Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: manpolisc_    11/07/2020    2 recensioni
•Primo libro della trilogia•
Sharon Steel è una ragazza di diciassette anni che vive a Ruddy Village, una cittadina tra il Nevada e la California. La sua vita non è mai stata semplice: è stata definita pazza per le cose che vede e alle quali la gente non crede, che l'hanno portata a sentirsi esclusa. Solo l'arrivo di una persona come lei riuscirà a farle capire di non essere sbagliata, ma solo diversa. Scoprirà la sua vera natura e dovrà decidere del proprio destino.
Dal testo:
- È solo un bicchiere che è caduto. - Mormoro. Mi guarda, accennando un sorriso divertito.
- E la causa della sua caduta è solo qualcosa alle tue spalle, che brancola nel buio, pronto ad ucciderti. -
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 21

Continuo a correre nonostante le mie gambe implorino pietà e i miei polmoni stiano per esplodere. Sorpasso altri due alberi, saltando oltre le loro radici. Da un lato il bosco non è un ottimo posto per allenarsi, specialmente di notte: già è difficile vedere durante il giorno a causa dei fitti alberi che impediscono ai raggi del sole di filtrare, con l'oscurità è anche peggio. D'altro canto, è buono per imparare a percepire anche i più piccoli dettagli con i propri sensi grazie al silenzio.
Sento dei passi alle mie spalle e aumento la velocità per quanto posso, cercando di non inciampare. Se cado, è la fine. Mi giro per un singolo secondo per assicurarmi che non ci sia nessuno dietro di me. Adoro allenarmi con Harry: nonostante non sia un Elementale, è davvero bravo come allenatore. Odio, però, essere inseguita da lui mentre cerca di accoltellarmi. Questa parte veramente la detesto. Negli ultimi due giorni mi sta aiutando a migliorare la resistenza, scappando da lui e sperando di non trovarmi un altro buco nella spalla a causa del suo coltello. Naturalmente mi dà qualche minuto di vantaggio data la sua super velocità. In poche parole, giochiamo ad acchiapparello.
Appena noto un cespuglio muoversi improvvisamente dietro di me cambio direzione, svolto dietro un tronco e corro verso destra. Devo trovare qualcosa per fermarlo, o almeno rallentarlo. Dopo aver sorpassato qualche altro albero mi fermo, appoggio una mano sulla corteccia e mi chino per recuperare fiato, sentendo i miei polmoni andare a fuoco. Con l'altra mi asciugo la fronte, grondante di sudore, e mi guardo in giro, soprattutto alle mie spalle. La zona, però, sembra essere vuota e silenziosa, fin troppo. Prendo un bel respiro e chiudo gli occhi, cercando di estraniarmi da ciò che mi circonda per concentrarmi su Harry. All'inizio sento solo il mio cuore, poi gradualmente ne affiora un altro, i cui battiti sono davvero veloci. Mi focalizzo su questi, cercando di capire da dove provengano. Quando sento il loro suono più grave, come se fosse un tamburo, mi giro verso destra. Tra poco passerà davanti all'albero dove sono appoggiata. Apro gli occhi e cerco ancora di prestare attenzione al suo cuore per non perderlo, poi sposto lo sguardo in giro alla ricerca di un modo per rallentarlo. La mia attenzione cade sulla radice dell'albero di fronte al mio. Mentre la osservo, ancora conficcata nel terreno, muovo il braccio in avanti e chiudo la mano in un pugno. Pian piano, comincio ad allargarlo, stendendo le dita. Appena ritraggo il braccio di botto, dopo essere sicura di avere il controllo sulla radice, questa spunta tutta d'un colpo fuori dal terreno nella mia direzione, allungandosi come se fosse una corda. Arriccio leggermente il naso per il lieve rumore che provoca nel movimento, dubbiosa se Harry l'abbia sentito o meno. Controllo dove sia: sicuramente ha percepito lo spostamento, dato che sento il suo cuore battere sempre più vicino. Mi appoggio all'albero con la schiena, quasi schiacciandomici contro per non farmi vedere. Trattengo il respiro e rimango immobile, sapendo che al minimo sospiro mi troverà. Qualche secondo dopo, passa veloce come un fulmine davanti all'albero e, come da copione, inciampa sulla radice e casca a terra. Esco fuori dal mio nascondiglio per raggiungerlo e, appena lo trovo a testa in giù contro un tronco scoppio a ridere, portando una mano davanti al viso per coprire il ghigno. Lui sbuffa mentre si mette in piedi e controlla la sua maglietta grigia, un po' sporca di terra e con qualche strappo sopra, all'altezza dell'addome.
