Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Gaia Bessie    29/07/2020    2 recensioni
Aveva il sapore dell’uva invecchiata, Berlino, un misto dolciastro e ammuffito di qualcosa che cercava, con tutte le proprie forze, di divenire vino. Ma, rimestandone l’aria in un calice dorato, la città rimaneva solamente un miscuglio mal schiacciato di polpa e liquido torbido. Avrebbe avuto il coraggio di sorbirne almeno un sorso, per sapersi orientare in quella metropoli congelata?
«Sei sciocca, se pensi che avrò mai una seconda opportunità» mormorò lui, distruggendole i pensieri. «Come se esistesse davvero, un’altra vita».
[Quinta classificata al contest "Favole di Oggi" indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Astoria, Draco/Hermione
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Qualcuno ha detto che a Berlino il cielo è stato tinto di nero, in una guerra Babbana di almeno trent’anni fa, e non c’è stato più verso di diluirne il colore, così che, guardando le stelle, sono l’ennesima cosa piccola e sbiadita nella grande trama dell’universo. Probabilmente, anche i fantasmi sono qualcosa del genere, una timida lucina che cerca il proprio angolo buio nella mente delle persone; ed è per questo che, io, un fantasma non lo sarò mai più.
I ricordi, per quanto dolorosi, sono comunque più luminosi dell’impronta lattea di uno spettro e, credo, che cercare di rimanere ancorata a chi amo sia solamente l’ennesimo attaccamento, privo di senso, che potrei sperimentare. O, forse, sarei imbrigliata dalla consapevolezza che, se solamente esistesse una seconda vita, la impiegherei a cercarlo in quei vicoli ombrosi e polverosi in cui s’è sepolto vivo, abbandonando un figlio che, adesso, nemmeno riesce a ricordarlo.
Io forse non la potrò avere, una seconda vita, ma tu potresti portarlo via di lì, trovare una spiegazione per tutte quelle lettere a cui non ha mai risposto, ricordargli che non è la paura, ciò che deve guidarlo, ma l’amore.


A. M.

Man muß das Unmögliche versuchen, um das Mögliche zu erreichen.
 
Lebensreform
 
Mentre ti parlo tu
Tu non mi puoi rispondere
(…)
No non c'è, no non c'è
Nulla da sentire oltre le urla
Io da te, tu da me
Scusa casa mia sembra una giungla
Tutto è cominciato così
Ci siamo innamorati così
 
