apprensiva delle madri a restare sveglia accanto a me, ad aspettare che mi fossi addormentata completamente.

È inutile specificare che abbiamo trascorso tutto il tempo in silenzio religioso, io che a stento trattenevo le lacrime e lei che continuava a sussurrarmi che sarebbe andato tutto bene, che un mese sarebbe volato davvero in fretta, che comunque ci sarebbe stata lei al mio fianco e che non sarebbe stata l'unica.

Avrei voluto crederle, avrei voluto farmi contagiare ancora una volta dalla sua positività congenita, ma la verità è che in questo preciso istante vedo tutto nero e non esiste niente che possa alleviare il mio dolore.

Ho finto di essermi addormentata e mi sono data della pessima amica, perché Alice voleva solo starmi accanto e io non sono riuscita nemmeno a farle credere per bene che le sue rassicurazioni fossero servite a qualcosa. Poi lei è tornata nel suo letto e dopo qualche minuto ho sentito il suo respiro farsi più profondo, segno inequivocabile del fatto che la stanchezza di una lunghissima e terribile giornata doveva averla colta.

Così sono arrivata qua, dopo essere scivolata silenziosamente fuori dal dormitorio ed essermi appropriata del mio divano preferito, non quello davanti al fuoco come ci si aspetterebbe da un Grifondoro con i fiocchi bensì quello nell'angolo a destra, decisamente più nascosto agli occhi indiscreti dell'intera Sala Comune.

Lo stesso divano su cui, negli ultimi mesi, io e James abbiamo trascorso ore e ore seduti l'uno accanto all'altra, a parlare fino a notte fonda, a cercare di concludere quei compiti che - spesso per colpa della troppa distrazione causata reciprocamente - non riuscivamo mai a terminare il pomeriggio, a litigare perché lui fondamentalmente è un bambino e io sono sostanzialmente troppo orgogliosa, a rubarci a vicenda quei baci talvolta delicati, talvolta più irruenti, che spesso ci lasciavano senza fiato e a corto di parole da dire. Non che ce ne fosse mai stato bisogno, comunque: non dopo che mordendoci le labbra ci eravamo già detti tutto.

Sospiro e mi stringo le ginocchia al petto, chiudendo per un attimo gli occhi e soppesando la portata del dolore che so di provare. Non voglio lasciarne nemmeno metà, perché non sarebbe giusto: devo prenderlo tutto, accumularlo meglio che posso e viverlo, viverlo fino in fondo. Solo così riuscirò a domarlo definitivamente.

Poi sento il rumore di una porta che sbatte con violenza e vorrei urlare, perché non basta nemmeno questo a spaventarmi e a farmi realizzare di essere viva. Niente, non mi è concesso di provare neanche la tachicardia causata dallo stupore.

I miei occhi si posano comunque sulle scale del dormitorio maschile, dalle quali vedo fare la loro comparsa un ammasso di capelli corvini piuttosto scarmigliati e uno sguardo assente che, ne sono certa, è speculare al mio. Sirius sembra intercettare all'istante la presenza di qualcun altro nella Sala Comune, perché solleva il mento e le sue pupille saettano subito verso di me. All'improvviso, sebbene la direzione da lui prescelta sembrasse essere il buco del ritratto, pare ripensarci e comincia a marciare verso la sottoscritta.

Si lascia cadere sul divano in silenzio, posizionandosi alla mia sinistra senza nemmeno guardare nella mia direzione. Non che ci sia bisogno di parole o di sguardi in questo istante, comunque: credo che abbiamo entrambi già capito molte più cose semplicemente tacendo.

«Volevo andarmene.» È lui il primo a rompere la quiete, parlando e tenendo gli occhi fissi sulla finestra davanti a noi. «Poco fa, volevo andarmene da Hogwarts.»

Aggrotto la fronte e mi volto a fissarlo, concentrando nella mia espressione tutto lo sconcerto che provo.

«Perché?»

«Avevo paura di non riuscire a gestire la situazione. Avevo paura di...rivivere le stesse cose che ho dovuto sopportare con lui

Sirius non è mai stato un tipo a cui piacciono le confidenze, questo penso sia lampante, ma ci sono quei dettagli che si possono cogliere perfettamente anche senza ascoltare le sue parole. Ed è chiaro che quel "lui" finale si riferisce a Regulus Black, suo fratello, e al netto allontanamento che l'appartenenza a due Case diverse e i loro caratteri così divergenti hanno comportato.

