Libri > Le Cronache di Narnia
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Autore: Dhialya    01/07/2020    2 recensioni
Il legame profondo tra una ragazza divenuta Regina e una guerriera dallo sguardo dolce e le frecce dalle piume bianche.
Un passato di cui pochissimi sono a conoscenza, risalente a prima dell'arrivo di Jadis e dei cento anni d'inverno.
Il compito di una lupa dagli occhi di ghiaccio ed un destriero dal manto nero come la notte.
Cosa si cela realmente dietro la Grande Magia e il cui potere è conosciuto solo dal grande Aslan?
C'erano regole che erano state rotte, accordi strappati e segreti che non potevano più essere taciuti, legami che andavano ripristinati e compiti da svolgere. E tutto ciò sarebbe venuto a galla, presto. E non osava - o non voleva - immaginare le conseguenze che tutto ciò avrebbe comportato.
Sulle persone coinvolte e sull'equilibrio di Narnia stessa.

Sullo sfondo della guerra contro Telmar un segreto, tenuto nascosto per più di milletrecento anni, sta per essere rivelato.
[Revisione totale programmata alla sua conclusione.]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Caspian, Edmund Pevensie, Famiglia Pevensie
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Spirits Within - The Just and the Sly special moments.'
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Narnia's Spirits
Verso il cielo da una folata di vento.












La giornata era passata senza altri eventi particolari, in un susseguirsi di silenzi troppo lunghi ed allenamenti rattoppati insieme senza la concentrazione necessaria.

Caspian aveva dovuto prendere in mano la situazione ed aveva sostituito Peter nell'elargire ordini e fare il punto della situazione, in quanto il Re Supremo era stato impegnato tutto il giorno a prendersela con i manichini che gli arcieri usavano come bersagli, scaricandogli addosso tutto il nervoso che aveva raccolto senza un minimo di pietà sotto gli sguardi attoniti dei Narniani.

Il cielo plumbeo era stato spazzato via da una leggera brezza innalzatasi sempre più gradualmente solo verso il primo pomeriggio, e il sole aveva fatto il suo capolino dietro un paio di nubi, venendo accolto con sospiri di gioia: molti si erano infradiciati, colti alla sprovvista dal temporale mentre erano di ronda, e speravano di mettere i propri vestiti ad asciugare al vento senza dover utilizzare i fuochi all'interno della Casa di Aslan in modo da poterli lasciare liberi per i fabbri.

La luce aveva avvolto Narnia illuminandola completamente, ma il freddo lasciato dalla notte prima era più persistente e ancora aleggiava nell'aria rendendola più tagliente del solito. Il sole splendeva, ma non sembrava averne realmente voglia, mentre all'orizzonte era ancora visibile il grigiore cupo che si allontanava.

L'arrivo imminente dell'autunno sicuramente influiva in tutto ciò: la temperatura calava ed i giorni si accorciavano visibilmente, la natura iniziava ad adattarsi a quel cambiamento chiudendosi sempre più in se stessa.

Susan sospirò, passando una mano tra le piume rubino delle sue frecce per lisciarle con cura cullata dallo scoppiettare del fuoco che si trovava davanti e in cui si era rifugiata per alleviare il freddo che le tediava le ossa. Era stanca. No, era esausta. Sentiva gli occhi pesanti e le palpebre calare sempre più spesso, oscurandole la vista, ma non voleva cedere.

Non voleva dormire.

Non ne sarebbe neppure stata in grado. Aveva passato la notte prima preda di incubi, continuando a svegliarsi troppo spesso in balìa del proprio animo tormentato e delle parole che per troppi anni aveva taciuto. Il temporale non aveva fatto altro che aumentarle la sensazione sinistra che sentiva percorrerle la schiena senza darle un attimo di tregua, facendole credere nel dormiveglia di essere tornata sotto i bombardamenti di Londra.

Sue si era alzata di soprassalto varie volte, pronta a tendere una mano in direzione di Lucy con il cuore in gola e la fronte imperlata di sudore per svegliarla in modo da poterla portare nel bunker insieme agli altri fratelli e alla madre. Ma erano solo sogni. E lei era a Narnia. E fuori c'era solo il temporale.

Uno dei temporali più violenti che avesse mai visto abbattersi su quella terra.

La Pevensie si lasciò scappare un altro sospiro, umettandosi le labbra ed alzando lo sguardo per osservare senza interesse l'ambiente che la circondava. I fuochi erano accessi e qualche Narniano stava finendo di limare le spade, altri stavano iniziando a coricarsi per riposare in modo da prepararsi alla ronda notturna.

Si allungò verso la faretra, appoggiata su un masso da parte a lei, rendendosi conto fosse ormai passato il tramonto dal cielo violetto che riuscì a scorgere da un'apertura nella roccia poco lontana e che le dava modo di scorgere un pezzo di paesaggio esterno.

Quante ore aveva passato, lì?

Quando era entrata, rifugiandosi in quella nicchia con la scusa di sistemare le punte dei propri dardi già perfettamente conservati, era poco più che tardo pomeriggio. Forse qualcuno le aveva offerto da mangiare, ma aveva semplicemente negato con la testa senza nemmeno alzare lo sguardo da ciò che stava facendo per vedere chi fosse, totalmente estraniata da qualsiasi cosa le stesse succedendo intorno ed intrappolata nella propria mente.

Aveva lo stomaco chiuso, rigirato su se stesso, ed era sicura che avrebbe vomitato se avesse ingoiato qualsiasi cosa che non fosse acqua.

Susan non aveva pace, preda di una lenta agonia che la stava divorando dall'interno. Come aveva fatto ad essere così stupida? Lei, che solitamente era sempre quella più attenta ai dettagli e riusciva a tenere tutto sotto controllo, come aveva fatto a farsi sfuggire non una, ma ben due situazioni da sotto mano?

Come se non fosse bastato l'evento di Jadis.

Sembrava che tutta la la sua prontezza di spirito si fosse lentamente sciolta fino a scomparire, rendendola solo un fantoccio che si limita a seguire il corso degli eventi senza fare nulla per fermarlo. Susan si sentiva tanto un involucro vuoto, incapace di afferrare il lento scorrere del tempo per inserirsi e lasciare la propria impronta.

