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Autore: heliodor    23/07/2020    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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La forgia
 
Suo padre portò il carro al centro di uno spiazzo quadrato circondato da file di caseggiati con finestre piccole e strette. A intervalli regolari c’erano dei portoni aperti verso l’esterno davanti ai quali si affollavano carretti pieni di cianfrusaglie, per lo più di metallo e altri carichi di carbone e legno.
Passarono davanti a un gruppo che stava scaricando dei sacchi da un carro.
Suo padre si sporse verso uno di loro. “Tu” disse. “Tu con la barba lunga.”
Un uomo che poteva avere cica trent’anni gli rivolse un’occhiata infastidita. “Che io sia dannato, chi vi ha fatti entrare nella piazza d’arme? Qui entrano solo gli uomini della governatrice e chi lavora alla forgia.”
“Sono il nuovo fabbro.”
“Nuovo dici?” fece l’uomo perplesso. “Negli ultimi due giorni ne sono arrivati almeno trenta. Tu chi saresti?”
“Il trentunesimo” rispose suo padre.
Il ragazzo brontolò qualcosa. “Parlate con Tannisk.”
“Chi sarebbe?”
“Quello che sta nella foresteria. Si occupa lui di indirizzare quelli nuovi. Lo trovate lì” disse indicando con un cenno della testa un edificio che sorgeva sul lato lungo della piazza d’arme. Sopra di esso si ergeva una torre con la base di pietra e un secondo livello di legno.
“Ho un debito con te” disse suo padre prima di far schioccare le redini.
Valya guardò avvicinarsi la torre e diventare sempre più alta. La piazza d’arme, come l’aveva chiamata quel tizio, era così larga che avrebbe potuto accogliere mezza Cambolt e sarebbe avanzato anche dello spazio.
Suo padre diede uno strattone alle redini e le legò facendo un nodo. “Tu aspetta qui.”
Valya si guardò attorno. “Devo riprendere Bel.”
Suo padre sospirò. “Lascia perdere quella bestia.”
Stava per rispondergli piccata, quando un uomo sulla mezza età uscì dall’ingresso della foresteria e venne verso di loro con un braccio alzato. “Voi due” stava dicendo. “Non potete stare lì.”
Aveva il viso cotto dal sole, la testa pelata e i baffi più grandi e ridicoli che Valya avesse mai visto. Erano così lunghi che si arricciavano sulle punte rivolte verso l’alto.
A Cambolt alcuni uomini e anche qualche ragazzo portavano i baffi, ma quasi tutti gli altri avevano barbe lunghe e incolte.
Altri, come suo padre, avevano giusto un accenno di peluria sul mento e le guance e non avevano bisogno di radersi tutti i giorni.
Ricordava che Hagen si era fatto crescere la barba nell’ultimo anno.
“Per sembrare più uomo” aveva detto Enye scherzandoci sopra.
Valya era sicura di averla sentita dire una volta che gli piacevano i ragazzi con la barba folta e incolta e da allora Hagen aveva smesso di radersi.
“Questo posto è riservato ai fabbri.”
“Lo so, lo so” disse suo padre saltando giù con un movimento agile. “Mi hanno già detto tutto. Sei tu Tannisk?”
“Ti sembro un dannato fabbro, straniero?”
Solo allora Valya notò la spada legata al fianco da un vistoso fiocco rosso e giallo. L’elsa si intravedeva appena, come se volesse tenerla nascosta.
Simm Keltel grugnì in risposta. “Allora non mi sei utile affatto.”
Fece schioccare le redini mentre l’altro li osservava sfilare di lato.
“Basta che liberi il passaggio” urlò loro mentre proseguivano.
Dall’edificio più grande uscì un ometto che procedeva con andatura incerta, come se gli costasse uno sforzo tremendo mettere un piede davanti all’altro.
Suo padre trasse un profondo sospiro. “Sei tu Tannisk?”
L’uomo lo guardò perplesso. “Sono io. E tu chi saresti? Potrei giurare di averti già visto da qualche parte.”
“Il mio è un viso comune. Sono il nuovo fabbro e vengo a darvi una mano.”
Tannisk annuì deciso. “Allora sei il benvenuto.”
“Se fossi in te” disse una voce alle loro spalle. “Aspetterei a dargli il benvenuto.”
Voltandosi, Valya vide un uomo alto e prestante avanzare con la schiena dritta. Indossava una tunica slacciata sul petto e al fianco gli pendeva una spada col pomolo a forma di testa di lupo.