«Però sei restato.» gli faccio notare, senza smettere di guardarlo in faccia e intercettando un sorriso amaro aprirsi sulle sue labbra. «Sei mai andato al mare, Sirius?»

È chiaramente spiazzato dalla mia domanda così apparentemente insensata, ma io continuo a indossare il mio sguardo serio e a fissarlo negli occhi in attesa di una sua risposta.

«Qualche volta.» borbotta infine, passandosi una mano tra i capelli. «In Francia, ma ero abbastanza piccolo. Sono passati tanti anni.»

«Ti ricordi cosa facevi quando arrivava un'onda improvvisa?»

Sirius scuote la testa e ghigna, puntando finalmente gli occhi chiari su di me.

«Lily, non sono sicuro che questa...»

«Rispondimi.» lo interrompo categorica.

«Non mi ricordo.» butta lì con una scrollata di spalle, sfoderando però la classica espressione di chi si sta concentrando per trovare le parole giuste. «Mi piaceva nuotarci contro, credo. Quando arriva ed è altissima e tu le vai addosso, capito?» Annuisco comprensiva in risposta, lasciando che continui. «Oppure prendevo Regulus in braccio e mi facevo scudo usando lui.»

Non so come sia possibile, ma una risata divertita esce dalla mie labbra e contagia anche lui, a tal punto che le nostre voci riecheggiano per qualche secondo nella Sala Comune deserta.

«È proprio quello che volevo sentirti dire.» ricomincio, tornando seria ma senza far sparire un minuscolo sorriso dalle mie labbra. «Non si scappa da un'onda. Devi andarle contro, devi prenderla di petto e a braccia aperte. Devi affrontarla, non voltarti di spalle e sperare che non ti raggiunga mai.»

Sirius torna a fissarmi con una serietà che risulta davvero anomala se indossata da lui, prima di scuotere la testa e sospirare con rassegnazione.

«È per questo che ho deciso di non andarmene. Perché James ha bisogno di me.»

«E non solo James. Tutti noi abbiamo bisogno di te, Sirius, perché sei suo fratello e se te ne andassi sarebbe come perderlo un'altra volta.» Deglutisco piano, giocherellando con la bacchetta ancora stretta tra le mie mani. «Non avresti avuto altra scelta, comunque. Credo che ti avremmo trattenuto con la forza.»

«Ma davvero?» mi domanda inarcando un sopracciglio, con una vena divertita nella voce e un mezzo sorriso che contagia presto anche me.

«Anche a costo di legarti qui.»

Ride e scuote ancora la testa, appoggiandosi poi allo schienale del divano e guardando il soffitto. Fuori, dalla finestra di fronte a noi si comincia a vedere il Sole sorgere e distendere i suoi raggi pigri sul Castello di Hogwarts, facendo arrossire alberi e prati. Sarebbe uno spettacolo singolare e meraviglioso, per chiunque fosse ancora in grado di apprezzare la bellezza del mondo che lo circonda.

«Chissà cosa penserà e cosa farà James, una volta che tutto questo sarà finito.» mormora ad un tratto, dopo qualche minuto di intenso silenzio.

«Si sentirà a colpa a vita. Continuerà a scusarsi per mesi e mesi come fa sempre, lo sai.» rispondo, sforzando un sorriso che non fa che aumentare l'abisso di tristezza che ho dentro.

«Lo faremo penare almeno per un po'.» aggiunge Sirius con aria assorta, con un angolo delle labbra impercettibilmente arcuato all'insù.

«Sono d'accordo, in qualche modo dovremo pur fargliela pagare.»

Poi lui torna all'improvviso a guardarmi negli occhi e adesso il grigio delle sue iridi non è più così scuro come all'inizio, ma si è visibilmente schiarito e questo non può che essere un buon segno. Non sono pazza a notare tutti questi dettagli, è solo che James mi ha aperto talmente tanto il suo mondo da avermi insegnato quelle cose più buffe e inusuali che riguardano i suoi amici, ad esempio come intercettare l'umore di Sirius semplicemente guardando il colore dei suoi occhi.

«Sai cosa penso io invece, Lily?» mi domanda piano, sorridendo con aria divertita ma al contempo incredibilmente seria. «Quando tutto questo sarà finito, James vorrà fare così tanti bambini con te da formare un'intera squadra di Quidditch.»