Evelyn era scappata, Edmund era l'ombra di se stesso e Peter era inavvicinabile. Come si era arrivati a quel punto? Come aveva potuto lasciare che si arrivasse a quel punto? Per non parlare di Ed, che... che... non riusciva nemmeno a formulare quel pensiero, Sue, sentendo il sangue congelarsi nelle vene ogni volta che ci provava. Come aveva fatto a non accorgersi di nulla?

-Come stai?-

La Pevensie si morse un labbro, strizzando gli occhi quasi fino a farsi male e stringendo la faretra con un tremolio di rabbia.

Era una buona a nulla.

Non era riuscita a fare niente per nessuno e la frustrazione la stava soffocando, accusandola subdolamente di essere un'egoista. Era stata troppo concentrata su se stessa tanto da non accorgersi di ciò che le accadeva intorno, aveva sprecato la giornata a piangersi addosso invece di fare qualcosa per cercare di rimettere a posto le cose.

Ma c'era qualcosa che poteva essere riportato com'era?

-Susan?-

Evelyn molto probabilmente li odiava, per averle taciuto la verità. Susan si era sentita trapassare dai suoi occhi e dall'espressione di delusione che le aveva rivolto fino allo sfinimento, e l'incubo che più volte l'aveva tormentata tempo addietro sembrava aver improvvisamente preso vita. Lo aveva detto, lei, che dovevano dirglielo subito altrimenti sarebbe stato solo peggio.

Lo sapeva, l'istinto glielo aveva gridato, con quella vocina che accompagnava sempre le sue azioni giudicandogliele senza pietà e facendole scattare il sesto senso sempre sull'attenti non appena Peter li aveva messi al corrente della questione. Era una cosa troppo grande perché potessero affrontarla da soli, fare finta di niente e continuare come se niente fosse. E, infatti, non si era sbagliata.

-Susan?-

Sue sussultò, rendendosi conto della mano che le si era posata sulla spalla e la stava scuotendo leggermente per attirare la sua attenzione. Vagò qualche attimo con lo sguardo, mettendo a fuoco la persona che l'aveva affiancata con non poca difficoltà e sentendo la testa preda di una vertigine.

-Caspian...- mormorò, spiazzata dalla sua presenza e percependo il cuore saltarle un battito. Ingoiò a vuoto, distogliendo lo sguardo per concentrarlo nuovamente sulle armi che teneva tra le mani.

-Stai bene?- domandò quello, sedendosi dove poco prima aveva lasciato la faretra senza smettere di fissarla. Susan aveva l'espressione persa, le sopracciglia perennemente crucciate su quel viso altrimenti sempre fiero e imperturbabile. Caspian non l'aveva mai vista in quello stato, nemmeno dopo l'attacco al castello di Miraz. E la cosa lo preoccupava da morire.

Odiava vederla in quel modo e non poter fare nulla, sentiva il cuore stringersi in una morsa e avrebbe solo voluto prenderla tra le braccia per rassicurarla. Ma le sue parole sembravano non raggiungerla. Non del tutto, non nel modo in cui avrebbe desiderato.

 

-Maestro, avete visto i Pevensie?-

Caspian si avvicinò a Cornelius, seduto su una roccia in mezzo alla radura a fissare il cielo plumbeo con aria assorta. L'uomo si portò una delle mani che teneva in grembo a riposizionare gli occhiali sul ponte del naso, donando un'occhiata vispa al ragazzo che gli si era appena avvicinato.

-Tutti o ne cercate uno in particolare?- gli domandò, nascondendo un sorriso sotto i baffi e la lunga barba. Il moro si mosse sul posto, passandosi una mano sui capelli e facendo dardeggiare lo sguardo verso la casa di Aslan. L'aria fredda gli solleticò il collo e sospirò, prendendo posto accanto al suo Maestro sulle rocce ancora umide.

-Penso sia successo qualcosa. Cioè, è successo qualcosa, ma non so cosa. Vorrei aiutare.- disse, guardando l'erba ai propri piedi. Ricordava di aver visto Eve correre via e gli sembrava stesse piangendo, Peter ed Edmund con le espressioni più truci e sconvolte che gli avesse mai letto addosso circondati da una tensione visibile anche per lui che era un estraneo e non li conosceva. Lucy bianca come un cadavere, e Susan... Susan gli aveva fatto paura, gli occhi spiritati mentre mormorava parole sconnesse che non era riuscito a capire. L'aveva accompagnata a dormire perché temeva che gli sarebbe svenuta davanti da un momento all'altro ma non era riuscito a chiudere occhio.

Era successo qualcosa tra i Pevensie, ma non sapeva cosa. Non li aveva mai visti in quel modo, ognuno per i fatti propri, che non guardavano nessuno. Il loro cambio di umore era stato palpabile e repentino, un cambiamento che gli sembrava si sarebbe perfino potuto toccare se solo avesse allungato un braccio.

Caspian si morse l'interno di una guancia, massaggiandosi la fronte per cercare di sciogliere la tensione che percepiva irrigidirgli i nervi e sentendosi addosso il peso del sonno agitato della notte appena trascorsa.

-La Regina Susan è andata da quella parte. Prima però, fareste meglio a rassicurare le truppe, mio Principe.- Cornelius non lo guardò quando alzò di colpo il viso da terra per fissarlo con occhi sgranati, le parole morte in gola, limitandosi a rivolgere il volto verso la direzione che gli stava indicando senza aggiungere altro. Gruppi di Narniani mormoravano tra loro lanciandosi occhiate e alzamenti di spalle, mentre Glenstorm passava tra loro cercando di trovargli un'occupazione ignorando volutamente i Sovrani per non far percepire il velo di perplessità che altrimenti gli si sarebbe letto negli occhi.

Il centauro era bravo a dissimulare, ma non avrebbe potuto fare miracoli contro una folla di Narniani che prima o poi avrebbe chiesto spiegazioni su ciò che stava succedendo.

Il ragazzo si lasciò sfuggire un piccolo sorriso mentre si alzava, posando una mano sulla spalla del vecchio Precettore. Cornelius lo conosceva meglio di quanto pensasse e lo sapeva, ma ogni volta ne rimaneva sorpreso.

-Vi ringrazio, Maestro.-


Caspian ci aveva messo poco, a dispetto di quello che credeva, ad organizzare le attività di quella giornata e dividere i compiti dei Narniani sotto lo sguardo attento di Peter che, però, non si era mai intromesso, limitandosi a fissarlo con la braccia incrociate al petto.

