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Autore: FDFlames    05/07/2020    0 recensioni
La Valle Verde era sempre stata un luogo pacifico, abitata da persone umili e semplici - contadini, pastori e mercanti. Ma è proprio la loro ingenuità che il malvagio Lord Vyde intende sfruttare.
Stabilitosi all'estremo ovest, è riuscito ad unire i clan belligeranti sotto l'unico simbolo e nome di Ideev. E ora gli Ideev, come edera su un albero, si arrampicano sulla Valle Verde, soffocando la vita e la libertà.
Aera non intende sottomettersi. Spinta dal suo coraggio, dall'amore per il suo clan, e dal desiderio di giustizia, decide di intraprendere un pericoloso viaggio, che la porterà dritta nella tana del suo nemico. Ed è disposta anche al sacrificio, pur di restituire al suo mondo la libertà.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con
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Capitolo Diciotto

Il sentiero continuava a salire, sempre più ripido, e i viaggiatori erano stanchi.
Aera non poteva fare a meno di osservare meravigliata la natura che la circondava; il suo sguardo era alla ricerca di fiori selvatici che andavano dal rosso più sgargiante al viola e al lilla più leggeri.
In realtà i suoi erano solo vani tentativi di distrarsi dal senso di colpa che provava ogni volta che davanti a sé vedeva solo tre dei quattro Ideev che avevano intrapreso quel viaggio insieme a lei e Reyns; si riteneva la responsabile della morte di Gatto.
Ad un certo punto, quando il gatto adottato da Ridd, stanco di stare al passo dei primi della fila, le venne incontro miagolando, non poté evitare di rivolgere il pensiero all’uomo che era stato ucciso solo per averla protetta.
«Quindi è morto perché non ha detto a Kired dove mi trovavo?» chiese, apparentemente a nessuno, prendendo in braccio il gattino e accarezzandolo mentre il felino faceva le fusa.
Forse l’aveva chiesto proprio a lui, ma non si aspettava una risposta. Il gatto prese a giocherellare con le due treccine di Aera, e la ragazza sorrise, pensando che forse avrebbe dovuto prendere esempio da quel gattino, e tentare di distrarsi, invece.
Capì però ben presto che non ci sarebbe riuscita. Non questa volta.
Anche se il soggetto della frase mancava, Reyns comprese comunque a che cosa Aera si stesse riferendo – forse perché ci stava pensando lui stesso – e le rispose, tentando di tranquillizzarla.
«Non è colpa tua, e in un certo senso nemmeno di Kired e il suo compagno. Tutto ciò che sta accadendo è a causa di Vyde e di chi lo appoggia. Lo hai detto tu stessa, ricordi?»
«Sì...»
«Ebbene, lo credo anch’io, ma gli ordini di Vyde sono questi: ogni ragazza che abbia all’incirca la nostra età e che indossi dei gioielli provenienti dall’Oriente deve essere portata alla fortezza del Lord, il quale saprebbe riconoscere la principessa. Almeno, questo è quello che dicono. Il fatto che noi due ci stiamo dirigendo verso il Lago Rosso di nostra spontanea volontà dovrebbe inoltre essere abbastanza perché Vyde riconosca che la tua identità non coincide affatto con quella della principessa Orientale. Ma dopotutto non importa. Quella di noi due che entriamo dalla porta del suo studio sarà probabilmente l’ultima immagine che i suoi occhi cattureranno.»
Aera colse la sfumatura di qualcosa di malvagio nel sorriso che Reyns le riservò, quando terminò di parlare – sembrava addirittura eccitato all’idea di uccidere. Anche lei stessa era convinta che fosse per una giusta causa, ma l’omicidio di Vyde restava comunque un omicidio.
Era dunque in quel suo sorriso che aveva radice la sensazione che Aera aveva avuto il giorno in cui si erano incontrati, quando le era sembrato che Reyns avesse dovuto soffrire così tanto a causa degli Ideev che aveva accettato senza pensarci due volte di partire insieme a lei per andare a morire? Era in quel preciso momento che il dolore si era tramutato in odio, in rabbia, e successivamente in bisogno di reagire?
O era stato qualcosa di graduale? Una lunga guerra, combattuta da innocenza e istinto dentro di lui? Chi aveva vinto? O meglio, chi stava vincendo?
Forse l’avrebbe spaventata scoprire che nemmeno Reyns ne aveva idea.