Rido e gli do un pieve pugno sulla spalla, tornando a fissare l'alba che rischiara il paesaggio davanti a noi e pensando che, in fondo, a me va bene qualunque cosa. Formare una squadra di Quidditch o anche due o tre, fa lo stesso. Potremmo provare per davvero le combinazioni più assurde e improbabili: qualcuno potrebbe nascere con i miei occhi verdi e i suoi capelli improponibili, qualcuno con le mie minuscole lentiggini e con il suo sorriso sghembo, qualcun altro con le mie ciocche rosse e le sue iridi nocciola così belle e rassicuranti.

E poi potremmo provare con gli accostamenti che ci risulterebbero davvero fatali: la mia testardaggine con il suo cuore così grande, la mia pazienza con il suo sprezzo del pericolo. O ancora la mia bravura in Pozioni con la mia totale incapacità nel volo, il suo talento come Cercatore con quella poca inclinazione che ha anche solo nel tenere tra le mani un pestello.

Fa lo stesso, non mi importa più di niente: una squadra di Quidditch o due, andrebbe bene qualunque cosa. Mi basterebbe sapere che James tornerà al mio fianco, che dopo questo mese che sarà una vera tortura tutto ricomincerà a tornare al suo posto, ad assecondare quell'armonia che deve esistere tra noi. Mi basterebbe sapere che arriverà il momento in cui l'alba rischiarerà anche noi, in cui potremo dire di aver superato l'onda e di averlo fatto nel migliore dei modi, lasciandoci alle spalle quel dolore che adesso attanaglia tutti, nessuno escluso.

Mi basterebbe sapere di poter tornare, un giorno, a sentirmi viva.

«Lily.» La voce di Sirius arriva alle mie orecchie come se fosse lontana, ma è comunque sufficiente a farmi voltare verso di lui. «Stai piangendo.»

Nemmeno me n'ero resa conto, di aver plasmato la mia tristezza e di aver lasciato che scivolasse via dai miei occhi. Però anche questo lo accetto, anche questo va bene: sto prendendo il mio dolore, gli sto dando una forma e sono pronta a viverlo. È necessario tutto questo, per superarlo. 

«Sì.» mormoro in risposta, passandomi una mano sugli zigomi ancora umidi. Sono le lacrime, per ora, l'unica cosa che è ancora capace di farmi sentire viva.

***

James.

«Brucia.»

Il mio mugolio di protesta non serve davvero a un accidenti, perché Madama Chips torna a posare la sua garza incandescente sul mio labbro spaccato ed io, ancora una volta, sono costretto a stringere i denti e a trattenere un altro lamento. Onestamente non esiterei a farmi prendere a pugni di nuovo da quel bastardo di Sirius Black, piuttosto che stare qui immobile a farmi medicare dalla megera con la cuffietta.

«Suvvia signor Potter, abbiamo quasi finito.»

È la stessa frase che ha ripetuto circa sei volte negli ultimi cinque minuti, dunque non le credo più e mi limito a tacere, sperando che la tortura finisca in fretta.

Sto molto meglio rispetto a ieri sera, il vuoto abissale che avevo nella testa si è riempito poco a poco con i suoi corretti tasselli, sebbene ci sia uno spazio gigantesco che seguita a restare vuoto: la giornata di ieri. Ho un gigantesco buco nero se provo a ripensare a quello che è successo, come se ci fosse stato un blackout totale che da venerdì mi fa saltare subito a domenica, ad oggi. Ricordo solo che doveva esserci una festa nel villaggio di Hogsmeade, festa che però è saltata per colpa di qualcosa che non ho presente. Poi il buio.

«Ecco qua.» conclude Madama Chips, fissando l'ultimo cerotto e allontanandosi ad ammirare la sua opera d'arte. Sono talmente fasciato che credo di potermi muovere soltanto a scatti, come se fossi fatto di legno.

«Allora posso...?»

«Tornare in dormitorio, sì.» conclude per me, fissandomi con un'apprensione e un'insistenza che non mi sfuggono. «Si ricorda quello che deve fare?»

«Cambiare le bende una volta al giorno, prendere la Pozione Rimpolpasangue mattino e sera e dormire almeno otto ore di fila.» ripeto a macchinetta, alzando gli occhi al cielo e sbuffando. «E niente Quidditch fino a nuovo ordine.»

«Bene.» conclude spiccia, chiudendo tutte le boccette ancora sistemate sul mio comodino e facendomi presupporre che sia arrivato l'agognato momento di alzarmi. Tuttavia, non appena scendo dal letto con uno scatto che mi fa guadagnare un'occhiataccia da parte sua - "Nessun movimento brusco, signor Potter" - la voce di Madama Chips mi costringe a restare ancora fermo al mio posto. «Resti qui un secondo, ci sono due persone che vorrebbero vederla.»