Varie volte gli aveva lanciato delle occhiate, presupponendo che prima o poi avrebbe avuto da ridire su qualcosa come suo solito, ma il Pevensie non aveva mai cambiato espressione. In altre circostanze avrebbe reagito sentendosi orgoglioso del suo operato, ma quel giorno non aveva dato modo a quel sentimento di prendere vita più di quanto fosse minimamente necessario.

La preoccupazione sovrastava tutto il resto.

Peter fissava davanti a sé, la schiena rigida e la mascella serrata tanto duramente da poter scorgere la vena sul collo pulsare, ma era come se non fosse realmente lì, perso in chissà quali pensieri. Caspian lo aveva capito quando tutti se ne erano andati e lui non aveva nemmeno sbattuto le palpebre per accennare un saluto.

Fortunatamente i Narniani si fidavano abbastanza anche di lui da averlo ascoltato senza porsi troppi quesiti, complici quelle giornate che condividevano da ormai più di un mese e che avevano cambiato radicalmente il modo in cui la pensavano sulla sua persona e gli avevano permesso di farsi esperienza concreta.

Se avesse dovuto rapportarsi con gli abitanti di Narnia che aveva incontrato la prima volta non era sicuro di come sarebbe riuscito a gestire quella situazione.

Le persone sospettose, pronte a linciarlo, che gli riservavano sguardi pieni di odio e rancore che l'avevano accolto con dubbiosità avevano lasciato spazio a delle creature amabili, coraggiose e rispettose che non avrebbe mai creduto di poter incontrare prima di quel momento. Non capiva come i suoi antenati avessero potuto compiere atti osceni come dargli la caccia senza tregua arrivando a farli quasi estinguere.

Scosse la testa, Caspian, aiutandosi con un braccio a scostare i rami più bassi che gli ostacolavano la vista del sentiero che stava percorrendo e che Cornelius gli aveva indicato poco prima.

Il suo corpo era come scattato, pungolato dalla sensazione sinistra che potessero esserci dei pericoli, ma quando aveva riconosciuto la direzione verso cui si era diretta Susan si era istintivamente rilassato, ricordando dove portasse quella strada che di poco si allontanava dalla Casa di Aslan ed intuendo volesse passare del tempo da sola.

Proseguì lungo la strada incespicando tra qualche radice, accompagnato dallo scricchiolio del fogliame sotto i calzari e qualche goccia solitaria che gli finiva sul viso cadendo dagli alberi.

Con le fronde che si aggrovigliavano tra loro la giornata sembrava più scura di quello che era in realtà, donando un aspetto fortemente malinconico alla foresta che lo circondava non lasciando passare la luce già flebile. Caspian preferiva di gran lunga le giornate soleggiate, dove il verde della vegetazione risplendeva sotto il sole e si poteva passare il tempo all'aria aperta senza preoccuparsi del maltempo.

In quei momenti si rilassava allenandosi con la balestra o cavalcando con Destriero insieme a quelli che un tempo riteneva fossero i suoi fidati Comandanti, prima che tentassero di ucciderlo rivoltandoglisi contro senza alcun rimorso.

Il Principe calciò un sassolino, scuotendo la testa amareggiato a quel pensiero e tornando a concentrarsi sul presente.

Non aveva senso che rimuginasse ancora su quella storia, aveva già avuto modo di buttare fuori il rancore e l'incredulità che gli aveva lasciato con il proprio Maestro dopo averlo salvato dalle prigioni, esplodendo in una serie di insulti e gesti stizziti che Cornelius si era guardato bene dal rimproverare.

-Susan?-

La vegetazione si diradava attorno a lui sempre più frequentemente, facendolo sbucare davanti a quel fiume che settimane prima era stato testimone di una delle loro prime conversazioni. Ricordava come la ragazza si fosse immersa nella quiete di quel posto assaporando con malinconia la Narnia che aveva conosciuto millenni addietro.

Non gli fu strano, quindi, che fosse tornata lì in cerca di solitudine.

-Susan?- riprovò, scostando uno degli ultimi rami e piantando lo sguardo sguardo sul piccolo spiazzo in cui era finito. L'erba incolta portava ancora in segni della pioggia, inumidendogli le punte degli stivali mano a mano che vi camminava attraverso, l'acqua del fiume scorreva placida ma Caspian notò di come fosse visibilmente ingrossato in certi punti e del fango lungo la riva. Probabilmente spesso usciva dagli argini quando pioveva troppo.

-Che ci fai qui?-

Il Principe si voltò di scatto, interrotto nei propri ragionamenti, facendo dardeggiare lo sguardo finché non si scontrò con la figura della Pevensie. Era seduta sul tronco di un albero a vari metri di distanza, leggermente nascosto dalla vista altrui grazie a dei cespugli che gli erano cresciuti tutt'attorno formando una fitta rete di fogliame e rami più o meno filiformi.

Sue lo guardava con la fronte crucciata, lo sguardo particolarmente spaesato che lo raggiungeva attraversando le ultime diramazioni coperte da foglie ancora acerbe e una mano tenuta sopra il seno che stringeva quel poco di stoffa che riusciva a trattenere, il petto che si muoveva più veloce del solito.

Si era spaventata.

Caspian sentì la gola seccarsi immediatamente al pensiero, un profondo senso di disagio che gli diede la consapevolezza di aver fatto una cavolata a raggiungerla dal cenno del capo che lei gli fece per invitarlo a parlare. Boccheggiò un paio di volte, azzardando alcuni passi particolarmente misurati per colmare il vuoto lasciato dalla domanda a cui non aveva ancora risposto.

Sospirò, raggiungendola, senza il reale coraggio di prendere posto accanto a lei. Solo in quel momento si rese conto di poter essere di troppo. Di non essere gradito.

Susan continuava a guardarlo con occhi sgranati senza staccargli gli occhi di dosso, come se volesse trapassarlo da parte a parte, lasciandogli la strana sensazione che la stesse turbando.

Caspian evitò di ricambiare, tirando le labbra e lanciando un'occhiata ai dintorni per sincerarsi non ci fosse alcun pericolo – in realtà, le pattuglie avevano già passato quella zona per assicurarsi che nessun Telmarino si avvicinasse al loro rifugio, anche se era improbabile riuscissero a passare il fiume prima di aver terminato il ponte. Specialmente dopo il temporale della notte prima.