- Mi hai fatto strappare la maglia. - Dice con tono quasi scioccato mentre continua ad accertarsi che l'indumento non sia da buttare, poi sospira appena nota che anche la manica sinistra è leggermente lacerata.
- Non l'ho fatto apposta. - Dico prima di mordermi il labbro per trattenere un'altra risata. Adoro vedere Harry arrabbiarsi: è buffo, ma allo stesso tempo figo, direi. Sembra uno di quei ragazzi nei film d'azione, con le esplosioni alle spalle e gli occhiali da sole sugli occhi, anche se lui non ha bisogno di queste cose.
- Sei stata brava, comunque. - Si complimenta. Mi appoggio a un albero mentre si avvicina a me con una mano chiusa in pugno, aspettandosene uno di rimando. Lo ricambio e gli sorrido, felice di essere riuscita a batterlo dopo settimane che mi esercitavo. - Vieni, ti sei meritata una birra. - Dopo essersi pulito anche i pantaloni, mi fa cenno col capo di seguirlo mentre comincia a camminare e lo raggiungo.
- Non possiamo bere. Non abbiamo ventun anni. - Lo guardo, o almeno ci provo. Siamo a pochi centimetri di distanza l'un dall'altro eppure faccio fatica ad osservarlo in volto con questo buio. Mi chiedo come sia possibile che non ci siamo ancora persi dato che la maggior parte delle volte che siamo qui è tutto scuro e gli alberi sembrano tutti gli stessi.
- Io li ho, in realtà. - Ammette mentre usciamo dal bosco e ci dirigiamo verso la sua macchina. Lo guardo stranita, forse un po' sorpresa per la sua confessione. Sembra grande, è vero, ma non gli avrei mai dato ventun anni, al massimo diciannove, sebbene i suoi lineamenti siano decisamente più marcati.
- Non sembra, cioè... - Mi zittisco, non volendo dire la cosa sbagliata. Alza un sopracciglio poiché mi sono auto-interrotta, aspettandosi una domanda forse, ma gli sorrido e scuoto la testa. - Niente. - Lui scrolla le spalle e apre la portiera, poi caccia due bottiglie di birra. Le tiene entrambe con una sola mano e con l'altra le stappa mentre chiude la portiera con una gamba, poi me ne passa una. Lo osservo, ammirata: immaginavo già le sue mani sanguinanti, invece ci sono solo i segni dei tappi. Mette questi ultimi nelle tasche per evitare di buttarli a terra e mi guarda dopo aver notato il modo dubbioso in cui fisso la bottiglia.
- Se vai in galera ti faccio evadere io, tranquilla. - Ammicca divertito mentre si va a sedere sul cofano, successivamente dà un sorso alla bibita e si lecca le labbra. Mi siedo accanto a lui e osservo ancora la birra, sentendo le mani raffreddarsi lievemente al contatto con il vetro fresco. Sospiro e butto giù una minuscola quantità, facendo una piccola smorfia al sapore. Non ne ho mai bevuto una in vita mia. Tutti affermano che sia buona, ma sinceramente non è così fantastica. Nonostante ciò, bevo di nuovo, come sentendone il bisogno. In effetti ho la gola secca a causa della corsa, ma purtroppo non è acqua, e la mia reazione è l'ennesima smorfia. Lui scoppia a ridere dopo aver notato la mia espressione di disgusto, arricciando il naso e strizzando gli occhi.
- Fa schifo. Come fai a berla? - Chiedo dopo aver deglutito più volte per levarmi quel saporaccio dalla bocca mentre lui si stringe nelle spalle.