Volto piano la testa verso l'entrata dell'Infermeria, dove scorgo all'istante i miei genitori venire verso di me con un'espressione sul volto che definire terrorizzata sarebbe un eufemismo.

«James, tesoro.» mormora mia madre non appena è sufficientemente vicina, passandomi una mano sui capelli. «Stai meglio?»

«Sto benissimo.» rispondo tranquillo, aggrottando la fronte nel constatare che la paura nei loro sguardi non si è ancora affievolita. «Sono io che dovrei chiedervi se state bene.»

«Ci siamo preoccupati tanto per te.» mormora in risposta, senza smettere accarezzarmi la testa.

Sono decisamente a disagio in questa situazione, perché non ricordo di aver mai visto i miei genitori manifestare così espressamente la loro apprensione nei miei confronti. Insomma, non sarebbe necessario tutto questo apparente putiferio, considerando che non è successo niente di terribile e mia madre si sta comportando come non ha mai fatto prima, con una tenerezza nei gesti che mi è piuttosto estranea.

«Capisco, ma non è successo nulla di grave.» replico impacciato, stirando un sorriso non propriamente sincero e allontanandomi impercettibilmente da quella mano che continua a sfiorarmi i capelli. «Sono solo svenuto nei sotterranei e un idiota del nostro anno ha cominciato a prendermi a pugni dicendo cose assurde.»

La mia frase all'apparenza così innocua sembra però avere su di lei un effetto devastante, perché la vedo portarsi una mano davanti alla bocca e scorgo chiaramente i suoi occhi riempirsi di lacrime. È impazzita, è l'unica spiegazione plausibile che mi viene in mente. 

«James...» sussurra, come se le avessi appena detto di aver affrontato un orso a mani nude e lei non fosse certa del mio perfetto stato di salute. 

«Sto bene.» aggiungo frettolosamente, cominciando a innervosirmi a causa di questa sua reazione e distogliendo lo sguardo da lei, per colpa di questo disagio che aumenta in maniera esponenziale. 

Sposto così gli occhi su mio padre, rimasto stranamente in silenzio per tutto questo tempo, lo sguardo categoricamente fisso sul sottoscritto e una ruga di concentrazione sulla fronte. 

«Le ferite vanno meglio?» mi domanda all'improvviso, mantenendosi ad una certa distanza da me come se temesse qualcosa che io per primo non riesco a cogliere. 

«Sì, mi sento solo indolenzito. Ho perso un bel po' di sangue.» rispondo imbarazzato, spostando ancora una volta lo sguardo e posandolo sul pavimento. 

«Un po' troppo, considerando che è stata una semplice scazzottata.»

Ha parlato con un tono strano, intriso di una minuscola dose di ironia che posso rintracciare perfettamente anche nel suo sopracciglio inarcato. Ma c'è anche del dolore, come se l'aver detto di aver preso pugni da qualcuno gli facesse più male del gesto in sé. 

«Restituirò tutto.» replico con una scrollata di spalle, pensando che in effetti qualche schiaffo sul volto di quel Sirius Black è proprio quello che mi servirebbe adesso per sciogliere la tensione. 

E poi mia madre sospira sonoramente e mi rendo conto che , sta davvero piangendo e tutto questo non è normale, non lo è mai stato e non capisco perché i miei genitori sembrino essere impazziti in questo modo da un giorno all'altro. Ma poi mio padre si accosta a lei, passandole un braccio sulle spalle e lanciandomi un'ennesima occhiata che non riesco a decifrare, ed io non posso che scuotere impercettibilmente la testa e restarmene qui con i miei interrogativi.

«Noi andiamo, James. Silente ci ha permesso di verificare ancora una volta le tue condizioni, ma a quanto pare stai bene.»

E perché diamine sembra essere dispiaciuto della cosa, allora? 

«Sì.» rispondo laconicamente, pregando che escano dall'Infermeria il prima possibile. 

Non riesco più a reggere lo sguardo addolorato di mia madre, l'espressione tesa di mio padre e il suo tono duro, quasi fosse colpa mia, quasi non fossi io quello che si trova in Infermeria perché un idiota gli ha fatto male senza un apparente motivo. 

«Ci vediamo a giugno.»

«Sì, ciao.» dico ancora, alzandomi dal lettino come a invogliarli ad andarsene. 

«Comportati bene, per l'amor del cielo.»