Guardando suo padre, notò che il suo sguardo si era fatto cupo.
“Ogni aiuto è il benvenuto” disse Tannisk.
L’uomo avanzò sorridendo. “Non da parte di questo demone. Lui ama portare scompiglio ovunque vada, vero Simm? O dovrei chiamarti Falco Grigio o sterminatore di Mashiba. Come ti fai chiamare adesso?”
“Io ti saluto, Dalkon” disse suo padre con un leggero cenno della testa.
Tannisk gli rivolse un’occhiata stupita. “Sei davvero Simm Keltel? Quel, Simm Keltel?”
Quynn si fermò vicino al carro. “È proprio lui, vecchio idiota. Possibile che tu non te ne renda conto? Sei proprio invecchiato male.”
“Attento a come parli” disse Tannisk. “La mia memoria non sarà buona, ma so maneggiare la mazza ferrata meglio di voi ragazzini.”
Quynn ghignò. “Allora uno di questi giorni dovrò sfidarti a duello” disse posando l’indice sul pomolo della spada. Come in risposta a quel gesto, gli occhi del lupo sembrarono brillare quando intercettarono un raggio di sole.
Tannisk gli rivolse un’occhiataccia. “Se mi volete sono dentro la forgia. La metà dei nuovi aiutanti sono dei novellini e un paio si sono già ustionati maneggiando le pinze.”
Mentre andava via, Quynn non smise di fissare suo padre. “E così sei uscito dalla tana in cui ti eri nascosto. Avresti fatto meglio a restarci.”
“Non si può ignorare la chiamata alle armi della regina.”
“Quale regina? Quella che siede sul trono o quella che governa davvero?”
“Non mi è mai importato di queste cose.”
Quynn annuì deciso. “A te importa solo del sangue e dell’acciaio. E qui ne troverai quanto ne desideri, Simm Keltel. Ma non sarà come a Mashiba.”
“Stavolta siamo alleati.”
Quynn sorrise, ma a Valya sembrò più il ringhio di un cane.
O di un lupo.
Una volta ne aveva visto uno. Morto. Quella bestia aveva tormentato gli allevatori di Cambolt per intere Lune prima che riuscissero a ucciderlo. Per vendetta lo appesero a un carro e lo esibirono per il villaggio tra gli applausi e le risa di scherno della gente.
“La governatrice ha affidato a me la direzione della forgia” disse Quynn. “E mi aspetto che tutti collaborino nello sforzo che ci verrà chiesto di fare nelle prossime Lune. La regina ci ha ordinato di radunare almeno ventimila spade qui a Ferrador.”
“Ventimila” esclamò suo padre. “Sarà già tanto se ne avremo cinquemila.”
“Ventimila, non una di meno” disse Quynn. “E io intendo rispettare la consegna, non importa come. Se dovrò sacrificare ogni dannato fabbro e inserviente che lavora in questa forgia, lo farò.”
“Sempre pronto a sacrificare le vite altrui” osservò suo padre.
Quynn non mutò espressione. “Io ti saluto, Simm Keltel” disse con un cenno della testa.
“E io saluto te, idiota” disse suo padre tra i denti.
Quynn lo ignorò o non udì l’offesa, limitandosi a voltarsi e andare via.
“Aiutami a scaricare la roba” disse suo padre.
Valya stava per scendere dal carro quando Tannisk uscì dalla foresteria. “Pare che la governatrice abbia saputo del tuo arrivo” disse. “Vuole vederti.”
“Speravo di potermi dare una sistemata, prima” disse lui.
“Lo farai dopo. Non è un buon momento per far aspettare quella dannata donna. L’ultimo che ha osato farlo è finito ai ceppi per mezza Luna.”
 
***
Percorrere quel corridoio era come infilarsi nel ventre di una gigantesca bestia. Fin dal giorno in cui aveva visto per la prima volta la fortezza di Ferrador gli aveva dato quella impressione.
Da fuori sembrava un castello come tanti, con il maschio dalla forma a ottagono e le merlature sulle torri, le feritoie strette e lunghe e gli stendardi appesi al vento.
Dentro era un’altra questione.
Non c’erano finestre in quel dannato posto e l’unica fonte di illuminazione erano torce e lampade a olio, che lì sembravano sempre scarseggiare.
