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Autore: _Nausica    17/07/2020    8 recensioni
Rose Weasley.
Caos e confusione
È il panorama di sempre tra il groviglio indefinito di cugini che la intrecciano in una trama già scritta, e il sigillo di due genitori già brillanti. Un nome incandescente che rischia di plasmarla nel magma dell’anonimia.
Caos e confusione.
È la paura di lasciarsi sommergere dal disordine che le appartiene.
Sembrerà più facile essere trasportata in un mondo dove realtà e inganno si confondono, e quel confine tra fragilità e orgoglio sarà messo a dura prova dal ragazzo, odiato e amato, che irromperà nella sua vita. Costretta ad affrontare quel gioco semplice e affascinante dell’essere in due, farà emergere dal caos il suo significato, il suo reale contenuto.
Finché anche Scorpius Malfoy prenderà forma dentro sé
Dal testo
Il getto di acqua calda la tranquillizzò. Poi le ricordò il calore dei vapori di quella sera impregnare la camicia di Scorpius e spingerla contro il suo petto sicuro; i capelli biondi ricadere sul volto imbronciato; gocce d’acqua accarezzare i suoi lineamenti, seguire il profilo del naso, lambire le labbra sottili.
Avvertì pressione sulle cosce, lì dove lui l’aveva afferrata per lasciarsi imprigionare dalle sue gambe. Per avere la possibilità di toccarla.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Aveva il cuore che gli sbatteva da dentro come un matto,
le mani che gli tremavano e uno strano ronzio nelle orecchie.

Non c'era da stupirsi, pensò: non capita tutti i giorni di riuscire a volare.
 



CAPITOLO XIX


 
Kilig
 
 

 
Aveva seguito le linee tracciate nel campo da Quidditch, meticolosamente. Ne aveva percorso tutta la forma ellittica in giri continui, finché non si era fatto giorno. La stanchezza non era mai subentrata per ricordarle che fosse ora di rientrare, solo i raggi del sole avevano finalmente preso a scaldare la sua pelle resa fredda dal vento della prima mattina, nonostante il corpo accaldato dalla corsa.
Era chiaro che avesse esaurito tutte le attese che il tempo le concedeva.
Aveva avvertito il respiro, ora affannoso dopo lo sforzo, vibrare esausto come la sera precedente, sottratto dalla prepotenza dei suoi baci.
Le guance bollenti, come se il suo respiro caldo fosse ancora lì a riempire l’aria.
Le mani intorpidite per il freddo avevano conosciuto un calore che solo i suoi capelli, esplorati, scomposti, tirati in un impeto irrealizzato di possederlo con tutte le sue forze, erano capaci di concederle.
Il corpo di Rose, le sue spalle, la linea del busto fino ai fianchi e alle gambe, tutto era scosso da un febbrile turbamento, come se, dal momento in cui lui l’aveva esplorata con quella sua smaniosa esitazione, lei non potesse più averne abbastanza.
Correva, incapace di arrestare il grido di liberazione che aveva preso dominio di sé.
La luce albescente aveva lasciato posto ad un sole più sicuro, caldo come da tempo non lo percepiva in quei giorni tetri, e tutto le sembrò un miracoloso allineamento degli astri, come se anche il cielo sorridesse di felicità.
Fece l’ennesimo giro intorno al campo, ma quella volta una sagoma nuova fu catturata dai suoi occhi rapidi nel paesaggio che le saettava attorno, confondendosi in un tutt’uno lineare e indistinto.
Decelerò e voltò il capo per accertarsi che sugli spalti ci fosse davvero qualcuno a controllare la sua corsa.
Era in piedi sull’ultimo dei gradini e la fissava dall’alto, immobile. Solo i vestiti erano scossi dall’aria leggera come foglie al vento libere dall’eterna rigidità del tronco.
Vincent Nott le fece un cenno con la mano.
Non seppe definire se fosse un saluto o un richiamo, solo arrestò di colpo la sua corsa e lo fissò immobile, mentre la paura prese a raffreddarla in violenti brividi invernali. Si guardarono a lungo, soli come sempre, ma quella volta liberi di fuggire nella direzione opposta in qualunque momento.
Non c’era il buio a nasconderle le sue mosse, né la polvere soffocante a mozzarle il respiro, né tanto meno un libro proibito tra le sue mani tremanti.
Vincent Nott le fece un altro cenno, invitandola a raggiungerlo e lei riprese a correre, ma nella sua direzione, in alto, nel cielo, come se la forza del vento potesse isolarli da quella gabbia di diffidenza in cui erano imprigionati, e renderli simili almeno per la durata di un volo.
In quel momento non aveva motivi per dubitare che tutto fosse comprensibile, se solo lei l’avesse voluto.
Era ormai al primo dei tanti gradini che la separavano da lui, quando una scopa appena visibile le sfrecciò davanti, facendole perdere l’equilibrio e confondendole la vista.
La Firebolt le girò attorno un paio di volte, prima di fermarsi alla sua altezza.
  «Allenamento prima della partita dei Serpeverde?».
Solo gli occhi nocciola erano visibili dalla sciarpa arancione brillante con una palla di cannone in volo ricamata e una doppia C nera, marchio Cannoni di Chudley, che inghiottiva il volto bianco e freddo di James Potter, e questi erano occhi sorridenti e sornioni.
Rose lanciò un ultimo sguardo oltre il cugino, ma Vincent Nott era sparito così come era apparso, nella stessa imprevedibile rapidità.
  «Perché dovrei? Non siamo noi i loro avversari»
  «Non è un motivo per abbassare la guardia, soprattutto alla luce dei loro ultimi allenamenti. Malfoy ha sperimentato una nuova strategia, forse per sopperire alla sua mancata fisicità» disse James, continuando a svolazzare freneticamente in bassi e lenti movimenti. «È un fisico rubato ai Battitori, mi chiedo sempre perché abbia scelto di fare il Cercatore».
  «Perché è bravo» rispose semplicemente Rose.
E perché gli piace avere il dominio sulle situazioni.
Controllare tutto dall’alto del suo volo e avere la facoltà e il merito di cambiare le sorti della partita.
Come si aspettava, James si indispettì. «Anche contro i Corvonero? Non saranno un granché ma quel Cercatore è una maledetta scheggia».
A quelle parole Rose guardò in volto il cugino e non disse nulla. James le restituì uno sguardo serio e finalmente depositò la scopa al suolo. Abbandonò l’altezza che lo rendeva irraggiungibile e immune ad ogni interferenza, per raggiungere la caducità di una realtà terrena misera e deludente.
  «Dominique è preoccupata»
Rose sbuffò scettica. «A me sembra tranquillissima» disse acidamente. «Forse sei tu che le stai sempre con il fiato sul collo»
  «Solitamente sì, ma questa volta è davvero tesa: a giorni arriverà Teddy ad Hogwarts per il lavoro di Ricerca con il professor Roberts, e lei teme che tu possa lasciarti sfuggire qualche parola di troppo»
Lo perforò con uno sguardo carico di stupore e ostilità.
  «Se qualcosa la preoccupasse davvero, verrebbe a parlarmene personalmente».
James sollevò un sopracciglio, guardandola di sfuggita. «Siete amiche, adesso?»
  «A quanto pare più di quanto lo siamo io e te»
Solo un sospiro esasperato uscì dalle labbra di James.
  «Almeno lei ha avuto il coraggio di parlarmi»
  «Non parlarmi di coraggio, Ross» scattò il ragazzo. «Ho coraggio ogni giorno della mia vita»
  «Quindi come devo interpretare il tuo continuo evitarmi?»
James le voltò le spalle per poggiare delicatamente la scopa contro i gradini, ma senza lasciarla veramente. La tenne stretta tra le dita goffe e spesse per i guanti marroni e consunti: la presa era ferrea intorno al legno scheggiato e il suo corpo leggero sembrava spinto ancora dal vento, ma lo sguardo che puntò sulla ragazza era scuro e pesante come amianto. «Se avessi avuto qualcosa da chiedermi, saresti potuta venire tu stessa da me. Io non devo dare spiegazioni, tanto meno giustificazioni»
  «Non sono tua madre, James, né tuo fratello» esclamò, raggiungendo il cugino e sedendosi sul gradino accanto a lui. «Non pretendo di capire ogni cosa, voglio solo sapere se stai bene»
James rise, ma la guardò con più tenerezza. «Non ti devi preoccupare per me, non è il tuo compito»
Lei lo incenerì con gli occhi. «Che cosa stupida»
  «Hai detto che non sei mio fratello, allora non cercare di prenderti cura di me»
Rose roteò lo sguardo. «Questa è un’altra cosa stupida»
  «Piuttosto» continuò lui con un sorriso sghembo, senza ascoltarla. «La tua nuova amicizia con Dominique è molto interessante»
  «Non ho mai parlato di amicizia» tagliò corto lei.
James continuò a ridere, poi il sorriso si spense e lui si fece prima serio, infine teso.
  «Ha bisogno di un’amica»
  «Non sa nemmeno cosa voglia dire avere un’amica»
Il ragazzo le passò una mano tra i capelli bagnati di sudore. «Appunto» disse a voce bassa, si alzò e in un salto era già a cavallo della sua scopa.
  «E tu hai qualcuno?» gli urlò dietro, mentre lui riprendeva il volo.
  «Stalle vicino, Rose» le rispose. «È lei che ha bisogno di qualcuno»
James sparì alla sua vista in un attimo, rapido come fulmineo era stato il confronto che lui le aveva permesso. I pochi attimi con la realtà, cui James Potter aveva dato un’occasione, si erano richiusi su loro stessi, rischiando di risucchiare ogni traccia di quella fittizia spensieratezza. Prima che smascherasse la sua gravosità, si era librato nel cielo con un impeto di libertà agognata, lasciando Rose a mirarlo dal basso.
Ritornò con lo sguardo sui gradini alti ma di Vincent Nott nessuna traccia.
Allora si concesse un ampio respiro, accantonò ogni altro pensiero e perlustrò l’intero campo, assicurandosi di non essersi lasciata sfuggire nulla.
James aveva ragione, era lì per l’ultimo allenamento prima della partita di quella mattina.
Solo che l’allenamento in cui sperava di imbattersi non era di certo quello di suo cugino.
Eppure Scorpius Malfoy quella mattina aveva deciso di non scendere in pista per redarguire i Serpeverde un’ultima volta prima di affrontare i Corvonero, e Rose rinunciò ad ogni patetica speranza di incontrarlo.
Abbandonò il campo da Quidditch, continuando a correre in un giardino deserto. Guardò l’alto portone del Castello e lo trovò magnifico, gli dedicò il suono del suo battito accelerato, nella consapevolezza che quel posto non fosse più solo una casa, ma una culla, ospitante una magia silenziosa e vibrante.
Lo ringraziò e volò sulle scale in un movimento, trovandole lente rispetto al ritmo dei suoi piedi, non il linea con l’affanno del suo respiro irrequieto.
La Sala Comune era un delirio di gente in confusione, da quelli dei primi anni in ritardo per le lezioni del mattino, ai ragazzi più grandi che si trastullavano sul divano, liberi almeno fino a mezzogiorno.
Era sull’uscio della porta del Dormitorio quando questa si spalancò davanti ai suoi occhi e per poco non la travolse.
Le urla furiose che la stanza sprigionava, invece, riuscirono a colpirla in pieno volto.
Eloise la guardava spaventata.
  «Ascolta quello che ti dico: non entrare» disse, prima di superarla e precipitarsi lungo le scale.
Ovviamente non avrebbe potuto mai seguire il consiglio della ragazza, non dopo che la voce inconfondibile di Johanna ebbe educatamente invitato qualche fortunato intruso nel Dormitorio femminile a lasciare il prima possibile quel luogo a lui non degno.
Rose fu certa che il concetto espresso dall’ultima imprecazione fosse all’incirca quello, e sperò che anche il destinatario riuscisse ad andare oltre la forma colorita con cui Johanna solitamente esprimeva la propria contrizione.
A giudicare dal modo in cui Albus Potter si precipitò nella sua direzione, le intenzioni pacifiche della ragazza non dovevano averlo persuaso nel modo giusto.
  «Quanto pensi sia irreparabile?». Albus le lanciò uno sguardo disperato.
  «Che ha combinato?» gli chiese Rose.
Un ruggito di indignazione, immesso con voce gutturale e profondamente sconcertata, attraversò le mura del bagno per raggiungerli nel piccolo ingresso adibito a loro rifugio dall’ira di Johanna, e Rose non ebbe dubbi che, quella volta, fosse un grugnito riservato solo a lei.
Nella maggior parte delle discussioni che li coinvolgeva, Albus Potter aveva l’ardire di ostentare la sua spudorata serenità nei confronti della vita, tinta strategicamente da languide occhiate di comprensione e da un sorriso di condiscendenza di chi cela tra le fossette adorabili e i capelli da ragazzino ingenuo, tutte le arti di seduzione del mondo. 
Una passività, a detta di Joa, che di apatico e innocente aveva ben poco, e che spesso coincideva con la sua prevedibile e definitiva perdita della pazienza, quella stessa di cui Joa era sempre stata poco provvista.
Nella maggior parte delle discussioni che li coinvolgeva, quindi, Johanna Jordan si macchiava della colpa della sua impulsiva aggressività, e, come conseguenza logica quanto naturale, scagliava tutta questa frustante incomprensione su Albus Potter. La successiva placidità del ragazzo, nell’affrontare qualunque dramma gli si presentasse, aveva l’estrema conclusione di accendere la ragazza di un’ira accecante e fuori controllo.
Rose lo sapeva bene e in fondo le era sinceramente vicina, perché lei aveva solo avuto il grato beneficio di imparare a convivere con Albus Potter da molti più anni.
  «Questa volta potrebbe essere davvero colpa mia».
Il volto di Albus era indubbiamente contratto in un’espressione colpevole, eppure a Rose parve di cogliere un luccichio di vita animargli gli occhi dolci. Sembrava perverso compiacimento.
  «Allora ti conviene sparire da qui» commentò preoccupata. «Adesso»
Albus annuì. «Ci vediamo a colazione?»
  «Se riesco a calmarla»
  «Non ci contare» urlò Johanna, facendo sobbalzare Albus, che salutò la cugina con una leggera carezza sulla spalla, prima di dileguarsi in un’impavida corsa lungo le scale.
Rose comparve timidamente nel bagno dove l’ira furiosa di Johanna la accolse nel riflesso di due occhi strabordanti e un’espressione sconvolta sul volto ancora intorpidito dal sonno.
Joa la perlustrò rapidamente, in una fulminea valutazione della pertinenza dell’amica in quella stanza, e il suo turbamento riuscì ad acuirsi ancora in uno sguardo di profondo tradimento.
  «Sei andata a correre senza di me?»
Rose era spiazzata. «Avevo caldo» si giustificò.
  «Avevi caldo?» tuonò in una domanda che assomigliava sempre di più ad una minaccia. «A gennaio?» ormai la sua voce era solo un urlo continuo di crescente indignazione. 
  «Hai mai notato che questa stanza è incandescente? Sarà l’esposizione a est a portarla a tali temperature in pieno inverno».
Johanna emise l’ennesimo ruggito che la fece sobbalzare.
  «E hai pensato bene di andare a correre? Sudore, corpo accaldato e tutto il resto?»
Rose ci rifletté su. «Avevo bisogno di aria»
Gli occhi di Johanna erano due sfere di fuoco, che lei dischiuse, fino a chiuderle completamente. Poi trasse un respiro profondo e parlò con una voce bassa, se possibile ancora più tetra di quando ad esprimersi erano solo ruggiti rabbiosi.
  «Avete la stessa capacità di portare la mia pazienza al limite» disse, per poi tornare ad aggiustare alla ben meglio i suoi capelli corti e selvaggi.
Rose si privò di tutti i vestiti impregnati del proprio calore e dell’aria fresca dei suoi pensieri e si chiuse nella doccia.
  «Ha detto di aver combinato qualcosa» disse Rose a voce alta per sovrastare il suono insistente del getto d’acqua.
  «Innanzitutto è venuto al mondo» commentò Joa. «Poteva risparmiarselo».
  «Non essere troppo dura. Sai bene quanto sia sensibile».
Johanna si affacciò oltre il vetro della doccia solo per guardarla male.
  «La famigerata sensibilità di Albus Potter: una favola della buona notte che la Signora Potter raccontava al Signor Potter per muoverlo a compassione dopo la notizia del suo secondogenito a Serpeverde. Posto dove merita di stare con tutti i nostri encomi».
  «Che ha fatto di tanto atroce?»
  «Non è questo il punto». Joa era indignata da tutta quella scarsa capacità di comprensione.
Rose uscì attentamente dalla doccia, volteggiando goffamente intorno a Johanna che non dava segni di volerle concedere spazio per superare tutta quella manifestazione di contrarietà. «Allora mi sfugge il motivo per cui tu ce l’abbia tanto con lui».
  «Da quando sei diventata la paladina delle razionalità?»
Si guardò allo specchio per diversi secondi di contemplazione, tanto da sfociare nella pura vanità, se non fosse che i suoi occhi sprizzavano una luce inequivocabile alla quale lei stessa non riusciva a sottrarsi.
Era incantata dalla gioia che si spargeva sul suo volto; avida di assaporare ogni goccia di un’ambrosia mai conosciuta, catturata in rivoli cristallini di acqua solo perché lei la toccasse con le sue stesse dita, persuasa dalla certezza che quella felicità fosse reale.
  «Che cos’hai oggi?»
  «Nulla»
Rose si guardò ancora un po’ con ammirazione, lasciò scorrere i capelli bagnati sulla spalla avvolta dall’asciugamano, poi la scoprì, studiando quella nudità calda e in un attimo le sue labbra erano lì ad assaggiarla, in un momento rubato, in un attimo di inebriante cedimento.
Come quello della sera precedente.
  «Due minuti di conversazione con la Vipeera e già non riesci a staccare gli occhi dal tuo riflesso»
Si riscosse da quella contemplazione, e il vapore soffocante del bagno riprese a scorrerle intorno, ad appannare lo specchio, oscurando ogni traccia dei suoi desideri.
Johanna era già sull’uscio della porta con un’espressione arrendevole, quando si fermò, prima di sparire definitivamente.
  «A proposito, l’hai poi fatto ieri?»
  «Cosa?» chiese, voltandosi di scatto verso la ragazza e dando definitivamente le spalle ai suoi pensieri.
Johanna aggrottò le sopracciglia. «Hai parlato con Dominique?»
Sì,  l’aveva fatto, e quello che era successo dopo era troppo confuso da potergli imporre delle linee di definizione; si dimenava nella sua mente in immagini spezzate, in sospiri indistinti, in mani disperse alla rinfusa su due corpi che si confondevano. Era davvero troppo pensare di riuscire a dare semplici parole a tutto quel caos che le scorreva nelle vene.
  «Sì» rispose semplicemente.
La ragazza si poggiò allo stipite, guardandola in attesa di una risposta che aveva tutta l’aria di dover impiegare più tempo del previsto per dispiegare tutte le sue ragioni. «Allora?»
Rose ci pensò su «Resoconto positivo». Poi la superò e raggiunse la camera.
  «Nel senso che Malfoy è assolto da ogni accusa?»
  «Momentaneamente»
  «Cosa vuol dire momentaneamente?»
  «Che sono cauta» rispose Rose semplicemente, piegando con delicatezza la divisa sul suo letto.
Johanna la scrutò a lungo. «Che cos’hai tu stamattina? Perché non sei impulsiva, irrazionale, in preda a crisi esistenziali?»
Sollevò gli occhi al cielo e guardò l’amica con uno sguardo rasserenante. «Sono solo riflessiva»
  «No» Johanna le puntò un dito accusatorio contro. «Tu sei felice»
Rose prese ad asciugarsi i capelli nel modo più rapido possibile, facendo scorrere la bacchetta tra di essi e rilasciando un calore che la accarezzò solamente. Sembrava che niente riuscisse a raggiungere la temperatura che conservava dalla notte precedente.
Infine le sorrise.
  «Dovresti provare anche tu» confermò, vestendosi di tutto punto con premura e particolare attenzione al suo riflesso nel lungo specchio. Liberò i primi bottoni della camicia, stirò con le mani le ultime pieghe all’interno della gonna, e decise che quel giorno avesse ancora troppo calore addosso per indossare il cardigan, quindi optò per la giacca della divisa. Si ravvivò inutilmente i capelli, già voluminosi nelle loro morbide onde ramate. «È una bella sensazione».
Johanna continuava a fissarla, chiedendosi che fine avesse fatto l’amica di sempre, quella con cui condivideva ogni cosa da anni, ma che stava imparando a conoscere solo negli ultimi mesi.
La seguì con lo sguardo mentre questa si avvicinava alla porta del Dormitorio e la fermò solo per un momento.
  «E poi parleremo del perché sei andata a correre senza di me» disse con gravità.
 
