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Autore: Smaug The Great    09/08/2020    5 recensioni
|INTERATTIVA| The Umbrella Academy AU|ISCRIZIONI APERTE FINO AL 8/12
L'Umbrella Academy è stata, per cinque gloriosi anni, la squadra anti-crimine del mondo magico: un gruppo di bambini prodigio, baciati dal destino e dotati di abilità magiche fuori dall'ordinario, messi al servizio della giustizia da un padre celeberrimo. Padre adottivo, in realtà. Perché i nove ragazzini dell'Umbrella Academy sono nati nello stesso momento ma in posti differenti e sono, soprattutto, frutto di una profezia centenaria che ne decantava la lotta contro il male magico. E per cinque anni, dai dodici fino al diploma a Hogwarts, è stato così.
Poi i bambini sono cresciuti e l'Accademia si è disgregata, crollata dall'interno per le più svariate ragioni. A distanza di otto anni, si riunisce per il funerale dell'uomo più celebre ed enigmatico del Mondo Magico. Octavius Cleremont è morto, solo e in una stanza di ospedale, delirando su nemici invisibili che volevano la sua testa.
E ora, mentre i suoi figli si ritrovano dopo anni e si incastrano nel puzzle della sua morte, i nemici brindano sulla sua tomba e tornano a complottare nell'ombra.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo V 
Il prezzo delle occasioni perdute 
  
  
“«Come possiamo perdonarci per tutte le cose 
che non siamo diventati?»” 
Doc Luben 
  


  
 
11:49, 24 Agosto 2010, Londra (UK), Umbrella Academy 
«Non ci siamo ancora» fu il solenne giudizio di Artemis. 
Ezra non poté far altro che sbuffare. Non solo avevano trascorso l’intera mattinata da soli in giardino a meditare e tendere le mani verso la terra nuda, ma non avevano neanche concluso nulla. Stupendo. Octavius ne sarebbe stato contentissimo. Se per contentissimo si intende “deluso”, “spazientito” e “seccato”. 
Il sole ormai allo zenit di quell’impietoso mattino di fine estate rischiarava l’intera zona e faceva sembrare l’accademia un posto quasi gradevole. Se non fosse stato impegnato negli allenamenti, avrebbe pensato che quella fosse una giornata stupenda. E invece eccolo lì. Alla veneranda età di quindici-anni-tra-due-mesi, Ezra Cleremont sapeva benissimo in che modo svolgere il suo addestramento senza l’esigente e pressante e per niente piacevole supervisione di suo padre. Il suo potere ormai lo conosceva. Il problema erano quelli dei suoi fratelli. Se inizialmente rendersi conto della potenzialità della sua magia era stato entusiasmante, con il tempo la questione si era complicata fino a farsi insopportabile. Specchio, l’aveva chiamata Octavius. Un nome un po’ banale per circoscrivere la prodigiosa capacità di prendere in prestito le capacità altrui e usarle contro altri opponenti per un discreto lasso di tempo.
Uno spasso, in teoria. In pratica, un po’ meno… 
«Devi concentrarti meglio, Ezra» Artemis, per avere quattordici anni, era una maestra sorprendentemente capace. Era il suo potere a dare problemi «La natura canta in una lingua tutta sua, devi imparare ad ascoltarla e a capirla» 
«Beh, potremmo iniziare con un po’ di fonetica» dopo quasi cinque ore di allenamento, Numero Due non si risparmiò un po’ di sarcasmo «o un alfabeto, che ne dici?» 
«Dico che non sei simpatico» rispose lei, nascondendo malamente un sorriso «e che non voglio essere poetica. So che è difficile, ci sono passata anch’io, ma se ti arrendi ora avremo solo sprecato un sacco di tempo. E il tuo problema inizia e finisce con il tempo. Ce ne vuole tanto per queste cose» 
Con “queste cose” Ezra sapeva che si riferiva a tutta una branchia dell’Umbrella Academy. 
Fosse stata solo Numero Sette a dargli rogne, Ezra non si sarebbe fatto problemi a impegnarsi e assumere un atteggiamento più o meno ottimista. La questione, però, era molto più complessa di così. 
«Ci vuole tempo per tutto» Numero Due le scoppiò a ridere in faccia, di una risata amara e priva di qualsiasi gioia «Ci vuole tempo per imparare ad ascoltare la natura, ci vuole tempo per controllare la possessione sensoriale, ci vuole tempo per distinguere le influenze psicometriche, ci vuole tempo per catalizzare le ombre… qualunque cosa significhi! E mentre io cerco di imparare a padroneggiare otto poteri tutti in una volta, nostro padre mi sta con il fiato sul collo per monitorare i miei progressi!» 
Artemis tacque per qualche momento. Sotto il suo sguardo inquisitorio, Ezra si sentì quasi a disagio. Sapeva cosa stava per dire. Lo sapeva. “Papà vuole solo il meglio per noi” e “È il suo modo di dimostrare che ci ama” o, ancora peggio, “Chiaramente non ti impegni abbastanza”. Questo discorso lo avevano già fatto miliardi di volte, più che altro in presenza del resto della squadra, e ogni volta era peggio. Numero Sette, però, non disse nulla di tutto ciò. Slacciò le gambe dalla comodità della posizione da meditazione avanzata e gli si avvicinò goffamente fino a stargli difronte, appena oltre la loro normale distanza di sicurezza, e gli rivolse l’ombra di un sorriso, un leggerissimo incurvarsi di labbra. 
Ezra ebbe quasi paura di quello che stava per accadere. 
«Va bene così» 
Questa proprio non se l’aspettava. 
«Voglio dire che» continuò Numero Sette «non sei tu il problema. Ognuno di noi fa fatica, a modo suo, a controllare il suo potere ed è impensabile pretendere che tu sia in grado di padroneggiarli tutti senza problemi. Papà sbaglia a essere così esigente nei tuoi confronti e anche…» si morse le labbra «anche Rigel sbaglia a dargli retta e dirti tutte quelle cose. La verità è che tutti facciamo fatica e non c’è assolutamente nulla di assurdo in te. Ezra» lui quasi saltò via quando Artemis gli prese, delicatamente, una mano tra le sue «tu hai difficoltà a gestire il tuo potere. E va benissimo così» 
Numero Due si rilassò visibilmente. 
A volte dimenticava che non erano tutti contro di lui, che Artemis non era la versione maschile di Rigel, che c’erano anche cose belle nell’Umbrella Academy. Grazie al cielo, qualcuno -Hillevi, Oliver, Bizzie, ora anche Artemis- glielo ricordava sempre. 
«Forza, dammi le mani» lo incalzò lei con un sorriso. 
Ezra alzò gli occhi al cielo «Non possiamo fare sempre la stessa cosa, Artemis» 
«Almeno potremo dire di aver fatto qualcosa!» replicò la ragazzina. 
Lui si rassegnò alla sua insistenza e obbedì. A gambe incrociate l’uno d’avanti all’altra, con le mani unite e gli occhi chiusi, sembravano davvero usciti da una pellicola di urban fantasy di serie d. Eppure, solo in quel modo, con sua sorella a fare da ponte, Ezra si sentiva davvero connesso con la natura. La sua mente si svuotò in automatico di tutti i pensieri. Rimaneva solo la luce. Il bianco più puro. E da quel candore spirituale, una positività totale e disdicevole, scaturiva la magia. 
Tutto attorno a loro iniziarono a nascere steli sottili che si evolvevano in boccioli e poi fiorivano in colori soffici sotto la delicatezza dei raggi del sole. Dieci, venti, cinquanta, cento. Ezra li sentiva accarezzargli le gambe e i fianchi. Il solo suono che emettevano era quello morbido della terra che si scostava per farli passare. Quando aprì gli occhi per potersi guardare attorno, si trovò addosso quelli di Artemis. Brillavano. L’azzurro limpido delle sue iridi era completamente corrotto da un verde vividissimo che, in un momento, inghiottì anche le pupille. Se sul suo viso non ci fosse stato un sorriso di miele e rose, gli avrebbe fatto paura. A nulla valeva pensare che, con ogni probabilità, anche il suo aspetto era cambiato. 
Lentamente, la stretta tra le loro mani arrivò a sciogliersi e i fiori smisero di crescere, anche se il loro piccolo angolo di giardino ne era del tutto occupato. Gli occhi di Artemis cessarono di brillare. Il suo sorriso rimase. Aveva un ché di familiare e rassicurante, come a dire: “vedi? Va tutto bene, sei stato bravissimo”. 
Facendo attenzione a dove mettevano i piedi, si incamminarono verso l’accademia. 
L’allenamento mattutino in singolare era terminato. Ora c’era il tempo libero, poi il pranzo tutti insieme e l’addestramento in comune pomeridiano, ovvero la parte peggiore. Si costrinse a non pensare ai duelli che lo attendevano quel pomeriggio. 
«Artemis» disse Ezra, prima che entrassero effettivamente in casa e perdessero ogni straccio di privacy «se papà dovesse chiedertelo, potresti dirgli che… che sto facendo progressi?» 
«Intendi, mentire?» Numero Sette sgranò gli occhi, scandalizzata «A papà?» 
La voce di lui era insolitamente cupa, tesa in un tono di implicita preghiera «Sai cosa mi farà, se viene a sapere che non siamo arrivati da nessuna parte in oltre due mesi» 
«Ma forse è così che-» Artemis non si permise neanche di finire la frase che già scuoteva la testa «No, hai ragione. Non è in quel modo barbaro che imparerai a comunicare con gli spiriti. Non temere» gli mise una mano sulla spalla e stese le labbra in un sorriso «Ci penso io» 
Se era Artemis a garantire per lui, né Rigel né suo padre gli avrebbero torto un capello. 
In uno sguardo, Ezra seppe di potersi fidare di lei. 

