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Autore: BabaYagaIsBack    14/07/2020    0 recensioni
Jay ha diciotto anni e tutto ciò che ha imparato sulla vita le è stato insegnato da Jace, il fratello maggiore, e i suoi migliori amici. Cresciuta sotto la loro ala protettrice, ha vissuto gli ultimi anni tra la goffaggine dell'adolescenza, una cotta mai confessata e un istituto femminile di cui non si sente parte. E' ancora inesperta, ingenua e alle volte fin troppo superficiale, ma quando Jace decide di abbandonare Londra per Parigi, la sua quotidianità, insieme alle certezze, iniziano a sgretolarsi, schiacciandola sotto il peso di ciò che non sa
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Chapter Thirty One
§ The Truce of the Birthday §
part three

 

"When I breathe and I breathe into you and I feel it right to the bone
And I give what you give and we go even higher than we are strong
And the cracks and the walls covered up by the sheets we live underneath
All the sex, all the nights we stay up yeah we're stuck but we're more than free
Got the world in our hand like a land
Good enough to make the ocean look like it's a pond
Good enough to turn the valleys into mountain tops
And we live like legends now, know that would never die
Oh, we got love, we got love"

 

Tove Lo, Got Love

 

Mentre avanzo verso l'Elder and the Moon, vestita di un imbarazzo che non so levarmi di dosso, non posso fare a meno di storcere la smorfia sentendo la mutandina brasiliana muoversi sotto ai jeans, sfidando la mia pazienza. Ad ogni falcata si infilano un po' più in mezzo alle natiche e, se non fosse per il timore di essere vista, mi metterei a tirarle in lungo e in largo per sistemarle - peccato che al momento la via sia troppo affollata ed io in ritardo per potermi concedere un simile sollievo.

Mi mordo il labbro cercando di distrarmi, eppure i pensieri convergono sempre lì, dove il pizzo minaccia la pelle, arrossandola.
Josephine avrà anche azzeccato le taglie, però non ha pensato né alla comodità nè alla mia scarsa, se non addirittura assente, esperienza con l'intimo femminile di un certo stampo.
Più avanzo, più le maledizioni che le lancio si fanno astiose. Non avrei dovuto lasciarmi convincere da lei. Mi sarei dovuta impuntare e dire che no, non mi sarei messa nulla di ciò che ha comprato - però non avevo scelta: il completino di nonna e me stessa come peccaminoso intrattenimento per la serata erano tutto ciò che potevo utilizzare come regalo. Quindi ho ceduto. Al pari di una stolta ho detto di sì, indossando la lingerie porpora e nera, truccandomi con cura, profumandomi e nascondendo il tutto sotto un'insospettabile mise. Poi sono uscita di casa, annunciando una lunga nottata di festeggiamenti in compagnia di amici e amiche che in realtà hanno un unico volto e corpo: quelli di Seth.

In fondo allo stomaco avverto una centrifuga di sensazioni contrastanti, un turbinio di sensi di colpa, eccitazione, ansia e gioia a cui non voglio dar spiegazione. Rischierei di cambiare idea, tornare sui miei passi, recuperare un pacchetto di Marlboro lungo la strada, insieme a un accendino carino, e consegnargli quello - ma non posso, devo trattenermi dal farlo. Lui, per me, ha fatto qualcosa di nettamente più romantico e non posso essere da meno; non totalmente, almeno. Così respiro profondamente, inalo con lentezza l'aria viziata di Londra e mi ripeto, come un mantra, che stasera le cose si metteranno a posto, che risolveremo ogni cosa - ed io troverò il coraggio di lasciarmi totalmente andare alle sue carezze.

Apro le palpebre, le sbatto un paio di volte e, infine, mi decido a oltrepassare la soglia del pub. Già da qui, a un passo tra il dentro e il fuori, sento la musica rimbombarmi nella gabbia toracica, potente. I bassi vibrano, coinvolgono tutto e, per un istante, sembra che sia il mio cuore, con il suo battito, a generare tutto questo casino.

Sospingo la porta con una decisione fasulla, blanda, eppure quando l'odore di corpi accalcati e luppolo mi arriva alle narici mi sembra di riacquistare un po' di sicurezza. Attorno a me le persone si sorridono, fanno smorfie, parlano ad alta voce per riuscire a sovrastare il casino generato dalle casse, ed io faccio scorrere lo sguardo su ognuno di loro, cercando solo Seth, il suo viso.
Avanzo lenta tra schiene e petti sconosciuti, rannicchiandomi per evitare che una qualche spallata possa farmi perdere l'equilibrio. Metto un piede davanti all'altro sperando d'incontrare presto il bancone, porto sicuro in questo oceano di persone, e nel mentre non smetto di scrutarmi intorno - ma la sua figura mi sfugge, nonostante sia certa essere qui: me lo ha scritto meno di mezz'ora fa, "ti aspetto dentro con gli altri". E quegli "altri" sono amici che conosco poco, se non per nulla, che fatico a riconoscere nel caos attuale. Non sono né mio fratello Jace né Charles Benton. Sono estranei in un mucchio di sconosciuti - ed io sono persa, non li riesco a identificare.

