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Autore: Voglioungufo    10/08/2020    6 recensioni
TimeTravel!AU
Naruto finisce indietro nel tempo e decide che tutto merita un'altra possibilità.
"Nessuno ucciderà nessuno!" sbottò con stizza, incrociò le braccia e guardò il cielo con esasperazione. "Vorrei evitare di avere Uchiha emotivamente isterici in questa linea temporale, è chiedere troppo?!"
Oppure: Obito voleva solo distruggere il mondo, Naruto glielo ha impedito e ora si trova a essere un padre di famiglia e Shisui gli chiede consigli d'amore.
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Itachi, Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Obito Uchiha, Shisui/Itachi | Coppie: Asuma/Kurenai, Naruto/Sasuke
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Più contesti
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Capitolo 9
I Jōnin di Konoha

 

 

 

 

«Cause I could use some friends for a change
And some nights I’m scared you’ll forget me again»
(Some nights – Fun)

 

 

 

Il buio era sceso quasi confortante nella stanza, allungando le ombre fino a cancellarle e amalgamarle in un’unica macchia di oscurità, dentro cui Kakashi si era rannicchiato con piacere. Solo i fievoli raggi lunari rendevano appena visibile la sua figura sul lettino d’ospedale.
Se non fosse stato così a suo agio in quel pozzo di buio, Kakashi avrebbe iniziato a meditare un modo per lasciare l’infermeria, come era da sempre solito fare. Ma si sentiva così pigro e… stanco. Non solo fisicamente, per via dello scontro che lo aveva portato al limite, ma anche emotivamente. Sentiva ancora nelle orecchie il cinguettio assordante del raikiri, poteva vedere la scarica di fulmini fatti di puro chakra percorrere le sue dita, illuminare la sua mano. Poteva ancora sentire l’attrito dell’aria mentre si scagliava in avanti per colpire Obito.
Quel jutsu era una maledizione.
Se Nozomi non si fosse messo in mezzo avrebbe… proprio come con Rin… sarebbe successa la stessa tragedia.
Kakashi soffocò un lamento, spingendo con forza la sua mano contro l’occhio chiuso, quello che nascondeva lo sharingan. Odiava avere quel ricordo impresso nella retina, incapace di dimenticarlo. In quel momento gli veniva facile sostituire il corpo di Rin con quello di Obito.
Benediva Nozomi per averli fermati, perché sapeva che non si sarebbe fermato da solo. Avrebbe centrato il bersaglio, come era suo compito, come accadeva in ogni missione, come solo Kakashi a sangue freddo sapeva fare.
Benediva Nozomi per averlo fermato, ma malediva l’Hokage per averlo costretto a fare una simile cosa. Perché ordinare a Obito di attaccarlo senza dirgli niente? Perché Obito aveva accettato? Avrebbe potuto ucciderlo! Quella messinscena era stata troppo pericolosa, troppo lasciata al caso, niente dava la garanzia – nemmeno il Sandaime l’aveva – che Nozomi sarebbe intervenuto in tempo.
Forse in quel caso Obito si sarebbe fermato. Ma lui no, perché Kakashi non ne sapeva nulla ed era solo mosso dall’istinto.
Soffocò un altro verso lamentoso al pensiero della tragedia mancata, ma poi dovette velocemente riacquistare compostezza quando sentì una presenza avvicinarsi alla finestra dell’infermeria.
La sua espressione era tornata calma ed era riuscito anche a tirare fuori il suo immancabile volume di Icha-Icha quando Genma si accovacciò sul davanzale.
“Wow, credevo fossi già scappato” commentò, sorpreso di vederlo ancora lì, fin troppo abituato invece alle cattive abitudini dell’amico.
“Leggevo” rispose affabile.
“Con questo buio?” replicò scettico, ma non indagò oltre sapendo anche quanto fosse riservato. Non voleva chiuderlo a riccio, era qui con una missione ben precisa, perciò lasciò stare la sua domanda e riprese. “Quindi, preferisci restare qui a leggere per l’ennesima volta quella porcheria?”
“Non è una porcheria” lo corresse Kakashi. “È molto avvincente”.
Nonostante quello che aveva appena detto, abbassò il libro sul proprio grembo e finalmente si girò a guardarlo con un solo occhio pigramente aperto.
“Cosa proponi?”
“Missione di salvataggio” rispose con gli occhi che brillarono di improvvisa malizia.
“Riguardo?”
“Gli altri Jōnin hanno invitato le nostre nuove reclute al solito pub per festeggiare”. Fece una pausa, in cui il ghigno si allargò. “Ci sono anche Ibiki e Anko”.
“Capisco. Ahia”.
“Inoichi e gli altri hanno già aperto un giro scommesse su chi dei due novellini faranno piangere per primo” spiegò. “Forse è meglio andare per assicurarci che non li traumatizzino troppo”.
“È meglio” concordò Kakashi ugualmente divertito.
Scese con un movimento fluido dal letto e andò verso l’armadietto doveva aveva visto gli infermieri mettere il suo equipaggiamento. Anche se doveva riutilizzare gli stessi abiti che aveva sporcato durante lo sparring non era schizzinoso, le missioni ANBU lo avevano allenato a indossare abiti sporchi per più giorni di fila, anche quando erano pregni di sangue. Per ultimo indossò la fascia ninja, tornando a coprire con più facilità lo sharingan.
“Quindi” iniziò uscendo silenziosamente dalla finestra insieme a Genma. “Tu su chi hai scommesso?”
L’altro jōnin ridacchiò.
“Obito ovviamente” rispose. “Ti ricordi come tremava da bambino ogni volta che vedeva Ibiki?”
Kakashi lo ricordava bene, ma da quel poco che aveva visto considerava davvero ingenuo pensare che Obito reagisse ancora come quando era un bambino. Sembrava una persona completamente diversa ormai.
“Tu su chi punti?” lo distrasse Genma.
Fece un sorriso sereno sotto la maschera.
“Su nessuno dei due”.
Accelerò nei salti sul tetto, impedendo a Genma di ribattere e chiedere una spiegazione. Kakashi dubitava fortemente che dopo quello che doveva aver passato Obito Ibiki o Anko fossero in grado di spaventarlo, mentre se pensava all’Uzumaki… be’, da quel poco che aveva inquadrato poteva scommettere che entro la fine della sera sarebbe diventato il migliore amico di tutti.