  
  
  

 
16:13, 22 Dicembre 2020, Londra (UK), Umbrella Academy 
«Puoi ripetermi ancora una volta che stiamo facendo?» 
A chiunque, la voce di Ezra sarebbe sembrata irritata. Ma Hillevi non era chiunque e allora, invece che ribattere in modo piccato, si limitò a sorridergli «Stiamo facendo la cosa giusta» 
«Ovvero quello che a nessuno va di fare?» 
«Ovvero quello che è giusto fare» lo corresse lei «E comunque mettere a posto lo studio di papà non è un compito così atroce» 
«Per niente» la assecondò Ezra in un tono traboccante di sarcasmo «Tutti gli altri si sono rifiutati di farlo perché non si sentivano all’altezza di tutto questo puro, incontaminato divertimento» 
Levi continuò a sorridere. Erano nello studio di Octavius da un paio d’ore, a sistemare con pazienza e magia tutto quello che era stato distrutto nell’attacco della notte prima. Inutile dire che a entrambi era sembrata inizialmente un’impresa titanica e aveva superato, nella pratica, tutte le aspettative teoriche. Non solo la mobilia e tutte le cartelle dei documenti erano state fatte a pezzi, ma addirittura la stessa stanza aveva riportato danni non indifferenti: crepe nell’intonaco e nella pietra, assi staccate del pavimento, infissi spezzati e finestre in frantumi. Come nessuno si fosse reso conto dell’intrusione nello studio rimaneva un mistero. 
Ad ogni modo, i due malcapitati si erano rimboccati le maniche –Ezra prevedibilmente più svogliato rispetto a Levi– e avevano iniziato a rimettere a posto. La parte più facile, neanche a dirlo, era stata riassestare i danni fisici della scrivania e degli scaffali. Un po’ meno semplice era stato individuare e sistemare i documenti. 
Octavius era sempre stato, tra le altre cose, un uomo molto riservato con i suoi figli. Non c’erano album strapieni di foto a testimoniare i primi mesi di vita dei bambini, né tantomeno erano mai state organizzate feste di compleanno e gite al lago di mezza estate. Si era addirittura rifiutato di dar loro qualsiasi notizia circa le loro famiglie biologiche, trovando già generosa la rivelazione dei Paesi d’origine di ognuno e la libera scelta, ai dieci anni, del nome. Lo studio di Octavius, per i ragazzi dell’Umbrella Academy, era sempre stato, assieme a molti altri posti in casa, del tutto off-limits. Era lì che venivano convocati singolarmente quando si discuteva dei progressi annuali a fine Agosto o, ancora peggio, nel caso in cui fosse stata infranta una qualsiasi delle regole di casa. Di conseguenza, Hillevi ed Ezra erano stati del tutto spiazzati, oltre che confusi, durante quelle ore di pulizia. E pensare che tutto il marcio lo avrebbero trovato solo più tardi. 
«Levi» la voce di Numero Due era più bassa del normale «Hey, Levi, vieni a vedere» 
Hillevi lo trovò seduto per terra, tra pile di scartoffie, con una grossa cartellina di cuoio aperta in grembo. Si sedette accanto a lui e gli rivolse uno sguardo interrogativo. 
«Sono le registrazioni di tutti i nostri spostamenti» Ezra non staccava gli occhi da alcuni fogli che teneva tra le mani «Qui ci sono tutti i posti in cui sono stato negli ultimi cinque anni, i lavori che ho fatto, i soldi che ho guadagnato e che ho perso…» esitò un attimo «C’è davvero tutto» 
«Fa’ vedere» non aspettò una conferma per prendere la cartellina e cercare, tra i documenti, qualcosa che la riguardasse personalmente. Non faticò a trovare ciò che voleva. Nomi. Luoghi. Date dei suoi concerti come Nummer Fyra –la traduzione svedese di Numero Quattro, il suo nome – d’arte Addirittura, un paio di foto: una di lei nella strada di una grande città, con i capelli più corti, verdi, risalente al duemila sedici, e l’altra datata al duemila diciannove, lei su un palco con un’aria spaesata che non avrebbe pensato di avere. 
La cartellina era ancora piena, un forziere di informazioni rubate alla loro famiglia. 
«Dici che dovremmo…» 
Non ci fu bisogno che Numero Due finisse la frase, lei scosse la testa con fermezza: «Non sono fatti nostri» 
«Non erano neanche fatti di Octavius» obiettò Ezra. 
«Allora è una vera fortuna che noi non siamo lui, non trovi?» Levi stava già raccogliendo i fogli vicini per rimetterli nella cartella «Forse è meglio se la lasciamo stare, okay?» 
Numero Due la guardò, indeciso, per qualche momento. Poi annuì e sigillò il tutto con un colpo di bacchetta «Octavius ha dovuto pagare qualcuno per sapere delle nostre vite, ma noi non ci abbasseremo al suo livello. Se gli altri vorranno parlarci, lo faranno di loro spontanea volontà. Senza» soggiunse «violazioni di privacy di qualsiasi sorta. Lo stesso vale per qualunque altra cosa troviamo qui» 
«Mi sembra un’ottima idea» Levi gli rivolse uno sguardo incerto «Almeno, però, questo è il peggio che troveremo qua dentro» 
«Le ultime parole famose» borbottò Ezra tra sé e sé. 
  