I corridoi erano stretti e con numerose svolte che confondevano chi vi si avventurava per la prima volta. E anche quelli che vi abitavano da anni spesso confessavano di essersi persi almeno uno o due volte.
“E così” riecheggiò una voce dal fondo dei suoi ricordi. “Tu saresti Simm Keltel?”
Un sorriso sincero e allegro, insieme a un’espressione irriverente.
“Ti avevo immaginato più alto e imponente” continuò la voce con tono divertito. “E invece sei un barbaro del meridione come se ne vedono tanti di questi tempi.”
Accanto a lui Valya sospirò riportandolo al presente. “Devo recuperare Bel” si lamentò.
“Starà bene.”
“Non puoi saperlo.”
“Hai la lettera.”
“Perché la governatrice vuole vederti?”
Lui si strinse nelle spalle. “Me lo dirà quando ci incontreremo. Tu rimani zitta.”
“Le chiederò di Bel.”
“Se ci proverai, le chiederò di far macellare quella dannata bestia” disse minaccioso.
“Sei un mostro” rispose lei.
“Lo farò, puoi esserne certa.”
I due soldati che li scortavano si tenevano a distanza, uno avanti di cinque o sei passi e l’altro alle loro spalle.
Devono proprio aver paura di noi, si disse divertito.
Aveva lasciato le armi sul carro, sperando che nessuno le prendesse.
“Baderò io a loro” aveva assicurato Tannisk.
Il vecchio fabbro sembrava una brava persona e quindi del tutto inadatto al compito che gli era stato affidato.
E poi c’era Dalkon.
Non si aspettava di incontrarlo proprio lì, anche se aveva saputo che era stato perdonato e poi reintegrato nelle forze di Talmist.
Lo immaginava nella capitale a leccare i piedi a qualche generale o al decano del circolo degli stregoni, invece che lì a dirigere la forgia cittadina.
Quello poteva essere un guaio e forse doveva informare la governatrice, anche se era quasi certo che lei lo sapesse già.
“Fermatevi qui” disse il soldato in testa indicando una porta di legno. “La governatrice vi riceverà non appena avrà tempo.”
Simm si era preparato a una lunga attesa, ma la porta si partì subito dopo e da uno spiraglio fece capolino la testa di un uomo di mezza età.
“È lui?” chiese rivolgendosi al soldato.
“Dice di chiamarsi Simm Keltel.”
L’uomo annuì con vigore. “E la ragazzina?”
“Sua figlia.”
“Deve attendere fuori.”
Valya trasse un profondo sospiro. “Devo recuperare il mio cavallo. Si chiama Bel.”
L’uomo sembrò soppesare le sue parole. “Scortatela alle stalle reali e assicuratevi che riprenda il suo cavallo.”
I soldati annuirono e guidarono Valya lungo il corridoio.
Simm li osservò finché non scomparvero dietro una svolta.
“Entra, per favore” disse l’uomo aprendo la porta.
Simm varcò la soglia dello studio con cautela, come aspettandosi un agguato. La stanza era lunga e stretta ed era occupata sul fondo da una scrivania. Dalle feritoie in cima alle mura pioveva una luce incerta.
Davanti alla scrivania vi erano tre figure in piedi, quelle di una donna e due uomini. La donna e uno dei due indossavano il mantello, l’altro l’armatura.
La donna gli rivolse un’occhiata perplessa. “Potete andare” disse agli altri due.
Questi le rivolsero un leggero inchino e uscirono dalla stanza.
“Chiudi la porta mentre esci” disse la donna all’uomo che gli aveva aperto.
“Come desideri” rispose prima di uscire e chiudere la porta con un tonfo.
“Io ti saluto, Simm Keltel. Ti ricordi di me?”
Simm sorrise mesto. “L’ultima volta che ti ho visto, eri l’apprendista di quella odiosa strega del continente antico. Non ricordo il suo nome.”
La donna sorrise. “Se Joane ti sentisse parlare di lei in quel modo, ti staccherebbe un braccio e lo userebbe per colpirti. E prima che tu dica qualsiasi cosa, una volta gliel’ho visto fare davvero.”
Simm lanciò un’occhiata allo studio. “Vedo che sei salita molto in alto.”
“Non è tutto merito mio. Gli Abrekir fanno parte del circolo di Talmist da venti generazioni. E siamo fedeli servitori del regno da quasi altrettanto tempo. In realtà, da prima ancora che Tal Dentestorto sedesse sul trono.”