 
  «Ferma un po’»
Lily Potter apparve davanti ai suoi occhi dal nulla, nel flusso di studenti che scorreva dalla Sala Grande verso le lezioni. Aveva le braccia impuntate sui suoi fianchi clementi.
  «Lily, non ti avevo vista» disse, portandosi una mano al petto.
Lei la guardò con un accenno di sospetto.
  «Per l’appunto»
Nel bel mezzo della Sala d’Ingresso, il fervore del lunedì mattina, misto alla noia che riporta alla quotidianità agitava l’aria intorno a loro in un chiacchiericcio eccitato, rendendo a Rose più semplice il compito di sottrarsi all’attenzione della cugina.
  «Strano che tu sia così distratta»
  «Devo ancora fare colazione, Lily. Sai bene che prima del caffè non esisto»
  «Eppure qualcosa mi dice che tu sia andata a correre stamattina»
Rose incrociò le braccia al petto, ora del tutto diffidente. «Qualcosa o qualcuno?»
  «Tess Rivers ti ha visto rientrare» concesse senza troppi problemi.
Sollevò gli occhi al cielo e superò la cugina. La voce di Lily la raggiunse prima che lo facessero i suoi passi.
  «Rose, fermati. Mi farai arrivare in ritardo alla prima lezione»
  «Perché siete tutti interessati alla mia corsa mattutina?»
  «Non mi interessa affatto delle tue abitudini sportive» Lily la rincorreva per poter seguire il suo procedere rapido. «Bensì chi frequenti di nascosto»
Le parole della ragazza sovrastarono il chiacchiericcio, colpendola alla nuca come fossero una percossa, risuonando nella sua mente in un’eco gigantesca, e la disorientarono, tanto che si ritrovò contro la spalla di un passante dal lungo mantello scuro, nel momento esatto in cui provò a voltarsi per risponderle affannosamente.
Sollevò uno sguardo mortificato e ne ricevette uno raggelante. Il professor Perkins la travolse con i suoi occhi gelidi che di avvolgente e tranquillizzante, quella volta, non avevano nulla. Simili solo a quelli che Penelope le aveva scagliato contro una volta, unico faro di speranza su un volto divorato dagli eventi o dall’odio, i suoi occhi la bloccarono in un momento senza spazio e senza tempo, incrinando i suoi ricordi verso uno sguardo adirato oltre ogni misura, preoccupato per qualcosa che Rose non capiva, intento a liberarla dalla trappola infernale di Vincent Nott.
In un attimo era di nuovo lì, in quel punto della Biblioteca, dove non avrebbe mai dovuto mettere piede.
Si avvolse tra le braccia perché per la seconda volta quel giorno i fremiti calorosi avevano ceduto il posto a brividi di inquietudine.
Forse colse il suo turbamento, perché il professore addolcì lo sguardo, poi lo sollevò, liberandola da quel giogo di ricordi che ancora la tormentavano. Le passò una mano sulla spalla, e all’occhio di un passante curioso quel gesto avrebbe avuto l’ingenuo significato di rispondere al suo sguardo mortificato per essergli piombata addosso. Ma lei vi vide tutto il proprio rammarico per parole che non avrebbero avuto il coraggio o la possibilità di essere pronunciate, o per qualcosa che lui stesso non era in grado di spiegare.
Si sentì rigettare nel vociare confuso di studenti e lui passò oltre, superandola e lasciandola lì.
  «Rose» Lily la richiamò a sé disperata. «Se devo farmi togliere punti da Arrows almeno mi piacerebbe sapere da quant’è che va avanti»
Di nuovo le insinuazioni della cugina la riportarono alla realtà.
Rose era ancora confusa e la guardò frastornata, senza trovare nulla da dire. «È successo solo una volta» concesse infine.
  «Per ora» disse, socchiudendo due occhi inquisitori.
Rose decise che avrebbe ignorato la piccola Lily, riprese a spintonare il flusso inarrestabile, finché quasi tutti gli studenti più piccoli non ebbero terminato di accalcarsi nella Sala d’Ingresso e lei poté procedere più serena verso la propria colazione. Ma Lily Potter non sembrava intenzionata a cedere e le stava dietro come un segugio.
   «Non è detto che ricapiti, Lily» spiegò lei, cercando di cacciare ogni pensiero «Potrebbe essere stato solo un errore»
  «Certo che lo è stato»
Quella era una risposta che non si sarebbe aspettata.
La guardò sorpresa. «Credevo che tu fossi d’accordo»
  «Perché mai?» contestò, indignata. «Per ritrovarmi ovunque quei suoi capelli biondissimi e setosi?»
Rose guardò ancora la cugina, adesso decisamene disorientata.
  «Non mi sembra che in questi anni tu abbia mai fatto troppe storie a tuo fratello»
  «Vorrei ben vedere. Prova tua a discutere con James»
Si fermò davanti all’immenso portone della Sala Grande e si voltò completamente verso Lily Potter, guardandola nei suoi grandi occhi color nocciola, cercando di capire perché mai la cugina ritenesse che Scorpius Malfoy fosse una presenza costante nella vita di James Potter.
  «Di chi diavolo stai parlando?»
Lily riportò le mani stizzite ai fianchi. «Non provare a rifilarmi quell’aria svampita. Tess Rivers ti ha vista andare in bagno con Dominique. In bagno, Rose, in bagno. Non ci vai con la prima amica che trovi, e decisamente non vai a quello del quinto piano, ma soprattutto non scegli di andare in bagno con la Vipeera Weasley».
Il sospiro che rilasciò fu talmente profondo e denso di tensione, che Rose non si sarebbe meravigliata di constatare l’assenza di altra aria nei polmoni.
  «Dominique» disse debolmente, sollevando il volto verso il soffitto irraggiungibile e rilasciando un sorriso leggero.
  «Non usare quel tono accondiscendente» la ammonì la cugina.
  «Ti stavi riferendo a Dominique»
  «Certo, non mi risulta ci siano stati eventi più sconvolgenti di cui tu debba mettermi al corrente»
Rose rispose con un lungo silenzio. Infine decise che il desiderio di caffè forte fosse, a quel punto della mattinata e della conversazione, un bisogno impellente.
Quando si voltò, decisa a non arrestare più la sua corsa verso una colazione sempre più vicina, l’ultimo e inevitabile tassello di quel labirinto di spiriti demoniaci, risaliti dagli inferi solo per abitare la sua mattinata, l’attendeva all’ingresso della Sala Grande, poggiato contro il muro in pietra, con un’espressione di pacato divertimento sul volto.
Scorpius Malfoy non si era ancora accorto di lei.
  «Non è proprio la compagnia che mi sarei aspettato».
Albus Potter la guardava da lontano, indugiando con un cipiglio severo sulla presenza inopportuna della sorella minore. Le rivolse due occhi socchiusi di disapprovazione, come aspettandosi di vederla svolazzare via alla maniera di un insetto piccolo e molesto.
Eppure Rose non lo vedeva. La sua voce era lontana e si affievoliva ad ogni suo passo, piuttosto che rafforzarsi con la vicinanza.
Scorpius Malfoy, abbandonato contro la parete, si separò da questa come scottato e si irrigidì in tutta la propria altezza, ergendosi immobile e statuario, contraendo il volto adesso serio e puntando i suoi occhi magnifici su di lei.
Rose si staccò a fatica da quello sguardo.
  «Johanna è infuriata con te» disse con voce atona.
  «Non è infuriata» si lamentò Albus. «Ha solo bisogno di attenzioni»
Lei annuì distrattamente, ma gli occhi tornarono ad incatenarsi con quelli di Scorpius.
  «Allora dagliele» commentò, continuando a far danzare lo sguardo. Si impose di fissarlo sul volto del cugino, come avrebbe richiesto una consueta conversazione, ma l’indiscrezione, con cui Scorpius sembrava voler lasciare un marchio di fuoco sulle proprie gote già accaldate, le rendeva impossibile cessare di vagare altrove con gli occhi e fingere di catturare alla propria attenzione tutto ciò che intorno a lei aveva vita.
  «Illuminante, Rose, grazie per il suggerimento»
Scorpius Malfoy si aprì in un ghigno, eppure Rose non vi vide tracce di arroganza, né il piacere di canzonarla, solo un pensiero distante che aveva appena preso forma in quel tratto sottile e divertito.
Il cuore le si bloccò in petto.
  «Qualcosa ti diverte?» pronunciò, travolta inesorabilmente da un istinto a briglia sciolta.
Capì quanto scarsi dovessero risultare i suoi tentativi di immettere in quelle parole una punta di sdegno, dal modo in cui Lily si voltò di scatto a guardarla come se avesse perso il senno. Albus, allo stesso modo, sembrò molto occupato a valutare la nota di inequivocabile e genuino interesse con cui la cugina si era rivolta al suo migliore amico, dopo troppi giorni di silenzio.
Scorpius sollevò le mani per aria in segno di resa e inclinò leggermente il capo verso il basso, accentuando un sorriso che aveva raggiunto anche gli occhi verdi e luminosi.
  «No, affatto» disse in sua difesa.
A quel punto persino Albus cessò ogni tentativo di decifrare il significato di un’improbabile e del tutto repentina resa della cugina, per concentrarsi sull’atteggiamento dell’amico, se possibile ancora più imprevisto. Lasciò scorrere lo sguardo tra i due e corrucciò le sopracciglia in un’espressione di esasperante rassegnazione.
  «Sono sicura che tu avresti qualche consiglio più edotto da rifilare a mio cugino»
  «Ti sbagli»
  «Hai finito gli assi nella manica?»
  «Come tu con i tuoi alibi»
Rose distolse lo sguardo e lo stesso fece il ragazzo davanti a lei.
Si decise ad ignorare l’espressione perplessa che disturbava la consueta placidità del volto di Albus, per lasciarli tutti lì e proseguire verso la Sala Grande, ad una colazione che il suo stomaco ormai in subbuglio non avrebbe gradito; poi capì che l’attenzione del cugino era rivolta verso qualcun altro.
  «Lily, non hai Arrows alla prima ora?»
Solo in quel momento Rose si ricordò della presenza eccezionalmente silenziosa della ragazza.
Quando si voltò a guardarla, tuttavia, Lily Potter aveva due occhi spalancati in una disarmante consapevolezza e le labbra sigillate, incapaci di liberare qualsiasi parola.
Lily la fissava senza dire nulla.
La fissava, piegando le ciglia in battiti impercettibili e in frammenti di secondi che sfuggivano a qualsiasi controllo, la fissava, lasciando che altro che non fosse la sua voce raggiungesse la cugina maggiore, quella cui era da sempre legata come le avevano insegnato le loro madri, con una complicità semplice e diversa.
La fissava e sapeva che Rose l’avrebbe capita.
  «Ci vediamo alla partita»
Poi indietreggiò e si lasciò travolgere dalla folla.
Albus Potter lanciò un ultimo sguardo perplesso ai presenti, prima di scrollare le spalle, voltarsi e dirigersi verso il tavolo dei Serpeverde.
Non sapeva perché d’improvviso lo ritenesse così normale, ma si ritrovò sulle orme del cugino come se non avesse fatto altro che vivere della semplice compagnia di quei due ragazzi per tutti gli anni che avevano preceduto quel momento.
Scorpius Malfoy le fu accano in un passo, molto accanto.
Le sfiorò la spalla con la propria e lei avvertì tutta la pressione del suo braccio forte contro il tessuto. Percepì le mani scontrarsi, in una scintilla istantanea, che il corpo in movimento aveva permesso. Fu un breve sfiorarsi delle dita.
Poi tutto tornò a debita distanza, cosicché nessuno, a parte loro, potesse sentire i brividi che avevano agitato i loro corpi.
  «Rose»
Dovette impiegare più tempo del previsto per capire che qualcuno tentava di attirare la sua attenzione.
Quindi voltarsi e trovarsi a incredibile vicinanza il volto di Tess Rivers fu per un attimo destabilizzante.
  «Tess»
  «Posso parlarti un attimo?»
Rose intercettò lo sguardo di Scorpius che proseguiva verso il tavolo, facendole un debole cenno con la testa di seguirla, poi si voltò seccata verso Tess «Facciamo alla partita?»
  «No, Rose. Adesso»
 