 
A Berlino s’era persa la primavera, sul finire di marzo, sembrava quasi che il profumo dei fiori e raggi di sole si fossero smarriti per strada, non riuscendo a sfiorare gli abitanti della Germania, che rimanevano muti e infreddoliti nella capitale.
Hermione Granger, nonostante il tailleur Babbano color crema, non tremava, ma camminava spedita lungo l’argine della Sprea, che placidamente rifletteva la città nelle sue acque color fango. Il Monbijoupark non era lontano e lei non era stanca, perciò le sue scarpe dal tacco basso ticchettavano ritmicamente per le strade del centro berlinese, cullando i suoi pensieri.
La Germania centrale sembrava immersa in un lunghissimo strascico niveo del passato inverno, come se il tempo stesso si fosse congelato, lì a Berlino, tra il Memoriale dell’Olocausto e il Palazzo del Reichtag. Si respirava quasi odore di polvere, di un’epoca sospesa a metà, come una parentesi incompiuta.
Aveva il sapore dell’uva invecchiata, Berlino, un misto dolciastro e ammuffito di qualcosa che cercava, con tutte le proprie forze, di divenire vino. Ma, rimestandone l’aria in un calice dorato, la città rimaneva solamente un miscuglio mal schiacciato di polpa e liquido torbido. Avrebbe avuto il coraggio di sorbirne almeno un sorso, per sapersi orientare in quella metropoli congelata?
All’entrata del Monbijoupark, Draco Malfoy l’attendeva, lei riusciva a scorgerne i capelli biondi, quasi bianchi come neve, che spiccavano come una ferita aperta tra gli alberi tristemente spogli. Sembrava quasi che l’abbracciassero, quei tristi rami, per mantenerlo in vita come i vasi sanguigni con il cuore. Perché, altrimenti, si sarebbe semplicemente lasciato cadere per terra, esanime, e allora la neve avrebbe potuto nasconderlo per davvero.
Hermione era stata preparata, a quella visione: Daphne Greengrass, con cui aveva diviso l’ufficio durante i suoi primi anni come impiegata al Ministero della Magia, gliel’aveva detto che Malfoy, nel vino, aveva trovato un amico sincero. Che s’era perso sul fondo di un calice che un suo – fondo – l’aveva perso, per magia o volontà e, allora, era diventato l’unica divinità che Draco Malfoy fosse disposto a venerare.
«Malfoy» lo chiamò, cercando di scuoterlo da quello stato di torpore in cui versava. «Buongiorno».
Lui la guardò come se faticasse a riconoscerla: senza disprezzo, ma anche senza una qualunque espressione, tutto ciò che Hermione ricavò dall’averlo momentaneamente risvegliato fu uno sguardo vacuo e assonnato.
«Avevamo un appuntamento» gli ricordò, frugando nella borsa per estrarne un’agenda e una penna stilografica. «Ma, se non ti senti bene, possiamo tranquillamente vederci un altro giorno».
Lui inizialmente non rispose, facendole temere che fosse come sott’acqua e ghiaccio, in un luogo dove lei non avrebbe mai osato metter piede. Una parte del suo cervello, nell’osservarlo mentre scuoteva il capo, cercando di trovare le parole, urlava che la Greengrass aveva ragione.
Perché Draco Malfoy, alla luce sottile del giorno, sembrava solamente dissipato e crepato come un vaso rotto. Nell’età adulta, era divenuto sempre più simile a com’era stato suo padre, nei mesi in cui era uscito da Azkaban: i capelli biondi, poco curati e tagliati in maniera asimmetrica, gli proiettavano un’ombra sbilenca, un sorriso, sul viso candido. Aveva vistosi cerchi scuri sotto gli occhi e, se si fosse avvicinata, avrebbe sentito, e non solo immaginato, l’odore di vino e liquore mischiati insieme.
«No, Granger» commentò Malfoy, scuotendo via una foglia dal capo, stancamente. «Mi ricordo. Mi avevi chiesto di incontrarti».
Lei annuì, spiazzata. Aveva la voce di chi non parlava da cent’anni, constatò con orrore, mentre gli si avvicinava leggermente. E, da quel che le era stato riferito, probabilmente erano passati mesi, se non anni per davvero, dall’ultima volta che Malfoy aveva rivolto la sua purissima parola a qualcuno.
«Sì» convenne lei, scribacchiando un appunto. «Io…».
«Di cosa ha bisogno, adesso, il Ministero?» domandò lui, freddo. «Ho già chiarito che non ho intenzione di avere niente a che fare, con voi».
Lo disse con un tale astio da farla arretrare, confusa. Avrebbe voluto rispondergli in maniera dura e fredda, come probabilmente lui stesso s’aspettava, ma Draco Malfoy, nonostante tutto, pareva solamente amareggiato e ferito e lei, che sotto una scorza indurita dalle intemperie aveva ancora un cuore, non riuscì a lasciargli un’ennesima e inutile cicatrice.
«Non vorresti sederti?» chiese, invece, conciliante. «Purtroppo non ti porto buone notizie e…vorrei solamente che fossi preparato».
Draco Malfoy la guardò, sorpreso, ma non si oppose e si lasciò scivolare su una panchina con aria esausta, sbottonandosi lievemente il colletto della camicia, come se potesse sentir caldo in quell’inverno senza inizio. O fine.
«Si tratta di tua moglie» mormorò Hermione, chinando il capo. «Asteria».
Lo disse quasi come se nutrisse dubbi sul fatto che lui potesse faticare a ricordare il nome della propria consorte. Se così fosse stato, di fronte all’espressione dismessa di Malfoy, Hermione non si sarebbe sorpresa: sembrava faticasse a ricordare chi era lui che, il fatto che avesse dimenticato il nome e il volto della donna che aveva sposato pochi anni prima, non era affatto improbabile.
«Sì» Malfoy masticò quella parola come se potesse bruciargli il palato. «Asteria. Lei…immagino vorrà divorziare. Ti occupi di divorzi, adesso, Granger?».
«No, Malfoy» rispose Hermione, mantenendo un tono conciliante. «Non mi occupo di divorzi, io… sono a capo dell’Ufficio per la protezione e salvaguardia dei maghi minorenni».
Lui annuì e parve che quel movimento fosse in grado di prosciugargli ogni energia. «Hai fatto carriera» tossì. «Ma non hai risposto».
Lei prese un respiro profondo: un’ondata di gelo le entrò dentro, cristallizzandole i polmoni. Si costrinse a scuotere il capo, per non fargli vedere quanta fatica facessero, le parole, ad uscirle dalla bocca.
«No» disse, lentamente. «Non si tratta di un divorzio. Lei è…».
Draco Malfoy la guardò, ma sembrava poco attento, come se avesse la testa ebbra di altri pensieri, sicuramente più interessanti di quella moglie che s’era lasciato alle spalle. Hermione era certa che, se gliel’avesse domandato, Malfoy non sarebbe stato in grado di dire se Asteria Greengrass era stata bionda o rossa, o di che colore avesse avuto gli occhi.
«Si è ammalata, ormai un anno fa» mormorò. «Si era dovuta trasferire da sua sorella, perché non era più in grado di rimanere da sola. E, poi, poche settimane fa è…».
Lo guardò, come se quella pausa l’avesse fatta per lui, per permettergli di respirare un minuto in più. Ma Draco Malfoy le restituì solamente l’ennesimo sguardo vacuo e disinteressato, mentre giocherellava con un bottone della propria camicia, sul punto di saltar via.
«Morta» completò, atono. «Lo immaginavo. Mi scriveva ogni settimana, anche se non rispondevo, e non ha mai smesso, fino al mese scorso».
Un moto di pietà le stritolò il petto, mentre pensava a quanto potesse essersi consumata nel disinteresse di suo marito, Asteria Greengrass, per continuargli a scrivere ogni sette giorni quando, lui, risposte da darle non ne aveva più.
«Sì» sussurrò, stringendo con forza la propria agenda. «Che è il motivo per cui sono venuta qui. Tuo figlio, Scorpius…».
Draco Malfoy la guardò stralunato, quasi come se faticasse a comprendere il senso delle sue parole. «Scorpius?» domandò, incerto. «Perché dovresti parlarmi di lui?».
«Si tratta di tuo figlio, Malfoy» spiegò Hermione, come se lui non fosse realmente in grado di comprenderla. «E, adesso, non ha più una madre».
E nemmeno un padre, pensò tristemente, mentre Draco Malfoy annaspava per trovare delle parole da rivolgerle. Forse, la morte della moglie era riuscita a bucare quel lago ghiacciato in cui era annegato, costringendolo a respirare.
«Perché lo stai dicendo a me?» domandò invece, lui, sbiascicando le parole come se fossero prive di corpo e significato. «Io sono qui e lui sarà sicuramente con sua zia, a casa di Zabini».
«Sì, per ora è dagli Zabini, ma è una sistemazione provvisoria» rispose Hermione. «Normalmente, sarebbe meglio che il bambino rimanesse con il genitore ancora in vita».
Draco Malfoy la guardò e scoppiò a ridere, in un suono rauco e raschiato che avrebbe potuto spaventare qualcuno meno saldo di Hermione, che si limitò solamente a restituirgli uno sguardo di piena disapprovazione.
«Guardami, Granger» disse, lui, spalancando le braccia. «Ti sembro forse vivo, io?».
E riprese a ridere.
 