Mi stringo la borsa al petto, mordendomi il labbro.
Quanto vorrei non essere sola. Avrei dovuto chiedere a Caroline un po' della sua compagnia, il sostegno morale necessario per affrontare questo inizio serata - e persino Misha, in questo marasma, sembra diventare un'opzione allettante, peccato che nessuna delle due sia qui.

Compio un'ultima falcata e, quando credo di essere finalmente arrivata a destinazione, una voce si leva tra la folla, chiamandomi allegra. Sussulto e volto la testa, incontrando finalmente il braccio levato di Seth, avvolto in una manica in jeans stracciata e rattoppata in più punti. La birra che regge fa ben intendere che la festa è iniziata prima del mio arrivo e, per questo, devo recuperare. Sorrido e faccio un segno vago, un gesto che vuole dire "arrivo subito", poi mi porto a ridosso del bancone e, intercettando Adrian, lo afferro per un lembo della maglia, facendolo stranire. Mi fissa qualche istante, cerca di mettere a fuoco la mia faccia e immaginare la richiesta che potrebbe uscirmi di bocca, ma prima che possa aprirla, lui è già chino su uno dei minifrigo. Sceglie per me, lo fa con sapienza e conoscenza dei miei gusti, così quando torniamo a incrociare gli sguardi, tra di noi si frappone una birra belga. 
«Quanto ti devo?» grido, nonostante siamo a un paio di spanne di distanza. La musica è tanto alta da farmi dubitare possa sentirmi, eppure ci riesce senza fatica - ne è prova il sorriso che mi rivolge.
«Nulla, sei ospite di Seth stasera» picchia una mano sul legno del bancone, si dà la spinta e torna a servire la moltitudine di clienti a cui l'ho sottratto.

Ed è così che inizia il declino.

Raggiungo Morgenstern ebbra di una sicurezza appena riacquistata, reggendomi al vetro della bottiglia come se fosse un bastone durante una scalata verso la cima di un'invalicabile montantagna, ma quando lo raggiungo non ho più alcun bisogno d'aggrapparmici. Lui mi afferra, mi tira vicina, mi bacia di fronte a tutti i presenti e poi, in un sussurro a ridosso dell'orecchio, mi dice: «Non vedevo l'ora che arrivassi, corvetto» ed il brivido che provo mi intontisce. Il soffio lieve della sua voce, la carezza appena accennata delle sue labbra nei pressi del mio lobo, le sue dita che afferrano la curva del fianco e premono, quasi a volercisi infilare dentro. Non so da dove provenga, ma Seth ha ancora il potere di piegarmi al suo fascino quando la mente non si sofferma sui graffi di questa relazione. Mi ammalia come la prima volta, mi soggioga esattamente come gli anni che ho trascorso in silenzio, custodendo il mio amore per lui - basta non permettere agli screzi con Benton e mio fratello di fare capolino.

I suoi occhi si fissano nei miei, mi scrutano con gioia. Lo vedo sereno, realmente contento della mia presenza qui, accanto a lui, quasi a confermargli qualcosa che non saprei definire: il sentimento che mi lega a lui? Il fatto che l'ho scelto, nonostante tutto? Vorrei saperlo. Mi piacerebbe entrare nella sua testa in punta di piedi e scoprire tutti i suoi pensieri.
Pigio i denti nel labbro, mordicchio la carne e poi, in un sussulto, mi accorgo del cozzare delle nostre bottiglie, del vetro che picchia e del suo sorriso che si allarga mentre volta il capo e urla: «A questi fottuti ventiquattro!»

Lui beve, gli "altri" pure, ed io non posso astenermi. Così una birra si somma all'altra in una frenetica sequenza di sorsi. Ad ogni giro un nuovo brindisi, elencando glorie e gaffes del festeggiato.
Il tempo a tratti sembra scorrere svelto, poi un po' più lento; alle volte pare persino fermarsi, forse nei momenti in cui mi sento esclusa o estranea agli aneddoti che raccontano, però resisto, mentre la reale coscienza di quello che mi circonda si fa liquida, sfuggevole. Quando gli altri ridono, rido anche io. Quando loro ordinano l'ennesima bottiglia, mi aggrego, pur rendendomi conto di star raggiungendo il limite - e sappiamo già cosa potrebbe accadere una volta oltrepassato. Eppure non mi fermo, in qualche modo sento di dover provare ai presenti il mio valore, il diritto di stare al fianco del loro amico.