 
 
- § -
 
 
 
Il vociare alto e confuso che si disperdeva tra gli spogliatoi maschili era indice di un elevato ed eccessivamente spavaldo stato di eccitazione: un’impulsiva, incosciente e del tutto fuori luogo sicurezza degna solo dei migliori tra quei vanagloriosi dei Grifondoro.
Per tanto sigillò lo sportello del suo armadietto con un tonfo dalla solennità indiscutibile e il silenzio scese immediato e denso intorno a loro.
  «Chiedo scusa se ho interrotto il vostro ritrovo mattutino nel pollaio»
Quasi tutti i componenti della squadra abbassarono lo sguardo colpevoli, mentre gli altri evitarono accuratamente di incontrare il suo. Persino Albus si concesse solo una debole alzata degli occhi al cielo, per poi tentare di avvicinarsi alla stessa espressione mortificata dei suoi compagni, sapendo bene quanto a poco servisse reclamare tracce di quel favoritismo che spudoratamente il suo migliore amico gli riservava in ogni contesto.
Quando si trattava del ruolo da Capitano, Albus era consapevole che Scorpius non gli avrebbe perdonato nessun attentato alla sua autorità.
  «Quando avrete finito di starnazzare, potrò provare a considerare la possibilità che oggi non facciate completamente schifo là fuori»
La sua voce era ferma e pacata, ma risuonava alta nell’eco che il silenzio e la tensione avevano creato.
  «Oppure credete di essere così imbattibili da non aver bisogno di concentrazione?»
  «Contro i Corvonero ci vuole concentrazione per restare svegli»
Un coro di bassi e timidi sghignazzamenti fece da sottofondo all’irritazione di Scorpius.
Lo conosceva fin troppo bene per prevedere che non avrebbe taciuto la sua irriverenza. E dietro la solita bonaria ironia delle sue intenzioni, Scorpius percepì tutta la potenza della sferzata che quelle parole leggere scagliavano contro la propria autorevolezza.
Compì qualche lento e ponderato passo verso Alan Doyle, dando il tempo al suo cammino di suggellare il valore di quanto stava per dire. Procedeva verso di lui senza degnarlo di uno sguardo, si arrestò ad una distanza che gli consentisse di palesare il giusto ribrezzo e fissò i suoi occhi in quelli di lui, facendolo precipitare in tutta la profondità del proprio livore.
  «Un’altra parola e oggi contemplerai l’inettitudine dei Corvonero direttamente dagli spalti»
Il sorriso rilassato di Alan si intiepidì, ma il ragazzo non accennava ad indebolire lo sguardo di sfida.
Scorpius continuava a fissarlo con insistenza e i secondi divennero minuti. L’immobilità dell’aria intorno a loro iniziava a cedere, mentre i componenti della squadra non nascondevano più la tensione imperante.
Albus Potter, quella volta, era un debole ma tranquillo spettatore.
Dopo minuti che parvero ore, Alan distolse lo sguardo senza abbassarlo e Scorpius lo lasciò andare, voltandogli le spalle, fingendosi soddisfatto per una vittoria che aveva troppo l’aspetto di una concessione.
Avrebbe dovuto elargire le solite parole di conforto che acquietavano gli animi effervescenti della squadra qualche minuto prima della partita, ma la tranquillità che il Capitano si imponeva di diffondere tra i suoi compagni aveva abbandonato anche lui stesso e Scorpius si limitò a liberarli dal suo controllo con qualche debole ammonimento.
Alan Doyle gli strizzò l’occhio poco prima di abbandonare lo spogliatoio, portando con sé la vera vittoria di quella giornata.
Avvertì la mano di Albus sulla spalla.
  «Per fortuna il compito peggiore spetta a te»
  «Tenere a bada la vostra strafottenza?»
  «Più Dylan Kunis, direi»
Aggrottò le sopracciglia e liberò la spalla dal tocco dell’amico. «Ti voglio concentrato, Potter» lo redarguì, invitandolo a lasciare lo spogliatoio prima che lo facesse lui.
  «Ti ho mai deluso?»
Lasciò ad Albus l’ultima parola, come desiderava, e gli fu dietro, chiudendosi la porta alle spalle.
Al di là di quell’antro celato che racchiudeva tutti i segreti e le tensioni intime della squadra, c’era qualcuno ad attenderli, sotto il sole alto di quella mattinata invernale.
D’improvviso avvertì tutto il calore della giornata più assolata della stagione.
Rose Weasley era già caduta nella trappola di Alan, che le parlava sicuro e spensierato, facendola ridere.
Il ragazzo aveva dimenticato completamente la scopa contro il muro posteriore delle gradinate che davano sul campo e, poggiato con una mano ad esso, dava sfogo a tutta la sfacciata sicurezza che Scorpius inutilmente aveva provato a contenere.
Johanna Jordan, accanto a loro, assaporava parte dell’allegria del ragazzo, contribuendo con una gaiezza che i suoi modi burberi non le avevano mai concesso.
Strinse forte i pugni attorno alla propria scopa, constatando con quanta facilità Alan riuscisse ad indebolire le difese di chiunque.
  «Dovresti andare a riprenderti la ragazza» disse ad Albus che assisteva immobile alla scena.
  «Dopo di te»
Gli lanciò uno sguardo di sbieco, poi andò a passo sicuro verso il punto in cui Alan Doyle faceva tutto in suo potere per farsi espellere dalla squadra.
  «Doyle, ancora qui». Scoccò un’occhiata gelida e compiaciuta al ragazzo. «Non credevo oggi avessi tutto questo desiderio di unirti alla tifoseria» concluse con un sorriso sottile e aspro, lasciando scorrere gli occhi rapidamente sulle due ragazze.
La bolla di ilarità si disperse man mano che loro mutavano sorrisi e carinerie in gelida serietà, riservata solo a lui. Scorpius nascose tutta la propria delusione nel constatare quanto poco riuscisse a far sorridere Rose, poi quella triste consapevolezza lo colse nel profondo del suo orgoglio. Mentre maturava in lui la spiacevole quanto nuova sensazione che qualcosa di sua proprietà non gli tributasse gli onori dovuti, Alan si aprì in una risata a pieni polmoni.
  «Puoi tranquillizzarti, Capitano» disse, scrollando le spalle «Nonostante indubbie e pericolose fonti di distrazione, la mia concentrazione è ferrea e incorruttibile, come tu desideri» disse, perlustrando con uno sguardo talmente tanto intenso e inopportuno la figura di Rose che, se la Jordan non fosse stata così appariscente, niente gli avrebbe tolto dalla testa la convinzione di aver appena interrotto un incontro particolarmente intimo.
Afferrò la scopa e in un gesto secco gliela sbatté contro il petto. «In campo, adesso»
Lui soffocò il respiro spezzato per il colpo. «Vale anche per la tua damigella d’onore?» chiese, facendo un cenno verso il ragazzo che lo seguiva.
Scorpius gli si parò davanti in tutta la sua rigida e immobile fermezza, poi parlò con tono irremovibile, ma quando la voce bassa soffiò tra i suoi denti digrignati un tremito di collera la spezzò.
  «Albus arriva quando lo decido io» sibilò, mandando all’aria tutti i buoni propositi di imparzialità.
Alan Doyle retrocedette di un passo, ubbidendo a capo chino alle direttive del Capitano. Poi volò accanto a Rose e le passò le dita tra i capelli.
  «Non ti affannare troppo per il tifo. Sarò strepitoso»
  «Non ho dubbi» fu la candida risposta della ragazza.
Un tono dolce, sincero, senza increspature o intenzioni sottintese. Splendeva limpida e leggera, nel modo in cui a lui si era sempre negata.
Albus fu colpito da un eccesso di tosse con cui nascose una risata nervosa.
  «Giuro che lo butto giù dalla scopa» fu il basso latrato di Scorpius.
  «Così mi piaci: ponderato, razionale, sempre misurato nelle fragilità emotive»
Una smorfia stizzita comparve sul volto di Scorpius.
  «Cosa c’entra la fragilità emotiva?».
Albus Potter gli lanciò un’occhiata profonda e silenziosa al di sopra degli occhiali. Corrugò appena le sopracciglia, accennando solamente quella onnipotente consapevolezza di cui lui riteneva di essere l’ambasciatore in terra, ma tanto bastò per portare la pazienza di Scorpius al limite.
   «Vola in campo, Potter» ordinò a voce alta. «Sparite tutti dalla mia vista».
Johanna Jordan mugolò qualcosa riguardo il suo brutto carattere, ma si apprestò ad esaudire il desiderio del Capitano senza troppe proteste, o forse lieta di aver trovato una causa di forza maggiore per essere tragicamente costretta ad accompagnare il ragazzo verso il campo.
Le spalle furono la prima parte che vide davvero.
Poi i capelli rossi seguirono come una frusta il movimento del suo corpo e si adagiarono su di esse per coprirle.
Eppure il suo era un gesto lento, esitante, che lo chiamava a sé.
  «Weasley»
Gli sembrò che si fosse fermata ancora prima che lui parlasse. Lei si voltò a guardarlo interrogativa e per la prima volta la vide.
Era curiosa e in attesa.
I due ragazzi si mostrarono altrettanto interessati al suo richiamo, con una indiscrezione cui Albus Potter doveva aver dato legittimo riconoscimento.
Scorpius sospirò irritato. Un cenno stentato della testa li invitò a proseguire.
  «Concentrazione, Capitano» furono le parole di commiato del suo migliore amico.
Rose Weasley, nel frattempo, era ancora lì e lo guardava in attesa.
  «Sono stata convocata?»
  «Per pessima condotta» disse freddamente.
Lei piegò le labbra in un sorriso interessato e si avvicinò di qualche passo, lentamente. Aveva il solito cappotto invernale che copriva abiti consueti, semplici ed eleganti, fuori dai dogmi della divisa. Solo la sciarpa dei colori caldi che più detestava ricordava l’abbigliamento di sempre e gli parve così perfetta intorno ai suoi capelli di fuoco.
Eppure avrebbe tanto voluto gettarla via e riscoprire il collo pulsante sotto di essa.
Lei si arrestò ad una distanza di sicurezza, dalla quale avevano la possibilità di guardarsi, senza minacce o sensazioni impreviste.
  «Di quale colpa mi sarei macchiata?»
  «Hai atteggiamenti sconvenienti con i componenti della mia squadra» disse in un muro di ghiaccio e collera. «Li distrai poco prima della partita».
Il suo sorriso questa volta fu a pieni denti e sciolse la freddezza del volto di Scorpius.
Sembrava divertita.
Si avvicinò maggiormente, percependo un consenso dalle parole di lui che fino a poco prima non le era stato dato. Fu così vicina che il profumo dei capelli lo raggiunse come un incantesimo inesorabile e in un istante capì che avrebbe ceduto a qualsiasi mossa.
Rose sollevò il mento per guardarlo dritto negli occhi.
  «Chiedo scusa» sussurrò. «La mia intenzione era di distrarre solo il Capitano».
Avvertì un velo calare sulla sua lucidità e offuscargli ogni intenzione ponderata, lo sguardo piegarsi verso quello di lei per catturarlo nel proprio e le dita scostarle i capelli dal viso.
  «Oggi sono irremovibile» disse debolmente.
Lei scosse la testa divertita. «Davvero?»
Gli fu vicinissimo e lui non vide altro che i suoi capelli ovunque, poi sentì le labbra di lei adagiarsi sullo zigomo e seguire il profilo del volto fino al mento, sfiorargli le labbra. In un attimo il suo profumo fu di nuovo distante e Rose Weasley si era allontanata.
Poggiò le mani sui suoi fianchi coperti e la riportò a sé con poca delicatezza, scoprendo un’avidità così tanto contraria al languore di lei, da farla sorridere soddisfatta.
E capì che quella era stata la sua mossa.
Alzò la testa e lasciò andare un sospiro, poi poggiò la fronte contro quella della ragazza e chiuse gli occhi.
  «Quindi qual era il tuo piano per distrarmi?»
Lei disperse una risata leggera, le dita gli carezzarono il mento, il profilo della mascella, la guancia, fino ai capelli. Giocò con questi appena un po’, poi immerse la mano, li assaporò nel loro disegno confuso dal vento, e, quando avvolse la nuca, la spinse verso di sé, costringendo Scorpius a sfiorarle le labbra con le proprie.
La sentì sorridere per quel colpo mancato, deridere la vana resistenza di lui. Allora lei scostò il volto per riprendere aria fredda nei proprio polmoni, senza allontanarsi davvero, dandogli ancora la possibilità di cercarla.
Scorpius la avvicinò ancora a sé e la strinse in un abbraccio che di tenero aveva ben poco.
  «Ho una partita da giocare» le sussurrò all’orecchio.
  «Là su o qui con me?»
A quelle parole non resistette più. La sciolse dall’abbraccio e si guardò intorno. Cercò le sue dita e le strinse, avvolse la sua mano esile nella propria, racchiudendola in un segreto che era solo loro. La condusse lontano da lì, dietro l’albero, nascosti dal muro degli spalti.
Si voltò verso di lei senza lasciarle la mano, ma con l’altra le circondò la vita, riportandola contro il proprio corpo.
Rose Weasley non sorrideva più, lo guardava intensamente e gli parve di vederla tremare.
Avrebbe voluto trovare un terzo aggancio con cui avvolgerla maggiormente, e nell’indecisione straziante abbandonò il corpo e le dita fredde, per prendere il suo volto con entrambe le mani.
Posò le sue labbra sigillate su quelle morbide di lei e le spinse con irruenza in un bacio lento e violento.
  «Sei venuta solo per tormentarmi».
Lei strinse le dita attorno alla divisa verde-argento, all’altezza del petto e si portò completamente contro di lui, cercando ancora il suo volto. Quando vide che lui si scansò, lo guardò confusa.
  «Per augurarti buona fortuna» spiegò.
Scosse la testa. Forse era così, o forse lo era solo in quel momento.
Rose approfittò della sua esitazione per baciarlo ancora, con delicatezza, portandolo a socchiudere le labbra, riprendendole tra le proprie in lenti e continui movimenti sensuali e dolci, fino ad accarezzarle con la lingua e a toccare quella di lui.
   «Perché non mi credi?» sussurrò nella sua bocca.
 Scorpius si lasciò scorrere il suo labbro inferiore tra i denti «Perché ti piace farlo»
  «Cosa?»
  «Tormentarmi»
Gli occhi di Rose Weasley tremavano mentre lei li lasciava vagare irrequieti sul suo volto. Si sollevò sulle punte per arrivare perfettamente alla sua altezza, lanciargli le braccia intorno al collo e baciarlo finalmente senza esitazione, premendo insistentemente quelle labbra gonfie e insaziabili, assaggiandolo fino a divorarlo.
  «Mi piace più questo» disse, recuperando il fiato.
Non si era accorto di averle scomposto i capelli e si concesse qualche istante per recuperare lucidità e contemplarla così, indomita e sicura, talmente tanto da non riuscire a decifrarla. Le accarezzò la pelle eburnea, dalle gote arrossate, temendo di infrangere la patina di irrealtà che la avvolgeva.
Un boato di grida e cori gli ricordò dove si trovava.
Gli ricordò la partita contro i Corvonero e l’onore da Capitano da difendere.
Temette di guardarla ancora negli occhi e di rendersi conto che non gli importasse più nulla di tutto il resto, ma quando incontrò quel blu scuro, sempre feroce, e vi precipitò dentro, credendo di non riemergere più, lei gli sorrise con dolcezza.
  «Se perdi contro i Corvonero te lo rinfaccerò a vita»
  «Allora vincerò solo per questo»
Lei rise. «Per me?» chiese con ironia ostentata.
  «Per poterti battere alla prossima partita, Weasley».
 