  


  
17:12, 22 Dicembre 2020, Berlino (Germania), Schloss Pfaueninsel  
«Mi stai facendo venire mal di testa» 
Kasumi si arrestò di colpo e rivolse al suo compare la più gelida delle occhiate. Okay, era vero. Era vero che stava facendo avanti e indietro difronte allo Zar da quelli che dovevano essere almeno venti minuti. Ed era anche vero che il rumore della gomma delle sue scarpe sul pavimento di pietra poteva essere, a lungo andare, irritante. Ma, a sua difesa, quella non era per niente una situazione facile. 
Quella mattina, la Kitsune e lo Zar avevano preso una passaporta illegale per Berlino in attesa di ricevere ordini dall’alto che non erano arrivati. Lui aveva insistito per aspettare, ma, dopo aver pranzato in un ristorante di lusso babbano che si confacesse al palato finissimo dello Zar, Kasumi non aveva più resistito. L’attesa della punizione era sfiancante. Nella sua carriera nell’Ordine, la Kitsune aveva fallito ben poche missioni e, comunque, cose di scarsa rilevanza. Quella, però, non era una cosa da niente. L’intenzione iniziale di fare un lavoro pulito e veloce era svanita e, nel tanto, non avevano solo perso l’occasione perfetta di recuperare i documenti ma avevano anche allertato il nemico. Kasumi non osava immaginare quale sarebbe stata la punizione. Dopo ore di agonia, infine, lo Zar aveva preso in mano la situazione e ora eccoli lì. 
In una delle ricche sale di Schloss Pfaueninsel. Da tre ore. Ad aspettare di essere ricevuti dal Generale. 
Se non fosse stata così ansiosa di ciò che sarebbe successo da lì a breve, Kasumi probabilmente si sarebbe concessa del tempo per andare a esplorare il bel palazzo che era la sede principale dell’Ordine e avrebbe fatto un giro nei quartieri verdi di Berlino. Ma quella non era proprio la situazione ideale. 
«Hai di meglio da proporre?» sbottò, rivolgendo –anche lei lo riconosceva– un po’ troppa rabbia sul suo tutto sommato leale e capace compagno di reggimento. 
«Sì» rispose lo Zar, impassibile «Siediti e non farmi saltare i nervi» 
«Va bene. Sediamoci» Kasumi si passò una mano sugli occhi e poi tra i capelli, nel tentativo fallimentare di rimettersi un po’ in ordine e sembrare quantomeno nel pieno della lucidità mentale «Sediamoci e aspettiamo che il Generale decida in che modo vuole farci a pezzi» 
«Non esagerare, ora» Elijah alzò platealmente gli occhi al cielo e le rivolse una smorfia annoiata «Per una volta che ci siamo scollati Nasheeta, non mi sembra il caso che tu inizi a fare la paranoica e l’isterica per cose talmente stupide»  
«Stupide?» ripeté lei, aggrottando la fronte «Non so di quale droga tu stia facendo uso, ma colgo l’occasione per ricordarti che abbiamo fallito una missione importante, una missione che il Generale ci ha affidato con grandi aspettative, una missione che sarebbe dovuta andare benissimo. La missione» continuò, imperterrita «per cui l’intero Decimo Reggimento è stato creato. Abbiamo fallito proprio quella missione. Dovevamo semplicemente rubare dei documenti da una casa semi deserta e non ne siamo stati in grado, nonostante tutto ciò che c’era in ballo. Come fai, come fai» si sforzò di trattenersi e non mettersi a urlare nel mezzo di tutto quel silenzio innaturale «a dire che sono cose stupide!?» 
«In primis» fu la risposta, anche questa volta sussurrata, dello Zar «la nostra missione iniziava con l’assassinio di Octavius Cleremont, uno dei più grandi e potenti maghi del nostro secolo, membro del Wizengamot e capo di un’accademia di supereroi magici. Non era per nulla una cosa semplice, eppure ce l’abbiamo fatta. Abbiamo commesso l’assassinio del secolo» si fermò per qualche secondo «Il Generale lo terrà in conto. Solo noi saremmo riusciti a compiere un’impresa del genere. So che sei preoccupata perché la seconda parte della missione non è andata come speravamo, ma ci sono delle ottime ragioni che spiegano il nostro fallimento e sono in gran parte fattori esterni. Il Generale capirà» 
«Il Generale non è conosciuto per la sua misericordia» ribatté la Kitsune «e c’era una cosa che mi aveva promesso, se avessi portato a termine questa missione» 
«Che tu ci creda o no» la voce dello Zar si affossò «anch’io ho molto da perdere» 
A questo, lei non rispose. 
Rimasero così –l’uno seduto accanto all’altra in una stanza troppo grande, a sentire l’eco dei propri respiri– per quelli che parvero anni e furono minuti. Poi arrivò qualcuno. 
Entrò nella sala un ragazzino, un apprendista. Era vestito completamente di nero, aveva i capelli scuri e corti e occhi sottili, occhi che osservano con lo sguardo affilato. Non ci fu bisogno di parole per nessuno di loro. I due del Decimo Reggimento si scambiarono appena un’occhiata prima di alzarsi e seguirlo per corridoi dai soffitti d’oro, su pavimenti ricoperti di tappeti sulla via per il destino. Al contrario del ragazzo, né la Kitsune né lo Zar indossavano un’uniforme. I Cavalieri dell’Ordine non avevano un codice di vestiario da seguire, oltre la maschera e il nero quando erano in missione. Elijah e Kasumi, in quel momento, sembravano più turisti vestiti male che sicari di una centenaria associazione a delinquere: lui in jeans, maglione e cappotto, lei in leggins, stivali e parka, erano parecchio lontani dall’immagine classica dell’assassino. 
Si fermarono d’avanti a una porta in legno pesante e scuro. L’apprendista fece loro cenno di entrare e tornò indietro, diretto verso chissà quale miserabile tappa della sua vita. Lo Zar esitò soltanto un momento, un istante di battiti accelerati e sguardi tesi, prima di rimettersi la sua maschera di gelo e impassibilità, girare la maniglia ed entrare. 
Come ogni altra stanza del castello, quella sembrava essere uscita da una serie tv ambientata nel medioevo. Gli arazzi alle pareti le davano un’aria regale e le ampie finestre di stampo gotico la facevano sembra più grande di quanto non fosse davvero. Due file di colonne la dividevano in tre navate e sul fondo della stanza c’era un’enorme sedia foderata che poteva essere definita soltanto come trono. Su di essa, il Generale. 
Dire che il Generale era un uomo imponente era mentire. Dire che trasmetteva un senso di potere e grandezza, una menzogna spudorata. Era un uomo. Una figura piuttosto insulsa, per quel titolo altisonante che portava. Longilineo, pallido, dal volto squadrato e la testa pelata, il Generale non sembrava diverso da tanti altri megalomani che se ne andavano in giro credendo di essere l’Anticristo. Al contrario di molti altri, però, lui aveva al suo comando un esercito di sicari, fin troppe conoscenze nel settore e uno sguardo che avrebbe fatto paura al peggiore dei suoi sottoposti. 
Elijah e Kasumi percorsero la navata centrale a passo cadenzato, quasi con timore. 
Quando arrivarono a un metro dal trono, entrambi caddero a terra in un inchino profondo e rimasero lì finché una voce ruvida li raggiunse. «Potete alzarvi, Cavalieri». 
Elijah fu il primo a rimettersi in piedi e fronteggiare, a sguardo alto e schiena dritta, l’uomo che aveva in mano il suo futuro. Kasumi non si fece attendere troppo. 
«Avete chiesto di vedermi» disse il Generale, in un tono apparentemente non ostile «eppure nessuno di voi due mi sembra in vena di parlare. Non lo trovate buffo, almeno?» 
«Siamo qui per spiegare» rispose lo Zar «per quali motivi la seconda parte della missione si è risolta in un fallimento» 
«Per quali… ragioni, dici?» il Generale si lisciò le pieghe della sua camicia nera e rivolse a entrambi uno sguardo di perplessa malizia «E perché dovrebbero interessarmi le vostre ragioni?» 
I due Cavalieri ebbero il buonsenso di non rispondere. 
«Avete reso nota all’interezza dell’Umbrella Academy i nostri interessi, distrutto un’abitazione del distretto magico londinese di Rosewood, rivelato una delle vostre identità al nemico» i suoi occhi neri caddero, pesantissimi, su Elijah «e ora avete la faccia tosta di volermi parlare delle vostre ragioni?» 
«Mi permetto di dissentire» lo Zar, sotto la testimonianza incredula di Kasumi e quella curiosa dell’uomo difronte, fece un passo in avanti «Generale, i tuoi fedelissimi Cavalieri sono qui per ricordarti la grandezza dell’impresa appena compiuta e rimediare agli errori fatti. L’assassinio di Octavius Cleremont è stato portato a termine nella più totale discrezione e abilità. Quanto al fallimento successivo, mi prendo la responsabilità di ciò che è successo» si schiarì la voce, ma il suo mento rimase alto e il suo sguardo fermo «Ho progettato il piano sulla base di informazioni scorrette e di possibilità. Il mio Reggimento si è comportato benissimo, ma ci sono stati irrimediabili imprevisti tecnici, come la locazione errata dei documenti e la presenza non prevista dell’Umbrella Academy al completo. La seconda parte della missione era destinata al fallimento prima ancora di cominciare» 
Il Generale tacque a lungo, prima di trarre un sospiro profondo. 
«Una situazione un po’ scomoda, devo ammetterlo. Vi confesso che stamattina ero deciso a cancellare dalla storia il Decimo Reggimento» disse «e tuttavia, mi trovo costretto a ritrattare questa intenzione. Le vostre ragioni rimangono insulti alla mia intelligenza, ma il vostro talento va riconosciuto. In sua virtù, vi sarà data una possibilità di rimediare allo scempio che avete fatto la scorsa notte, ma sarà l’ultima occasione che avrete. L’Umbrella Academy sa troppo di noi e, ora che vi siete scoperti, vorrà sapere altro. Il lupo di Cleremont trascinerà nella faida i suoi fratelli e nessuno può assicurarci che non chiederà aiuto al Ministero Britannico. Mi dolgo di dover adottare misure talmente drastiche, ma non c’è altra soluzione. L’Umbrella Academy dovrà essere sterminata» sentenziò «Tutti i suoi membri, vecchi e nuovi, innocenti o colpevoli, dal primo all’ultimo, dovranno morire per mano vostra. È questo il prezzo della vostra redenzione. In caso vi rifiutaste o falliste, saranno tuo fratello» aggiunse, rivolgendosi a Kasumi «e tua figlia» il suo sguardo si appoggiò su Elijah «a pagare» 
La Kitsune e lo Zar, compagni al patibolo, non poterono fare a meno di guardarsi con occhi grandi e colmi di un sentimento indefinito. Forse compassione. Forse paura. 
«Questa è la mia volontà» 
Il Generale sorrideva. 
 