Aera non sapeva che cosa rispondere; era stata rapita dalle parole di Reyns. Ad un tratto, però, le tornò in mente una questione che era rimasta in sospeso. Doveva tenere a freno l’orgoglio, ma aveva i suoi sospetti. «Reyns,» si rivolse a lui, «Ho una domanda, riguardo alla mia collana.»
Il ragazzo si voltò verso di lei; il timido sorriso che era incapace di nascondere tradiva il suo sguardo deciso.
«Sembra molto importante, anche per gli abitanti della Valle Verde.» continuò Aera.
«Certo, l’aquila simboleggia la forza e la ricchezza. D’animo, ma anche materiale. Probabilmente i tuoi genitori facevano parte di una famiglia abbastanza illustre, per potersi permettere di lasciarti quel simbolo senza cadere in disgrazia, invece, i miei...»
Mostrò alla ragazza l’umile braccialetto di cuoio intrecciato che portava al polso sinistro. «Non so nulla sull’Est e non sono nemmeno sicuro di venire da lì, ma in confronto ad anelli e ciondoli raffiguranti i rapaci che volano più in alto nel cielo, questo intreccio di fili di cuoio è un insulto all’Oriente!»
«Lo hai da quando sei nato?»
«Da quando ho memoria.»
«E qualcun altro nel tuo clan portava qualcosa di simile?»
«C’erano un paio di ragazzi che portavano collane che assomigliavano al Ciondolo dell’Aquila.»
«Anche delle ragazze?»
Reyns esitò. La risposta sarebbe dovuta essere un sì, ma, da un lato, voleva che Aera sospettasse di essere la principessa Orientale. Se se ne fosse convinta, forse avrebbe rinunciato ad andare a morire, e avrebbe accettato di tornare a Est con lui, di superare le Montagne e tornare a casa. Dentro di sé, aveva più voglia di vivere che di reagire. «No.» disse quindi, abbassando il tono di voce, e un attimo dopo se ne pentì: Vyde non avrebbe dovuto passarla liscia. E poi, se fossero tornati a Est senza averlo fermato, chissà quale sarebbe stata la situazione. Con tutta probabilità, anche peggiore di quella nella Valle Verde. «Voglio dire, sì! Ora che mi ci fai pensare, una ragazza c’era...»
«Davvero?»
«Sì, aveva un anno in più di me. Non riesco nemmeno a ricordare il suo nome...» frugò tra i suoi ricordi, apparentemente senza successo, mentre stava in realtà combattendo con quel nome, irto di spine. Per miracolo vinse, e lo pronunciò. «Ah, sì, era Yohana.»
Ridd si voltò di scatto e guardò Reyns; il messaggio che inviavano i suoi occhi era a metà tra il sentirsi tradito e l’essere confuso. Il ragazzo lo fulminò con lo sguardo, come a chiedergli con arroganza che cosa avesse da guardare, e Ridd assunse un’espressione colpevole. A quel punto Aera, dato che Reyns non la stava più guardando negli occhi, seguì i suoi e notò Ridd.
«Ah...» l’uomo tentò di farsi strada tra i guai, «Ecco dov’era finito, quel gatto!» esclamò, forzando un sorriso e tirando un sospiro di sollievo, indicando il piccolo felino ancora acciambellato nelle braccia di Aera. Era evidente che stesse recitando. «Stavo iniziando a preoccuparmi che volesse lasciarci... In effetti non potrei biasimarlo, se preferisse fermarsi a riposare. È dura, questa salita!»
«Già...» concordò la ragazza, distratta da quel suo comportamento che non riusciva a spiegarsi.
Fiore di rosa... Aveva un nome grazioso, pensò poi, ritornando all’argomento che stava affrontando con Reyns. «Ce l’ha fatta?» domandò, sperando vivamente in una risposta positiva.
«Credo di sì.» disse il ragazzo, «Era davanti a me mentre io e pochi altri attraversavamo lo strapiombo che separava la nostra base dal resto della Valle Verde.» Il suo sguardo ora era perso nei ricordi di quella drammatica notte. «In quel momento ero concentrato a non cadere. Il ponte era stato reso inagibile. Non ricordo esattamente, ma credo che gli Ideev avessero tagliato le corde che lo sostenevano, a monte. O forse a valle, non ne ho idea. Ero stato costretto ad attraversare aggrappandomi una semplice fune, e avevo paura che, da un momento all’altro, uno degli Ideev, vedendomi, decidesse di tagliarla e lasciarmi precipitare nel vuoto. Quindi cercavo di fare il più in fretta possibile, anche se mi facevano male le mani, le gambe... Probabilmente sanguinavo, ma non mi importava. Se qualcuno mi aveva ferito in qualche modo, non ci stavo facendo caso. Ciò che volevo in quel momento era arrivare dall’altra parte, sopravvivere. Mi sforzavo di non guardare in basso, tenevo lo sguardo fisso davanti a me, e davanti a me c’era Yohana. Ricordo i suoi capelli rossi danzare come fiamme, mentre correva verso sud.»