Bevo. Ingollo birra senza pormi alcuna domanda, ma alla fine, a strapparmi dall'euforia, arriva nuovamente la voce di Seth, vellutata.
«Andiamo?» Mi chiede languidamente, lasciando che il verde dei suoi occhi si fonda con i miei.
Sorrido, nonostante faccia fatica a capire: «Dove?» mi sento domandare con un tono pigro, impastato, simile a quello del risveglio.
«A casa».
Corrugo le sopracciglia, sempre più confusa. E' già ora di andar via? Non ci aspetta un altro giro di bevute, oppure una qualche discoteca fuorimano?

«Io non voglio tornare a casa» biascico in un lamento da bambina, nel capriccio di una persona che ovviamente ignora i dettagli. E lui ridacchia, si crogiola nella tenerezza che devo suscitargli in queste condizioni - perché certamente è meno brillo di me e la sua coscienza riesce ancora a elaborare la situazione.

«Casa mia, corvetto. Non vorrai lasciarmi solo proprio stasera?»

Non riesco a rispondergli subito, sono troppo frastornata, eppure dopo qualche secondo, sentendo il pizzo degli slip pizzicarmi l'interno chiappa, un barlume di lucidità sembra risvegliarmi dal torpore del luppolo - e finisco con il sorridere a mia volta.

No, stasera non posso proprio lasciarlo solo, c'è un regalo da consegnare e un traguardo da tagliare - è l'occasione tanto attesa, non mi è concesso sprecarla. Così, dopo i saluti di circostanza a persone che l'indomani avrò già dimenticato, mi lascio condurre fuori dall'Elder and the Moon. Camminiamo stretti l'un l'altro in direzione di una strada più trafficata, mentre il venticello leggero porta alle narici il profumo di pioggia. Sento l'umidità appiccicarsi alla pelle, creare una sorta di patina fastidiosa, ma non ho la forza per strofinarmi il viso - piuttosto, lo appoggio al pettorale di lui, lasciando che il calore del suo corpo crei una strana sensazione di unione, quasi ci stessimo fondendo.

Seth non si accorge di nulla, continua ad avanzare fischiettando un motivetto che mi pare familiare, ma che non riesco a identificare con chiarezza. Dove l'ho sentito? E perché dalle sue labbra prende quasi la connotazione di ninnananna? Mi piacerebbe chiederglielo, peccato che le labbra sembrino incollate tra loro - quindi resto in ascolto, lasciandomi cullare dai passi e dalla melodia. Mi faccio trasportare altrove, in un posto che sa di lui, morbido come il suo letto, ma che ancora non è racchiuso tra le mura di un edificio. E' uno spazio irreale, eppure così affascinante.
Socchiudo gli occhi per gustarmelo al meglio, per immergermici completamente, e quando li riapro m'accorgo di non essereci ancora arrivata: è qui, a un soffio da noi, ma allo stesso modo irraggiungibile.

Poi, d'un tratto, senza alcun preavviso, una luce mi acceca. Il cellulare di lui è a pochi centimetri dal mio viso e sulla schermata, noto con fatica, è aperta un'applicazione che riconosco dopo poco: Uber. A quanto pare, il mio cavaliere ha già pensato a tutto. Non ci sono ansie per saltare sull'ultimo vagone delle corse notturne e nemmeno infinite attese nella speranza che un autobus compaia in questo angolo di mondo. Non ci saranno sguardi indagatori, ricerche per dei sedili puliti - e ancor meno mi dovrò preoccupare degli altri, dell'intimità pressoché assente. Saremo solo noi. E l'autista, che mi auguro non sia in vena di chiacchiere.

«Ti sei divertita?»
Alzo il mento, cercando il suo volto. Sul suo viso c'è dolcezza, ma nello sguardo, con un po' più di attenzione, mi sembra nascondersi altro.
Annuisco, ignorando la cosa. Qualsiasi cosa gli stia passando per la mente, al momento, poco m'interessa, sono troppo assuefatta da ciò che ho bevuto per riuscire a concentrarmi sui dettagli e dargli una spiegazione.
«Tu invece?»
«Abbastanza» mi bacia la fronte: «E' stato... strano, soprattutto ora».

Corrugo le sopracciglia, non riuscendo a comprendere il suo commento. Che vorrebbe dire? Cosa c'è di strano? E' per via del fatto che mancano i suoi migliori amici? O perché a tornare a casa con lui, stavolta, ci sono solo io? 
«Se preferisci io-»
«No!» rinsalda la presa: «Tu sei l'unica cosa giusta di questa sera».

Stringo gli occhi, sforzandomi di approfondire la questione. C'è qualcosa che mi sfugge, come sempre, e la birra ingerita rallenta ancor di più il mio acume. Cosa si cela dietro a ciò che dice? Quale verità vorrebbe dire, davvero?