***
 
Nonostante l’aspetto trascurato e dimesso, Draco Malfoy non s’era abbassato a soggiornare nella parte Babbana di Berlino, preferendo un appartamento, piccolo ma curato, nella parte magica della città, con una bella vista sulla Porta di Brandeburgo. Non era stato difficile, intrufolarsi nell’abitazione di Malfoy, mentre lui s’era perso nell’ennesimo pellegrinaggio nel bar di quartiere. Così, quando lui era finalmente rientrato, ed erano solamente le tre e mezza di notte, l’aveva trovata seduta, con le gambe accavallate sul suo divano.
«Oh, fantastico» biascicò Draco, nel vedere Hermione Granger fissarlo con rimprovero. «Mi toccherà far pulire il divano».
Ma, nonostante il suo sguardo torvo, lei non accennò a muoversi di lì, anzi gli restituì uno sguardo di madreperlacea comprensione, quasi come lo stesse sollevando dalle sue colpe. Draco poté solamente scivolare sul pavimento, tendendosi la testa come se temesse di vederla scivolare via, domandosi cos’avesse di sbagliato, la Granger, per poterlo guardare in quel modo dopo che l’aveva velatamente insultata.
«Immagino che tu non abbia intenzione di discutere» borbottò. «Cosa ci fai qui?».
«Vorrei cercare di convincerti» spiegò lei, calma. «Penso che potresti prendere in considerazione l’idea di prendere il piccolo Scorpius con te».
Malfoy la guardò, turbato, mentre con una mano si tormentava i capelli, troppo lunghi, che gli sfregiavano il viso come una ferita. «Non potrei» disse, infine. «Non so nemmeno che faccia abbia, quel bambino».
Hermione frugò in una tasca dell’elegante completo da Strega che indossava, rinvenendone un’istantanea di un bimbo di due o tre anni, così piccola che, nelle mani di Draco, sembrò solamente un granello di sabbia. Aveva mani grandi, notò lei, così tanto che sembrava temere anche di maneggiare la fotografia, come potesse far male al bimbo che vi si muoveva all’interno. Ma, sebbene fossero lunghe e affusolate, le mani di Draco Malfoy non le sembrarono mani in grado di ferire qualcuno, erano troppo fini e delicate per potersi davvero imprimere in qualcosa.
«Adesso ha tre anni» gli spiegò, indicando quella fotografia minuscola. «Somiglia moltissimo a sua madre, ma…».
Draco Malfoy annuì, incapace di scollare gli occhi da quel bambino che stritolava con forza un orsacchiotto di peluche. Scorpius aveva gli occhi azzurri come una pervinca, gli stessi di sua madre, e probabilmente altrettanto gentili e malinconici. Anche i capelli, di un biondo chiarissimo, sembravano essere quelli di Asteria Greengrass: cercando sul volto di quel bambino qualcosa che marcasse il fatto che fosse suo figlio, non vi trovò nemmeno un neo che dicesse che Scorpius Malfoy meritava il proprio cognome.
«Potevano chiamarlo Greengrass, sarebbe stato meglio» constatò, atono. «Sembra uguale ad Asteria in tutto e per tutto».
«Dalla foto non puoi vederlo» ribatté Hermione, indicando un punto imprecisato sul volto del piccolo. «Ma quando sorride, ti somiglia tantissimo».
«Se mi somigliasse per davvero, non avrebbe motivo di sorridere» commentò lui, tagliente. «Granger, io… come potrei prendermi cura di un bambino, soprattutto se nemmeno mi somiglia?».
Per un momento, la luminosa comprensione in cui s’era avvolta, nel momento in cui l’aveva visto, s’incrinò inesorabilmente. «Malfoy» sibilò. «Non ti sei nemmeno dato la pena di vederlo una sola volta, da quand’è nato, ma ti assicuro che quel bambino è inequivocabilmente figlio tuo».
Ma lui la guardò, e sembrò per l’ennesima volta, nel corso della sua vita, solamente un ragazzino spaventato.
«E basta per fare di me un padre?» domandò, scandendo bene le parole. «Lascia quel bambino a sua zia, Granger, o gli rovinerai la vita».
«Ci sono milioni di ragioni per cui dovresti volerlo con te, Malfoy» rispose lei, fredda. «Ha solamente tre anni e ha perso sua madre. È un bambino educato, tranquillo e… ti innamoreresti di lui, se solamente volessi vederlo».
Lui la guardò, disperato, facendole mancare il respiro. Aveva la camicia abbottonata male e, sebbene prima non ci avesse fatto caso, puzzava di un qualche liquore tedesco, in un odore che si mischiava orribilmente con quello della pelle.
«Non posso» ripeté, scuotendo il capo. «Sarebbe più felice se gli permetteste di rimanere con Daphne e suo marito. Da quanto ne so, non hanno figli».
«Tua cognata ha detto di essere disposta a prendersi cura di lui» confermò Hermione. «Ed è risultata idonea all’affidamento, ma…».
Lui, per un momento, smise di ascoltarla, come se le sue fantasie l’avessero inghiottito in un mondo dove forme e colori si perdevano e aggrovigliavano, per non lasciarlo andar via. Poi, la voce della Granger gli entrò nelle ossa come un eco.
«Asteria ha lasciato scritto che voleva che fossi tu, a crescere vostro figlio» concluse lei, dolcemente. «Daphne mi ha portato la lettera che le aveva scritto, prima di… andarsene».
«E mi ha maledetto per tutte le volte in cui non le ho risposto?» domandò Malfoy, ironico. «Se non l’ha fatto, avrebbe dovuto».
«Ti affidava Scorpius, Malfoy» rispose Hermione. «Ha scritto che pensava tu potessi essere un bravo padre, se soltanto qualcuno fosse riuscito a…».
Lui la guardò, perplesso, mentre con le braccia la Granger gli indicava la stanza dove sedevano, quasi come se essa nascondesse un difetto imperdonabile. Draco osservò le pareti macchiate di fumo, come se veramente, lì, potesse esserci una risposta, e si stupì di non trovarvi ciò che la Granger vi scorgeva.
«A tirarti fuori di qui» concluse lei, con tatto. «Inizialmente non capivo cosa intendesse, ma ieri… è diventato tutto chiaro».
Lui sorrise e scosse il capo. «Non puoi» disse, semplicemente. «Io non sono disposto, ad andarmene».
«Nemmeno per il bene di tuo figlio?» domandò lei, stupita. «Non riesci a rinunciare a un vizio così stupido nemmeno per un bambino di tre anni?».
«Un vizio irresistibile» mormorò lui, stancamente. «L’unico modo che conosco per resistere alle tentazioni è quello di cedervi, Granger».
«Non pensavo ti interessasse la letteratura Babbana, Malfoy» replicò Hermione, tagliente. «E, comunque, se non vuoi smettere è solamente un difetto di volontà. Niente di più».
Draco Malfoy arrossì, sotto il peso di quell’accusa. «Piaceva a lei, la letteratura Babbana» sussurrò. «Io non ne capisco niente, come non ne capisco niente di bambini».
«Ho un mese di tempo prima che il Ministero richieda la mia valutazione sul tuo caso» rispose lei. «Dimostrami che puoi imparare, che vuoi davvero prenderti cura di tuo figlio. Che stai provando a riprendere in mano la tua vita».
«A che pro?» domandò Draco, stancamente. «Non vale la pena di vivere per tentativi».
Un qualche residuo di orgoglio, sepolto sotto il delicato completo da Strega color cipria, la infiammò nuovamente, impedendole di supplicarlo di farlo per Asteria Greengrass che, chissà in che modo, ancora una volta gli aveva accordato la propria fiducia.
«No, infatti» sibilò lei. «Ma ti assicuro che ti tirerò fuori di qui e tu andrai quantomeno a conoscere tuo figlio, fosse l’ultima cosa che faccio».
«Non puoi farmi da Elfa, Granger» rispose Malfoy, stropicciandosi le tempie con aria stanca. «Ma fai quel che ti pare, rimango a disposizione».
Lei annuì, altera. «Domani mattina tornerò, fammi trovare un posto dove poter dormire» sibilò. «Perché ti assicuro che non te la renderò più facile, solo per farti un piacere».
«Non ne dubito, Granger» commentò lui, dirigendosi verso la propria camera da letto. «Hai sempre avuto una passione per le cause perse, basta guardare con chi t’accompagni».
 