“Mi sarei aspettato un governatore di Ferrador.”
“Non so se l’hai notato, ma questa città non ha nemmeno un circolo stregonesco. La regina e il decano volevano una persona di fiducia a gestire la forgia reale ed eccomi qui.”
“Sei diventata la guardiana dei fabbri?”
“Per quello ho già un cane da guardia.”
“Quynn Dalkon” fece Simm con tono cupo.
“Io lo definirei più un lupo ma è quello il suo ruolo.”
“Spero tu ci abbia pensato bene prima di affidargli l’incarico.”
“Lo dici per mettermi in guardia o perché vuoi il suo posto?”
Simm incrociò le braccia sul petto. “Non sono mai stato bravo nel gestire certe cose.”
La donna accennò un sorriso. “Se non ricordo male, era Wyll quello che si occupava di certe cose.”
Sentendo quel nome Simm serrò la mascella. I ricordi si affollarono davanti al muro che aveva eretto cercando di superarlo. Sapeva che se li avesse lasciati fare l’avrebbero travolto.
“Perdonami, non volevo risvegliare un brutto ricordo. Ho saputo che eri presente quando…”
“Quynn parlava di ventimila spade” disse per cambiare discorso. “Ma io non ne vedo così tante a Ferrador.”
“Avremo le spade” disse la donna sicura.
“E chi le reggerà?”
“Avremo anche quelli. Non so se l’hai notato, ma la regina ha emesso un nuovo editto. Tutti quelli in grado di reggere spada e scudo devono recarsi nella città più vicina. Ci aspettiamo che arrivino almeno cinquantamila persone.”
“È più di quante abitano Ferrador” disse Simm sorpreso.
“Ci stringeremo un po’, ma non resteranno qui a lungo. Prevediamo di marciare verso Rodiran appena possibile.”
“Re Nestorin si è davvero arreso senza combattere?”
Lei scrollò le spalle. “È vecchio e non è più quello di una volta. So che eravate amici.”
“Ho servito sotto i suoi vessilli per qualche tempo.”
La donna annuì grave. “Ormai la notizia sta viaggiando e tra poco non sarà più un segreto. L’orda di Malag e Rodiran hanno unito le forze e presto marceranno verso di noi. È solo questione di tempo.
 
Tempo, si disse Simm mentre usciva dallo studio di Hylana Abrekir e imboccava il corridoio che lo avrebbe riportato all’aperto.
Era felice di potersi immergere in quei pensieri e tenere lontani i ricordi.
La sua stretta è forte, disse una voce in fondo alla sua mente.
Sta bene. Non piangere.
Non è giusto.
Non è giusto.
Non è…
Tannisk aveva messo un paio di inservienti di guardia al carro e li trovò che ci giravano attorno. “Potete andare. Ci penso io” disse.
I ragazzi annuirono e andarono via.
Valya non era ancora tornata e non si vedeva in giro. Soppesò l’idea di aspettarla lì, ma stava facendo buio e doveva ancora scaricare le sue cose.
Hylana era stata categorica su quell’argomento.
“Tu e tua figlia dovete alloggiare a palazzo” aveva detto prima di congedarlo.
“Preferire stare insieme ai fabbri, se devo lavorare con loro.”
“E far stare una ragazza in mezzo a quella gente ti sembra una cosa decente?”
“Posso difenderla io” aveva detto.
“Tu dovrai pensare alla forgia. Tannisk è abile nel mettere le persone al posto giusto, ma non ci capisce niente di spade e scudi. È per questo che ho chiesto a Falgan di trovarti.”
“Falgan” aveva detto Simm scuotendo la testa. “Ti sei affidato a un macellaio.”
“Ora serve Valonde.”
“Quindi anche loro sono in guerra?”
Hylana aveva annuito. “Sono stati attaccati per primi.”
Simm si era fatto attento.
“Durante la consacrazione della figlia di Marget e Andew. Un gruppo ha assaltato il palazzo di Valonde.”
Simm aveva deglutito a vuoto. “È un’azione audace anche per uno come l’arcistregone.”
“È la dimostrazione che è più pericoloso di cento anni fa.”
Cento anni, si disse Simm mentre portava il carro in un deposito che Tannisk gli aveva indicato. Nessuno può vivere tanto, nemmeno uno abile come Malag. Eppure deve aver trovato il modo.