La Toyota accosta di fronte a noi e i nostri sguardi si slegano, lasciandomi nel dubbio. Con una mano Morgenstern mi sospinge verso la vettura, spalancandomi la portiera come un vero gentleman; fa il giro e mi si siede accanto, indicando all'autista la destinazione. Si scambiano qualche parola, un paio di battute, poi il Brent prende a scorrere fuori dal finestrino, lasciando che le case si susseguano senza sosta. Le fisso per qualche minuto, poi torno a guardare le ginocchia del ragazzo con me, in modo da evitare di sentirmi male. Da un lato i jeans sono stracciati, lasciano intravedere la pelle, dall'altro si confondono con le ombre della notte, quasi sparendo. Allungo una mano, gli accarezzo la carne in punta di dita, incapace di formulare una frase di senso compiuto. La testa mi pare piena di pensieri, invece è vuota, riesco solo a ripetermi una cosa: ho le palpebre pesanti, ma non posso addormentarmi, non ora.

Il problema però è lo stesso, sempre quello - la mia volontà non è abbastanza forte. Non lo è da lucida, figurarsi in queste condizioni. E cedo a Morfeo senza rendermene conto: l'attimo prima accarezzo la pelle di Seth, quello dopo sono nell'incoscienza più totale.

Eppure avevo un piano. Un regalo. Un obiettivo da portare a termine; perché è lui che voglio, no?

***

Mi accorgo di essere in movimento. Avverto appena appena l'aria sfiorarmi le dita, un respiro scivolarmi sul viso. Sento dei rumori lontani, forse una serratura che scatta, un saluto sussurrato che mi pizzica l'orecchio. Quella che credo essere una porta si richiude, ma io non mi fermo. Avanzo in uno spazio che non ha forma, solo profumo: caffè, tabacco e un'essenza pungente. Ci passo in mezzo senza esitazioni, seppur con una certa lentezza cadenzata. Non ci sono ostacoli, vengo cullata da un passo che non mi appartiene finché, sotto alla schiena, si palesa della morbidezza, il freddo che si sostituisce al tepore. Mugolo, mi lamento, cerco ancora il calore che mi ha protetta fino adesso, ma non lo trovo; più mi agito, meno raggiungo ciò a cui anelo.

Qualcuno parla, si rivolge a me.
Seth
Che mi sta dicendo? Non lo so, però gli rispondo.
Okay, dico, ma a cosa?

Sento qualcosa cadere a terra, i piedi farsi più leggeri. Li avvicino al corpo, però due mani mi afferrano le caviglie, raddrizzando nuovamente le gambe. 
Una pressione lieve fa la sua comparsa sull'ombelico, poi la liberazione del bottone e l'abbassamento della cerniera mi portano ulteriore sollievo. I pantaloni vengono tirati.

«Devi aiutarmi, Jay. Solleva un po' il sedere».
Okay, anche se non riesco a capire se il corpo stia ubbidendo o meno.

«E queste?»
Mugolo ancora, girandomi su un fianco. Il freddo si sta attenuando ed io sento la coscienza cercare di annullarsi un'altra volta.
«Ehi, resisti ancora un attimo, corvetto». Le sue dita si stringono ora sulle braccia, mi tirano a sedere per un motivo che non comprendo, così provo a schiudere le palpebre. Intravedo Morgenstern. La luce dei lampioni, quella che filtra oltre le tende, gli colpisce con timore una parte del viso, esaltando la sua bellezza da cattivo ragazzo, proprio come i direttori della fotografia fanno nei film, quando le scene sembrano voler trasmettere mistero, sensualità.

Forse gli sorrido.

«Dai, ora togliamo la giacca e la maglia, okay? Almeno non li stropicci».
Annuisco, sentendomi una bambina ubbidiente.

La giacca scivola via, sento la pressione delle maniche allentarsi, poi la stoffa della maglia accarezza la pelle, la solletica - e in pochi secondi, una nuova ondata di brividi mi assale. Il freddo che mi ha accolto torna a farsi presente, mi sfida, ma sono troppo stanca per combatterlo.

Sento il respiro di Seth rallentare, vedo i suoi occhi spostarsi dal mio viso ad altro, ma non capisco cosa. C'è dello stupore nell'espressione che ha, una sorta di inaspettata sorpresa, ma presto muta in malizia, in una lussuria che vorrebbe trattenere, eppure non riesce - infine, il tutto si spegne in una sorta di tristezza. O forse me lo sto solo immaginando.

Sospira.
«Sei una stupida, sai? Però è questo che mi piace» mi bacia una coscia, proprio sopra al ginocchio, nel punto che sono certa avergli accarezzato nel viaggio verso questa casa. Le sue ora mi toccano una spalla, il collo - io rido e lui si allontana.
«Ora dormi, corvetto».

Okay.

   
 
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