La raccomandazione di mia madre si perde nel vuoto, mentre li vedo chiudersi la porta alle spalle e sparire dalla mia vista. Tiro un gigantesco respiro di sollievo e comincio a raccattare le poche cose che ho qui con me - e si può sapere chi diamine ha messo tutte queste tavolette di cioccolato sul mio comodino? - per poi partire alla volta dell'uscita senza salutare nessuno. 

Camminare sembra persino essere un'azione meravigliosa, adesso che sono totalmente solo e non sono più circondato da pazzi che dicono e fanno cose senza senso. I miei genitori ed io abbiamo sempre avuto un rapporto cordiale quanto basta, non troppo stretto e nemmeno troppo confidenziale, dunque tutta questa improvvisa apprensione mi è davvero nuova, oltre a starmi piuttosto stretta. 

Ma non è come se adesso importasse qualcosa, perché la mia meta non è la mia stanza ed io so esattamente dove devo andare. Mi basta fare qualche passo in direzione opposta rispetto all'Infermeria, perché l'ufficio della professoressa McGranitt è sullo stesso piano e, di conseguenza, mi ritrovo a bussare sulla porta di legno chiaro prima del previsto. 

«Avanti.» sento dire con un tono fermo e sicuro, così abbasso la maniglia ed entro in quella piccola stanza circolare che, a primo impatto, mi è familiare in un modo che mi disorienta. Come se avessi passato metà della mia vita qua dentro, ma per favore.

«Ho bisogno di chiederle una cosa.»

La McGranitt alza di scatto lo sguardo dalla pergamena che stava riempiendo di inchiostro, posando gli occhi chiari su di me e perdendo, per un minuscolo istante, la sua proverbiale imperturbabilità. 

«Signor Potter.» asserisce, riscuotendosi in un nanosecondo. «Non la aspettavo così presto. Prego, si sieda.»

Faccio così come mi dice, accomodandomi sulla sedia di fronte alla sua e passandomi una mano tra i capelli con un gesto automatico. 

«Ho bisogno di chiederle una cosa.» ripeto, sicuro come raramente penso di essere stato prima d'ora. 

«Ed io sono qui per ascoltarla.»

«Andrò dritto al punto, perché non amo molto tergiversare. È da un po' di tempo, ormai, che comincio a sentire questi colori starmi stretti.» dico, indicando con un gesto della mano il rosso e l'oro degli stendardi che ricoprono ogni parete di questa stanza. 

«I colori della sua Casa?» mi domanda, intrecciando le mani sulla scrivania ma senza smettere di guardarmi in faccia. 

«I colori di Grifondoro.» confermo, annuendo piano. «Non so se sia mai successo prima qui a Hogwarts, ma dovrei farle una richiesta un po' insolita. Sarebbe possibile passare da una Casa all'altra?»

La McGranitt non risponde subito, ma resta a fissarmi in religioso silenzio per quelle che paiono ore. Non riesco a capire quello che le passa per la mente nemmeno sforzandomi, ed è una cosa che sta cominciando a mandarmi in bestia. 

«Suppongo che il soggetto della questione sia esattamente lei, dunque mi prenderò la libertà di parlarle come tale. Qual è la nuova Casa che riterrebbe più consona, se posso saperlo?»

«Serpeverde.» replico sicuro, senza tentennare minimamente. «È da un po' di tempo che ci stavo pensando, in realtà, ma mi sono deciso a domandarlo soltanto oggi. È proprio una questione di appartenenza, come se sentissi che è quello il posto giusto per me. Senza contare che preferirei non avere Black nei paraggi per ventiquattro ore di fila, dopo quello che è successo ieri sera.»

Sono certo che il mio discorso sia stato convincente e impeccabile, perché non esiste nulla con cui si possa obiettare: non credo esista una regola di Hogwarts che vieta di fare richieste simili e non credo nemmeno che la risposta debba necessariamente essere un no categorico. Senza contare che, in quanto direttrice di questa Casa, dovrebbe essere lei stessa la prima a non volere tra i Grifondoro qualcuno che non si sente tale. 

«Si ricorda, signor Potter, perché il Cappello la smistò proprio qui?» mi domanda ad un tratto, guardandomi ancora negli occhi senza quasi sbattere le palpebre. 

«Disse che ero forse l'esempio di undicenne Grifondoro più perfetto e completo che avesse mai visto.» acconsento con una scrollata di spalle, senza particolare trasporto. 

«Ed io ricordo anche che non aveva avuto nessun minimo dubbio sull'assegnarla a questa Casa o meno.»

«Ero un bambino.» ribatto aspramente, appoggiandomi allo schienale e cominciando a spazientirmi. «Credo con gli anni di aver maturato un'ambizione non indifferente, professoressa. Persino troppa, per un Grifondoro.»