***
 
La mattina seguente, quando Hermione si Smaterializzò nel soggiorno di Draco Malfoy, lui ancora non s’era mosso dal letto, dove l’aveva lasciato la sera prima, lasciando la porta aperta. Lo poteva quasi scorgere, rannicchiato su sé stesso sotto una montagna di coperte, che borbottava qualcosa ai suoi sogni.
Il fatto che lui dormisse tranquillamente a pochi metri da lei non la mise a disagio, così sedette sul divano su cui s’era accomodata appena poche ore prima, e con un elegante movimento di bacchetta iniziò ad appellare ogni bottiglia di vino o liquore presente nella stanza. Quando ebbe aperto con la magia ogni mobiletto, facendo uscire bottiglie o fiaschette da sotto ogni mobile, davanti ai piedi di Hermione giaceva una piccola distilleria clandestina. La donna sbuffò, conscia che probabilmente Malfoy nascondeva altri alcolici in camera da letto, forse persino nel bagno. Con un movimento del polso, fece scomparire tutte quelle bottiglie, liberando il pavimento ingombro.
Si alzò e, con i tacchi che facevano ticchettare il pavimento, si diresse verso il bagno: all’apparenza era pulito e ordinato, ma bastò aprire l’armadietto dei medicinali per trovare una bottiglia di collutorio riempita di Gin. Stava per svuotarla nel lavabo, quando sentì uno sguardo che le bucava la schiena.
«Malfoy» constatò, senza voltarsi. «Vedo che ti sei alzato. Dovresti mangiare qualcosa, non hai una bella cera».
«Vorrei ben vedere» rispose lui, secco. «Hai fatto evanescere alcune bottiglie della collezione di mio padre, Granger».
«Un giorno mi ringrazierai, Malfoy» commentò Hermione, continuando a guardarsi attorno. «Anzi, potresti facilitarmi il lavoro e dirmi dove nascondi le altre, tanto le troverei comunque».
«Come se volessi aiutarti a fare l’eroina» rispose Malfoy, acido. «Arrangiati, Granger. Io vado a vedere se in questa casa esiste ancora qualcosa da mangiare».
Lei non lo seguì, ma continuò a gironzolare tra le stanze, facendo scomparire le bottiglie che rinveniva, man mano. Quando finalmente tornò nel salotto, Malfoy sedeva sul divano, con lo sguardo perso nel vuoto.
«Pensavo volessi far colazione» osservò lei, perplessa. «Va… va tutto bene?».
Lui annuì. «Mal di testa» pigolò. Si teneva il capo con una tale forza che, per un momento, Hermione temette che potesse strapparlo via con una semplice torsione del polso.
«Sarà peggio di così, Malfoy» sussurrò, atona. «Ma cercherò di aiutarti, per quanto mi sarà possibile».
Draco la guardò, spalancando gli occhi in una maniera che lo rese estremamente simile a suo figlio. «E perché dovresti?» domandò. «Non mi devi niente, Granger».
«Perché nessun bambino meriterebbe di crescere senza i genitori» rispose lei, dolcemente. «E… io l’ho visto, tuo figlio. È molto intelligente e, quando ha capito che sua madre non c’era più… faceva stringere il cuore, Malfoy. Ho promesso che avrei fatto di tutto per dargli una casa e qualcuno che lo amasse».
«I soliti sogni di gloria di voi Grifondoro» tossì lui, guardandola. «Asteria era come voi, disgustosamente emotiva fino al midollo».
Aveva la voce sporca di rimpianto, Hermione non riuscì a non notarlo ma, nonostante l’emozione che la voce riscopriva, il viso di Malfoy rimaneva gloriosamente impassibile. Solamente una ruga minuscola gli aveva increspato la fronte, come un pensiero che fugacemente lo stava attraversando: il ricordo della sua defunta consorte, che non vedeva da chissà quanti anni.
«Non sono sogni di gloria» si difese Hermione. «Se lo vedessi, capiresti anche tu».
Draco la guardò, gli occhi grigi scombri da qualsiasi turbamento, che riflettevano quietamente l’espressione turbata di lei.
«Non posso vederlo» disse, semplicemente. «Asteria l’avrà imbottito di chissà che melense fantasie, su di me, si aspetterebbe troppo per non avere niente».
 