Aera era commossa. Ora capiva perché Reyns fosse arrivato a voler dimenticare quel nome: faceva male. Ferisce sempre vedere soffrire le creature più belle.
«Comunque io sono corso verso ovest. Immagino che Yohana fosse alla ricerca di un punto da cui poter attraversare di nuovo gli strapiombi, per raggiungere l’Oriente. Voglio credere che ora sia tornata a casa. E voglio credere che la principessa sia proprio lei.»
«Vuoi credere anche se tu stesso hai detto che la fiducia uccide?» lo mise alla prova Aera.
«Sì.» rispose lui, guardandola negli occhi, con una sicurezza che da un lato fece aumentare la stima che provava per lui, e dall’altro la ferì, perché qualcosa dentro di lei avrebbe voluto essere la principessa di Reyns.
«Bene.» concluse lei. «Allora andiamo avanti per Yohana, la principessa Orientale!»
«Pensi spesso alla principessa Orientale, a quanto vedo...»
«Ogni volta che penso agli Ideev, ossia ogni volta che abbasso lo sguardo alla mia mano destra. Dopotutto, a questo punto, lo stiamo facendo più per Yohana che per noi. Ho cominciato ad accettare il fatto che verremo uccisi, dopo aver assassinato Vyde e Tavem.»
Ora era Reyns a non sapere che cosa rispondere, ma Aera continuò: «Immagino che non si ricorderanno di noi.»
Si stava riferendo agli abitanti della Valle Verde. Mentre pronunciava quelle parole, si rese conto che era la prima volta che esprimeva quel concetto ad alta voce, e si sentì improvvisamente vuota: era proprio così, nessuno avrebbe mai ricordato il sacrificio di due ragazzi come lei e Reyns. Non erano importanti per la Valle Verde, e sarebbero stati visti come dei traditori, in un primo momento. E quando il popolo si sarebbe accorto che, in realtà, dopo l’assassinio di Vyde, la situazione era migliorata, i nomi di Aera e Reyns sarebbero già stati cancellati. Perché la pioggia porta consolazione solo a chi ha bisogno di piangere in compagnia del cielo, mentre coloro che sono persi nelle illusioni della felicità la vedono come qualcosa di negativo, e aspettano che il temporale passi e arrivi l’arcobaleno, per ritrovare la speranza. In realtà, la pioggia non porta tristezza – semplicemente, la accomuna.
«Aera,» iniziò a dire Reyns, con fare dispiaciuto, «Non ti sembra di buttare via la tua vita, facendo ciò che stai tentando di fare?»
Sapeva che farle cambiare idea sarebbe stato a dir poco impossibile, ma voleva come minimo accertarsi che fosse cosciente delle sue decisioni e delle conseguenze che queste avrebbero avuto. Negli ultimi giorni aveva cominciato a legarsi spaventosamente troppo a lei, e Aera era diventata una persona – l’unica, ormai – che per Reyns valesse la pena difendere. Dopo aver perso tutto e tutti, non c’era stato più nessuno come lei. Anzi, come lei non c’era mai stato nessuno.
«Pensi davvero così?» chiese lei, sorpresa.
«Insomma, l’ultima cosa che farai sarà togliere la vita a un uomo...»
«Vyde non è un uomo,» lo interruppe, «Vyde è un pazzo, e prendersi la briga di ucciderlo non è altro che la decisione migliore che chiunque con ancora un briciolo di dignità possa prendere!» Non riusciva a capire; stava tentando di farle cambiare idea?
«Capisco...»
Reyns abbassò lo sguardo. Non c’era verso di farle capire ciò che la morte di Vyde avrebbe significato per gli Ideev. Aera non era un Ideev. Non aveva idea del fatto che la maggior parte di loro sarebbero stati tutt’altro che entusiasti, specialmente le guardie alla fortezza del Lord.