Tornò a fissare la Pevensie, stringendo i pugni, deciso a non cedere di fronte all'evidente riluttanza che vi leggeva nei suoi confronti.

-Sono venuto a cercarti. Cosa c'è che non va?- domandò, imponendosi di dare un tono neutrale alla propria voce. Moriva dalla voglia di sapere cosa fosse successo tra quei ragazzi sempre uniti, ma ancor più sentiva il bisogno di dimostrare la propria vicinanza a quella ragazza che gli aveva lentamente rubato il cuore, ricambiando il sostegno che gli aveva offerto quando lui stesso si era trovato in preda ai propri problemi.

Si rese conto che gli avrebbe dimostrato anche più di quello, Caspian, se solo lei glielo avesse permesso.

Era pronto a fare di tutto per Susan, tutto ciò che riteneva necessario per aiutarla, sostenerla, confortarla e starle vicino, non importava la situazione. Tutto ciò che riteneva necessario per poterla amare, perché mai si era sentito così legato ad una persona e desiderava dimostrarle quanto anche la sua sola presenza lo facesse stare bene, calmandolo nel profondo senza fargli sentire la necessità di cercare altro – come se avesse tutto, anche se non aveva proprio niente.

Il moro respirò pesantemente, colpito dalla potenza dei propri pensieri e sedendosi accanto a Sue in un gesto impulsivo che non riuscì ad evitare. La vide mordersi un labbro, distogliendo lo sguardo da lui per puntarlo ai propri piedi.

Qualcosa nella sua espressione era cambiata, facendola tendere come una corda di violino.

-Io... non sono nella posizione, forse, per entrare così nel privato. Però sai che poi parlare con me. Di qualsiasi cosa.- buttò fuori, cercando di imprimerci tutta la sincerità che riuscisse a tirare fuori esortandola ad aprirsi con lui. Susan annuì distrattamente, lanciandogli un'occhiata così veloce che pensò di essersela immaginata.

Restarono in silenzio per vari minuti, Caspian osservando il lento scorrere del fiume mentre percepiva con la coda dell'occhio Susan torturarsi le dita delle mani trattenendo la voglia di parlare nuovamente imponendoselo con la forza. L'unica cosa che poteva fare era aspettare, dimostrandole con pazienza che di lui si poteva fidare.

-È successa... ieri sera è successa una cosa.- quello di Sue fu solo un mormorio borbottato senza reale intenzione di farsi sentire, forse più per la voglia di buttare fuori a voce quello che continuava a girarle per la testa che per volerne effettivamente parlare con qualcuno. Caspian lo intuì da come non lo stesse guardando, continuando ad osservarsi le mani come se stesse ragionando da sola, gli occhi persi in qualcosa che gli era ancora negato e di cui aveva sentito solo delle frasi confuse.

Fece per dire qualcosa, ma s'interruppe vedendo le spalle della Pevensie scosse da un tremito, rimanendo congelato sul posto con un terrore che gli si annidò nello stomaco.

Stava piangendo?

-Io e i miei fratelli abbiamo litigato... per una questi__ no, per due questioni.- Susan tirò su con il naso, percependo gli occhi pizzicare ed odiando se stessa. Non avrebbe dovuto cedere, non avrebbe dovuto lasciarsi andare. Non così, non davanti a Caspian, con cui cercava di mantenere sempre un'immagine formale e rispettabile... era per quello che se n'era andata, in modo da potersi permettere di riversarsi addosso tutte le sensazioni che sentiva, tutte le colpe che le pesavano sul cuore senza preoccuparsi dei giudizi altrui, di risultare una povera ragazzina da compatire.

In modo che la fragile Susan, la spaventata Susan potesse emergere, travolgendola con il mare di emozioni che si agitavano sotto la superficie e lasciando che la lasciassero stravolta, stanca, vuota. In modo da non sentire più nulla, come il silenzio spettrale lasciato dopo lo scoppio di una bomba.

-Litigare è normale...- provò a dire Caspian, mordendosi la lingua quando la vide roteare gli occhi al cielo. No, di sicuro dalle reazioni di tutti non era un litigio normale, lo poteva dire pure lui che era figlio unico e non ne sapeva nulla dei rapporti tra fratelli e sorelle.

Represse un brivido, non sapendo bene cosa aspettarsi.

-Per quello Evelyn è scappata?- azzardò, rilassandosi sul tronco per cercare di alleviare la tensione che percepiva avvolgerlo. Per l'ennesima volta la Pevensie si limitò ad annuire, esprimendo un'espressione amareggiata che le increspò la bocca in una smorfia.

-Sei preoccupata?- Susan sospirò, battendo le palpebre un paio di volte e passandosi una mano tra i capelli, cercando di cullarsi con il rumore dell'acqua poco distante.

-Si... e no. Con lei ci sono Dhemetrya, Lia e Antares.- e la sentì, la propria voce, vibrare di risentimento a quei tre nomi che articolò con un groppo in gola mentre ne ricordava l'aspetto. Le costava ammetterlo, ma loro, in quel momento, erano molto più vicini ad Evelyn di quanto avrebbero potuto esserlo lei e i suoi fratelli, e la cosa la lasciava con l'amaro in bocca e qualcosa che le pungolava nell'anima, rendendola inquieta.

La Pevensie si ritrovò divisa, consapevole dell'ambivalenza di emozioni che stava provando. Se non altro, Evelyn non era da sola, consapevole che né le né nessun altro di loro avrebbe potuto fare qualcosa, probabilmente. Non Peter, troppo preso dalla propria rabbia, non Lucy... nemmeno Edmund, nonostante il sentimento che diceva di provare, probabilmente sarebbe stato in grado di raggiungerla.

Il respiro di Susan tremò a quel pensiero, congelandola sul posto come se si fosse trovata di fronte un nemico da affrontare.

Edmund ed Eve...

Chiuse gli occhi, turbata, scuotendo la testa e percependo una sensazione di disagio.

Nemmeno lei sarebbe stata in grado di trovare le parole adatte per farsi ascoltare, nelle condizioni in cui era, perché oltre al senso di colpa che la stava tartassando non avrebbe potuto impedirsi di guardare sua sorella in faccia risentendo nella testa le parole di Edmund.

Susan s'infossò nelle spalle, sentendosi sperduta senza la propria lucidità che l'aveva sempre aiutata a ragionare mantenendo il sangue freddo.