***
 
All’una, si era dovuta arrendere e abbandonare Malfoy sul divano, estasiato dalla contemplazione del proprio soffitto, per incamminarsi nelle vie della Berlino magica per trovare qualcosa da mangiare, almeno a pranzo: il frigorifero dell’appartamento era stipato di bottiglie di liquori, acqua e, sorprendentemente, una lattina di Coca-cola. Lei, però, non aveva fatto commenti sull’improvvisa Babbanofilia di Malfoy, e s’era semplicemente messa il soprabito marrone ed era uscita ad affrontare l’aria gelida tedesca.
Lui non aveva dato segno di comprendere che lei stava uscendo, così Hermione aveva deciso di concedersi mezz’ora per riflettere, lontano da quell’atmosfera dissipata e opprimente che l’uomo emanava. Adesso che l’aveva visto, che avrebbe semplicemente potuto tagliarsi con uno dei mille cocci in cui s’era infranto Draco Malfoy, le perplessità di Daphne Greengrass, sull’assecondare l’ultimo desiderio della sorella, le parevano perfettamente giustificate: in che modo sarebbe riuscito, Malfoy, a prendersi cura di un bambino di tre anni? Avrebbe mai effettivamente voluto prendersene cura?
Smaterializzandosi nella cucina dell’appartamento, Hermione cercò di non rispondere impulsivamente a quelle domande, cercando di concedere a Malfoy quantomeno il beneficio del dubbio. Ma, quando lo vide camminare avanti e indietro per la sala, a velocità folle, qualcosa in lei iniziò a gridare.
«Malfoy» lo richiamò, cercando di mantenere la calma. «Si può sapere cosa diamine stai facendo?».
«Niente» borbottò lui, senza fermarsi. «Cerco di farlo andar via».
Hermione non si scompose, facendo levitare sul tavolo della cucina il pranzo, e sedendosi su una sedia. «Siediti» disse. «Starai meglio dopo aver mangiato qualcosa… ho anche fatto un po’ di spesa».
Ma Draco parve quasi non udirla, incantato dal suono dei suoi stessi passi e, quando finalmente alzò lo sguardo e parve ricordarsi di lei, era rosso in viso e con i capelli umidi di sudore.
«Hai davvero intenzione di mangiare la Kartoffelsuppe?» domandò, scrutandola con diffidenza mentre divideva la zuppa di patate in due ciotole. «Con questo caldo?».
Nel sentire queste parole, Hermione tornò a guardarlo con attenzione, registrando che aveva il viso tinto di un inusuale rossore. «Penso che tu abbia la febbre» commentò. «Faresti meglio a mangiare la zuppa, può solamente farti bene».
«Non ho fame» commentò Malfoy, laconicamente. «Davvero».
Lei sbuffò, imponendosi mentalmente di contare fino a dieci, come faceva quando aveva a che fare con giovani maghi problematici. «Malfoy» disse, calma. «Siediti e mangia, non hai l’età giusta per fare i capricci».
Lui smise di protestare e si accomodò davanti a lei, rimestando con il cucchiaio la propria porzione di zuppa, scartando di lato i pezzettini di bockwurst. Guardandolo con attenzione, Hermione si rese conto che doveva avere la febbre alta, aveva gli occhi lucidi e il fiato corto, come se l’aria faticasse a scavare la propria via verso i polmoni.
«Deve piacerti proprio tanto, il tuo lavoro» borbottò Malfoy, continuando a giocherellare con il cucchiaio. «Per costringerti a rimanere con me, per… ricostruirmi».
Lei pensò distrattamente che non era solamente una questione di lavoro: di bambini piangenti e con gli occhi grandi come scodelle ne aveva visti a centinaia, forse perfino a migliaia, e non erano state le lacrime o i singhiozzi del piccolo Scorpius a turbarla così profondamente. Non l’aveva segnata nemmeno la dura reazione di sua zia, che le aveva sconsigliato di far riemergere Malfoy da quel cupo buco di orrore e disperazione in cui s’era sepolto, in una città dove poteva fingere di non comprendersi a causa della lingua.
«Se te lo spiegassi, non capiresti» commentò lei, soffiando sul cucchiaio per raffreddare la minestra. «Avresti dovuto vederla».
Perché Asteria Greengrass s’era consumata come un cerino sotto una fiamma troppo incandescente, ardendo in una dolorosa scia di meravigliose scintille. I Medimaghi non avevano trovato una spiegazione valida, al fatto che un giorno avesse semplicemente cominciato a sfiorire, e l’avevano semplicemente lasciata scivolare via.
«Non mi aveva scritto di essere malata» rispose Malfoy, sulla difensiva. «Altrimenti, io…».
«Saresti tornato da lei?» domandò Hermione, placidamente. «Io non credo, Malfoy, che l’avresti fatto».
Daphne, in una sera che aveva passato al Ministero sommersa tra le scartoffie, le aveva confidato il suo reale timore: che alla sorella si fosse semplicemente spezzato il cuore, quando il marito aveva preferito fuggire da lei. E che nemmeno l’idea di suo figlio, che era tutto ciò che le rimaneva del suo matrimonio, riusciva a convincerla a combattere contro quel cuore che mancava prima un battito, poi un secondo.
«Avrei cercato il miglior Medimago di tutta l’Europa» rispose Draco, scuotendo il capo. «Io non l’avrei lasciata morire».
«Non penso sarebbe bastato» commentò Hermione, scuotendo il capo. «Non sono mai stati in grado di capire cosa non andasse. Un giorno se n’è andata e basta».
E lei, che Asteria Greengrass l’aveva vista solamente nella fotografia sulla lapide, aveva sentito forti e chiare le parole scritte in quella lettera che racchiudeva i suoi ultimi desideri, marcate da una grafia leggera e delicata su una pergamena spiegazzata.
«La conoscevi?» chiese, lui, interessato. «Tu… l’hai vista, prima che…?».
Hermione scosse il capo. «No» ammise. «Ma Daphne è rimasta con lei tutto il tempo, fino alla fine».
«L’amava più di quanto io non potessi fare» rispose Draco, atono. «Almeno non era sola, è una morte meno brutte di altri. Meno brutta di quella che avrò io».
«Come se potessi sapere di che morte morirai» rispose lei, secca. «Starai bene, Malfoy, io ho promesso che ti avrei portato via di qui».
«Io morirò solo, Granger, che di per sé è una brutta morte» continuò lui, come se non l’avesse sentita. «E, da quanto mi hanno augurato tutti quelli che hanno saputo della miracolosa assoluzione concessami da Potter, probabilmente morirò maledetto e in maniera dolorosa».
«Avresti potuto difenderti, se solamente ti fossi presentato al processo» commentò Hermione. «Per dare una motivazione alla tua miracolosa assoluzione».
Lui scosse il capo, lo sguardo perso nel piatto ancora pieno. «Non avrei potuto» mormorò. «Ma non penso capiresti».
«No, infatti» rispose Hermione, granitica. «Non penso di poter capire».
E, dentro di sé, si disse che, oltre a non poter capire, non avrebbe mai potuto perdonargli un errore così fatale come quello. Se Draco Malfoy si fosse difeso, presentandosi al processo del dopoguerra, allora, avrebbe guadagnato almeno una briciola della sua stima. Se. Ma Malfoy non era comparso davanti al Wizengamot, lasciando a lei e ad Harry l’arduo compito di giustificarne l’assenza.
«Per lo stesso motivo per cui non potevo essere lì» disse, lui, spingendo via il piatto ancora mezzo pieno. «Asteria si sarebbe solamente vergognata, di morire davanti a me».
Lo disse con molta convinzione ma, nella testa di Hermione, rimbombavano le ultime parole che Asteria Greengrass aveva tracciato su pergamena, con mano insolitamente ferma e senza versare una lacrima, in una lettera che sua sorella aveva trovato nascosta sotto i suoi gioielli. Scostando una collana di perle, appartenuta alla nonna, Daphne Greengrass aveva rinvenuto quella pergamena spiegazzata e arrotolata.
Sopra, Asteria vi aveva scritto il suo nome.
 