Ma non poteva impedirglielo. Dentro di sé, la morte di Vyde era ciò che voleva lui stesso, era ciò che tutti volevano, ma solo Aera era stata in grado, nonostante le sue paure e le sue insicurezze, di dirlo, pronunciare quelle parole, ammettere la verità. E sarebbe stata la più coraggiosa, perché avrebbe agito in conseguenza di quella verità.
No, se avesse tentato di fermarla, il suo sarebbe risultato un atto di estremo egoismo. Avrebbe significato ritenersi più importanti dell’intera Valle Verde.
Ma per Reyns, Aera era davvero più importante.
***
Durante la notte, Daul non aveva avvistato nulla se non qualche gufo e un paio di cinghiali, ma i viaggiatori dovevano comunque fare attenzione: quella di Kired era stata una minaccia, questo era chiaro, quindi quei due Ideev li avrebbero sicuramente seguiti.
Ora il bosco era tanto fitto che si riusciva a malapena a tenersi sul sentiero; la vegetazione lo ricopriva completamente. Venam doveva tagliare i rovi infiniti con il pugnale per riuscire a passare. Aera procedeva saltellando, per non pestare le spine; a differenza di quelli che indossavano gli altri, i suoi stivali avevano una suola sottile, e la ragazza rischiava di ferirsi i piedi, camminando sui rovi. Inoltre, anche le sue gambe venivano continuamente graffiate, dato che il vestito che indossava le arrivava al ginocchio. Non era l’abbigliamento più adatto per inoltrarsi nel Bosco di Yede, ma non aveva altro con sé. Non l’avrebbe mai detto, prima, ma sarebbe morta indossando proprio quel vestito azzurro, quello che le piaceva tanto.
Ultimamente anche Reyns passava molto tempo guardandosi attorno; notava che la flora cambiava, man mano che il gruppo saliva di quota. Gli alberi del Bosco di Yede erano tutt'altra cosa rispetto a quelli di Wass, tipici del Bosco delle Frecce; questi erano così alti che non si riusciva a vederne la punta, e le foglie, di un verde scuro invece del tipico colore quasi dorato degli alberi di Wass, erano lunghe e sottili. Se quelle di Wass ricordavano delle frecce, queste assomigliavano a delle lance. Anche i frutti che davano erano più allungati e scuri di quelli di Wass, e non davano affatto l'impressione di essere commestibili.
«Come si chiamano questi alberi?» chiese la ragazza, a un certo punto.
«Yede.» le rispose Venam. «Siamo nel Bosco di Yede. Come si dovrebbero chiamare?» aggiunse poi, acido.
«Be’, perdona la mia ignoranza, ma gli alberi del Bosco delle Frecce si chiamano Frecce, sai?» si giustificò Aera.
«Non cambiare discorso, ora!» ribatté Venam, allungando il passo.
Aera aveva una gran voglia di rispondere a tono, ma venne fermata.
«Ah, non farci caso,» la consolò Ridd, «Venam è fatto così, deve sempre avere l’ultima parola.»
«E questo non ti manda su tutte le furie?»
«Certo che sì, ma la questione si risolve molto prima se gliela si dà vinta e si sta zitti. Se anche solo provi a ragionare con lui, finirai per renderti antipatica, ai suoi occhi, e lui cercherà in ogni modo di farti fare brutte figure davanti a tutti. Perché, in realtà, ciò che vuole è semplicemente essere superiore agli altri, ma non essendolo davvero, per sentirsi così può solo che tentare di abbassare di livello tutti quelli che gli stanno intorno. E si arrabbia parecchio, quando non ce la fa.»
Dallo sguardo di Ridd si capiva che l’uomo non si stava riferendo soltanto al capo del suo piccolo gruppo, ma anche a qualcuno che era arrivato a stare più in alto, sempre con lo stesso metodo. Ma no, in Vyde c’era qualcosa di diverso, c’era qualcosa di più. C’era il bisogno di vendetta.
«Ma comunque sia, Venam è un capogruppo competente, ed era anche un ottimo capoclan. È solo un po’ antipatico, ma non è difficile farselo amico. Semplicemente, tu annuisci e sorridi, e Venam penserà che tu lo stimi davvero.» le consigliò Ridd, «In realtà, dentro di te puoi augurargli ogni male. Ad esempio, se adesso inciampasse e cadesse tra i rovi...»
Come se fosse opera di un qualche misterioso incantesimo lanciato da Ridd, proprio in quel momento Venam scivolò. Lanciò in avanti il pugnale, per evitare di ferirsi in qualche modo, e portò avanti le mani, per attutire la caduta. Ovviamente i rovi che coprivano il sentiero gli bucarono i palmi, così velocemente li alzò... E cadde di peso sulle spine.