La McGranitt tace di nuovo per qualche secondo di troppo, prima di sciogliere le mani e fissarmi con una durezza disarmante nello sguardo.

«Acconsento, signor Potter. Il passaggio può avvenire senza problemi, per quanto mi riguarda.» cede infine, cominciando a sistemare le sue pergamene. «Il signor Walden Macnair è stato espulso a ottobre per il suo comportamento deplorevole con alcuni Nati Babbani del secondo anno, dunque credo che lei possa tranquillamente prendere il suo posto nel dormitorio degli studenti del settimo.»

«La ringrazio.» concludo spiccio, alzandomi dalla poltrona per uscire dalla stanza.

«Ma ad una condizione.»

La sua voce mi tiene però inchiodato sul posto e a stento trattengo uno sbuffo, chiedendomi perché non sia sufficiente acconsentire senza porre condizioni su condizioni. 

«Tutto quello che vuole.»

«Sarà esonerato dai suoi doveri di Caposcuola.» Questa la chiama condizione? È un piacere, altroché. «E potrà partecipare agli allenamenti di Quidditch, ma non giocare durante le partite.»

Questa volta mi concedo di sbuffare, chiedendomi per un frangente se ne valga davvero la pena. Ma poi vengo sopraffatto da uno strano impulso, che mi fa realizzare che essere un Serpeverde è quello che più desidero al mondo e non c'è nulla, nemmeno il fatto di non poter giocare, che possa competere con questo. 

Mi alzo dalla poltrona e tolgo rapidamente le due spille da Capitano e da Caposcuola ancora attaccate alla camicia che ho indossato questa mattina, pronto a lasciarle sulla cattedra della McGranitt. Non appena si accorge del mio gesto, tuttavia, allontana la mia mano e torna a concentrarsi sulle sue scartoffie. 

«Non è necessario restituirle a me, signor Potter. Penso che, anzi, tenerle potrebbe farle molto piacere.» asserisce con un tono che non ammette repliche, sorridendo enigmatica e obbligandomi a rimettere i due oggetti in tasca. «Sono piuttosto certa che il rosso di queste spille e il verde smeraldo del suo nuovo comodino costituiranno un abbinamento di colori a lei molto gradito e familiare.»

***

Alice.

«Vogliamo toglierci queste facce da funerale di dosso?»

La voce di Sirius ci riscuote tutti all'unisono, ed è sollevando lo sguardo che mi rendo conto che, assurdamente, eravamo tutti intenti a giocherellare con il cibo nel nostro piatto, l'aria svogliata e assente di chi vorrebbe tornare a seppellire la propria testa sotto il cuscino.

«Vuoi che mi metta a raccontare una barzelletta?» domanda ironicamente Remus, lasciando cadere la forchetta con un tintinnio fastidioso.

«No, non saresti capace.» risponde lui prontamente. «Voglio che la smettiate tutti di stare in silenzio e di comportarvi come se fosse la fine del mondo, perché non lo è.»

«Nessuno sta facendo baldoria, Sirius.» constata saggiamente Lily, indicando con un gesto della mano l'intera Sala Grande caduta in un silenzio sconcertante.

Gli effetti dell'attacco di ieri sera sono arrivati fino al Castello, immergendo chiunque in un'atmosfera di paura e tensione. Tutti hanno le stesse espressioni serie e spaventate, anche chi non aveva il permesso di venire a Hogsmeade e ha percepito lo stesso il peso dello scontro come se si fosse svolto qui, tra queste mura.

«Ma tutta questa calma non va bene. Dobbiamo risollevarci, maledizione.» afferma sicuro, aprendo le braccia con fare esasperato.

«Sirius ha ragione.» asserisce Frank al mio fianco, guardando in faccia ognuno di noi. «Non è così che va affrontata la situazione.»

«Va bene voler essere determinati, ma sono passate appena poche ore e...»

«Sono passate appena poche ore e dobbiamo reagire fin da subito, Moony. Non abbiamo scusanti.»

Peter annuisce con vigore e io stessa sto per aprire bocca, per dire che hanno ragione e che non sappiamo che cosa combinerà James non appena farà il suo ingresso qua dentro, ma un mese in qualche modo dovrà pur passare e non possiamo pensare di abbatterci ogni minima volta. La mia frase viene però interrotta sul nascere, perché con la coda dell'occhio vedo Silente alzarsi dalla sua postazione e tintinnare sul suo bicchiere, come a voler riportare un silenzio che in verità non se n'è mai andato.