 
 
 - § -
 
 
 
La partita era iniziata ormai da tempo e lei continuava a temporeggiare, affacciata a strapiombo oltre la staccionata degli spalti.
Scorpius Malfoy era concentrato, perlustrava i movimenti dei suoi compagni, irrigidendo la mascella quando desiderava imprecare contro di loro e incitandoli nei momenti di maggior fiacchezza.
I Serpeverde, quella mattina, stavano giocando la peggior partita dell’anno, subendo, piuttosto che compiendo, una quantità indicibile di falli.
Rodolphus Mumps, Battitore Corvonero, si scagliò contro Zabini per poi frenare all’ultimo momento la sua rotta e incrociare i manici di scopa così da deviare l’avversario Serpeverde verso un’altra direzione. La Pluffa, conquistata da Eveline Rabnott, attraversò gli anelli ancora stretta tra le mani della Cacciatrice, la quale si esonerò dallo scagliarla oltre i cerchi, in linea con le regole del gioco, mentre altri Cacciatori troneggiavano fieri nell’area di punteggio.
L’incessante mancanza di pudore da parte della tifoseria Serpeverde si accese in un boato di protesta per quella violazione spudorata, nonostante probabilmente furono loro stessi in tempi passati ad averle dato legittimità.
Lei strinse i pugni contro il legno umido e piegò la testa all’ennesimo punto segnato dai Corvonero.
  «Arrivi tu nella sua vita e improvvisamente non sa più fare il Capitano»
Rabbrividì, ma non era colpa del vento freddo che a quell’altezza le scorticava il viso.
Si voltò verso Vincent Nott, affacciato accanto a lei.
  «Stammi lontano» disse a denti stretti.
  «Credimi, mi piacerebbe esaudire questo tuo desiderio» rispose in un impercettibile sibilo di odio.
Rose sigillò le dita in risposta all’applauso che percorse tutta la folla da un'estremità all’altra del settore e ringraziò il boato che la aiutò a nascondere la vibrazione della sua voce.
  «Talmente tanto che niente riesce a trattenerti dal girarmi intorno in piena notte all’interno di una biblioteca isolata» disse Rose gelida, poi studiò una pausa di riflessione. «Certo, a parte il professor Perkins»
Vincent non sembrava sorpreso. «Avrei potuto denunciarti o toglierti dei punti, molti punti»
  «Anche tu eri nella Sezione Proibita»
Lui addolcì l’espressione di pietra e ne indossò una mortificata, ma profondamente scossa «Ho sentito dei rumori e sono corso a controllare» spiegò in una perfetta imitazione della maschera che avrebbe indossato davanti alla Preside. «Sai, ero di ronda quella notte» concluse con una smorfia di sdegno che vanificò ogni tentativo di sembrare innocente.
  «Quindi ti dovrei ringraziare per non avermi fatto espellere?»
  «Non me ne faccio niente dei tuoi ringraziamenti»
Era teso e il suo volto bellissimo aveva conosciuto tempi migliori. La patina raffinata di elegante pallore si increspava intorno agli occhi in violenti segni violacei.
  «Perché mi sei sempre intorno?»
  «Ti sbagli» disse senza guardarla, ma era un tentativo troppo debole di indurla a desistere, così Rose fu spinta a proseguire.
Si guardò ancora intorno, mentre la folla incitava e i tifosi verde-argento si isolavano in una tetra delusione.
Johanna Jordan non stava guardando la partita.
Era seduta sull’ultimo gradino e fissava un punto di fronte a sé, in corrispondenza delle fenditure sulla staccionata. Una timida apertura sul peggior disastro del Campionato.  Gli occhi assorti e inermi sembravano meditare senza speranze su ciò che si stava verificando davanti a loro.
Rose vide Lily Potter sugli spalti bloccata tra le grinfie di Tess Rivers. A braccia incrociate ascoltava la ragazza parlare incessantemente. Di tanto in tanto Tess lanciava nella sua direzione qualche occhiata sfuggente e profonda, alla quale Rose rispondeva con un timido sorriso di gentilezza.
Tess Rivers iniziava a spaventarla.
  «Quindi non volevi che mi facessi una passeggiata tra i corridoi della Sezione Proibita» disse a voce bassa, guardando attentamente Vincent Nott che continuava a mantenere gli occhi fissi sul campo.
Rimase immobile per diversi secondi, imperturbabile come se fosse incapace di vita, e quando Rose iniziò a dubitare che avesse davvero sentito le sue parole, il ragazzo sorrise.
Fu una smorfia impercettibile, che di gioioso non recava tracce; piuttosto le parve un segno di aridità su un volto che aveva dimenticato il brivido di un qualunque sentimento.
Eppure Rose lo raccolse come un incoraggiamento.
  «Che cosa temi possa finire nelle mie mani?»
Vincent Nott sollevò gli occhi verso il punto più alto del cielo e per un momento Rose pensò che stesse guardando la fuga di Scorpius verso il boccino.
  «Se davvero in questo momento nella Sezione Proibita ci fosse qualcosa che non vorrei farti leggere, perché mi sarei dovuto prendere la briga di girarti intorno l’altra notte?» disse serio, cessando di sorridere o di palesare cortesia. Si voltò, fissando i suoi occhi di ghiaccio in quelli di lei per la prima volta, e parlò con fare annoiato «Forse perché non posso farne a meno».
Rose lo trattenne per il braccio quando Nott provò ad allontanarsi, e l’occhiata di odio che lui le scagliò contro fu talmente tanto diretta e sincera, che lei allentò la presa all’istante.
  «Io non riesco a capire» disse infine e la sua voce vibrò di disperazione.
  «Non è un problema mio» esclamò a voce chiara, sfilando rapidamente, in un soffio impercettibile il braccio dal suo controllo.
Entrambi si voltarono tra il frastuono imperante dei cori Serpeverde per ammirare Scorpius Malfoy sollevare tra le dita sigillate il boccino dorato della loro vittoria, luccicante tanto quanto tetro era il viso del Capitano.
Lo spettacolo che le si presentò in cielo le alleggerì il petto da ogni altra preoccupazione e valutò in un attimo di scendere nel campo per stringere l’unico campione di quella giornata in un abbraccio di sollievo, ma il volto rilassato di Vincent Nott riuscì ad imbambolarla in uno scenario ancora più sorprendente della vittoria dei Serpeverde: un dolce spiraglio di tenerezza e felicità conferì la dignità di uno spirito umano a quella statua di gelida indifferenza.
Vincent non sorrideva, ma gli occhi color del ghiaccio erano un mare scuro e profondo e il volto più roseo che mai portava i segni di una leggerezza infantile.
  «A quanto pare non l’hai rovinato del tutto» constatò. «Per ora» aggiunse in un sussurro che aveva ormai abbandonato i segni del rancore e non si preoccupava di celare tutta quella desolazione.
Per un solo indefinibile attimo Rose provò una strana pietà.
Poi qualcuno le finì addosso, si sentì strattonare in mezzo alla folla e in un attimo perse di vista Vincent Nott.
Lily Potter, scaltra e agile, saettava giù per gli spalti, sgusciando tra la gente. I suoi capelli rosso scuro furono il faro a cui si aggrappò per non perdere la cognizione dello spazio e del tempo che vorticavano intorno a sé confondendosi inesorabilmente, cosicché Rose non seppe dire come fossero finite in mezzo al campo, dove ancora i quattordici giocatori tentavano a fatica di riprendere coscienza di quanto avvenuto.
Nel frattempo nell’area di centrocampo l’intera Casa Serpeverde si era riversata per osannare i suoi eroi.
Rose si liberò dalla presa di qualche matricola, che, vedendola priva di indumenti identificativi, aveva facilmente attribuito la sua presenza così vicino alla squadra vincitrice ad una stessa appartenenza di colori. I Serpeverde, del resto, non prediligevano le amicizie extraterritoriali.
E così, sentendosi toccata dai viscidi colori verde-argento o umiliata dalla prevedibilità di tante ragazze che l’avevano preceduta, Rose si trovò a vagare tra la ressa, facendo scorrere lo sguardo fremente, alla ricerca di capelli biondi e luminosi come il boccino che poco prima lui aveva sollevato in aria.
Lo trovò già a fissarla, immobile, per un istante lontano dalle attenzioni degli altri.
Si mosse per andargli incontro e lo vide riscuotersi come allarmato, abbandonare quello stoicismo, fare qualche passo indietro e guardarla irrequieto. Poi si distrasse con qualcuno, accettò una pacca sulla spalla e un abbraccio caloroso. Fingeva.
Non era pronto, Rose lo capì all’istante come se non avesse mai avuto dubbi a riguardo, ma le stava bene così.
Allora rimase dov’era e a quella distanza finse di congratularsi con un pigro e meccanico inchino. Lui si aprì in un sorriso sghembo, strappato sul suo volto di cera. Era un taglio divertito su una maschera di indifferenza, ma gli occhi verdi brillavano.
Il sorriso di Scorpius si perse tra quello di tanti, nonostante fosse indelebile nella sua mente, e in un attimo tutto iniziò a roteare. Alan Doyle l’aveva sollevata in aria, riportandola poi tra le sue braccia e stringendola come se fosse la Coppa della finale di Quidditch.
  «Lo sapevo che avresti portato bene, dolcezza»
  «Ma se avete giocato malissimo» si lamentò mentre ricercava l’equilibrio.
  «Non dirlo mai davanti al Capitano»
In un attimo, senza comprenderne il motivo, si sentì sporca; sollevò gli occhi nuovamente verso di lui, solo per controllare che andasse tutto bene.
Lo trovò talmente tanto diverso da come lo aveva lasciato, immerso in una conversazione con Albus fatta di poche parole e di sguardi rubati, dove aveva spazio per essere se stesso e la distrazione era solo una maschera con cui confondere il suo turbamento, che per un attimo maledisse Alan e il suo entusiasmo inopportuno.
  «Grazie per essere qui»
Poi Alan parlò e la guardò con una semplice gratitudine che di sottinteso non aveva nulla. Versò nell’aria che lei stava respirando i suoi sospiri di sincerità e di discreta dolcezza, una delicatezza che il ragazzo aveva imparato ad immettere in tutta l’invadenza con cui da sempre le ricamava attorno.
Si sentì in colpa per aver disdegnato quella purezza, per averlo fatto a favore di qualcosa che non aveva nemmeno la forza di sorriderle da vicino. Allora si protese verso di lui e depositò un rapido bacio sulla sua guancia.
Quella volta non avrebbe controllato la reazione di Scorpius.
Qualcuno intonò un coro e Scorpius Malfoy venne sollevato in aria.
Qualcun altro si schiarì la gola con un ruggito sorprendentemente forte, tanto da superare il frastuono dei Fuochi Forsennati Weasley.
  «Serve un volontario per togliere la maglietta al Capitano» Lily la guardava duramente e il tono di voce aspro rese la sua proposta tanto più simile ad una minaccia. «Avevo pensato avessi una certa dimestichezza con la faccenda, ma a quanto pare ti ho colta in un brutto momento» concluse urlando a due palmi dal naso di Rose per sovrastare la musica che accompagnava il giro del campo celebrativo dell’intera squadra.
Lei si strinse con più energia la sciarpa intorno al viso per nascondere il rossore sulle guance. Sapeva di dover spendere due parole in difesa del povero Alan, ingiustamente trucidato da una delle migliori occhiatacce di stampo Weasley, ma nella sua mente roteava infida la possibilità che Scorpius Malfoy sarebbe rimasto di lì a poco illibato e puro come solo una volta le era accidentalmente capitato di intravederlo.
E il suo autocontrollo era ormai inabissato in una battaglia per decidere quanto questo spettacolo le recasse un discreto piacere, essendole tutto sommato indifferente o quanto invece avrebbe portato Scorpius Malfoy ad infliggerle la sferzata finale per lasciarlo troneggiare, vittorioso come un colonizzatore, sulla sabbia dei propri pensieri e del proprio orgoglio.
  «Non essere gelosa, piccola Potter» dichiarò infatti Alan, lasciato da solo a provvedere a se stesso. «Ce n’e’ per tutte» disse e il suo tono aveva un intento rassicurante.
Lily gli lanciò uno sguardo di sbieco. «Ti prego» disse tra i denti.
  «Non è ancora il momento di pregarmi»
  «E non lo sarà mai» tagliò corto lei. «Ci puoi scusare?»
La ragazza la afferrò per il braccio e la portò lontano da orecchie indiscrete.
  «Farò finta che Doyle sia solo un incidente di percorso sulla via della felicità, lo sbaglio perdonabile il giorno prima del grande sì, la crisi di mezza età che preannuncia una rinascita matrimoniale» dichiarò Lily seria.
  «Mi stai spaventando»
Lily Potter aveva le mani affondate nei fianchi modesti, era esile e di molto più bassa di lei, motivo per cui non fosse ancora riuscita a debellare dalla sua reputazione l’appellativo di ‘piccola’.
Il viso era dolce e gli occhi grandi color nocciola brillavano dello stesso languore del padre. Eppure la piccola Lily riusciva ad assumere quel cipiglio scaltro e inevitabile, come se il suo ingegno sgusciasse tra i pensieri delle persone con la stessa facilità con cui facesse il suo corpicino.
Non era autoritaria come James, né melliflua come Albus, ma lo sguardo capriccioso, che si trascinava dietro il suo vezzeggiativo e che la ragazza aveva preso ad adoperare come un’arma dalle grandi possibilità,  emanava bagliori pericolosi.
Lily annuì saggiamente. «La felicità può spaventare»
  «Mai quanto le tue conversazioni con Tess Rivers»
La ragazza continuava a scuotere la testa comprensiva, senza ascoltarla. «Il trucco è non farsi troppe domande» aggiunse dolcemente.
  «E di non farle a lei soprattutto» disse distrattamente. «A proposito, di che parlavate?»
Rose fingeva di non prestarle attenzione, mentre con gli occhi vigilava sul punto esatto in cui la squadra Serpeverde avrebbe privato il suo Capitano di ogni indumento superfluo. Tutti sembravano assorti da quella visione, persino Vincent Nott aveva rinunciato al suo altezzoso disprezzo e osservava a debita distanza lo spettacolo. Solo Albus Potter mancava di attorniare il suo amico e capitano.
  «Tess crede che Dominique non stai frequentando Malfoy»
Quella volta Rose la guardò seriamente.
  «Ma questo è abbastanza ovvio» aggiunse Lily con una lunga e densa pausa, durante la quale si premurò di scrutarla in maniera eloquente. Quando accettò che Rose non avrebbe aggiunto nulla di significativo, proseguì «Vuole capire chi incontra durante i turni notturni, è convinta che abbia una stabile relazione clandestina. Ho scommesso 10 galeoni sul contrario e Tess si stancherà presto di sgusciarle dietro nei diversi Dormitori che frequenta» concluse con una smorfia di disgusto.
Per la verità Dominique Weasley non aveva affatto quel tipo di reputazione, ma Rose non se la sentì di indisporre la cugina più di quanto stesse facendo il suo continuo girare attorno all’argomento scottante.
Il gruppo reggente il Capitano come un trofeo passò loro accanto e furono costrette a spostarsi per lasciargli spazio lungo la navata centrale. Scorpius fingeva un imbarazzo talmente tanto lieve e ben studiato che poteva più facilmente ritenersi timore per un solenne ritegno violato. Le sfiorò, immerso in una lava colante di gloria e ammirazione, e solo per un attimo i suoi occhi si piegarono ad incrociare quelli di Rose.
Eppure tanto le bastò.
  «Per lo meno sappiamo che non è lei che frequenti di nascosto». La voce di Lily sgusciò tra i suoi pensieri.
Rose lasciò volteggiare lo sguardo sul resto della folla, poi lo poggiò sulla cugina con leggerezza e ingenuità.
  «Una domanda ce l’avrei, in realtà» fece Rose. «Si può sapere di cosa stai parlando?».
Lily Potter si ammutolì e sbatté le palpebre una volta di troppo, poi i suoi lineamenti si addolcirono e le labbra si piegarono in un broncio pensieroso. Sigillò gli occhi in uno sguardo accusatorio, ma era priva dell’impudenza di James o della padronanza di Albus, e così come aveva sollevato un dito per puntarlo contro la cugina, lo richiuse nel pugno della sua mano, abbandonando ogni intenzione.
Lily la guardava con sospetto, iniziando a dubitare.
Rose la accarezzò con i pensieri, perché la piccola Potter non aveva nulla da invidiare alle capacità fraterne, ma quello non era ancora il momento per parlare di Scorpius Malfoy.
Il grido di giubilo della folla coinvolse anche gli spettatori neutrali, la tifoseria nemica e addirittura chi di Quidditch non voleva saperne proprio nulla. Si fece unanime in un applauso generale, di crescente entusiasmo e Rose non ebbe dubbi che una reazione del genere potesse essere comprensibilmente generata solo dal torso nudo del Capitano Serpeverde.
Fu per tale ragione che voltarsi verso il ragazzo e trovarlo vestito di tutto punto le procurò un’iniziale delusione, seguita più razionalmente dallo sgomento e dalla necessità di comprendere l’ilarità diffusa.
Non impiegò molto a dare risposta ai suoi pensieri, perché lo spettacolo catturò la sua attenzione come una calamita.
Così, senza preavviso o preparazione, si ritrovò ad osservare con le mani alla bocca Albus Severus Potter, ancora in divisa sportiva, sospeso a mezz’aria sulla sua Firebolt ultimo modello, ben visibile a tutti, piegato verso il campo da Quidditch per tirare a sé Johanna Jordan e baciarla con talmente poca moderatezza da far storcere il naso a tutto il perduto contegno della dinastia Malfoy.
 