***
 
Dopo aver appena spiluccato la propria zuppa di patate, Draco si era steso sul divano ed era rimasto lì, immobile, per ore, con gli occhi chiusi: sarebbe quasi stato una visione pacifica, se non fosse stato per i movimenti convulsi con cui agitava le mani, che s’artigliavano e s’aggrappavano tra di loro o sul copridivano, per non farle vedere che, se fosse rimasto fermo, sarebbe stato scosso da un tremore perenne.
Hermione era rimasta seduta su una poltrona verde, un po’ consunta sui braccioli, e s’era messa a leggere un vecchio romanzo Babbano, che aveva rinvenuto nella libreria all’ingresso dell’appartamento. Ogni tanto, gettava uno sguardo verso il divano, per riscontrare che Malfoy persisteva nel giocare alla Bella addormentata.
L’uomo si mosse per la prima volta solamente alle cinque di pomeriggio, mentre lei chiudeva il libro, dopo aver deciso di avere bisogno di una tazza di tè: con un movimento così brusco che avrebbe potuto frantumargli le ossa, Malfoy cadde dal divano, finendo in ginocchio sul pavimento, dove rigettò tutto quello che non aveva mangiato poche ore prima.
Hermione non si scompose, ma con un movimento della bacchetta ripulì il pavimento, mentre ancora Malfoy ansimava, tenendosi lo stomaco. Guardandolo in viso, si accorse con orrore che aveva gli occhi pieni di lacrime.
«Non guardarmi così» biascicò lui, cercando di alzarsi. «Come se provassi pena. Non posso accettarla, la tua compassione».
«Non penso potrei mai darti compassione, Malfoy» ammise lei, prendendolo per un braccio e aiutandolo a tirarsi su. «Però… a volte mi chiedo cosa ti abbia spinto a ridurti così».
Lui la guardò e, in quel frangente, Hermione si rese conto che stava solamente scegliendo se mentirle o, per quella volta soltanto, concedersi di dirle la verità.
«Un cocktail» disse infine, scrollando le spalle. «Di noia e dolore, con poco ghiaccio».
«E non hai mai pensato che potevi non bere da quel bicchiere?» chiese lei. «Non ti manca mai casa tua, i tuoi amici…».
Lui rise, debolmente. «La mia famiglia?» domandò. «Non mi manco nemmeno io, non penso che possa esistere qualcuno in grado di mancarmi».
Hermione, come non accadeva da anni, si trovò privata delle parole e, per un momento, perfino delle speranze. Si trovò davanti a un puzzle senza alcuni pezzi, di cui nemmeno avrebbe saputo riconoscere la chiave di lettura.
«E, anche se qualcuno mi mancasse» completò Malfoy. «Come farei a rendermene conto?».
«Penso che tu lo sappia» rispose Hermione, piano. «Asteria non ti mancava mai? Vostro figlio?».
Lui la guardò. E duri erano quegli occhi, duro il sorriso ironico che gli spaccava il volto come una roccia durante una notte nel deserto.
«Di lei cerco di non parlare mai» disse, semplicemente. «Ho sempre pensato che avrebbe potuto amare anche per me, in qualche modo».
«Adesso dovrai amare Scorpius per entrambi, Malfoy» disse lei, dolcemente. «Ti sembrerà difficile, ma io sono sicura che potrai farcela, con il tempo».
Lui scosse il capo e, per un terribile momento, parve sul momento di mettersi a piangere.
 
***
 
A cena, non c’era stato verso di convincere Malfoy a mangiare qualcosa, dal brodo di pollo che Hermione s’era offerta di preparargli, al Kassler che la Strega aveva preso per sé. Era rimasto seduto sul divano, abbracciato da un interminabile tremore: sbatteva così forte i denti che, Hermione, masticando la sua cena, temette che potesse romperseli.
Nel pomeriggio, Malfoy aveva vomitato altre due volte, bile di un irriverente verde che gli aveva ustionato la gola, come Ardemonio. Non aveva più proferito parola, rimanendo a guardare i propri arti che si contorcevano come se non gli appartenessero più, e altro non fossero che l’ennesimo momentaneo fastidio che gli toccava tollerare. Finché, alle undici di sera, mentre Hermione sbadigliava sulle ultime pagine del proprio libro, Malfoy decise di mettere da parte quel suo forzato mutismo.
«Granger» pigolò. «Hai intenzione di guardarmi per tutta la notte o andrai anche a dormire?».
«Stavo aspettando che ti addormentassi, non vorrei che ti sentissi male di nuovo» rispose lei, atona. «Si chiama cura per il prossimo, Malfoy, anche se capisco possa essere un concetto di ardua comprensione».
Lui non controbatté, ma annuì sommessamente. «Sarà sempre così?» domandò, indicandosi. «Io… non sono forte come te o i tuoi santi amici. Io ho bisogno di qualcosa che anestetizzi tutto questo».
«Non puoi davvero pensare che bere sia la soluzione» lo rimproverò Hermione. «Scorpius ti sta aspettando e fa affidamento su di te».
Malfoy sospirò, passandosi una mano tra i capelli. «Lo so» mormorò. «Io… avevo giurato che sarei stato un padre migliore di quello che è toccato a me».
Lei cercò di reprimere un moto di comprensione che cercava di riscaldarle il petto. Lo guardò attentamente, come se temesse che tutto quello che aveva detto fosse una bugia, ma Draco Malfoy sostenne il suo sguardo.
«Se la pensi così, perché te ne sei andato?» domandò, impulsivamente, maledicendosi subito per quelle parole così avventate.
Ma lui non si scompose minimamente, limitandosi ad arrotolare la manica della camicia, scoprendo il Marchio. Sebbene fossero passati anni, era ancora lì, fiero nel suo nero sbiadito, che spiccava nella pallida cornice della pelle di Malfoy.
«Perché avete parlato per mesi di superstiti e di pentiti» mormorò, con astio. «Senza sapere che non esistono, nessuno dei due. Esistono i morti, e i condannati, chi riesce a fuggire, per un po’, e chi viene trovato dopo qualche mese».
Lei spalancò gli occhi, in un lampo di comprensione che la stordì come un colpo alla testa, facendola barcollare.
«Merlino» bisbigliò, senza riuscire a soffocare la sorpresa. «Tu avevi paura».
Non era una novità, che Draco Malfoy fosse troppo spaventato, o troppo poco coraggioso, per affrontare qualcosa, ma quella rivelazione ebbe comunque l’effetto di bruciare quella segreta vena di rancore che la lettera di Asteria Greengrass aveva risvegliato. Lui non replicò, ma aveva le mani che tremavano.
«Tu non ne avresti?» domandò lui, stringendo i denti. «Io… dovevo annegare tutti i luoghi possibili in cui avrebbero potuto cercarmi».
La sua mente: la comprensione, e la paura, erano le armi più pericolose che Draco Malfoy aveva ereditato dalla Guerra, insieme alla consapevolezza che, in un’insolita partita a nascondino, i fedelissimi di Voldemort sfuggiti alle spire della legge l’avrebbero cercato sempre. Lui, marchiato come una bestia e un traditore, in un tentativo avventato e patetico aveva cercato di proteggere la sua famiglia, ancor prima di sé stesso.
«Avresti potuto rivolgerti al Ministero» sussurrò Hermione, sfiorandogli il braccio, in un primo contatto cui lui, paradossalmente, non rifuggì. «Ti avremmo aiutati».
«Se non me ne fossi andato, avrei condannato mia moglie» disse Malfoy, secco. «E quel figlio che tu hai preso così a cuore. Pensi che avrebbe fatto qualcosa per me, il Ministero?».
A lei, per la prima volta in vita sua, mancò il coraggio di replicare, così si passò una mano tra i capelli, nervosamente. «Parlerò con il Ministro» disse, infine. «Non dovrai più avere paura».
Silenziosamente, promise ad Asteria Greengrass che suo marito non avrebbe più sentito il bisogno di scancellarsi, fisicamente e mentalmente, per non essere trovato, che suo figlio avrebbe avuto un padre che gli avrebbe fatto anche da madre, e sarebbe stato felice e amato.
«Sei sciocca, se pensi che avrò mai una seconda opportunità» mormorò lui, distruggendole i pensieri. «Come se esistesse davvero, un’altra vita».
 