«E a volte, cara mia, i sogni si avverano!» concluse Ridd con un sorriso, strappando una risata alla ragazza.
Pensò che, in effetti, Vyde e Venam erano abbastanza simili. Entrambi erano arrivati al loro livello soltanto approfittando della malleabilità di chi li circondava. I nomi di Ridd e Daul avrebbero potuto dirla tutta sul loro modo di essere, ma Venam riusciva a convogliare i loro istinti, ad arginarli.
Ma Vyde aveva lavorato su una scala molto più grande. Come aveva fatto? Non riusciva a credere che fosse tutto merito di Tavem.
Reyns sembrava saperla abbastanza lunga sul Lord, così decise di chiedere a lui.
«Come ha fatto Vyde a salire al potere, esattamente?»
«Vyde non è mai salito al potere.» rispose il ragazzo.
«Come no?» si stupì Aera, «L’intero regno esegue i suoi ordini!»
«Questo non è salire al potere, questo è costringere il popolo a vivere nella paura.» spiegò Reyns, «È approfittare dell’ignoranza della gente e convincerla a obbedire a testa bassa. Nessuno detiene il potere assoluto, qui nella Valle Verde. Non c’è un Re, come nell’Est. Qui ci sono, o meglio c’erano, soltanto i clan. Come sai, ognuno di essi controllava una piccola zona, tra clan ci si scambiavano prodotti di vario genere, e regnava la pace, nonostante alcune piccole guerre che scoppiavano, ma che erano contenute, perché era nell’interesse di tutti preservare la serenità. Vyde, al suo arrivo, non era altro che un giovane Lord stabilitosi nell’estremo Ovest.»
«Anche Vyde viene dall’Est?»
«Sì, e ho sentito dire che porta anche un Ciondolo dell’Aquila.»
«Ma perché si è stabilito qui nella Valle Verde? Se ha un complice a Est e ciò che vuole è la mano della principessa, perché non rimanere in Oriente?»
Reyns stava per rispondere di non saperlo, come gli era stato imposto di fare, ma poi pensò che avrebbe trasgredito l’ennesima regola che gli era stato ordinato di rispettare: «Vyde è fuggito dall’Est, ed è venuto qui perché vuole vendetta, contro la sua famiglia, in Oriente. Ma questo è tutto ciò che so.»
«Certo che sai molte cose...» rifletté Aera.
«Questo solo perché prima ho fatto molte domande a chi ne sapeva più di me. E non è sempre stato facile trovare le risposte, tanto che ci sono ancora cose che non riesco a spiegarmi...» Guardò in modo strano il Ciondolo dell’Aquila che Aera portava al collo; voleva risposte su quello? Chi gliele avrebbe potute dare, dato che lei stessa era l’ultima a saperne qualcosa?
Ad Aera, Reyns appariva davvero saggio, considerando che aveva solo un anno in più di lei, e più tempo la ragazza passava con lui, più le appariva chiaro il perché l’avesse confuso con Zalcen: entrambi le avevano dato risposte, sicurezza, e speranza. E quando di speranze non ne avevano trovate – non perché non ce ne fossero, dato che ce ne sono sempre, ma solo perché erano nascoste davvero bene – tutti e due se ne erano usciti con delle morali che le avevano fatto accettare la realtà, che si trattasse di essere l’unica a sopravvivere o una dei tanti a morire.
Sì, erano simili, ma in Reyns c’era qualcosa di diverso: Zalcen era stato un fratello, per Aera, e dato che erano cresciuti insieme, il loro modo di pensare si era sviluppato nello stesso modo. Il motivo per cui l’uno riusciva a completare la frase dell’altra era proprio dovuto a questo.
Reyns invece capiva come Aera si sentisse perché era riuscito a entrare dentro di lei; l’aveva inquadrata, studiata, e infine capita. Era esterno a ciò che era sempre stata la sua vita, ma ora che ne faceva parte, sembrava crudele costringerlo a uscirne.
Aera non sapeva definire se Reyns e Zalcen fossero sullo stesso piano, ma sapeva che, nonostante tutti i punti in comune, erano molto diversi: Zalcen era stato il suo primo vero amico, il suo inizio; Reyns sarebbe stato il suo primo vero amore, il suo lieto fine.


 
   
 
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