- Dopo un po' ci fai l'abitudine. - Si riporta la birra tra le labbra e butta giù un altro sorso. - Anche se nella mia top three delle bevande è al secondo posto. -
- Hai una top three delle bevande? - Accenno un ghigno divertito, tenendo ancora la bottiglia di birra in mano mentre giro il volto verso di lui. - Sentiamola allora. -
- Al terzo posto la Pepsi, assolutamente. Al secondo la birra e al primo la camomilla. - Dice, tenendo il conto con le dita. Appena sento il primo posto lo guardo con un sorriso divertito.
- La camomilla è la tua bevanda preferita? - Aggrotto la fronte, sorpresa. Non lo faccio un tipo da bibite così. - Perché? Ti rilassa quando vuoi, non so, sradicare alberi? -
- No. - Accenna l'ennesima risata mentre scuote la testa. - Ma alla temperatura giusta ustiona la pelle che è una bellezza. - Faccio una smorfia a quell’immagine che si è formata nella mia mente. Appena lui si accorge del mio volto abbastanza disgustato sogghigna nuovamente. - Dai, ci hai creduto sul serio? - Schiudo la bocca per cercare qualcosa da dire e non fare la figura della stupida credulona, ma lui mi anticipa. - Al primo posto va la Pepsi, ovviamente. Poi la birra e il latte. Magari con i biscotti. - Ripete la lista prima di attaccare di nuovo le labbra alla bottiglia, poi si stacca sospirando. Rimaniamo entrambi in silenzio per diversi secondi, restando a sentire il suono lontano delle macchine che scorrono sull'autostrada. Fortunatamente sono poche: c'è una tranquillità stupenda qui e non vorrei che fosse interrotta dal traffico. Sotto le stelle, col calore che si appiccica sulla pelle e neanche una luce che interrompe quello spettacolo che è il cielo, sembra proprio una delle sere che passavo con mia madre in campeggio quelle poche volte che mi ci portava. Poi, all'improvviso, ha smesso e non siamo più andate in quella foresta in California, il che è un vero peccato: adoravo quel luogo.
- Tra parentesi. - Apro bocca per far interrompere quel silenzio tra di noi. - Non ci ho creduto. - Concedo un'altra chance alla mia birra, ma davvero non riesce a piacermi per nulla. In questi momenti, rimpiango la mia bottiglia d'acqua da un litro sempre fedelmente accanto al letto.
- Ti prego, non sai mentire. - Scuote la testa ancora con le labbra vicino all'orlo e sorride.
- So mentire. - Ribatto, ma lui gira il volto verso di me con un sopracciglio alzato, con fare scettico. Okay, è vero, mentire non rientra nelle mie abilità speciali, ma una misera bugia penso di saperla dire. Non sono tanto incapace.
- Sono cresciuto da solo. Credo di saper distinguere il falso dal vero. - Mormora mentre ritorna a fissare un punto indefinito davanti a lui e beve, finendo quasi la bevanda. - Ho incontrato così tante persone, e tu sei la peggiore tra tutte quelle a mentire. -
- Perché... - Mi fermo prima di porre la domanda, pensando se fargliela o meno. Non vorrei essere indiscreta, chiedendogli del suo passato: non ci conosciamo così bene o anche abbastanza da toccare un argomento tanto delicato. Ricordo ancora lo sguardo amareggiato che acquisì solo a nominare il padre. Tuttavia mi faccio coraggio e glielo chiedo comunque. Non so nulla di lui, è vero, ma se terrò sempre le domande per me non scoprirò mai Harry. - Perché sei cresciuto da solo? I tuoi dov'erano? - Rimane in silenzio e abbassa lo sguardo sulla bottiglia, accarezzandone il vetro con il pollice della mano sinistra.
- Morti. - Risponde freddamente prima di scolarsi la sua birra in un solo sorso. Sospira leccandosi le labbra e lascia cadere la bottiglia ai suoi piedi. Dovrei dirgli qualcosa, ma so per esperienza che nessuna parola ha valore in queste situazioni. Semplicemente lo osservo in silenzio e con sguardo rammaricato.