«Lo sapevo che avrebbe detto qualcosa.» mormora Lily alla mia destra, focalizzandosi subito dopo sul Preside.

«Gentili studenti, sapete bene che non sono solito intrattenervi con le mie parole a meno che non si tratti dei soliti discorsi di inizio e di fine anno, ma in questa circostanza mi sembrava doveroso darvi delle spiegazioni.» comincia, le mani intrecciate dietro la schiena e gli occhi che vagano su ognuno dei quattro tavoli. «Quello che è successo ieri sera a Hogsmaede, come penso ormai sappiate tutti, è stato un attacco. Un attacco che esemplifica alla perfezione ciò che sta accadendo fuori da Hogwarts, un attacco che sottolinea ancora di più quanto Voldemort e i suoi seguaci stiano prendendo potere.»

Un lieve brusio si spande per la Sala Grande non appena Silente pronuncia quel nome ad alta voce, ma tutti noi rimaniamo immobili ad attendere che continui.

«Non dobbiamo sottovalutare la situazione, ma non dobbiamo nemmeno dimenticare che Hogwarts è la nostra casa. Leggerete sui giornali che è da incoscienti non far tornare gli studenti dalle loro famiglie, ma io vi rispondo dicendo che il pericolo è ovunque, dentro e fuori da qui.» Fa una breve pausa, prima di ricominciare con la stessa intensità di prima. «Nessuno di noi vi potrà trattenere se avrete il desiderio di andare via, ma quello che possiamo suggerirvi di fare è di fidarvi del luogo che vi ha sempre accolti a braccia aperte.»

«C'è davvero qualcuno che pensa di andarsene via da qui?» domanda Peter a bassa voce, sgranando gli occhi con aria incredula.

«L'avevano già detto ieri, hai idea di quante informazioni false si inventeranno i giornali?»

Lily, che per l'appunto sta sfogliando febbrilmente le pagine del Profeta, scuote la testa e sfodera un'espressione satura di disappunto.

«Danno la colpa a Silente, ancora una volta. Invece di condannare Voi-Sapete-Chi e tutti gli altri, cercano di concentrare l'attenzione sulla presunta poca sicurezza della scuola.» Getta un ultimo sguardo di disprezzo sulle pagine fresche di giornata, prima di chiuderlo con rabbia e incrociare le braccia al petto. «Ho la nausea.»

«So che alcuni studenti hanno combattuto, mettendo a rischio la loro vita per proteggere gli amici e gli altri studenti. Sono colpito da tutto questo e sinceramente commosso dal coraggio che avete dimostrato, pertanto non esiterò a congratularmi con chiunque abbia dato prova di tanta audacia e abbia dimostrato, ancora una volta, che l'aiuto dei ragazzi è prezioso e indispensabile.» Silente ricomincia a parlare nel silenzio più totale. «Le misure di sicurezza aumenteranno, questo è chiaro. Ci sarà maggiore protezione e nessuno di noi dovrà temere altri attacchi. È anche vero, tuttavia, che questo scontro ha causato una...situazione particolare, se possiamo chiamarla così.»

Frank mi lancia una veloce occhiata e subito gli sguardi di tutti noi si incastrano, perché non servono grandi giri di parole: sta parlando di James ed è giusto informare tutti gli studenti, considerando che quello che succederà nel prossimo mese potrebbe essere davvero ai limiti del reale.

«È qualcosa di pericoloso?»

La domanda di Louis Macmillan arriva chiara e precisa dal tavolo Tassorosso, dando voce a quel dubbio che credo attanagli la maggior parte della popolazione di Hogwarts. È naturale, chi non c'era ieri non può minimamente immaginare quello che è accaduto, ma il Preside ha l'obbligo di parlare per evitare che qui a scuola si scateni il putiferio alla vista di un James Potter completamente diverso dal normale.

«Pericolosa assolutamente no, ma decisamente inusuale. Non voglio scendere nei particolari, ma si tratta di qualcosa di estremamente delicato che ha colpito uno studente del settimo anno e che, di conseguenza, ne condizionerà le azioni per qualche tempo.» Il silenzio scende nuovamente nella Sala Grande, mentre tutti si scambiano sguardi dubbiosi che sembrano voler domandare a gran voce di chi diamine si stia parlando. «Vi chiedo di comprendere la situazione, ragazzi, ma non è la mia unica richiesta: ho bisogno che mi promettiate di contenere il vostro stupore, di non attaccare il ragazzo in questione con mille quesiti ma anzi, se possibile, di assecondarlo. È indispensabile per la sua salute, oltre che necessario per mantenere gli equilibri della scuola. Mi fido di voi e sono certo che manterrete questa promessa senza esitazione, affinché tutto possa tornare alla normalità il prima possibile.»