 
 
- § -
 
 
 
Ogni volta che gli chiedevano spiegazioni sulla necessità di incantare l’armadio del Dormitorio per ospitare tante versioni lievemente differenti della stessa giacca della divisa, lui rispondeva che Draco Malfoy possedeva una preziosa e centenaria tradizione sulla cultura dell’abbigliamento e che non avrebbe mai permesso che il rampollo di casa Malfoy si infangasse nell’anonimia di un istituto scolastico, vestendo ogni giorno squallidi maglioncini di pessima fattura e inaccettabile design.
Sulla lotta portata avanti dal padre con il Comitato Studentesco, per introdurre il blazer nella divisa della futura classe dominante di Londra, tentò sempre di sorvolare, così come aveva costantemente tenuto a tacere la presenza stabile, nel ristretto ed esclusivo nucleo familiare Malfoy, del caro e indispensabile Domenico, sarto e stilista personale da quando era in fasce.
E grande stimatore di Albus, naturalmente.
All’ennesimo fallito giro di perlustrazione nel suo camerino da diva, come brillantemente l’aveva soprannominato il suo migliore amico, sferzò un pugno leggero contro il legno dell’armadio.
  «Hai controllato in lavanderia?»
Vincent aveva già terminato di sistemare la borsa e adesso raddrizzava pieghe immaginarie sulla sua perfetta e illibata camicia, probabilmente per assumere la stessa misera condotta della gente mediocre che lo circondava.
  «Non riuscirei a beccare un elfo domestico nemmeno se provassi a rimanere sveglio tutta la notte»
  «Chiederò a Zelma»
La sua domestica personale, certo.
Astoria si era categoricamente opposta all’idea che Scorpius portasse con sé un elfo domestico o che uno di questi fosse mai impiegato al servizio di casa Malfoy. Riuscire a far comprendere l’atrocità di un’usanza così bestiale e dominatrice al caro marito fu la seconda battaglia più violenta di cui fu partecipe Draco Malfoy.
Scorpius annuì e rinunciò ad indossare la sua giacca preferita.
Nonostante gli ammirevoli tentativi da parte di Astoria di mitigare l’influenza che certe ossessioni della famiglia Malfoy perduravano da generazioni, Scorpius preferiva di gran lunga dedicarsi agli acquisti personali in compagnia del padre. E adorava le giacché confezionate dalle mani fatate di Domenico.
  «Sei in ritardo» constatò Vincent, prima di decidere che il suo riflesso nello specchio non necessitasse di altre fittizie revisioni e fosse già perfetto da quando aveva aperto gli occhi quella mattina.
  «Già» sbuffò lui, accettando di malavoglia una giacca nera pece dalle tonalità più intense rispetto a quelle che tingevano i pantaloni.
Per sua fortuna, rifletté, le lezioni di Pozioni si svolgevano nell’oscurità più profonda.
  «Ti prendo un posto?»
Scorpius si affacciò oltre l’anta dell’armadio che ospitava lo specchio, per rivolgergli un cenno di frettolosa gratitudine.
  «C’è Albus giù ad aspettarmi» spiegò. «Troveremo qualche buco in cui infilarci» disse e subito si accorse di un’imprecisa quanto ambigua scelta di parole.
L’espressione strana che contorse il viso di Vincent fu un’imbarazzante conferma.
Il ragazzo non disse nulla, solo andò via silenziosamente, portando con sé il suo volto turbato.
Quando raggiunse la Sala Comune, Albus Potter era visibilmente sereno.
Sedeva comodamente su una delle poltrone in velluto verde, affacciate verso l’ ampia vetrata che dava sul lago, e ancora il sole intenso di quella mattina si rifletteva sulla superficie specchiata. Leggeva un libro che doveva aver trafugato dalla Biblioteca, a giudicare dall’aspetto consunto e polveroso.
Era sfacciatamente rilassato. Quel ragazzo non conosceva vergogna.
Quando lo vide, Albus sollevò lo sguardo dal libro per studiarlo attentamente.
  «Non uno dei migliori lavori di Domenico» concluse dopo un’attenta analisi.
Scorpius si sistemò con fierezza il colletto della giacca.
  «Invece sono un incanto» disse acidamente «Nulla che i tuoi gusti da campagnolo possano comprendere».
Detestava quella giacca, era sensibile a riguardo e il ragazzo che lo fronteggiava dalla sua poltrona di comfort e lassismo ne era perfettamente consapevole.
Ma quel giorno, ancora più della sua giacca, detestava Albus Severus Potter.
Si sistemò con attenzione la tracolla intorno alla spalla, premurandosi di indossare una delle sue espressioni più altezzose.
Albus mugolò e chiuse di scatto il libro.
  «Sei ancora in versione Principe delle Serpi» si lamentò. «Forse dovrei iniziare a preoccuparmi»
Lo fulminò con un’occhiata carica di sdegno, prima di incamminarsi fuori dalla Sala Comune.
  «Forse» sibilò a voce bassa.
Avvertì il passo lento e silenzioso di Albus seguire le sue orme con una discrezione ponderata fino all’ultimo movimento.
  «Che cosa mi è sfuggito?»
  «A parte la Pluffa per tutta la partita?» rispose tranquillamente lui.
Il ragazzo sospirò lievemente ma ebbe il decoro di concedergli un silenzio di mortificazione.
  «Ok, me lo merito» concesse, dopo una lunga riflessione. «Ma ero ben consapevole di poter contare sul Cercatore migliore di tutta la scuola»
  «Non ci provare nemmeno» tagliò corto lui.
 «Mi riferivo a Dylan Kunis» precisò con una piega lieve e soddisfatta sulle sue labbra. «Veniva da una brutta influenza, poverino. Sapevo che oggi avrebbe mancato il tiro»
Scorpius si limitò ad ignorarlo, sapendo quanto accennare del turbamento ai timidi e letali colpi assestati da Albus potesse lenire il proprio contegno, e come invece la discreta vanità dell’altro ne avrebbe giovato.
L’amico cercò con lo sguardo una sua reazione, ma si zittì senza troppe proteste.
  «Hai davvero un brutto carattere» dichiarò Albus, dopo intollerabili secondi di silenzio.
Scorpius si fermò prima di voltare nel corridoi dei Sotterranei che li avrebbe condotti verso l’aula.
  «Non mi interessano le perverse dinamiche che ti permettono di tenerti buona la ragazza, ma metti a repentaglio un’altra volta la mia partita e sei fuori dalla squadra» disse con voce gelida.
  «Molto delicato, come sempre» replicò Albus in tono rigido.
Quando fu certo che l’amico gli ebbe restituito uno sguardo ostile, Scorpius si voltò in modo sostenuto e riprese a camminare con più indulgenza, accompagnato dal passo flebile dell’altro.
Attraversarono l’unico fascio dorato proteso ad illuminare il loro percorso e Scorpius avvertì il tessuto della giacca premergli nei punti in cui maggiormente lo fasciava, come a ricordargli l’imperfezione che aveva deciso di indossare.
Era davvero una pessima giornata.
  «Non sei andato così male» valutò Scorpius misericordioso, con lo stesso tono con cui poco prima l’aveva minacciato. «Coraggioso» aggiunse, piegando la voce in una vibrazione ironica.
  «Non ne voglio parlare» fece laconico Albus.
Scorpius gli lanciò uno sguardo di sottecchi. «Molto da Grifondoro, avrà sicuramente apprezzato»
  «Ho detto che non ne voglio parlare». 
Annuì comprensivo. «L’hai baciata davanti a tutta la scuola» disse semplicemente, come se il solo concetto evocato potesse chiarificare ogni perplessità.
  «Grazie per averlo precisato, rischiavo di rimuoverlo per sempre dalla lista dei peggiori attentati al mio orgoglio»
Si strinse nelle spalle «Molto in stile giullare di corte o Grifondoro»
  «L’hai già detto»
  «È vero, sono distratto. Sto pensando al triste destino del tuo ritegno»
Albus storse il naso e mugolò qualcosa.
  «Darsi alla fuga quando faccio l’unico gesto alla James della mia vita» si lamentò. «Poi si lamentano se ponderiamo le dimostrazioni d’affetto»
Scorpius lo guardò con gravità. «Chiariamo subito una cosa: tuo fratello non è e non sarà mai un modello da seguire»
Albus lo ignorò. «Pero se poi Kate mi bacia non le sta bene per niente»
  «Aspetta, Kate ti ha baciato?»
  «Più o meno»
Scorpius lo guardo interrogativo.
  «Al Ballo di Natale» spiegò, poi colse l’espressione ancora vuota del ragazzo. «Eri troppo impegnato a giocare alla bacchetta più lunga con quei due trogloditi di Alan e James» aggiunse.
Un lungo silenzio sostituì ogni replica.
  «Odio quando non mi dici le cose» decise infine.
Albus inarcò un sopracciglio «Non sapevo ci facessimo le treccine a vicenda»
  «Certe cose mi piacerebbe saperle»
L’amico si lasciò andare ad una risata ironica. «Non starai ancora provando ad andare con Kate?»
  «Più o meno» disse incerto. «O, meglio, non più»
  «Da quando non ci sei riuscito?»
Scorpius si fermò di colpo davanti all’ingresso ad arco basso dei Sotterranei, tanto che qualcuno, che lo seguiva di poco, gli andò a sbattere contro, augurandogli le peggiori pene dell’inferno. Ignorò il Grifondoro in questione e si spostò seccato per lasciarlo passare e liberarsi della sua trascurabile indisponenza.
Chiuse gli occhi per un attimo di improvvisata pazienza con cui si premurò di placare la propria irritazione.
Ricambiò a fatica la spensierata espressione sul volto candido dell’amico, valutando quanto potesse risultare sconveniente schiantarlo davanti ad un pubblico tanto folto.
  «Kate parla con me» spiegò Albus con naturalezza.
  «Perché tutti ti dicono sempre tutto?» sibilò velenoso, riconsiderando all’istante l’impulsiva benevolenza con cui gli aveva concesso amnistia. Si voltò e proseguì solo verso la lezione.
  «Si fidano di me» gli urlò dietro lui, divertito.
Scorpius lo ignorò e perlustrò le postazioni rimaste ancora libere.
Una rapida valutazione fu più che sufficiente per constatare come l’elemento di maggior interesse di tutta l’alula avesse una folta chioma rossa che precipitava lungo una sola spalla, mentre lei ne stuzzicava qualche ciocca pensierosa. Le scapole dritte erano perfettamente aderenti alla spalliera della panca, ma la schiena flessuosamente incurvata, come se fosse innaturalmente spinta lungo i fianchi, disegnava un arco irregolare e armonioso, in un atteggiamento talmente tanto vezzoso da far pensare che volesse mettere in evidenza il seno.
Sorrise a quel pensiero, sapendo bene con quanto sdegno avrebbe negato un’insinuazione simile.
Leggeva un libro, che, dalle piccole dimensioni, giunse facilmente ad escludere si trattasse di materiale da Pozioni. La testa inclinata e la cantilena del movimento delle dite riflettevano un’immagine molto assorta, tanto che Rose non sembrava prestare particolare attenzione alle gambe nude accavallate e troppo sporgenti lungo il corridoio.
Scorpius deglutì a fatica e seguì quella linea morbida fino alla coscia di lei, notando con piacere di quanto la gonna si fosse sollevata.
No, non si era accorta di nulla.
Qualcuno gli passò un braccio intorno al collo e seppe che si trattava di Albus dal modo delicato con cui cercò di stringerlo. Seppe subito quanto quello slancio affettivo, inconsueto e provocatorio, fosse solo la carezza infernale che precedeva il morso della vipera.
  «Non farne un dramma» disse, infatti. «Succede anche ai migliori».
Scorpius era avvezzo alle carezze demoniache di Albus Potter, eppure non poté fare a meno di digrignare i denti e sospirare con irritazione.
  «È successo solo una volta»
Albus annuì, intensificando l’abbraccio in un gesto di conforto.  «Non è la quantità, amico mio» spiegò lui allegro. «Piuttosto la ragione» continuò, per poi aggiungere qualche pacca poderosa sulle spalle di Scorpius, probabilmente immaginando di corroborare alla meglio il suo messaggio.
Fu un attimo in cui allontanò l’attenzione dalla propria lettura e Rose Weasley si accorse di loro, fermi in quel punto, vicino alla porta, da un tempo che lei non poteva nemmeno immaginare. Li guardò abbracciati, poi sorrise confusa e li salutò con un cenno incerto della testa.
In quel primo risveglio da un lungo torpore la ragazza si ridestò, accorgendosi della posizione indecorosa della sua gonna e si affrettò a sciogliere le gambe, risistemando l'indumento ad una lunghezza più dignitosa.
Ma Scorpius era già partito. Sentì Albus schiarirsi la gola.
  «Dove stai andando?»
Lui si voltò paziente. «C’è Rose» spiegò. «Tua cugina» si affrettò ad aggiungere.
  «Già , la vedo» disse, come se lui gli avesse appena comunicato che il sole splendeva alto quel giorno.
Attese qualche istante di tolleranza, ma Albus rimase nel suo tranquillo silenzio, mentre il resto degli studenti si affrettava in aula. Lanciò uno sguardo nervoso nella direzione della ragazza, non perdendo d’occhio i posti al suo fianco ancora liberi.
  «Immagino tu voglia farle compagnia» disse Scorpius, profondamente tediato da quella conversazione.
  «Immagini?»
Lui scosse le spalle in un cenno pigro.
  «Dico solo che sappiamo quanto sia incapace in Pozioni»
Albus lo fissò intensamente.
  «Ti preoccupi per lei?»
  «Come non detto» tagliò corto lui. «Prendo i posti accanto a Vincent»
  «Scorpius»
Era già vicino all’ultima seduta, quando la voce di Albus lo fermò con quel suo tono lento e cantilenante, di chi prova un perverso piacere nel suono prolungato delle parole.
Gli fece cenno di avvicinarsi, allora lui sollevò gli occhi al cielo e si prestò ad accontentarlo.
Albus continuava a guardarlo e poggiò una mano sulla spalla, fingendo di aggiustargli il collo della giacca o di lasciargli pacche di paterna complicità.