- Mi dispiace. - Decido comunque di dire alla fine. Parlare di queste cose è difficile e non voglio che pensi che non me ne importi niente se non gli rispondo, sebbene ciò che gli ho appena detto è la frase più scontata di questo mondo in situazioni del genere.
- Non è colpa tua, ma di quel bastardo. - Butta fuori furioso, come se quel segreto e i suoi ricordi li avesse tenuti dentro per troppo tempo fino a diventare un macigno sul petto e, forse, è sul serio così.
- Non ti seguo... - Dico sinceramente con tono dispiaciuto. Vorrei sapere cosa sia successo per farlo sfogare, ma al tempo stesso ho paura, non sapendo come potrebbe reagire. Prende un bel respiro per calmarsi e poi porta i suoi occhi blu nei miei. Mi giro di poco verso di lui per prestargli tutta la mia attenzione.
- Sai che sono mezzo vampiro. Mio padre, Joel, lo era, ma mia madre, Celeste, era umana. I miei s’incontrarono mentre lui cercava qualcuno di cui nutrirsi, ma quando vide mia madre s’innamorò di lei. Scoparono, nove mesi dopo nacqui io... blah, blah, credo tu sappia come funziona. - Quando comincia a spiegare, sposta lo sguardo sulle mani; io, invece, continuo a tenere il mio sul suo volto. - Sei anni dopo nacque Daisy, mia sorella. Una sera, però, mio padre tornò a casa, ma aveva una luce strana negli occhi. Erano così rossi che quando li vidi mi spaventai e mi rinchiusi in camera. Mia madre non era ancora tornata dal lavoro e toccava a me badare a mia sorella. - Si ferma dal parlare per poi deglutire mentre lo studio attentamente. Credo di non aver mai visto Harry così a nudo con qualcuno al di fuori di Jackson, così umano con questa voce colma di rimpianto.
- Harry, va tutto bene. Non è necessario. - Poggio una mano sulla sua spalla per fargli capire che non è costretto a parlarmi di quest’argomento. Non voglio che soffra nel ricordarlo o che si senta in colpa per questo, sebbene non sappia cosa sia successo. Tuttavia, lui scuote la testa e si volta a guardarmi negli occhi.
- Rimasi diversi minuti in camera per evitarlo, ma quando sentii mia sorella urlare scesi giù di corsa. Appena arrivai in salotto, trovai delle macchie di sangue che portavano in cucina. Provai a chiamare mio padre o Daisy, terrorizzato all'idea che ci potesse essere qualcuno in casa oltre a noi, ma nessuno dei due rispondeva. Quindi decisi di seguire la scia di sangue. - Riabbassa lo sguardo sulle sue mani e sospira, scuotendo la testa prima di deglutire. - Ogni notte... sogno il viso pallido di mia sorella mentre mio padre la prosciugava. Quando si rese conto della mia presenza, la lasciò a terra in una pozza di sangue, come se fosse un animale. E... - Prende un respiro per poi rilasciarlo, carico d’ira. - ... il sangue di Daisy che colava dalla bocca di quel bastardo. Non ho mai pensato che mio padre fosse un mostro, nonostante fossi cosciente della sua vera natura, eppure quella sera volevo solo ammazzarlo. E ci provai, ma era più forte. Quando capì che non avrebbe potuto nascondere ciò che aveva fatto, cercò di uccidere anche me per trovare un pretesto con mia madre, dicendole che quando era tornato ci aveva già trovati morti. - Alza leggermente la maglietta per scoprire il fianco e per indicarmi con un dito una lunga cicatrice sulla vita. Schiudo lievemente la bocca quando la vedo, turbata: se suo padre avesse voluto estrargli le budella, credo ci sarebbe perfettamente riuscito.
- Te l'ha fatta lui... - Sussurro più a me stessa che a lui mentre, senza pensarci due volte, protraggo la mano verso di essa fino a sfiorarla lievemente con due dita. Quando mi rendo conto di cosa sto facendo, le allontano subito, sebbene il mio tocco non sembri turbarlo; infatti, annuisce con una luce triste negli occhi mentre si riabbassa la maglietta. A vederlo così, e a sentire cosa è successo in casa sua, mi viene da piangere. È tutto così orribile. Sembra la trama perfetta per un film horror.