***
 
Quella notte, nessuno dei due riuscì a chiudere occhio. Lui s’agitò e si contorse sul divano, fino a privarsi del respiro e, in un momento indefinito che avrebbe potuto essere sia notte sia giorno, gli parve perfino di vedere l’irriverente volto di suo padre scolpito nel soffitto, a guardarlo con i suoi stessi occhi.
Lei rimase ritta sulla poltrona, a volte sveglia e a volte addormentata, con un libro aperto in grembo che, però, non aveva voglia di leggere. Hermione Granger aveva pensato più volte alla dolorosa ammissione di Draco Malfoy, al Marchio Nero sbiadito come l’ennesima cicatrice nella trama dell’epidermide. Sebbene la parte più Grifondoro di sé urlava che era stato stupido e codardo, abbandonare la persona che amava per la sua sicurezza, la restante parte le diceva che non era un’azione così lontana da quelle che aveva compiuto Harry, durante la Guerra. Nella clemente penombra delle tre di mattina, nonostante il dolore che gli pungeva le ossa come aghi arroventati, come una Cruciatus, Malfoy sembrava quasi aver ritrovato la propria pace.
In un momento in cui aveva ceduto al dormiveglia, Hermione avrebbe potuto giurare che, nei suoi sogni o in quella realtà così dolorosamente affilata, Draco Malfoy si fosse sciolto in un fiume di lacrime.
Poi, quando finalmente era riuscita a raggiungere quel mondo di sogni zuccherati e biscottati che popolavano le sue notti, Hermione s’era sentita scuotere, alle dieci di mattina. S’era ritrovata davanti Malfoy, accovacciato sul pavimento, con gli arti che tremavano così forte che parevano quasi sconnessi dal resto del corpo, e il volto accaldato e arrossato.
Lei spalancò gli occhi, quasi come se dovesse abituarsi a quella realtà sfocata dalla mancanza di sonno.
«Granger» bisbigliò lui, a capo chino. «Lo sa Salazar quanto sia umiliante dovertelo chiedere, ma potresti prepararmi quel famoso brodo di pollo? Credo di avere la febbre».
Lei non riuscì a reprimere un sorriso che le rischiarò il volto. «Certo» rispose, alzandosi e facendo cadere a terra il libro che aveva in grembo. «Tra qualche giorno starai meglio, ne sono sicura».
Lui sollevò il volume caduto davanti a sé, guardandolo con interesse. «Oscar Wilde» lesse. «A te Asteria sarebbe piaciuta, temo».
Hermione spalancò gli occhi, rendendosi conto che era la prima volta che Malfoy pronunciava il nome della moglie, ma cercò di non fargli percepire quanto quella semplice frase l’avesse turbata.
«Lo penso anche io» disse, invece. «Sua sorella è la Serpeverde meno Serpeverde che io abbia mai conosciuto».
Malfoy rise, ma mascherò il suono con un colpo di tosse. «E Daphne è disposta a permettere che io mi prenda cura di mio figlio?» domandò. «Non pensa che fareste meglio a darlo a lei e a Zabini?».
«Certo che lo pensa» commentò Hermione, porgendogli una scodella di brodo. «Ma rispetta i desideri di sua sorella, per quanto non li condivida, e lei ha scritto che voleva che Scorpius stesse con te».
In una pergamena spiegazzata indirizzata ad Hermione Granger, capo dell’Ufficio per la protezione e la salvaguardia dei maghi minorenni.
Sotto la firma, la moglie di Malfoy aveva aggiunto una noticina scritta in piccolo, in un’accozzaglia di lettere che Hermione era riuscita a comprendere solamente dopo aver scoperto che Draco Malfoy aveva trovato rifugio tra i vicoli di Berlino.
Man muß das Unmögliche versuchen, um das Mögliche zu erreichen.
 