  «Sono molto preso da piccole questioni personali ultimamente»
  «Ne hai tutto il diritto»
  «Ti ringrazio per la comprensione»
Il ragazzo annuì soddisfatto e fece per andarsene, ma Albus lo afferrò poco delicatamente per un braccio e lo costrinse a ritornare al suo posto.
  «Credevo avessi finito» si lamentò, affrettandosi a ricomporre la giacca sgualcita dalla sua presa.
  «Sono molto preso, Scorpius» precisò Albus con voce lenta e puntigliosa. «Non stupido»
A quel punto lui decise che le pieghe sulla giacca fossero un male trascurabile e distese le braccia lungo i fianchi, cercando di rilassarle, poi le incrociò al petto e infine lasciò che queste si depositassero nelle tasche dei pantaloni, assumendo un’aria di disinteresse.
Lo scrutò appena, assicurandosi che Albus non perdesse di vista lo sguardo languido che tante volte gli aveva visto indossare e che lui adesso tentava di riprodurre.
Quando l’amico sollevò un sopracciglio tra il divertito e lo scettico, Scorpius decise che non fosse ancora arrivato il momento di farsi le treccine a vicenda.
Gli strinse la spalla con eccessiva veemenza, tanto che Albus emise un gemito di contrizione.
  «Cerca di fare lo stupido per un po’ allora, perché la situazione è più complicata del previsto»
La smorfia sofferente di Albus, sotto la presa ancora ferma di Scorpius, chiarì che non avrebbe indugiato a lungo sull’argomento.
  «Quando mai è stata semplice»
Scorpius gli scoccò un’occhiata sostenuta, ma decise di non replicare.
Scivolò accanto a Rose, seguito dall’amico che si sistemò silenziosamente al suo fianco.
Lei non si scompose quando li vide arrivare e sollevò appena il capo nella loro direzione.
  «Complimenti per la partita» fece a Scorpius, poi guardò il cugino. «E complimenti a te per lo spettacolo»
Albus sollevò gli occhi al cielo.
  «Per tua informazione, ho giocato anche io»
  «Ma lui è stato bravo» disse Rose semplicemente, tornando alla sua lettura.
Scorpius avvertì un calore inconsueto e sconveniente inondargli il collo e salire progressivamente verso il volto. Si augurò che il proprio colorito non avesse assunto una tonalità differente dal rassicurante pallore che da sempre celava ogni sua emozione, ma a giudicare dallo sguardo stranito che Albus Potter indossava senza discrezione né decenza, le parole della ragazza erano risultate sufficientemente singolari per caricare l’atmosfera di tensione.
Oppure lui era effettivamente arrossito e a quel punto avrebbe solo desiderato un’irruzione in aula di qualche parente Mangiamorte, salito dall’Inferno o da Azkaban  per accorrere in suo soccorso.
  «Fare lo stupido» farfugliò Albus in un borbottio fin troppo udibile. «Come se fosse facile»
Scorpius lo ignorò.
  «Lettura interessante?» si affrettò a chiedere, sporgendosi oltre la spalla della ragazza.
  «Spero di sì» rispose.
Poi chiuse il libro, lasciando un dito tra le pagine e si piegò nella direzione di Scorpius per avvicinarsi il più possibile ai due ragazzi in modo confidenziale.
Si sporse talmente tanto oltre Scorpius, così da includere in quella importante confessione anche il cugino, che fu costretta a poggiare una mano sulla sua coscia, con tanta naturalezza, come se stesse solo carezzando le venature del legno antico sotto di lei.
Scorpius, preso alla sprovvista, si irrigidì. Colse lo sguardo rapace di Albus piegarsi su quel gesto e poi lanciargli un’occhiata silenziosa che lui si preparò a respingere.
La pressione delle dita di lei era un dolce piacere che si irradiava su tutta la coscia, perforando la carne e raggiungendo il focolaio del suo turbamento.
A quel punto accavallò le gambe con perfetta disinvoltura.
  «Quante probabilità ci sono che Nott abbia scagliato una maledizione contro qualcuno?» sussurrò.
Sia lui che Albus la guardarono seri.
  «È un’accusa grave» tentò inutilmente Albus.
Rose Weasley si accigliò.
  «E chi sarebbe questo qualcuno?» chiese Scorpius in tono neutro, meritandosi l’ennesima occhiata scettica di Albus.
La ragazza sembrò rincuorata e piuttosto sorpresa.
  «Credo fortemente che si tratti di Isidore» rispose decisa.
Un silenzio teso scese su di loro e per un momento il vociare incosciente della classe fu una rincuorante melodia.
Scorpius attese senza dire una parola, lasciando che l’amico svolgesse il compito che a loro meglio riusciva quando si trattava della Weasley, ma che lui preferì astenersi dall’adempiere. 
  «Lo stesso Isidore che è morto tempo fa in un incidente?» replicò con ragionevolezza Albus.
  «Misteriosamente» precisò Rose.
  «Sta parlando di quell’idiota di Perkins» intervenne Scorpius, ora decisamente stizzito.
Rose Weasley avventò con maggiore insistenza i polpastrelli intorno alla sua gamba, tanto che oltre al piacere tra le cosce, Scorpius avvertì le unghie della ragazza pungolare la sua carne.
Mascherò un sussulto, irrigidendosi con dignità.
  «Quindi Isidore, bloccato in un limbo senza via di uscita» continuò lei.
  «Stai deliberatamente ammettendo che Perkins è un inetto impostore che fa di tutto per farsi scoprire» la sfidò lui.
  «O forse chiede aiuto»
  «A te?» fece scettico, accorgendosi in un secondo momento della punta di derisione nel suo tono ironico.
Rose Weasley arricciò le labbra, infastidita e lo guardò con le fiamme negli occhi.
Fu certo di essersi bloccato, di aver perso il sorriso beffardo sul suo volto sicuro, per precipitare nei ricordi che quelle labbra, protese a così poca distanza da lui, avevano risvegliato. Le fissò con troppa insistenza e un velo bruciante cosparse le guance della ragazza.
Le dita adagiate sulla sua coscia inerme presero a muoversi in lente e involontarie orme di lascivia.
Lui distese le braccia lungo le proprie gambe, assicurando a quelle mani gentili la necessaria protezione dallo sguardo indiscreto di Albus. Inspirò profondamente, guardò dritto davanti a sé, lontano da lei, lontano dalle sue carezze mortifere.
  «Se Vincent dovesse aver scagliato una maledizione contro Isidore, costringendolo a inscenare una così fragorosa morte, perché nessuno l’ha ancora riconosciuto?» chiese Albus.
Rose sfilò il dito dal libro che custodiva gelosamente e lo depositò sul grembo del cugino. Il testo recitava La svista delle maledizioni.
  «Nott non voleva che io arrivassi a questo punto» disse. «Non era nei suoi piani e non vuole che io vado affondo in questa storia o in questa lettura. Se nessuno l’ha riconosciuto, forse una maledizione c’entra davvero»
Vincent era seduto qualche fila davanti a loro. Non parlava con nessuno, come suo solito.
La sua ragazza-copertura gli lanciava sottili e distanti occhiate di struggimento, ma lui sembrava impassibile, indifferente e completamente innocuo.
O quella era l’idea.
  «E lavora con le provette di Arrows alle nostre spalle» aggiunse Scorpius.
Rose intensificò la stretta in un gesto di gratificazione e Scorpius fu costretto a sigillare maggiormente la giuntura tra le sue gambe.
  «Supposizioni azzardate, considerando che non abbiamo neanche idea di quale sia la Pozione in questione» proseguì Albus.
Il vociare si spense al lugubre trascinarsi di Arrows lungo il tetro corridoio. 
Le tenebre scesero sull’aula a suon di bacchetta e l’unico raggio di luce si affacciava timido da una lampada in ferro brunito e illuminava scenicamente gli oggetti sulla cattedra.
Ognuno di loro tornò al proprio posto, Rose Weasley smise di torturarlo e Albus Potter si chiuse in un silenzio meditativo.
Scorpius rilassò le spalle, poi il respiro, e riprese una postura più comoda, lasciando libere le proprie fantasie di scorrere fluide tra i suoi pensieri e di ravvivare il suo corpo.
In quel buio complice,  si premurò di rivolgere a Rose un’occhiata ammonitrice.
Non sapeva se fosse semplicemente imprudente o ancora inconsapevole dell’effetto che ogni suo tocco aveva su di lui.
Lei gli restituì un’espressione confusa su quel volto candido, arricciando le labbra in movimenti impercettibili, lenti e invitanti, piegando le lunga ciglia languide sui grandi occhi blu, bagnati di una luce ingenua, e Scorpius capì che Rose Weasley lo stava provocando.
In quelle sembianze, prima tanto docili, ora così spavalde e prepotenti, la ragazza sembrava credere davvero di avere qualche possibilità contro di lui.
Scorpius sorrise nel buio, si piegò sulla pergamena, fingendo di intensificare i suoi appunti, e si lasciò scorrere nella direzione di Rose, in modo tale che solo piegando lateralmente la gamba avrebbe finito per sovrastare quella di lei.
La piuma scorreva rapida e sinuosa sulla pergamena e la sua mano sgusciò scaltra e silenziosa sotto il tavolo, artigliando la coscia nuda e fresca di Rose Weasley in quella giornata umida nei Sotterranei.
La senti sobbalzare con talmente tanta energia che la piuma cadde sul banco in un frastuono eccessivo e Arrows si voltò di scatto per fare rimpiangere a qualcuno quell’atto di insolenza.
La carne pulsante di lei si infiammava nei punti in cui lui la premeva tra i polpastrelli e il palmo. La mano di Rose corse sotto il tavolo ad incontrare la sua, per ricacciarne ogni proposito, ma Scorpius oppose una ferrea resistenza e la lasciò lottare invano per qualche secondo, finché non addomesticò con le proprie dita, quelle ribelli di lei.
Contro la sempre più debole difesa della ragazza, intraprese un lento percorso sulla sua pelle, risalendo tutta la coscia.
Avvertiva i brividi di lei, sotto il suo tocco, penetrare i polpastrelli nei punti in cui li lasciava scorrere dolcemente. La vide inarcare la schiena per combattere una battaglia che le procurava solo piacere, mentre lui iniziò a lambire l’orlo della gonna, lasciandosela scorrere tra le dita e varcando quel confine per inoltrarsi sotto di essa, tra i sospiri trattenuti di Rose.
Infine raggiunse la parte più alta di quella pendenza, si arrestò nell’incavo dell’inguine, dove la morbida curva della sua pelle lo lasciava precipitare nel più profondo degli abissi.
Sfiorò l’orlo del suo intimo in una tiepida conoscenza di tutto ciò che gli era proibito, e una fitta di dolore lo prese violentemente, in un modo che aveva già previsto. Chiuse in un pugno la mano libera distesa sul banco.
Intensificò le carezze, indugiando sui punti fino a poco prima inesplorati e affacciandosi senza pretese né avidità su quelli ancora selvaggi.
La senti irrigidirsi sempre di più, abbandonare ogni protesta e dischiudere appena le gambe per lasciarlo navigare.
Lei sollevò la testa, dritta e fiera, verso il tavolo e le parole di Arrows, ostentando una attenzione che non poteva permettersi. Portò una mano all’altezza della bocca e avvolse l’estremità del dito tra le labbra, per poi stringere forte con i denti e sfogare così ogni pensiero.
Scorpius si sentì impazzire.
Abbandonò di scatto il sentiero inesplorato e ritirò la mano.
Rose lo guardò spiazzata. Gli occhi stravolti, deboli erano lontani da ogni innocenza e gli chiedevano una sofferente spiegazione.
  «State pensando quello che credo?»
La voce bassa e vicina di Albus squarciò il buio e li ghiacciò.
Davanti al silenzio profondo che seguì, il ragazzo riprese.
  «Che la soluzione scintilla invitante tra le grinfie in decomposizione di Arrows?» disse, indicando il tavolo degli strumenti.
Scorpius si sentiva ancora stordito. «Di che stai parlando?» fece irritato dopo un po’.
Albus gli scoccò un’occhiata delusa e guardò la cugina.
Rose Weasley sembrò risvegliarsi da un lungo coma. Si schiarì la gola nonostante le fosse richiesto solo un bisbiglio e la voce venne fuori tremante.
  «Scusa, Al, sono rimasta indietro» 
Scorpius trattenne un sorriso.
Il ragazzo li guardò per qualche istante, poi sorvolò in un rapido e accondiscendente battito di ciglia lunghe e scure. Con un cenno del capo li condusse fino alla cattedra illuminata, alle mani di impacciata delicatezza con cui Arrows disperdeva gocce cristalline come l’acqua in una coppa d’argento ossidato.
Come in un imbuto, la coppa accolse il liquido verso un percorso sinuoso dove un tubo dello stesso materiale si contorceva in continui meandri, fino a sfociare, all’estremità opposta, in piccoli brandelli di piume.
Era solo un incantesimo, ma Scorpius non ebbe dubbi che l’idea fosse quella di un uccello disintegrato.
  «Qualcuno ha capito quale Pozione abbiamo davanti?» fece Arrows altisonante.
  «Distillato di Morte Vivente» rispose di scatto Rose Weasley, in un tono alto e assorto.
Nella teoria era sempre la più scattante.
Arrows arricciò le sopracciglia, nervoso. «La mano» ringhiò, mentre la vena sulla tempia. premeva anche nel buio. «In sei anni non sono riuscito a trasmetterle nemmeno l’educazione, Miss Weasley» borbottò senza confermare né smentire la sua risposta.
Ma Rose non gli prestava attenzione. Sapeva di aver azzeccato e sapeva che per la prima volta, in sei anni, Arrows era riuscito a trasmetterle davvero qualcosa.
Si voltò esitante verso di loro, ma parlò decisa.
  «Mi duole profondamente essere riconoscente ad Arrows, ma abbiamo una soluzione».
 