  


  
18:34, 22 Dicembre 2020, Londra (UK), Umbrella Academy 
«Più veloce» 
Esmeralda annuì in un gesto secco della testa prima di lanciarsi un’altra volta all’attacco. 
Come ci fosse finita –in palestra alle sei e mezza di pomeriggio, a lottare non solo contro la pigrizia post pranzo ma anche contro Numero Tre– era una storia ben poco felice. Quella mattina, Rigel si era convinto pienamente della sua rinnovata dedizione all’accademia. Una cosa bella, no? In parte. Se da un lato, infatti, le avevano dato immenso piacere l’abbraccio caldo di Numero Uno e il suo sorriso fiducioso, dall’altro non si era aspettata di riprendere gli allenamenti così presto. Né di essere una tale frana. 
Erano ormai in palestra da quattro ore e, sebbene i suoi poteri tenessero a freno la stanchezza che invece rendeva Caesar ansimante e sudaticcio, non c’era modo di placare il mal di testa che aveva iniziato a strisciare verso le tempie ore prima. 
Eppure, Rigel aveva detto di voler iniziare con un allenamento leggero. Giusto per ripetere le basi del combattimento corpo a corpo. Le era sembrata un’ottima idea, alle due e mezzo di pomeriggio mentre, fresca e riposata, saliva le scale per andare in palestra. Ora, dopo quelli che sembravano anni di ordini impietosi e colpi inaspettati, voleva solo chiudere gli occhi e abbandonarsi a uno stato comatoso. 
Anche Caesar aveva tutta l’aria di essere stremato ma, a differenza sua, non se ne lamentava troppo e continuava a esercitarsi in qualcosa che, alla fin fine, gli sarebbe servito ben poco. Ogni tanto, quando incrociavano gli sguardi, trovava in lui il suo stesso desiderio di riposo. 
Inutile dire che Numero Uno avesse altri piani. 
«I tuoi scarti laterali mi fanno piangere, Numero Otto» ed eccolo che tornava alla carica con il supporto morale, in piedi ad osservarla dal lato opposto della piccola arena «Ti voglio più recettiva» 
Esmeralda bloccò con prontezza l’ennesimo colpo del suo avversario e approfittò della momentanea distanza tra loro per assestargli un calcio nello stomaco. A giudicare dal grugnito indistinto di Caesar, doveva essere stata una buona scelta. 
«Brava, Numero Otto» fu il commento apprezzativo di Rigel «ma non startene lì impalata mentre lui si mette in posizione di difesa. È più grosso di te, devi essere veloce se vuoi sperare che non si rialzi più. Ha la guardia abbassata ora, Numero Otto. Colpisci. Colpiscilo ora!» 
Esmeralda, l’adrenalina a mille alla sola idea di poter finire quel combattimento, obbedì. Approfittò della fortunata confusione di Numero Tre per girargli attorno e afferrargli il polso destro prima che potesse tentare un nuovo attacco. Poi, in uno scatto fulmineo anche per lei, gli bloccò la mano dietro la schiena e lo spinse malamente verso il muro più vicino, assicurandosi di impiegare abbastanza forza da non lasciargli vie di fuga ma non tanta da irrigidirsi e rendere possibile una ritorsione. Caesar provò per qualche secondo a liberarsi della presa, ma alla fine smise di agitarsi e appoggiò la fronte alla parete in segno di resa. 
«Allora?» fece lei, con un sorrisetto vittorioso «Abbastanza veloce, fratellone?» 
«Per oggi andrà bene» concesse lui, facendole cenno di lasciar andare Caesar «Ma ce n’è di strada da fare prima di farti tornare in campo» 
L’espressione compiaciuta scivolò via dal volto di Esmeralda «Ma come?» 
«Hai sentito bene» rispose, implacabile, Rigel «Ora come ora non sei in grado di affrontare i Cavalieri» 
«Ma io non sono tornata in accademia per ricominciare l’addestramento e restar chiusa in casa!» protestò lei «Lascia che mi renda utile» 
«Lo dico per il tuo bene, Numero Otto» insistette Numero Uno. 
«E non chiamarmi Numero Otto!» replicò di scatto Esmeralda «Neanche papà mi chiamava così. Ora che la squadra è andata, non c’è più ragione di usare quei soprannomi!» 
Rigel esitò a lungo, prima di avvicinarsi. Le mise una mano sulla spalla e la guardò negli occhi «Perdonami, Esmeralda. Sai che non sono abituato a certe confidenze e so di non essere bravo con i rapporti interpersonali, ma voglio impegnarmi a rendere l’Umbrella Academy un posto più piacevole di quello che è stato. Se è quello che vuoi, aboliremo gli alias e ci chiameremo per nome» 
Lei sembrò rilassarsi nella sua stretta e gli scoccò un’occhiata di pura aspettativa. 
«Quanto alla tua prima richiesta, temo che al momento sia fuori discussione» continuò lui «Non dico che non tornerai a combattere, ma devi capire che sei fuori allenamento da anni e gli avversari che stiamo affrontando sono sicari di professione. Per Caesar» accennò con il capo a Numero Tre «questo non è un problema, perché i suoi poteri hanno un potenziale offensivo che va ben oltre qualsiasi sua capacità fisica. Ma per te è un altro conto» 
«Oggi però sono stata brava» ribatté Esmeralda a mezza voce «Non valgono niente i miei progressi qui?» 
«Certo che sì» la rassicurò Rigel «però non tanto da convincermi. La tua resilienza è ovviamente sopra la media e tuttavia la tua capacità di guarigione non è comparabile a quella che avevi tre anni fa. Non hai notato anche tu che ci metti il doppio del tempo a guarire? È perché il tuo corpo si è abituato a una vita a riposo e ora non reagisce più come faceva una volta allo stress da combattimento. Devi darti un po’ di tempo per rimetterti in carreggiata, Esmeralda, e non devi avere fretta. Hai visto anche tu di cosa sono capaci i nostri nemici. Io non vorrei…» si fermò un attimo, stringendo involontariamente la presa sulla spalla della ragazza, e una mano corse al suo viso in una carezza ruvida e incerta «Non sopporterei che ti facessero del male» 
«Va bene» Numero Otto si beò di quel contatto, sporgendosi spudoratamente nella mano di suo fratello, e si abbandonò a un sospiro di contenta rassegnazione «Allora dimmi: come posso essere utile senza scendere in campo?» 
«Inizia» Caesar, arrancato fino a loro per miracolo, si schiarì la voce con qualche colpo di tosse e le diede una pacca un po’ violenta sulla spalla «rimediando a tutti i lividi che mi hai fatto oggi pomeriggio» 
Lei mise su per qualche momento un’espressione pensosa e poi sorrise «Mi sembra giusto» 
  
  