Troppe cose, erano successe troppe cose.

Lei li aveva visti crescere, insieme, li aveva sempre avuti sotto gli occhi... e non si era mai accorta di niente. Che stupida. Che stupida che era stata. E quanto dolore dovevano aver subito, prima di quel momento? Da quanto andava avanti quella storia? Tutto ciò che sarebbe stato diverso, se avessero detto ad Eve la verità fin dal principio?

Strinse le mani a pugno, mordendosi l'interno di una guancia per cercare di dare una calmata ai propri pensieri. Non sarebbe cambiato niente, probabilmente. Ne sarebbe stata scossa allo stesso modo.

Che Edmund ed Evelyn provassero dei sentimenti l'uno per l'altra... non sapeva se fosse una cosa che avrebbe mai potuto accettare.

-Eve ha scoperto che non è nostra sorella di sangue.- spiegò, intercettando l'occhiata che le stava ancora rivolgendo Caspian. Lo vide aprire la bocca con stupore, per poi annuire come se avesse intuito la portata di quella verità e perché la ragazza si fosse arrabbiata tanto da scappare.

Non era una cosa da poco, effettivamente.

-Questo però non cambia le cose per voi, giusto?- Susan annuì, tornando a guardarlo per un breve istante e indurendo lievemente i tratti.

-Ovviamente. È cresciuta con noi, le vogliamo bene e non ci importa. Siamo una famiglia.- avrebbe desiderato che anche Evelyn sentisse quelle parole che non era riuscita a dirle. Che non importava. Non importava da dove venisse, o la storia che aveva raccontato Lia la sera prima, le sue fantomatiche origini.

Non aveva mai avuto importanza, per nessuno di loro.

Ma per Evelyn? Per Evelyn importava, eccome. Dopotutto si trattava della sua persona e loro tacendo era come se avessero deciso per lei, relegando la cosa lontano come se fosse di poca utilità quando, guardando in faccia la realtà, non era poi così. La presenza di Lia, Antares e Dhemetrya ne era una prova. Era una cosa più vicina di quanto avessero potuto immaginare e ormai li stava colpendo senza che potessero impedirlo.

Erano stati stupidi a sottovalutarla solo per il sentimento che provavano nei suoi confronti, pensando che fosse più forte di qualsiasi altra cosa e avrebbe potuto superare qualsiasi situazione. Che avrebbe potuto combattere il destino.

-C'è dell'altro?- domandò il moro, inclinando leggermente la testa e rivolgendole un breve accenno di sorriso per cercare di regalarle un po' conforto. Susan tirò le labbra, non sentendosi contagiata da quella serenità fittizia.

-È una storia complicata, ma sembra che Eve sia in qualche modo collegata a Narnia e a degli spiriti chiamati Guardiane... che ne sia una sorta di incarnazione. Cornelius ti ha mai detto nulla a riguardo?- domandò, improvvisamente incuriosita, ricordando di come il Maestro sembrasse ben informato sulla storia di quelle terre.

Caspian rimase un attimo spaesato, soppesando quelle parole senza capirne appieno il collegamento con la Pevensie.


Reincarnazione?


-Non che io ricordi, ma posso chiedere.- il Principe provò un moto di curiosità a quella storia, suo malgrado attirato come tutte le volte in cui il suo Precettore gli apriva davanti un libro colmo di leggende e si prestava a raccontarne gli aneddoti e a rispondere alle sue domande. Quella era, effettivamente, una storia nuova.

Arricciò il naso, non capendo da dove saltasse fuori e osservando la ragazza di fronte a sé che si era nuovamente rinchiusa nel suo mutismo. Susan era ancora bianca in viso, con gli occhi lucidi per le lacrime che faticava a trattenere circondati da profonde occhiaie e l'aspetto scompigliato di chi non ha passato delle ore serene.

Allungò una mano, prendendogliene una e passandole il pollice sul dorso, in una mero gesto di consolazione che la lasciò per un qualche secondo immobile. La vide mordersi un labbro e strinse la presa, impaurito che decidesse di allontanarsi per nulla intenzionato a interrompere il contatto.

-Sono certo che per lei sia stato un duro colpo.- fu la sua semplice constatazione, immaginando come dovesse essersi sentita Eve e capendo perché tutti i Pevensie fossero come alienati da ciò che gli stava accadendo intorno.

-Ma... come ha fatto a scoprirlo? Avete deciso di dirglielo?- domandò, corrugando le sopracciglia e domandandosi interiormente il perché di quel gesto. Perché far saltare fuori la verità in un momento così delicato, con una guerra alle porte? Non aveva senso. Peter la pensava meglio di così, non se lo immaginava rischiare di buttare all'aria tutto intraprendendo un discorso così delicato senza che pensasse alle conseguenze che avrebbe comportato.

Susan s'irrigidì visibilmente, allontanandosi di qualche centimetro dal corpo del Principe. Giocherellò con i capelli, attorcigliando una ciocca intorno ad un dito, soppesando la situazione e percependo nuovamente un fastidio alla bocca dello stomaco.

-Beh, ecco...- non sapeva quanto avrebbe potuto dire a Caspian, quanto quella verità di cui era venuta a conoscenza solo da poche ore avrebbe influito sul suo giudizio nei loro confronti. Non voleva che il ragazzo che le stava accanto iniziasse a pensare male dei suoi fratelli, solo perché lei non riusciva ad affrontare la situazione da sola senza sentire il bisogno di aprirsi con lui, che la guardava in quel modo così dolce che le faceva suo malgrado sciogliere il cuore.

-Non fare così, dai. Puoi dirmi tutto, sono qui per te.- Susan si accorse di avere iniziato a piangere solo quando la prima lacrima le scivolò lungo il viso fino a finirle sul dorso della mano. Sbatté gli occhi, osservando l'ambiente circostante divenire sempre più offuscato e un nodo in gola bloccarle qualsiasi tentativo di scuse che volesse dire.

-Peter ha visto Edmund ed Evelyn che... che si... si ba_ baciavano.- singhiozzò un paio di volte, passandosi la mano libera sugli occhi per cercare di ritrovare un minimo di contegno. Ebbe solo il potere di iniziare a piangere più forte.

-Ah.- fu tutto ciò che uscì dalle labbra di Caspian, e Susan tra la sofferenza che le stava procurando tutta la situazione, sentì pizzicare il germoglio del pentimento per averglielo raccontato.