 
 
- § -
 
 
 
Johanna era da sempre una presenza disturbante, ovunque mettesse piede.
Si trascinava dietro sguardi di rimprovero, sospiri esasperati e insulti mai troppo velati. Eppure lei non vi aveva mai fatto troppo caso.
Rose la fissò come fosse in contemplazione. Ne seguiva i movimenti della piuma, indecisi ma costanti sulla pergamena, e rifletté su quanto l’amica dovesse essere sconvolta dopo i recenti avvenimenti, per decidere di concentrare tutte le proprie energie sullo studio.
Poi Johanna allungò il collo senza troppi problemi sul compito appena terminato di Rose, e riprese la sua composizione con più decisione.
Scosse la testa con disappunto.
Johanna fingeva una placidità come il più nodoso tra i cieli grigi.
Rose le lasciò sbirciare sul suo lavoro appena terminato e puntò la bacchetta contro La svista delle maledizioni, cercando di incantare il libro affinché le rivelasse chi prima di lei l’avesse consultato.
Non erano informazioni cui gli studenti avevano accesso, per questo erano ben custodite nei preziosi registri di Madama Pince, ma d’altro canto in nessuno di quegli schedari era stata segnata l’appropriazione illecita di quel manuale da parte di Rose. Niente le avrebbe dato informazioni accurate quanto il libro stesso.
Puntò la bacchetta contro il manuale ma questo le rispose con un silenzio cupo e polveroso.
Quando dalla borsa Johanna tirò fuori un pacchetto di sigarette, Rose sollevò prontamente la bacchetta e lo fece sparire in un solo movimento.
  «Non sei nemmeno un Prefetto» si lamentò questa.
  «È una Biblioteca» rispose seria Rose.
Johanna roteò gli occhi, ma non rispose.
Un punto a suo vantaggio. Più l’amica fingeva indifferenza, maggiori erano le probabilità che si tenesse alla larga da questioni che Rose non aveva ancora deciso di condividere con qualcuno. Come tutta la storia di Malfoy, ad esempio.
Tuttavia Rose non era disposta a sopportare a lungo tutto quel silenzio.
  «E tu sei a conoscenza della sua esistenza, evento degno dei migliori memoriali»
Johanna sembrava sinceramente interessata al compito di Incantesimi, pertanto non la degnò di uno sguardo.
  «È pur sempre un’ottima soluzione se vuoi far sparire le tue tracce per un po’» continuò Rose.
La ragazza annuì distrattamente, poi allungò il collo oltre la sua pergamena, sul compito già concluso di Rose. Questa sfilò il testo in un gesto rapido, lasciando scorrere tutte le risposte sotto gli occhi dell’amica.
  «Non puoi ignorare a lungo i problemi»
  «Ti riferisci ad Incantesimi Avanzati o al tuo fiato sul collo?»
Rose si stizzì appena. «Ad Albus».
La ragazza si strinse nelle spalle. «Non faccio nulla di diverso dal solito. Lo tratto come l’ho sempre trattato, non so cosa abbia voluto dimostrare con l’umiliazione di stamattina».
Rose era incredula davanti a tutta quella ostentata rigidità.
  «Di essere disposto a tutto per te?» azzardò.
  «Di non sapere eseguire una marcatura a doppio livello» la corresse con una smorfia ironica.
A quel punto Rose fu costretta a deporre la piuma e ad allontanare il manuale di Incantesimi. Si sporse meglio verso l’amica e parlò lentamente con voce più alta di quella richiesta da Madama Pince, ma perfettamente aderente alla gravità della situazione.
  «Joa, ti ha baciato» spiegò, dubitando seriamente che la ragazza se ne fosse accorta.
Johanna scosse la testa. «No,  ha giocato in modo tremendo per dimostrarmi che è disposto a perdere per me» sputò fuori di sé. «Quale persona sana di mente farebbe una cosa del genere?».
Rose ci pensò su qualche istante, ma la risposta era già sulla sua bocca da tempo.
  «Una persona innamorata».
Questa volta anche Johanna abbandonò ogni tentativo di mostrare interesse per lo studio e la guardò intensamente.
  «Un tempo mi avresti risposto ‘una persona debole o disposta a tutto pur di dimostrare di avere ragione’».
Dallo scaffale che delimitava il corridoio dall’accesso all’area studio comparve il passo lento e rilassato di Scorpius Malfoy. Stava per superarle e proseguire, quando le vide in fondo al tavolo affacciato sull’ampia finestra di mosaico, arrestò repentinamente la marcia e si diresse nella loro direzione.
Malfoy non pensò di dare troppa importanza all’interruzione di cui si stava rendendo artefice. Si limitò a guardarle annoiato e a fare un cenno della testa a Johanna.
  «Jordan, ti dispiace?»
La ragazza, che in un'altra occasione avrebbe ben volentieri replicato all’insolenza del nuovo arrivato, sembrò sollevata all’idea di chiudere la questione. Raccolse la propria pergamena e si piegò un’ultima volta verso Rose.
  «Un tempo in cui Malfoy non mi avrebbe invitato gentilmente a lasciarvi soli» spiegò con voce ben udibile, prima di fare un cenno di commiato al nuovo arrivato.
Scorpius Malfoy, a proprio agio come se non avesse ascoltato una parola, voltò una sedia accanto a Rose e si sedette comodamente. Abitudine piacevole che quel giorno non si era ancora deciso ad abbandonare.
Piacevole sì, ma inopportuna.
  «È il caso che io ti ricordi che siamo in una biblioteca?»
Un ghigno gli rigò il volto, come se quella constatazione avesse contribuito ad accendere qualunque sua intenzione, piuttosto che placarla.
  «Ti sentirai più a tuo agio».
Lei si accigliò appena. «È un’offesa, Malfoy?».
  «Dipende» disse, avvicinandosi pericolosamente al suo orecchio, mentre la mano sgusciava sul suo fianco, stuzzicando la camicia in un gioco lento e continuo, invitandola a liberarsi dalla stretta della gonna. «Hai intenzione di farmela pagare?»
Rose perse la capacità di capire cosa stesse accadendo intorno a loro. Quando il ragazzo riuscì a sollevare definitivamente la camicia, la sua mano oltrepassò quel misero vincolo, infilandosi sotto di esso e accarezzando la pelle di lei, prima delicatamente, poi in un modo sempre più invadente, percorrendo tutta la superficie del suo addome.
Lei chiuse gli occhi, avvertendo solo il petto soffocarla per il ritmo eccessivo con cui il cuore la metteva in allarme e un caldo piacere invaderle lentamente il punto in cui più desiderava avvertire il suo tocco.
  «Per così poco?» rispose lei debolmente, mentre le dita del ragazzo proseguivano la loro esplorazione sempre più in alto.
Si arrestò di colpo. «Poco?» disse, inarcando le sopracciglia.
Rose non capì se fosse più offeso o divertito, ma lei si riscosse nel frangente di quella breve esitazione, rendendosi subito conto dove si trovassero. Gli afferrò la mano, portandola fuori dalla camicia, lontano dal suo corpo.
La cosa sembrò divertirlo maggiormente.
Si chiuse in un sospettoso silenzio, fissandola per minuti interminabili, mentre lei si ostinava a dimostrarsi concentrata sulla ricerca cui era dedita. Poi si rilassò definitivamente contro lo schienale, guardandosi intorno per accertarsi della presenza che popolava quella biblioteca.
Disteso sulla sedia, aveva un atteggiamento tra il regale e l’annoiato, come se fosse comodamente adagiato su una delle sue morbide poltrone in velluto verde. Le dita tamburellavano sul legno del tavolo e l’atteggiamento da padrone con cui si guardava intorno rendeva chiara l’idea di quanto Scorpius Malfoy riuscisse a trovarsi a suo agio in ogni contesto.
In un modo che le aveva sempre dato sui nervi.
Un tempo.
  «Ti posso dare una mano?» fece lui con un interesse che rasentava la canzonatura.
Rose, che aveva sempre difficoltà ad individuare quella linea sottile, gli lanciò un’occhiata di sbieco. «Dipende, posso tenerti a bada?».
Una smorfia ironica sostituì per un attimo la sua espressione rilassata. «Non esagerare, Weasley».
Lei scosse la testa, adesso divertita.
  «Mi piacerebbe studiare».
  «Mi riferivo a quello, infatti» disse lui. «Dovresti placare i tuoi ormoni».
Rose depose la piuma per voltarsi lentamente verso di lui con un’espressione di profondo sdegno sul volto. Sbatté le palpebre un paio di volte in un gesto di teatrale sconcertamento. Fu indecisa se alzare il mento stizzita, tornando a studiare con marcato risentimento, ma pensò fosse il caso di non esagerare.
  «L’hai detto davvero?» si limitò a replicare.
Scorpius rise, poi perlustrò la sua figura con un’insistenza che mise Rose a disagio.
  «Sei stata un po’ impudente questo pomeriggio» disse con voce bassa e tremendamente insinuante.
  «Non credo tu sia nella posizione per esprimerti sulla questione».
La sua provocazione cadde nel vuoto, quindi Rose sollevò la testa sul suo muto interlocutore e lo trovò a fissarla con talmente tanta intensità che il cuore le si bloccò in petto e riprese a battere con martellante frenesia.
La mano di Malfoy vagò sulla superficie del legno fino ad incontrare la sua, mentre con il busto eliminava ogni distanza. Le era vicino, talmente tanto da dubitare che fossero seduti su sedie diverse.
Un paio di studenti passò nel corridoio limitrofo e Rose ricacciò il ragazzo al suo posto con una mano sul petto e una spinta decisa. Scorpius tornò a rilassarsi sullo schienale con un sorriso a metà tra il seccato e il divertito.
Poi Rose lasciò scivolare sotto i suoi occhi il libro che aveva tra le mani.
  «Che roba è?»
  «Hai detto tu di volermi aiutare con lo studio».
Scorpius la guardò visibilmente deluso, tacendo quella che aveva l’aria di essere un’importante lotta interiore. Infine contrasse la mascella e trattenne un mezzo sospiro.
Scrutò La svista delle maledizioni come se fosse una lezione di Cura delle Creature Magiche dai dettagli particolarmente disgustosi.
  «Non credevo avrei passato la serata a parlare di Korbin Perkins» disse in tono duro e vagamente accusatorio.
  «Non parlerei mai di lui con te» rispose di rimando Rose.
Lui sollevò due occhi di ghiaccio e la penetrò con un’occhiata cupa. Rose si sentì colpita come se le avesse appena scagliato contro una Maledizione Senza Perdono.
  «Non era quello che intendevo dire».
Scorpius la fissava in attesa.
Aveva la strana sensazione di averlo ferito in qualche modo che lei non comprendeva veramente e ancora più nuova era la consapevolezza di esserne dispiaciuta. Cercò una strada per rimediare e individuò le sue dita distese sul tavolo, poco distanti dalle proprie, le stesse dita che conosceva così bene, ma che in quel momento non riuscì a stringere.