  
22:58, 22 Dicembre 2020, Londra (UK), Umbrella Academy 
Quella sera si ritrovarono in salotto. Più per pura casualità che per altro. 
Il cielo notturno, fuori dalle ampie finestre del salotto orientale –la splendida sala nell’ala est dell’accademia in cui Octavius era solito ricevere gli amici più stretti–, era illuminato fiocamente da una falce di luna e il giardino era immerso in un’atmosfera spettrale. 
Caesar aveva insistito per trascorrere lì la serata, dopo la fatica dell’allenamento pomeridiano, e Rigel ed Esmeralda –più che contenti di far visita alla vetrina di alcolici di Monsieur Cleremont– non avevano fatto troppe storie. Oliver si era imbattuto in loro per caso fortuito, ma nessuno aveva neanche pensato di cacciarlo, e poco più tardi si erano aggiunti anche Tony, appena rientrato da un pomeriggio in giro per la Londra babbana, e Artemis, che fino ad allora era rimasta in giardino. Alexis non aveva tardato ad arrivare, attirato tanto dalla voglia di compagnia quanto da quella di buon whiskey incendiario. Infine, con espressioni piuttosto inquiete e tante parole sulla punta della lingua, erano arrivati Ezra e Hillevi, reduci di un pomeriggio trascorso a sistemare scartoffie. 
Trovarono l’intera accademia assiepata nel salotto orientale, immersi in alcol di classe aristocratica e conversazioni quiete. Caesar, Oliver ed Esmeralda avevano occupato un intero divano, incastrandosi l’uno nell’altro in un intrico di gambe e braccia –di leggins, tute da ginnastica e magliette sgualcite– che faceva invidia al Guernica di Picasso. Tony, nella poltrona accanto a loro, sembrava scampato per miracolo a quella sciagura. Era chiaramente felice di star vivendo una serata tranquilla, almeno per il momento. Interveniva nella conversazione, ogni tanto lisciava le pieghe della sua camicia e teneva in mano lo stesso bicchiere dall’inizio della serata, sorseggiandolo elegantemente all’evenienza. Alexis, nemmeno a dirlo, pareva del tutto immune agli scrupoli morali di suo fratello e non si faceva problemi a ingurgitare whiskey incendiario in quantità preoccupanti. Inutile anche cercare di capire quanto e se fosse lucido: Numero Nove –forse per via recitativa, forse solo per una certa abitudine all’alcol– rimaneva lo stesso di sempre. A un certo punto della serata aveva anche accennato a prendere una sigaretta, ma un’occhiata truce di Artemis lo aveva fermato. Numero Sette, anche a tarda sera, non perdeva una briciola della sua compostezza. Conduceva la conversazione come la migliore delle matrone aristocratiche ed era a suo agio anche in un contesto in cui lei –con le sue trecce elaborate e boccoli albini e il suo abito in seta lilla e il calice di vino rosso che ogni tanto portava alle labbra– non centrava apparentemente nulla. Forse era una confidenza riflessa. Forse era Rigel che, seduto accanto a lei –con un braccio disteso sulla spalla del divano e ciocche brune ad accarezzare un volto rilassato ma imperscrutabile– nel suo vecchio paio di jeans e maglione nero, la avvolgeva nella propria aura di totale calma. Se fossero i frequentissimi shot di vodka a smussare la sua cupezza e renderlo più docile e socievole, rimase un mistero e, comunque, nessuno ebbe voglia di farlo presente. 
Ezra e Levi li trovarono a parlottare della stagione invernale, degli allenamenti e dell’ultima uscita del Settimanale delle Streghe. Artemis stava giusto spiegando quanto sfiancante fosse per lei essere riconosciuta per strada dalle persone che l’avevano vista, magari più di una volta, sulla copertina di qualche rivista magica, quando Numero Due e Numero Quattro occuparono i posti vuoti accanto ad Alexis e si inserirono nella conversazione. 
Narrarono ai loro fratelli, tra sguardi complici e parole misurate, ogni cosa che avevano scoperto. 
Gli altri li ascoltarono confusi e inquietati. Nessuno fece commenti. O, più che altro, nessuno parlò mentre Ezra e Levi raccontavano di tutto ciò che avevano trovato nell’ufficio di Octavius. Cosa si poteva dire a riguardo? Non era un mistero che loro padre li tenesse all’oscuro di moltissime cose e ancora meno assurda era l’idea che li avesse tenuti sotto controllo anche una volta usciti dall’Umbrella Academy. Quello che forse fece più scalpore fu il progetto sulla seconda generazione dell’accademia. 
«Oh mio Dio» fu il commento disgustato di Esmeralda «E quando pensava di dirci certe cose?» 
«Beh, dovrai ammettere» replicò Tony «che non è poi così sorprendente che avesse un piano del genere» 
«Diciamo che spiegherebbe molte cose» lo appoggiò Oliver, per poi fermarsi un attimo e ripetere: «Molte, molte cose, a pensarci bene» 
«Eh sì» meditò Caesar «ora che me lo fate notare, papà ci teneva un sacco a farmi passare del tempo con Esmeralda. Io pensavo fosse per una questione di allenamento, sai?» aggiunse, rivolgendosi alla diretta interessata «Per tutta quella storia della tue resistenza al dolore psichico, ricordi?» 
Lei annuì «Ma certo! L’estate dopo il diploma l’abbiamo passata praticamente in due, eppure mi sembra strano…» 
«Non capisco perché siate così sorpresi» Alexis si concesse un altro sorso di whiskey incendiario «Era palese che spingesse su alcune accoppiate più che su altre. Ricordate il galà di Capodanno dei nostri sedici anni? Proibì alle ragazze di accettare gli inviti a ballare di chiunque non approvasse e il risultato furono esattamente i binomi in cui sperava lui. Per non parlare del fatto» proprio non riuscì a trattenere un sorriso sghembo e derisorio «che ai tempi di Hogwarts tutto il castello sapeva di Artemis e Rigel» 
«Sapere?» Artemis si voltò di scatto verso di lui «Non c’era– non c’era proprio niente da sapere…» 