Il moro rimase in silenzio, guardandola cercare di fermare le lacrime e tirare su con il naso, provando a nascondere il viso arrossato alla sua vista voltandolo il più possibile dall'altra parte per non dover incontrare i suoi occhi.

-Immagino si sia arrabbiato, e poi... sia saltata fuori la storia di Eve?- azzardò, ricordando di aver sentito Edmund e Peter urlare nella sala della tavola spezzata. Le cose iniziavano ad avere un loro senso.

Susan represse un brivido, riportando a galla le espressioni dei due fratelli e le frasi che erano volate senza riflettere.

-Non so cosa fare.- mormorò, e un ennesimo tremito le scosse il corpo. Si portò entrambe le mani al viso, tremando visibilmente per i singhiozzi, spezzandosi sotto il peso del dolore.

-Non so cosa devo fare...- ripeté, sentendosi totalmente incapace di far fronte a quella cosa. La stava distruggendo. La stava annientando. L'idea che Eve non volesse più parlarle, l'idea che avrebbe dovuto rinunciare a un componente della sua famiglia... era qualcosa che la terrorizzava, che le prendeva il cuore sbatacchiandolo da tutte le parti senza ritegno.

Lei viveva per i suoi fratelli.

Caspian l'abbracciò, spiazzato da quel pianto sommesso e  reprimendo la sofferenza che vederla in quello stato gli stava procurando, la vista della ragazza chinata su se stessa che gli s'imprimeva con crudezza nella mente.

Troppo presa dai propri pensieri per cercare di mantenere quella distanza necessaria che aveva sempre cercato di imporre tra loro non s'irrigidì nemmeno né ebbe alcuna reazione.

Tirò le labbra espirando pesantemente, sentendola tremare tra le proprie braccia, rivolgendo uno sguardo al cielo ancora plumbeo.

-Andrà tutto bene... andrà tutto bene, vedrai.-


-Mi spiace per stamattina, non volevo tediarti con i miei problemi.-

Caspian strinse le labbra per cercare di scacciare il senso di impotenza che percepiva, occhieggiando i dintorni e notando Lucy insieme al suo Maestro e scorgendo distrattamente Dhemetrya che correva fuori dal rifugio senza guardare nessuno.

Non ci aveva capito molto, di quello che era successo, e ancora faticava a dare un senso concreto alle spiegazioni che gli aveva dato Susan – ma, a giudicare da come stava, non era solo un suo problema.

-Non dirlo nemmeno, lo sai che non devi preoccuparti.- disse, tornando a fissarla e sedendosi accanto. Tirò fuori la sua spada e una pietra da un sacchettino che portava attaccato alla cinta dei pantaloni, mettendosi a lisciare la lama per passare il tempo.

Restarono in silenzio per un po', ognuno perso nei propri pensieri, senza la presunzione di parlare di nulla. Sarebbero state solo parole sterili, inutili, e lo sapevano benissimo entrambi.

La Pevensie finì di sistemare le ultime frecce, ascoltando le vibrazioni stridenti provenire dal ferro che sfregava contro il sasso e scorgendo il moro concentrato sul proprio lavoro, la fronte crucciata, lo sguardo penetrante sulla spada che teneva tra le mani e  il corpo leggermente protesto in avanti, i muscoli tesi per lo sforzo.

Il Principe non le aveva più detto nulla dopo il suo sfogo, limitandosi ad accompagnarla al rifugio quando si era calmata nuovamente e non ritirando più fuori quella storia né facendo domande scomode o imbarazzanti, immergendosi negli allenamenti delle truppe. La discrezione che aveva mostrato era qualcosa che l'aveva colpita profondamente, facendole intuire quanto di buon cuore fosse il Telmarino che le stava affianco a dispetto dei pregiudizi che si potevano avere sulle sue origini e che per vari giorni dopo averlo conosciuto le erano sempre tornati in mente.

Sorrise leggermente, sentendo uno strano calore all'altezza del cuore alleviarle il magone che sentiva.

-Grazie, Caspian.-


***


“Ma dove sei finita?”

Dhemetrya s'inerpicò su un ramo, saltando tra un albero e l'altro con dei movimenti precisi e veloci e finendo con il saltellare sulle radici nodose che uscivano dal terreno come se fosse un'equilibrista. La sua sagoma esile e longilinea coperta dagli abiti scuri si mimetizzava perfettamente con il fitto della vegetazione, se non fosse stato per il bagliore degli occhi blu che si sarebbe distinto anche nell'oscurità più nera.

Erano sempre stati magici, velati da una luce che li faceva brillare come se fossero due fiamme di fuoco fatui, ma nelle ultime ore Dhem li sentiva cambiati, più vispi ed attenti ai movimenti della foresta mentre saettavano da una parte all'altra con trepidazione. Piccoli segnali del cambiamento che si era messo in moto.

“Sto arrivando, quante storie per un po' di freddo.”

Scosse la testa, tirando le labbra in un sorrisino che si costrinse a non fare e scendendo dai rami cambiando direzione drasticamente per essere sicura di non venire seguita.

Verso sera avevano convinto Eve a cambiare posto ed erano già un paio di volte che faceva avanti e indietro dal rifugio per andare a prendere vestiti puliti, qualcosa da mangiare e con cui bendarle le ferite, evitando accuratamente di incrociare qualcuno dei Pevensie e sentendosi tanto una ladra, mentre rovistava tra i bauli e le scorte mediche raggruppate su un piccolo scaffale trafugando ciò di cui aveva bisogno.

Non era stato un compito facile, comunque, trascinarsi dietro la Regina: Evelyn si era rifiutata molte volte prima che la convincessero, passando dalla rabbia al pianto e tutta un'altra gradazione di emozioni che non erano riusciti a fermare insieme alla sequela di domande ed obiezioni a cui non sempre erano stati in grado di dare delle risposte soddisfacenti.

Più di tutte, era stato difficile spiegarle il loro collegamento con Ahislyn, perché se davvero ci tenevano così tanto per Eve, cresciuta in una famiglia così unita dove nessuno veniva lasciato indietro e si faceva quanto più possibile per aiutarsi, era impensabile che l'avessero lasciata andare senza fare nulla, loro che ne ne erano sorella e guide, nati con lo scopo di aiutare e sostenere e vivere un'eternità serena in quel mondo a cui erano profondamente legati.