Lo sconcerto che aleggia tra queste quattro pareti aumenta in maniera esponenziale nell'esatto istante in cui Silente torna a sedersi al suo posto, senza dare alcuna spiegazione che possa aiutare gli altri a comprendere qualcosa in più.

«Ha fatto bene a parlarne con tutti.» stabilisce Remus, abbassando il tono di voce. «Mi chiedo solo cosa succederà non appena arriverà James.»

«Puoi anche non chiedertelo, Remus.» sussurra Frank, gli occhi puntati sull'ingresso della Sala. «È arrivato proprio adesso.»

E così mi rendo conto che non sono solo i nostri sguardi ad essere fissi sulla figura di James, che si erge adesso sulla soglia della stanza e resta lì, immobile, con un mezzo sorriso sul volto che non farebbe ipotizzare nessunissima "situazione particolare" che lo riguardi; anche tutti gli altri studenti, indipendentemente dalla loro Casa di appartenenza, lo osservano attoniti.

E potrebbe sembrare per davvero che non ci sia niente che non va, perché il sorriso sghembo è sempre al suo posto e gli occhi, quasi in automatico, saettano proprio nella nostra direzione. Sento Lily al mio fianco trattenere il respiro e le stringo una mano da sotto il tavolo, perché è la prima volta in cui i loro sguardi potrebbero incrociarsi in una situazione apparentemente normale, senza pugni, ferite e traumi di mezzo.

Ma poi succede una cosa decisamente spiazzante: James lancia un ultimo sguardo vacuo verso di noi, prima di scrollare impercettibilmente le spalle e dirigersi tranquillamente verso il tavolo di Serpeverde, sotto decine di sguardi allibiti e turbati.

«Cosa diamine sta facendo?» domanda piano Frank, il primo che riesce a spezzare la tensione che è giunta di nuovo a insinuarsi tra noi.

«Semplice.» replica Sirius dopo qualche secondo, senza staccare gli occhi da colui che è sempre stato il suo migliore amico. Poi di colpo si volta verso di noi, sulle labbra un sorriso così amareggiato e sofferente da fare male. «Sta cominciando a giocare.»

***

James.

Non so che cosa mi sia successo, ma non appena ho messo piede in Sala Grande ho provato il feroce impulso di dirigermi verso sinistra, verso il tavolo Grifondoro. Credo sia colpa dell'abitudine: sette anni trascorsi da quel lato della Sala Grande hanno dato certamente i loro frutti, ma adesso devo prendere coscienza del fatto che la mia vita ha preso una nuova piega ed io devo voltare le spalle a tutti loro. Non è una grave perdita, comunque: non sono mai andato d'accordo con nessuno in quella Casa.

Sento gli occhi di tutti gli studenti fissi su di me e mi domando se sia già successo, se la notizia di Black che mi ha preso a pugni abbia già fatto il giro della scuola. La risposta naturalmente non può che essere positiva, come al solito. L'opinione degli altri non mi è comunque mai importata e di certo non comincerà a farlo questa sera, ora che l'attenzione di tutti è chiaramente catalizzata su di me.

Scrollo le spalle, ignorando il resto del mondo e provando il brivido di dirigermi verso la direzione opposta, dove quei colori verde e argento troneggiano indomiti e sono gli stessi della mia nuova divisa. Cammino verso quel tavolo sotto lo sguardo di tutti i presenti, che sfoggiano delle ridicole espressioni condite con tanto di bocche spalancate senza un minimo di decenza e occhi sgranati.

Mi appaga sentirmi così al centro dell'attenzione, così mi stampo sulle labbra un sorriso compiaciuto e torno a costeggiare la panca di Serpeverde. Vedo visi familiari e altri che lo sono decisamente meno, ma non mi fermo e continuo a camminare sotto gli sguardi attoniti, alla ricerca del punto perfetto in cui sedermi. Poi in un istante i miei occhi cadono su una precisa porzione di tavolo, posandosi esattamente sul ghigno soddisfatto di Nicholas Avery e sui suoi occhi dardeggianti, già fissi su di me.

«James Potter.» mi blocca all'improvviso, le mani aperte sul legno scuro del tavolo e ancora quel sorriso appagato che quasi mi fa vacillare. «Pranzi con noi?»

 

   
 
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