Per tutta risposta, Numero Nove inarcò le sopracciglia in uno sguardo dubbioso. 
Certo che c’era qualcosa da sapere. Cosa, di preciso, era un mistero, ma l’intero corpo studentesco hogwartsiano non vedeva l’ora di mettere le mani su una qualsiasi notizia circa la sua coppia preferita di paladini della giustizia. In effetti, non c’era molto da sapere. Che lui sapesse, non c’era mai stato niente tra Artemis e Rigel. Ma questo non aveva importanza. Non per il pubblico. Oggettivamente non erano tanto le interazioni tra i due a suscitare la curiosità altrui, quanto la loro presunta compatibilità. 
Come si poteva immaginare un binomio migliore? Lui freddo come l’inverno e lei dolce come la primavera. Lui con un potere macabro e distruttivo e lei con il miracolo della vita nelle mani. Lui tutto spigoli e lei morbida. Entrambi brillanti e capaci, popolari e, ovviamente, belli da star male. Inutile dire che chiunque seguisse le vicende dell’Umbrella Academy aveva fatto il tifo per loro. Tutti sapevano, tra le mura di Hogwarts, che erano fatti per stare insieme e che non c’era coppia più perfetta e complementare di loro. Beh, tutti tranne uno. Mentre era ovvio che Artemis provasse qualcosa per il suo capitano, Rigel sembrava esserle del tutto indifferente e, laddove Numero Sette rifiutava qualsiasi corteggiamento, ogni tanto voci di corridoio mormoravano riguardo le tresche clandestine di Numero Uno. 
Insomma, il classico gossip familiare. Uno spasso. Soprattutto per Alexis, che, essendo Grifondoro, doveva sorbirsi mensilmente gli estenuanti monologhi di Caesar riguardo una sospettata mancanza di fiducia di Rigel nei suoi confronti. Altra assurdità. Se c’era qualcuno di cui Numero Uno sembrava in grado di fidarsi e con il quale aveva un rapporto sano e spontaneo –privo di manipolazioni e smanie di lealtà–, quello era Caesar. 
«Non potrai negare che ne circolavano di voci nel castello» la voce pacata di Oliver lo risvegliò dalle sue meditazioni. 
Artemis arrossì. Ma, chiariamoci, era stupenda anche così. Perché, a differenza di gran parte della comune plebaglia che la circondava, Artemis Cleremont aveva grazia anche nell’arrossire. Il suo era un rossore tenue che le accarezzava le gote e non andava oltre. Semmai, dava colore alla sua pelle, già di suo rosea, e metteva in risalto la delicatezza dei suoi tratti. Alexis soffocò l’insofferenza di quell’osservazione in un sorso generoso di whiskey incendiario e si costrinse a non commentare ulteriormente. 
Rigel, da parte sua, si limitò ad alzare le spalle «Alla gente piace chiacchierare» 
«A me continua a sembrare assurdo» Esmeralda scosse la testa «E poi come pretendeva di mettere in atto questo piano geniale? Io e Caesar ci saremmo dovuti sposare? Avremmo dovuto avere dei figli?» 
Numero Tre tirò via il braccio che aveva attorno alle sue spalle con un’espressione offesa «Ti faccio davvero così schifo?» 
«Non ho detto questo» lei alzò gli occhi al cielo «ma devi ammettere che sarebbe strano fare… cose, noi due. Ed è ancora più strano che papà volesse questo per noi» 
«Non per rovinare i sogni a qualcuno» si intromise Oliver «ma dubito che abbia ideato le coppie pensando al risvolto emotivo. Credo che pensasse più alla vostra ipotetica prole. Deve aver pensato che vostro figlio, nel più roseo dei casi, sarebbe invulnerabile a qualsiasi tipo di dolore e capace di infliggerne senza limiti. Così come i figli di Levi ed Ezra potrebbero essere in grado di manipolare liberamente la psiche e le abilità altrui; mentre quelli di Rigel e Artemis magari entrerebbero in pieno contatto con il mondo degli spiriti e della natura» 
«Di certo non ha fatto progetti in base alle nostre preferenze relazionali» commentò Caesar «ma un ragionamento così freddo mi sembra eccessivo. Rigel, tu che dici?» 
«Che, come al solito» Numero Uno svuotò il suo bicchiere di vodka in un sorso «Oliver ha ragione. A papà interessava che l’Umbrella Academy crescesse di potere e, incrociando le nostre capacità, avrebbe ottenuto risultati strabilianti. Per non parlare del fatto che l’assenza di legami di sangue tra di noi apriva strada anche a incroci tra la prima e la seconda generazione» 
«Cosa?» Levi arricciò il naso e rivolse un’occhiata incredula a Numero Uno. 
«Questo non c’era scritto nei documenti che abbiamo trovato noi» neanche Ezra riuscì a dissimulare il vago disgusto sul suo volto. 
«Non fate quella faccia» Rigel li liquidò alzando gli occhi al cielo e assumendo un’espressione insolitamente diplomatica «In fondo è un ragionamento sensato, come qualunque altra macchinazione di papà. Mettiamo che il DNA di vostra figlia si incroci con quello di Alexis o, meglio ancora, di Tony: l’esito sarebbe di sicuro interessante» 
«Non pensavo l’avrei mai detto» Antoine rivolse agli altri uno sguardo di mesta contentezza «ma grazie al cielo sono gay» 
«Rigel, è un’idea assurda!» protestò Levi «Dimmi che non fai sul serio!» 
«Ma ti pare che sposerei Artemis?» troppo impegnato a versarsi ancora da bere, non si accorse del modo in cui Numero Sette, accanto a lui, si irrigidiva e allontanava impercettibilmente «Magari l’avrei anche fatto, se avesse insistito. Ma per fortuna ha accantonato il progetto prima di poter iniziare a organizzare matrimoni» 
«Già» ripeté, atona, Artemis «Che fortuna. Mi chiedo come avrei fatto a sopportarti finché morte non ci separi» 
Numero Uno le rivolse uno sguardo confuso e nessuno ebbe il coraggio di intervenire. Lei incrociò le braccia e assunse un’espressione di distaccata severità che faceva un delizioso contrasto con tratti morbidi del suo viso. 