E invece era successo.

Perché se Ahislyn avesse continuato a vivere profondamente sofferente e turbata Narnia avrebbe finito con il pagarne il prezzo. E la Guardiana lo sapeva bene, quel dettaglio su cui si basava tutta la sua esistenza.

Ma era successo anche qualcosa di diverso. Loro non erano scomparsi con lei, finendo relegati in una vita di attesa, come se dovessero scontare la pena per aver fallito nel loro compito. Ed erano passati più di mille anni.

Non sapendo cosa dirle e come riuscire a fare breccia nella corazza di sospetto con cui si metteva a guardarli in quei momenti avevano finito sempre con il cedere, lasciandola sbollire senza insistere troppo e limitandosi a scambiarsi delle occhiate mentre si perdeva nei propri pensieri e probabilmente rimuginava sulle informazioni avute nelle ultime ore.

Non potevano permettersi che si rendesse inavvicinabile anche a loro, non in quello stato sbilanciato in cui versava.

Dhemetrya percorse gli ultimi metri che la dividevano dal luogo designato camminando, stringendo la borsa che portava a tracolla a sé ed osservando la piccola radura aprirsi davanti ai suoi occhi. Al centro vi stava un grosso albero secolare e dietro di esso una serie di cespugli cresciuti su un cumulo di rocce, occludendo alla vista di estranei l'entrata per una piccola nicchia probabilmente usata come rifugio anni addietro e che avevano deciso di sfruttare per quell'occasione.

Posò la mano sulla corteccia, lasciandosi cullare dalla ventata di aria che la salutò passando tra le fronde e rivelandole il cielo della sera ormai inoltrata distinguibile tra le foglie che vennero smosse. Dhem osservò il tappeto blu scuro sempre più fitto di puntini luminosi, così diverso da quello della sera precedente da darle un sollievo che le fece quasi male al cuore.

Narnia...

“Dove siete?”


La ragazza si guardò intorno, provando a scorgere le due figure che stava cercando affilando lo sguardo per metterle a fuoco tra la foresta illuminata dal chiaro bagliore lunare, portando istintivamente una mano al pugnale che le pendeva al fianco con un gesto automatico.

“Girati.”


Vide un fruscio tra i rami e lanciò la sacca con un movimento deciso, facendola volare fin oltre il bordo dello spiazzo e finendo per incastrarla tra alcuni rami.

Sospirò, incrociando le mani al petto ed attendendo con le braccia incrociate, appoggiata mollemente al tronco dell'albero secolare, perdendosi ad osservare il cielo ed incanalando la calma che percepiva provenire da quel luogo accarezzarle la mente. Era come se avessero trovato un pezzo di terra racchiuso in una bolla – e dopo la notte prima era quasi un miracolo.

Chissà se era perché...

-Dhemetrya... dove sono Lia e Antares?- la Narniana staccò la schiena dal tronco, occhieggiando Eve e poi i dintorni, non sapendo cosa rispondere e torturandosi le dita nascoste dietro la schiena. Ne studiò il viso ancora emaciato e gli occhi arrossati, i graffi che iniziavano ad essere meno visibili e i capelli raccolti in una mezza coda.

Dhem si umettò le labbra, sentendosi trapassare dal tono indagatore con cui le aveva parlato, non riuscendo a sostenere lo sguardo spaesato che le stava rivolgendo e lanciando una veloce occhiata di lato.

-Sono... ecco, loro...-

-Non sono andati a chiamare qualcuno dei miei fratelli, vero?- la mora portò le mani in avanti, staccandosi del tutto dall'albero per fronteggiare Evelyn e l'espressione a metà tra l'indignato e l'offeso che stava rapidamente mettendo su.

-No! No, figurati, non lo faremmo mai.- con tutta la fatica che avevano fatto per non far cacciare via anche loro l'ultima cosa che volevano era farle qualche torto. Sapevano benissimo quanto volesse rimanere da sola e non potevano far altro che rispettare quel desiderio. Anche se quella situazione sarebbe dovuta essere risolta il prima possibile. Ma potevano aspettare ancora un po'.

-Siamo qui.-

Evelyn sguainò istintivamente la spada, facendo un paio di passi indietro tirandosi dietro Dhemetrya dopo averla affettata brutalmente per una manica e puntando l'arma verso le due figure sbucate dal nulla. Non si era nemmeno accorta della loro presenza.

Che cosa ci facevano due umani nel fitto della foresta di notte?

-Chi siete? Cosa volete?- sbraitò, gli occhi ridotti a due fessure, mettendosi davanti alla ragazza e sventolando la lama per non farli avvicinare maggiormente in gesti sconnessi. Il suo sguardo mutò rapidamente, passando dallo frastornato al sospettoso nel giro di qualche attimo, relegando i pensieri che l'accompagnavano in un angolo della mente per riacquistare la lucidità necessaria.

-Calma, calma!- portò le mani avanti l'uomo, mettendosi di fronte alla compagna come se dovesse difenderla. Eve ringhiò tra i denti notando il cipiglio divertito con cui la stava guardando, sentendosi profondamente frustrata dinanzi a quella sfrontatezza e al sorriso sghembo che le stava rivolgendo.

-Aspetta!- si mise in mezzo Dhemetrya, ignorando il pizzicore al braccio che le aveva lasciato la Pevensie. La vide scuotere leggermente il capo, stizzita, non capendo quel suo comportamento e continuando a lanciare delle occhiate palesemente contrariate alle spalle della Narniana. Dhem posò la mano sulla lama, in un tacito ordine di abbassarla, ricanalizzando l'attenzione di Eve su di sé.

-Sono... loro sono Lia e Antares.- sussurrò, spostandosi leggermente per permetterle di osservarli meglio. Evelyn corrugò la fronte, analizzando le due figure appena sbucate dal bosco strizzando lievemente gli occhi per la fatica. Sentiva la testa scoppiare.

No, non era possibile.


-Tu menti.- fu la sua constatazione, lanciando un'occhiata di sbieco alla ragazza accanto a lei per tastare la sua reazione. Quante cose le stavano tenendo nascoste ancora?

Dhemetrya sussultò a quelle parole, roteando gli occhi al cielo e costringendosi a non farci troppo caso, mordendosi un labbro per la fitta di sofferenza che le diede sapere che non si fidava abbastanza da crederle sulla parola. Ci mancava solo quello.