- Dopo che mi accoltellò, mi mise spalle al muro, pronto a uccidermi, ma mia madre arrivò in tempo e riuscì a mozzargli la testa. Fu anche furba a non farsi sentire, altrimenti non sarei qui con te ora. Dopo che lo ammazzò, cercò in tutti i modi di farmi star seduto e non muovermi, data la ferita sul fianco, ma dovevo accertarmi che mia sorella fosse ancora viva. - Dice l'ultima frase con un filo di voce. - Aveva solo quattro anni. Avrei dovuto correre in camera sua invece che rintanarmi nella mia come un codardo. Ero sicuro che mio padre avrebbe fatto qualcosa, eppure sono stato egoista e non ho pensato a lei. - Questa volta il suo tono diventa più rabbioso e comincia a torturarsi le mani con più forza; le vene sugli avambracci, infatti, s’intravedono maggiormente ogni volta che stringe le dita.
- Poi cosa successe? - Chiedo in un sussurro, aspettando qualche secondo. Dal modo in cui contraeva le labbra e deglutiva, sono sicura che se gli avessi fatto questa domanda subito dopo che aveva finito di parlare, sarebbe scoppiato a piangere. Si sta torturando le mani, è vero, ma ammiro il modo in cui non si sta scomponendo. Tutto sommato, è la sorella la bambina di cui mi sta parlando, non una persona qualunque. Penso che, al suo posto, sarei già in un mare di lacrime, a maggior ragione se mi fossi sentita in colpa come lui, sebbene lui sbagli a credere di esserlo.
- Vicino casa nostra c'era un piccolo studio medico e mia madre mi portò lì. Se non fosse stato per quel dottore sarei morto dissanguato. Mamma bruciò i loro corpi e dopo quel giorno cominciò a cambiare. Ricordo che prendeva dei farmaci che l'aiutassero a dormire, diceva che glieli aveva prescritti il medico, ma so per certo che non era vero. Qualche giorno dopo aver tolto i punti, tornai a casa da scuola. Mia madre mi costringeva ad andarci, affermava che dovevamo comportarci normalmente; in poche parole, voleva seppellire la faccenda, come se Daisy e mio padre non fossero mai esistiti. Parlava di trasferirci e che avrei dovuto sopportare di star lì solo per qualche altro giorno. Però, quando tornai a casa dopo le lezioni, non la vidi tornare, ma non mi preoccupai sapendo che spesso era a lavoro e la sera a volte non rientrava. Tuttavia, quando successe per due giorni di seguito, capii che si era trasferita, però non mi aveva portato con sé. Forse voleva far finta che neanche io fossi mai esistito. Sapevo che era impazzita, ma non pensavo arrivasse a tanto. Quindi ho cominciato a cavarmela da solo. Ho dovuto rubare per vivere. Sai, non era difficile chiedere cose in prestito per me. - Racchiude quest'ultimo verbo in due virgolette con le dita e con un sorriso beffardo sul volto, riferendosi alla sua abilità speciale: il soggiogamento. Sforzo anch'io un sorriso, sebbene non mi senta proprio di farlo in questo momento. Ho come un macigno sullo stomaco. - Solo la Range Rover non è rubata. Era di mia madre. - Mormora. Mi mordicchio il labbro, non trovando le parole giuste da dire. Se qualcuno mi avesse raccontato una cosa del genere, lo avrei preso per pazzo ma allo stesso tempo gli avrei fatto le congratulazioni per la fantasia. È davvero tutto surreale. Dalla prima volta che lo vidi capii che era diverso; disse di essere un mostro, ma ora rimpiango di averlo chiamato così. Lui è solo la conseguenza delle azioni di un vero mostro. E ora capisco anche altre cose. Ad esempio, la paura per gli ospedali. Avendo detto di essersi tolto i punti senza l'aiuto di nessuno, avrà sicuramente imparato a cavarsela da solo anche riguardo queste cose, quindi non avrà neanche mai messo piede dentro uno di quegli edifici.