***

Il secondo giorno fu peggiore del primo: un paio di volte, Hermione sorprese Malfoy a borbottare contro il muro e, almeno una volta, fu certa di comprendere in quel cupo mormorio il nome di sua madre. Lei non ebbe il cuore di distoglierlo da quelle fantasie, per riportarlo in un mondo reale che era difficile e affilato, se paragonato a quello delle allucinazioni.
Ma, alle sei del pomeriggio, Malfoy parve riscuotersi da quel suo torpore e bisbigliò poche parole che, però, le frantumarono il cuore in un miliardo di frammenti.
«Tu mi porteresti a vederla?» domandò, lui, come se quelle poche parole potessero affaticarlo. «Io… non so nemmeno dove l’hanno sepolta».
«A casa sua» rispose lei, meccanicamente. «Cioè, tecnicamente ora sarebbe casa tua, ma Daphne ha detto che lei sarebbe voluta rimanere lì».
«E mi accompagneresti?» insistette Malfoy, il tono che ne tradiva l’urgenza. «Non mi abbasserò a chiedertelo una terza volta, Granger, però…».
Però potrei anche farlo, pensò Draco, mentre attendeva la risposta. Perché c’era qualcosa, una paura irrazionale e primordiale, che lo terrorizzava, al pensiero di ripercorrere il giardino che sua moglie aveva amato così tanto, quand’era in vita, vedere le rose che avevano piantato insieme irrimediabilmente appassite. E sapere che lei era lì sotto, e aveva le braccia avvolte alle nodose radici del ciliegio, così che, quand’esso sarebbe fiorito, anche lei sarebbe sbocciata in un’esplosione di petali rosati.
«Perché hai bisogno di me, Malfoy?» domandò Hermione, perplessa. «Io… non la conoscevo nemmeno, e scommetto che hai ancora amici che ti accompagnerebbero più volentieri di me».
Lui chinò il capo e i capelli gli proiettarono un’ombra sbilenca sulla fronte. «Lo so, ma…» mormorò, incerto. «Mi sei venuta a cercare, andando oltre al fatto che questo sarebbe il tuo lavoro».
A lei s’addolcì lo sguardo: pensò distrattamente che era quello, Draco Malfoy, un cucciolo spelacchiato e spaurito, che avrebbe potuto far le fusa a chiunque si fosse dimostrato disponibile a sopportare i suoi graffi.
Ed Hermione, che aveva l’anima graffiata e sbrindellata, gli sorrise, piena di comprensione, e annuì leggermente.
«Capisco» disse, piano. «Potrei venire con te».
«Ci sarai anche quando dovrò vedere Scorpius?» domandò Draco, atono. «Qualcuno gli ha spiegato che sto tornando?».
«Ho scritto a Daphne stamattina» confermò Hermione. «Ti sta aspettando. Io… dovrò essere presente, al vostro incontro, fa parte della relazione che dovrò redigere».
Malfoy, sentendo quelle parole, parve tranquillizzarsi: s’abbandonò allo scuro abbraccio del divano, con gli occhi chiusi, quasi come volesse abbandonarsi a quel sonno cui era sfuggito per tutta la notte. Ma, quando lo sentì borbottare qualcosa all’imbottitura del divano, Hermione comprese che Malfoy non aveva alcuna intenzione di abbandonarsi a quel mondo di incubi di cui il sonno era l’anticamera.
Grazie.
«Malfoy…» borbottò lei, incerta su cos’avesse realmente sentito. «Cosa hai appena dett…».
«Non te lo ripeterò una seconda volta, Granger» rispose lui, secco. «Quindi non farci l’abitudine».
Lei sorrise, ripensando alla frase con cui Asteria Greengrass aveva concluso la sua ultima lettera, prima di arrotolarla e indirizzarla ad Hermione Granger.
Affinché si realizzi il possibile, si deve sempre tentare l’impossibile. Lei sorrise e, silenziosamente, rivolse un ringraziamento ad Asteria Greengrass che, con il suo inusuale amore per la letteratura Babbana, le aveva dato la chiave per andare a riscattare Draco Malfoy da quel mondo buio e corrotto in cui s’era trincerato.
Era davvero così impossibile, far tornare umano Draco Malfoy, curargli quella paura che l’aveva spinto lontano da sua moglie, dal figlio neonato, casa sua?
Perché Malfoy respirava quasi come l’ossigeno fosse l’ennesimo, inutile, peso della sua vita e, lei, riusciva a contattare solamente un immenso sollievo nel percepire che, per la prima volta in quei giorni, lui sembrava essersi convinto di volere indietro quella vita per cui non aveva lottato abbastanza.
 
***
 
Il giardino dov’erano sepolte le donne della famiglia Greengrass, dietro la casa ch’era appartenuta alla madre di Asteria e Daphne, brillava di una luce biancastra e dolorosa. Scorpius Malfoy, che aveva tre anni e il capo biondo come un tramonto, s’era stretto alla gamba di suo padre, di cui s’era come innamorato al primo sguardo, quasi come fosse in grado di percepire la presenza della madre lì sotto, sopra quelle pietre candide come opali, abbracciata a quel ciliegio appena in fiore.
Hermione gettò una timida occhiata a Draco Malfoy, per scoprirlo rigido di fronte alla tomba della moglie, quasi come se la lapide fosse stata in grado di fornirgli quelle risposte che cercava, e la mano che carezzava il capo di suo figlio, con una dolcezza che, fino a quel momento, era stata un’estranea.
Daphne Greengrass sorrideva, accanto a lei, serena di una comprensione che, fino a quel momento, aveva faticato a provare.
«Sembra un miracolo» le sussurrò, sistemando dietro l’orecchio una ciocca di capelli biondi. «Non so fin dove tu sia arrivata, in che vicolo tu l’abbia raccolto, ma ha funzionato».
Hermione sorrise, dolcemente. «È il mio lavoro, Daphne» disse, placidamente. «Avevo promesso che l’avrei riportato indietro».
Daphne scosse il capo, guardando con affetto il nipote che tirava la manica del completo da Mago di suo padre, facendolo chinare al suo fianco. «Hai fatto qualcosa di più» mormorò. «L’hai toccato in qualche corda che non sapevo avesse ancora e… se volessi prendere il posto di mia sorella, io non avrei niente in contrario».
Hermione spalancò gli occhi, in un lampo di comprensione, come se le parole di Daphne avessero svelato una verità celata e incappucciata, capace di fermarle il cuore. Scosse il capo, come per mandare via quel pensiero scomodo, mentre il suo sguardo incrociava quello immensamente sollevato di Draco.
Il cielo scuro di Berlino sembrava un ricordo lontanissimo.
 
Mentre ti guardo tu
Sei bella da confondere
Sei il cielo nero di Berlino
Sei quella che mi tiene vivo
(Irama, Icaro)
 
Lascio qualche noticina per chi è stato abbastanza coraggioso da arrivare fin qui. Per prima cosa, grazie di aver letto questa storia, pubblicata in un giorno speciale per me (quello in cui, nove anni fa, mi iscrissi su EFP).
Detto ciò: il titolo prende spunto dall'omonimo movimento culturale tedesco, cui aderì anche Hermann Hesse, autore della frase che Asteria annota nella propria lettera, e che si proponeva di risanare la vita dissipata della Germania tra i secoli XIX e XX. La scelta è stata dettata dal fatto che il movimento volesse incentivare la disintossicazioni da vizi, tra cui l'alcol, che è anche il processo cui va incontro Draco.
La citazione sulle altre vite è parzialmente ripresa da uno dei miei giochi preferiti, Kingdom Hearts.

Grazie mille per essere arrivati qui
Gaia
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Gaia Bessie