-Siamo noi, Eve. Davvero.- la Pevensie tornò a guardare la ragazza che aveva appena parlato, riconoscendo nel tono pacato di voce con cui le si era rivolta qualcosa di estremamente famigliare.

Ne studiò la figura formosa, il seno coperto da un pezzo di stoffa che le lasciava pancia e spalle scoperte e la gonna che dai fianchi le arrivava ai piedi scalzi, i capelli ricci lunghi oltre la vita e il viso rotondeggiante, fissandosi poi sugli occhi. Smeraldi che brillavano su un viso diafano e che le ricordarono terribilmente il verde delle calde giornate primaverili.

L'essenza più pura della terra.


-Lia?- domandò, sentendo la gola secca e il fiato venirle meno. Com'era possibile? Cosa stava succedendo? Evelyn si ritrovò a fissare la ragazza – Lia. Quella era Lia? – senza riuscire a muovere un muscolo, riconoscendo nel fondo dell'occhiata penetrante che le stava restituendo la silenziosa sicurezza che le aveva sempre comunicato con la sola presenza fin dalla prima volta che si erano incontrate.

-Deve essere per quello che è successo ieri. In qualche modo la magia di Narnia deve aver reagito facendoci tornare normali.- soppesò l'uomo, portandosi una mano al mento e sfoggiando un'espressione pensierosa che gli indurì i tratti già marcati.

La Pevensie si ritrovò suo malgrado a studiarlo, soffermandosi sul petto scoperto e passando poi ad osservargli il viso reprimendo un brivido per l'imbarazzo. Aveva gli occhi chiari, le sembravano castani, ma brillavano di una luce diversa che non riusciva a mettere a fuoco da quella distanza a causa dell'oscurità, la mascella ben delineata come i muscoli delle braccia ed i pettorali.

Eve si domandò tacitamente se non avessero freddo, semi nudi nella notte settembrina con i primi venti autunnali che iniziavano a muoversi per Narnia.

Fece passare lo sguardo sulle tre figure che le stavano davanti, analizzandoli con cipiglio critico e sentendo qualcosa di strano invaderle la cassa toracica. Le sembrava di essere lì, ma non essere effettivamente lì, come se guardasse la scena dall'esterno.

Tre ragazzi, tre... Narniani?

-Certo che potevi trovarci qualcosa di meglio.- borbottò l'uomo – Antares, era Antares –, ed Eve si accorse con uno sguardo più attento al suo viso che in realtà non dimostrava più di una trentina d'anni. Lo vide portarsi le mani a stringere la stoffa dei pantaloni strappati che indossava, tastandone il tessuto rigido invitando Dhemetrya a fare lo stesso in una tacita lamentela.

-Ho cercato di fare prima che potevo. La prossima volta ti lascio nudo.- commentò, acida, alzando un sopracciglio con stizza e posando una mano sul fianco, per nulla intenzionata a dargli corda.

-Per Aslan, anche no.- la mora lanciò un'occhiata sbieca verso la riccia, che aveva strabuzzato gli occhi. A Eve sembrò fosse arrossita e la trovò tenera senza nemmeno riuscire a capirne il motivo. Sembrava una bambola, con i capelli che le ammorbidivano i tratti già pieni e gli occhi grandi, come se all'interno vi fossero incastonate due pietre preziose, salvo poi avere un corpo florido e decisamente femminile coperto da una stoffa che le ricordava quella dei sacchi in cui ci mettevano le scorte di cibo e che ne sottolineava le curve.

Accanto a Dhemetrya quella differenza abissale di corporatura tra le due si notava ancora di più, donando a Lia un aspetto decisamente più maturo, trasposizione fedele della sua personalità.

Eve fece un paio di passi in avanti, cercando d'ignorare la soggezione che le metteva addosso essere osservata da due volti nuovi.

Era abituata agli occhi freddi di Lia, azzurri come il ghiaccio che si formava sui rami degli alberi in inverno, e vederla con quei due smeraldi che sembravano sprizzare vitalità da ogni parte la lasciava sconcertata, non riuscendo ad attribuirla ai modi posati con cui si esprimeva.

Per non parlare del perenne ghigno sul volto di Antares. Era quello stato sempre più taciturno, con cui aveva avuto modo di confrontarsi meno, ma così... Evelyn si morse un labbro, lanciandogli una breve occhiata mentre  incrociava le braccia al petto, assumendo una posa ben piantata nel terreno e marcando i muscoli delle braccia.

Tutto in lui gridava sfrontatezza, esplosività, forza. Sembrava tutt'altra persona, così diversa dall'animale mansueto in cui era stato relegato.

Nel giro di una giornata tutto sembrava cambiato, esattamente come repentino era stato lo sconvolgimento che in poche ore le aveva ribaltato la vita, spazzando via tutte le certezze che aveva avuto per anni.

Per quanto Eve avesse cercato di aggrapparsi come una disperata ai rimasugli di quella quotidianità che era rimasta, ai pochi volti che per lei erano l'ultima certezza, ai sentimenti che provava ancora per i suoi fratelli – nonostante tutto, nonostante la ferita del tradimento –, vedere Lia ed Antares in forma umana le diede l'improvvisa consapevolezza che niente sarebbe stato più come prima, che qualcosa si era irrimediabilmente spezzato, esattamente come si era sentita rompere qualcosa direttamente nell'anima la sera precedente.

Sentì una stretta allo stomaco che le diede degli spasmi dolorosi.

Niente sarebbe stato più come prima. Nemmeno lei.




















































































































Ciao a tutti. :)
Ad ogni capitolo ce n'è una nuova, eh? Come potete notare, sto cercando di tirare le fila di un po' tutte le reazioni, nel prossimo capitolo si faranno un paio di punti della situazione. Se riesco cercherò di mantenere gli aggiornamenti nella prima settimana del mese. In base alla scaletta, inoltre, mancano una quindicina di capitoli alla fine - massimo venti. La strada è ancora lunga ma inizia a intravedersi una fine - spero!
Se avete voglia fatemi sapere cosa ne pensate di come sta procedendo il tutto, sono sempre aperta a nuovi pareri. Ringrazio chi legge, segue, preferisce e ricorda e chi è ancora qui dopo tanti anni.
Love, D. <3


   
 
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