Il deposito sorgeva in uno dei caseggiati ai lati della piazza. C’erano numerose entrate ma Simm non ne scelse una a caso ma quella che gli era stata indicata.
Ad attenderlo c’era un ragazzino che poteva avere tredici o quattordici anni.
“Io ti saluto eccellenza” disse con tono irriverente.
Simm fece una smorfia. “E tu chi saresti?”
“Mi chiamo Rann” rispose il ragazzo. “Tannisk mi ha detto che ti serve un assistente e ha mandato me.”
“Non ho bisogno di un assistente” disse Simm saltando giù dal carro. “E nemmeno di un ragazzino a cui badare. Ne ho già una mia.”
“Io sono forte” disse il ragazzo avvicinandosi al carro. “E lavoro molto. Tannisk può dirtelo.”
“Di quello che dice Tannisk non mi importa niente. Tu stai lontano dalle mie cose e forse vivrai abbastanza da vedere la fine di questa guerra. E della prossima.”
Rann sembrò non comprendere la minaccia e saltò sul carro.
“Scendi da lì” esclamò Simm.
“Ti posso aiutare con le casse eccellenza” disse spostando una pesante cassa senza difficoltà. “Lo vedi? Sono forte. Lo dicevano tutti al villaggio.”
Rann sollevò la cassa sopra le spalle e saltò giù con essa.
Simm era sicuro che si sarebbe spezzato entrambe le gambe ma non accadde. Il ragazzo eseguì un salto perfetto e atterrò piegando solo un po’ le ginocchia.
“Visto? Sono forte” disse con tono allegro.
Simm grugnì. “Sì, sei forte. Ora aiutami a scaricare e poi sparisci.”
“Ai tuoi ordini eccellenza.”
Rann lo aiutò a scaricare e proseguì da solo quando Simm sedette su un secchio rovesciato e stette a osservarlo per un po’.
“È da tanto che sei così forte?” gli chiese mentre il ragazzo portava giù due delle ultime cinque o sei sacche.
“Da un paio d’anni. Stavo ancora al villaggio. Aiutavo i miei nonni.”
“Perché sei andato via?” gli chiese, anche se già intuiva la risposta.
Rann fece spallucce. “Il nonno disse che stavo diventando forte e che la gente iniziava a parlare. Dicevano che ero strano. Ma io non sono strano. Sono sempre quello di prima. Disse che era meglio se me ne andavo dal villaggio. Mi disse di andare lontano e di non far vedere che ero forte o la gente avrebbe parlato anche nel nuovo posto dove andavo.”
“Tuo nonno è una persona saggia” disse Simm rimettendosi in piedi. “C’è qualcun altro che sa quanto sei forte?”
“Solo Tannisk. Ma lui mi ha detto di non farlo vedere troppo.”
“Tannisk è una brava persona e tu devi seguire il suo consiglio. Però ti sei fatto vedere da me.”
“Tannisk mi ha detto che di te potevo fidarmi.”
“Ha detto proprio questo?”
Rann sorrise. “E anche altre cose.”
“Del tipo?”
“Che sei una specie di eroe. Che hai conquistato da solo una fortezza.”
Simm faticò a ricacciare indietro quel ricordo. “Non ero da solo” disse infine dopo qualche istante di silenzio. “Avevo degli amici.”
“Forti quanto te?”
“Molto di più.”
Rann sembrò soddisfatto e fece per andarsene. “Tannisk dice che ti servirà un assistente. Uno che ti regga il martello o qualcosa del genere.”
“Non mi serve nessuno.”
“Io posso farti da assistente. Sono forte.”
“L’ho visto che sei forte ma lavorare alla forgia non è affare da ragazzini.”
Rann rimase immobile a fissarlo.
“E va bene” disse Simm dopo averci riflettuto. “Ma dovrai fare tutto quello che ti ordino, hai capito?”
“Sì eccellenza” rispose il ragazzo con entusiasmo.
“Bene. Ora vai a cercare mia figlia.”
Rann si accigliò.
“Ha più o meno la tua età, capelli neri e ricci. La riconoscerai subito perché non smette un istante di parlare.”
“Io pensavo che ti avrei dato una mano nella forgia” disse Rann deluso.
“Ci penserò se troverai mia figlia.”
Rann annuì poco convinto. “La trovo e la porto qui?”
“Dubito tu sia abbastanza forte da trascinarla fin qui. Adesso vai.”
Il ragazzo corse via e lui tornò a sedere sul secchio rovesciato.

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