  «Se ho novità in merito aspetto che siate presenti sia tu che Albus» tentò di spiegarsi, avvertendo il pericolo di stare solamente peggiorando la situazione. «Potresti semplicemente aiutarmi con un incantesimo di cronolocalizazione?» terminò con un sospiro.
  «Credevo fossi tu quella esperta di Incantesimi» disse lui con voce gelida.
L’ostilità di Scorpius era a quel punto una certezza.
Mai come in quel momento aveva desiderato fuggire da Scorpius Malfoy, abbandonare in quel punto insieme a lui tutta l’ incertezza che la pietrificava. Mai aveva desiderato a tal punto l’arroganza che da sempre disprezzava ma che aveva così familiarmente imparato a fronteggiare.
La mano di Scorpius era ancora lì accanto alla propria, ma afferrarla avrebbe voluto dire compiere quel passo in più, lo stesso che la mattina precedente, nel bel mezzo del campo da Quidditch, lui aveva disdegnato.
Cercare la sua approvazione, poi, implorandogli un perdono di cui lei non necessitava o piegando il proprio orgoglio ad una più esplicita richiesta di aiuto, era fuori discussione.
Nel dubbio di non avere armi sufficienti per riportare l’attenzione del ragazzo sotto il proprio controllo, Rose accavallò le gambe, premurandosi di guidare la gonna sempre più lontana dalle proprie cosce.
Come si aspettava, lo sguardo di Scorpius si piegò in un gesto involontario e il ghiaccio nei suoi occhi si tinse di ombre rossastre e calde.
  «Lo sono, pensavo solo che un punto di vista in più avrebbe reso le cose più interessanti» disse Rose, mentre i capelli le ricadevano lentamente lungo la spalla, lasciando libero il collo e la timida scollatura della sua camicetta.
Scorpius Malfoy sgranò gli occhi in un impeto improvviso e fuori controllo, poi allontanò lo sguardo da lei e piegò gli angoli della bocca in un sorriso di lieta sconfitta.
Si guardò intorno con naturalezza e si sollevò delicatamente dalla sedia, facendo il giro del tavolo e allontanandosi da lei con una lentezza talmente estenuante e studiata che Rose pensò volesse solo lasciarsi ammirare. Solo quando fu nel corridoio si voltò verso di lei.
  «Che aspetti, Weasley?»
Lei lo guardò con sospetto.
  «Mi sembra un po’ troppo chiedermi di fidarmi di te» disse lei, lanciando un’occhiata dubbiosa al corridoio buio e deserto che lui stava imboccando.
Scorpius inarcò le sopracciglia piuttosto interdetto dalle innumerevoli contraddizioni cui la ragazza sembrava dar voce, poi piegò le mani nelle tasche, paziente e soddisfatto, perché, tutto sommato, le sue incongruenze avevano la piacevole forma della prevedibilità.
  «Non ti ho mai chiesto di fidarti» replicò con voce calda. «Dovrai correre il rischio».
Scorpius Malfoy era già un lontano ricordo inabissato nelle ombre scure degli alti scaffali, quando Rose si decise a seguirlo.  Continuava a camminare, senza voltarsi né fare cenno di curarsi se lei fosse o meno dietro di lui. Si arrestò solo quando raggiunse l’ultimo corridoio, più buio rispetto agli altri, dove Rose aveva sempre stentato a credere che ci fossero realmente libri di una qualunque utilità.
Era un antro nascosto, in cui nessuno studente aveva mai messo piede, e probabilmente persino Madama Pince aveva rimosso la sua esistenza dalla sua già impolverata memoria.
Quando Rose si affacciò oltre la scala in legno adagiata sullo scaffale come la grata di una gabbia posta al confine di un territorio inesplorato e pericoloso, lo vide poggiato contro un tavolo occasionale, ad attenderla. Il palmo delle mani premuto sulla superficie che lo sorreggeva tradiva il bisogno di separarsi da lì il prima possibile e di andarle incontro.
La penombra era perfetta, macchiata solo ma sprazzi di luce tiepida, diffusa in lontananza. Ne illuminava solo le forme del viso più aspre, creando un profilo più duro di quanto non permettessero i suoi lineamenti eleganti. I capelli gli ricadevano morbidi sugli occhi accesi e immobili, puntati avidamente su di lei.
Scorpius Malfoy le diede solo il tempo di cogliere il lampo di inebriante vittoria sul suo volto ombroso, prima di far guizzare le sue braccia intorno al corpo di Rose e premere le labbra contro le sue.
Lei ebbe appena la forza di soffocare il lamento di protesta tra la prepotenza del suo tocco.
La afferrò per i fianchi, lasciando che si scontrasse contro il suo busto, sollevandola appena, tanto da poter intensificare quel contatto. Le assaporò le labbra in movimenti frenetici e caldi, prima lentamente poi con impazienza crescente, dischiudendole e inserendo la sua lingua con veemenza.
Lambì il loro contorno, ormai gonfio dopo quel continuo strofinio, si lasciò scorrere il labbro inferiore tra i denti, lentamente, passando ad assaggiare il mento, poi il collo.
Rose aveva debolmente cercato di allontanarlo, per ricordargli di non poter pretendere quell’infida vittoria. Gli aveva graffiato le mani sui propri fianchi, voltando la testa e allontanando le labbra che lui cercava sfacciatamente e di cui si impossessò con irruenza.
Per rendere chiara quell’urgenza che non ammetteva repliche, lui spinse il bacino contro quello di lei, conducendola in un percorso dove Rose era cieca, finché non andò a sbattere contro la libreria alle sue spalle e lui poté premere con forza maggiore tutto il suo desiderio, incatenandola in un vincolo senza via di uscita.
Ma Rose era già contro il suo petto, gli accarezzava le spalle, le scapole, il viso, fino a perdersi nei suoi capelli. Li afferrò con la stessa energia con cui lui le stringeva i fianchi, inebriandosi di quel controllo che lui era ben disposto a concederle. Lo guidò con quella presa, conducendolo più affondo contro il suo collo, sentendolo assaporare con i denti la sua carne, come volesse succhiarle via ogni goccia di sangue.
In un attimo la mano di Scorpius aveva già ritrovato la strada sotto la sua camicetta, e si era arrestata solo quando ebbe i suoi seni stretti tra le mani.
Rose disperse un gemito di respiro soffocato, che penetrò nell’orecchio di Scorpius così vicino alla sua bocca, invitandolo a proseguire. Le dita del ragazzo esploravano i disegni del pizzo che contornava il reggiseno, ne seguirono ogni dettaglio, mentre i bottoni della camicia sfuggivano alle asole, sotto l’impazienza di quella mano.
Rose avvertì la spalla libera dalla camicia ormai aperta e dispersa sul suo braccio. Vide Scorpius arrestare la sua corsa senza fiato, il petto ampio che la copriva sollevarsi in respiri mancati e frenetici. Con le dita indugiò sulla sua spalla nuda, più volte, in carezze leggere, tastò la bretella nera del reggiseno, lasciandosela scorrere tra le mani, pizzicandola, finché non tornò come una frusta sulla sua pelle.
Poi la abbassò completamente e si avventò sulla sua spalla completamente nuda, assorbendo tutto il profumo che quel lembo di pelle scoperto gli concedeva, poggiando labbra piene sul contorno della spalla, risalendo fino al collo, tra i lamenti che Rose si costringeva a tenere bassi.
Rose lanciò uno sguardo rapido alla luce in fondo a quel corridoio, dove loro erano rintanati, accertandosi che fossero ben riparati, non rinunciando ad inarcare la schiena tra le sue mani, permettendogli di approfondire ogni sua intenzione.
Le mani di Scorpius erano impazienti. Percorsero con una lentezza estrema tutto il suo addome, le sfiorarono il seno, proseguirono fino alle spalle e si bloccarono solo sulla camicia che ancora copriva tutto alla sua vista. Fece per sfilargliela, ma Rose si irrigidì e lanciò un altro sguardo teso lontano da loro.
  «Cosa c’è?»
  «Controllo che non ci sia Tess Rivers»
Scorpius la guardò confuso e si voltò nella stessa direzione. «Perché dovrebbe esserci Tess Rivers?»
  «Sembra abbia la capacità di essere ovunque»
Lui inarcò le sopracciglia.
  «Devo andare a controllare?» disse, allontanandosi da lei di colpo.
Quell’assenza improvvisa la fece sentire nuda, più di quanto non facesse la camicia scoperta. In un istante la pressione del suo corpo era diventata un vuoto di buio e polvere che le strofinava la pelle, il suo petto ampio, prima costretto contro il proprio, aveva smesso di sopraffarla, lasciandole ritrovare un respiro più pieno, ma più pesante.
  «No» sussurrò.
Lo cercò con le dita, trovò le sue, prima avidamente, poi in una carezza sospirata, quando fu certa che quel contatto l’ebbe restituito la tranquillizzante incapacità di respirare. Allora le intrecciò e, sicura di averlo tra le proprie grinfie, lo riportò a sé, contro il proprio corpo, vicino tanto da potersi sentire avvolta dal suo calore.
Lo vide sorridere, stringendole la mano, sollevandola fino all’altezza del viso di Rose, che prese a lambire con i polpastrelli, mentre lei chiudeva gli occhi e si lasciava accarezzare. 
Poi non sentì più niente.
Aprì gli occhi e trovò la mano di Scorpius sospesa vicino al proprio viso, ferma. Gli occhi di lui erano puntati contro il buio del corridoio che proseguiva oltre loro, verso la Sezione Proibita.
Con la mano che poco prima le aveva accarezzato il volto corse a sollevarle la camicia per coprirle spalle e seni, mentre nell’altra la bacchetta era già sguainata.
  «C’è qualcuno» disse in tono gelido.
 






TagalogSentire le farfalle nello stomaco.

 
 
 
 
Come implorare perdono nel modo sbagliato.
 
Un ritardo vergognoso, non c’è che dire e non ci sono scuse.
Potrei parlare del terribile periodo tra esami telematici da film horror, relatori che si danno alla macchia e progetti di tesi irrealizzabili. Potrei aggiungere la prevedibile dipartita di un computer centenario che però era la mia casa e cassaforte.
Avevo questo capitolo in forno da parecchio tempo, attendeva solo gli ultimi minuti di grill per creare la crosticina in superficie che però è sempre la parte più buona. E senza crostiscina non avrei mai potuto servirvi il piatto forte.
Finalmente l’ho sfornato e ve lo cedo come richiesta di misericordia.
Finalmente si ritorna, se pur con tempi più dilatati, alle piacevoli abitudini della quarantena.
Mi mancavano i miei ragazzi, ma ancora di più mi siete mancati Voi, che sempre date vita alla mia ispirazione.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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