«Non era mia intenzione offenderti; lo sai. Chiunque ti sposerà dovrà essere un uomo fortunato, oltre che straordinario» la voce di Numero Uno si fece accondiscendente «E comunque noi due saremmo tremendi come marito e moglie» 
«Non è vero» Artemis mise tra loro il giusto spazio per poterlo guardare negli occhi «Saremmo una coppia stupenda, se solo ti tagliassi quei capelli» 
A quell’insinuazione, neanche Rigel riuscì a trattenere un sorriso. Con un sospiro rassegnato, fece scivolare il suo braccio dalla spalla del divano a quella di sua sorella e le scostò una ciocca di capelli dalla spalla per poterci appoggiare la mano «Allora ci accontenteremo di condividere il cognome da falsi fratello e sorella» 
«A proposito,» si intromise Esmeralda «come pensava di risolvere la questione dei cognomi? Non sarebbe stato… strano?» 
«Non guardare me» Ezra alzò le spalle con un’espressione di pura indifferenza «Il documento che ha trovato Levi era più che altro un foglio di appunti scoordinati circa matrimoni e seconde generazioni dell’Umbrella Academy» 
«E inoltre papà era un uomo potente» aggiunse Levi «Dubito che certe postille burocratiche l’avrebbero fermato dai suoi progetti di gloria per l’accademia» 
«Già» commentò Caesar «Non so davvero come avrei reagito se mi avesse chiesto di sposare Esmeralda e avere dei figli con lei per il bene dell’accademia» 
«Onestamente neanch’io lo so» confessò Numero Otto. 
«Sapete che papà era più testardo di un mulo quando si fissava con qualcosa» Artemis lanciò un’occhiata di sfuggita a Rigel e gli sorrise «Se fosse stato necessario, mi sarei sposata volentieri per amor della nostra famiglia» 
Rigel evitò accuratamente il suo sguardo e disse: «Ho già detto come la penso. Ci sono mali peggiori del matrimonio e nostro padre non ci avrebbe mai spinti in quella direzione, se non fosse stato indispensabile per l’accademia» 
«E voi?» Numero Tre riservò ad Ezra e Levi la migliore delle sue occhiate inquisitorie «Voi vi sareste sposati?» 
Hillevi, con tutti gli occhi curiosi dei suoi fratelli addosso, arrossì fino alla punta delle orecchie e balbettò qualcosa che doveva somigliare a un «non lo so». 
A Ezra non servì altro per decidere di prendere in mano la situazione e placare la curiosità altrui con uno sguardo omicida, non convenzionale ma sempre efficiente «Non sono domande a cui si può rispondere su due piedi» 
«Beh, ma voi avete avuto almeno un paio d’ore per rifletterci su» Esmeralda non riuscì a trattenere un sorrisetto machiavellico «Mi sembra un ottimo vantaggio rispetto a noi altri» 
«Ma certo» replicò prontamente Numero Due, più sarcastico del solito «perché è ovvio che io e Levi abbiamo trascorso il tardo pomeriggio a riflettere sui progetti psicotici di Octavius. In fondo non avevamo altre cose da fare tipo, che ne so, sistemare il casino nel suo ufficio» 
«E va bene» concesse lei «ma fossi in voi ci penserei. Non sarebbe una cattiva idea, se voleste tornare anche voi nell’Umbrella Academy» 
«Per il rogo di Merlino» imprecò a mezza voce Alexis «ma fai sul serio? Voi sareste davvero disposti a sposare qualcuno per gli affari dell’accademia? Per dare carne fresca all’Umbrella Academy?» 
«Non per fare il guastafeste» aggiunse Oliver «ma il Medioevo è passato da un pezzo» 
Tony storse le labbra in una smorfia disgustata «È vero che si facevano contratti matrimoniali fino a trent’anni fa, ma si trattava pur sempre di pratiche bigotte per la conservazione di una linea pura di sangue» 
Esmeralda scoppiò a ridere «Infatti vi stavo prendendo in giro» 
«Menomale» Oliver, accanto a lei, trasse un sospiro di sollievo «Non sono pronto per diventare zio! E poi, diciamocelo, sono l’unico normale in famiglia… questi bambini prenderebbero me come esempio da imitare e seguire e io non sono sicuro di essere pronto per plasmare tutte quelle piccole menti nel mio ovvio ruolo di babysitter» 
«Ma saresti un babysitter fantastico» obiettò Levi con un sorriso. 
«E in ogni caso sono contento che questo progetto sia finito nel dimenticatoio» soggiunse, ancora, Oliver. 
«Il problema è che nostro padre faceva sul serio» replicò Alexis «e il fatto che ne avesse anche parlato con Rigel la dice lunga su quanto tenesse al progetto» 
«Già» mormorò Levi, tra sé e sé «Non dubito che ci avrebbe costretti volentieri in questi matrimoni» 
Alexis si versò un’altra generosa porzione di whiskey incendiario «Octavius era matto da legare, perché vi sembra tanto assurdo che programmasse le vostre vite?»  
«Una ragione in più per esser grato di essermene andato subito dopo il diploma» annuì Tony. 
«Non capisco di cosa vi lamentiate» Caesar, fronte aggrottata e una smorfia poco convinta sul volto, non poté fare a meno di ribattere «Per voi non aveva programmato un bel niente» 
«Non gliene hanno dato il tempo» rispose Ezra «Questa bozza risale a quando avevamo diciotto anni e loro se n’erano già andati. E Octavius non era matto, Alexis,» soggiunse, in un tono più macabro «era un manipolatore e un bastardo» 
«Non si può negare che avesse le sue colpe» concesse Oliver. 
«E che alcuni di questi progetti sarebbero bastati a farlo rinchiudere in un centro per malati mentali» continuò a bassa voce Tony. 
«Solo alcuni?» fu la veloce replica di Alexis. 
«Ma come passa il tempo, quando si sparla dei morti» li interruppe seccamente Numero Uno, mentre si scopriva il polso per dare un’occhiata all’orologio «È giunta l’ora di andare» 
«Andare dove?» Artemis si impedì a stento di seguirlo, quando lui si alzò dal divano e si diresse verso l’appendiabiti, e optò per serrare i pugni e fissarlo senza ritegno. 
«Mi sembra naturale» Rigel trovò il tempo, mentre infilava la giacca di pelle, di rivolgerle un sorriso tutto labbra pressate e occhi assottigliati «Vado a prendere Bizzie» 
  