- Non l'hai mai cercata? - Annuisce lievemente.
- Certo. Tante volte, ma era brava a nascondersi. A Roma, quando incontrai Jackson, dovevo vedermi con lei. Dopo anni mi aveva finalmente risposto ed ero sollevato che fosse viva. Essendo italiana, ho anche pensato più volte che potesse stare dai suoi genitori, ma non sapevo dove abitassero. Stando con un vampiro, aveva allontanato la sua famiglia e si era trasferita fuori dall'Italia, quindi non conoscevo neanche qualche parente da cui poter andare. Però, nella capitale mi diede buca. Solo settimane dopo una sua amica riuscì a rintracciarmi e mi informò che si era suicidata. - Dice senza espressione sul volto. Poi si gira a guardarmi, accennando una lieve risata amara. - Che vita di merda. - Afferra la mia birra, sapendo che non la berrò, e la scola in pochi secondi. Almeno non dovrò cercare un posto dove svuotarla dopo.
- Quindi anche con la macchina te la sei dovuta vedere da solo? Intendo dire, imparare a guidare, patente e tutto? - Lui annuisce di nuovo prima di leccarsi le labbra secche. Devo ammetterlo: mi sorprende sempre di più. Al posto suo non sarei mai riuscita a essere così forte. Avrei cercato qualcuno che mi avrebbe potuto aiutare, a differenza sua. Ora capisco anche perché stava cacciando quel clan di vampiri la prima volta che lo incontrai, e perché non si fece davvero problemi a difendere due Elementali, Jackson ed Avery, che non conosceva neanche: lui odia quelle creature ormai. Mi è anche chiaro perché abbia deciso di combattere i mostri, adesso. - Io non ho mai conosciuto mio padre. - Dico dopo qualche secondo di silenzio per continuare a conversare. Lui si è aperto con me, e voglio fare lo stesso. Non ho mai parlato di ciò con nessuno, neanche con Delice. Lo sapeva già quando alle elementari mia madre lo disse agli insegnanti e la voce si diffuse in tutta la classe, come accade sempre. Inoltre, lei non ha mai chiesto nulla. - È morto prima che nascessi. Non so niente di lui. So solo che si chiamava Harvey, ma avrei davvero voluto conoscerlo. - Dico in un sussurro, portando le gambe al petto per poi poggiarci la testa sopra.
- Com’è morto? - Scuoto lievemente la testa, non conoscendo la risposta.
- Non l'ho mai chiesto a mia madre. -
- Mi dispiace. - Dice sinceramente mentre poggia una mano sulla mia spalla e la accarezza. Mi giro a guardarlo, un po' sorpresa del suo gesto, ma gli sorrido comunque per il tentativo di consolarmi, seppur non ce ne sia bisogno. Non posso rimpiangere una persona che non odio e che non amo. Da un lato, non sono sicura di voler sapere come sarebbe stata la mia vita se lui fosse ancora vivo, specialmente dopo quello che mi ha appena confidato Harry; dall'altra, mi sarebbe piaciuto conoscerlo, sapere come era e se davvero gli somiglio
Appena lui allontana la mano e si tira su per andare a buttare le birre, anche quella che aveva lasciato a terra, sul sedile posteriore, estraggo il cellulare dalla tasca dei jeans per controllare l'ora: quasi le undici.
- Pronto per la festa di June? - Chiedo per cambiare discorso.
- Oh, assolutamente. Le squarcerò anche l'anima se ne ha ancora una. - Dice con un ghigno, schioccandosi le nocche mentre si riavvicina a me per sedersi di nuovo sul cofano. Accenno una risata quando dietro di noi un tonfo fa tremare la terra. Sussulto mentre Harry si gira di scatto. Scende dalla macchina per guardare dietro di essa: un albero per poco non l'ha schiacciata.
- Non è niente di buono, vero? - Chiedo, notando la sua espressione. Ha gli occhi che si muovono freneticamente in tutte le direzioni per cercare qualcosa che non si mostrerà tanto facilmente nell'oscurità.
- Tieniti pronta. Mi sa che continuiamo a fare jogging. -
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: manpolisc_