  
 
 
  
  
Dal prossimo capitolo: 
«Eh, sì» il sorriso di Caesar si fece un po’ più idiota del solito «Menomale che c’era Joanna, no?» 
Nessuno fece, come invece si aspettava, eco alle sue risate o replicò alla battuta, anzi. Rigel aggrottò la fronte. Esmeralda inarcò le sue belle sopracciglia arcuate. Persino Bizzie –infagottata nella copertina a fiori da cui spuntavano solo i suoi occhioni verdi, il musetto e le grandi orecchie– sembrò alquanto confusa. 
«Menomale che c’era… chi?» ripeté Numero Uno. 
«Jo…anna?» fu la risposta incerta di suo fratello «La domestica asiatica che si veste solo di nero e si porta dietro la maschera delle pulizie intelligenti e ha un’evidente cotta per me» 
L’espressione di Esme si evolveva man mano dal divertito al preoccupato, mentre Rigel lo fissava. 
«Andiamo, te la sei già scordata? È molto carina e ha un accento giapponese, se la mia gioventù bruciata in giro per l’Asia è stata utile in qualche modo» insistette Caesar «Oh, Rigel, com’è possibile che assumi personale e poi non ti ricordi neanche di come si chiama? Sei anni senza di me ti hanno reso un manichino!» 
Numero Uno continuava a fissarlo con una crescente aria da sociopatico. 
In un istante, Oliver seppe che non sarebbe finita bene. 
  
  
  
  
  

  
Angolo autore 
Ed eccomi qua! Nuovo capitolo, nuove crisi mistiche per i nostri adorati protagonisti! 
Mi sembra di non aver fatto ritardi troppo colossali, stavolta. Considerando che avevo il capitolo già pronto, probabilmente sì, ma non mi sono mai ritenuto un tipo puntiglioso, quindi sorvoleremo. 
Colgo l’occasione per ringraziarvi davvero per tutto il supporto che mi mostrate e per l’infinita pazienza che avete con me e, per ringraziarvi concretamente, ho deciso di aggiungere a fine di ogni capitolo un estratto dal prossimo! Spero l’idea non vi sembri troppo stupida. Sono dispostissimo a ritrattare se non vi piace :) 
Ad ogni modo, questa volta ho una richiesta da farvi
Ecco, cercherò di essere breve. L’altro giorno mi sono reso conto di una cosa che avrei potuto benissimo aggiungere alla scheda di partecipazione dei personaggi e che, per un motivo o per un altro, ho dovuto trascurare. Sto parlando, ovviamente, del test di personalità Myers-Briggs, detto anche MBTI. Si tratta di uno studio approfondito della personalità umana, che io personalmente adoro, e che ho scoperto essere tremendamente utile nella costruzione di personaggi. Ora, potrei fare benissimo a meno di rompervi le scatole e farlo da solo, ma non conosco i vostri personaggi come voi. Di conseguenza, la mia valutazione circa i vostri OC sarebbe a dir poco approssimativa. 
Riassumendo? Mi piacerebbe che voi faceste, dal punto di vista del vostro personaggio, il test delle sedici personalità Myers-Briggs e che condivideste con me, tramite messaggio privato, il risultato del/dei vostri personaggi. Per quale motivo? Un po’ per utilità tecnica, un po’ per mera curiosità. 
Vi lascio il link qui sotto e spero che vogliate condividere con me i risultati :) 
  
https://www.16personalities.com/it/test-della-personalita-gratis  
   
Vi ringrazio ancora per l’attenzione, per la pazienza e per l’attesa. 
Fatemi sapere che ne pensate del capitolo e ci vediamo prima di fine agosto! 
  
  
  
  
Il drago della montagna accanto 
Smaug 
   
 
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