 

֎

 

Quando entrarono nel pub Tora, il posto dove i jōnin di Konoha erano soliti frequentare nel tempo libero, rimasero sconvolti da quello che si trovarono davanti. Di certo nessuna scommessa avrebbe potuto indovinare qualcosa del genere.
Appena entrarono, la prima cosa che Kakashi individuò fu la fila che avevano formato Inoichi, Chōza e Gai. Del resto sarebbe stato impossibile non notarli: i tre erano in piedi, a braccetto e mezzi nudi, con solo i pantaloni standard e il giubbotto verde smanicato aperto sul petto nudo; non finiva qui, perché l’altra stranezza era il fatto che stessero cantando stonati e improvvisando un ballo scoordinato, dove ognuno ondeggiava contro l’altro nel tentativo di rimanere in piedi.
Erano ubriachi.
La diagnosi era molto semplice e anche se non si fossero comportati da idioti completi, le guance rosse e le parole biascicate della canzone erano un chiaro avvertimento.
Rimase molto sorpreso. Con Gai e le sue sfide giornaliere, Kakashi aveva compiuto anche gare di bevute e sapeva che la Bestia Verde di Konoha reggeva molto bene l’alcool. Perciò quanto doveva aver bevuto per essere arrivato a queste condizioni?
Poco più distante c’era Shikaku, steso su uno dei divanetti, con la testa appoggiata sopra la pila di vestiti dei tre jōnin intenti a ballare. Stava dormendo – o almeno aveva gli occhi chiusi e la bocca aperta – con una bottiglia di saké abbracciata al petto.
Poteva vedere altri shinobi, come Yugao e Hayate – loro due impegnati a baciarsi e in altre faccende intime un po’ più appartati – e Ibizu che provava a conquistare una delle cameriere al bancone a suon di frase illogiche e imbarazzanti.
Infine, su uno dei tavoli centrali, c’era in corso una partita a poker. I giocatori erano Ibiki, a petto nudo e senza bandana, Anko,  solo con la giacca a rete che non nascondeva nulla e un kimono arancione legato alla vita, che a ben vedere non aveva pantaloni, e infine Nozomi, vestito a strati con abiti che non dovevano essere suoi – aveva troppe magliette standard shinobi, due giubbotti antiproiettile e molti hitai-ate allacciati alle braccia.
“Ma cosa…” commentò Genma sorpreso da quello che aveva davanti.
La saletta privata che solitamente usavano per i loro ritrovi di bevute non era mai stata così nel chaos.
La sua esclamazione attirò l’attenzione del gruppetto danzante, che si mosse sempre ballando verso di loro. Genma non riuscì a scappare alle loro mani che lo tirarono in mezzo, costringendolo a seguire il ritmo per non capitombolare di faccia e spaccarsi il naso. Kakashi fu più veloce e riuscì a sgusciare alla loro presa.
Rivolse uno sguardo a Nozomi, che proprio in quel momento scopriva le sue carte. Non poteva vedere il risultato, ma non era buona visto che con un sospiro dovette slacciarsi uno degli hitai-ate e restituirlo ad Anko.
Scivolò senza essere fermato da nessun altro su uno dei divanetti, quello dove aveva individuato Obito. La sua faccia non era arrossata, il suo sguardo era lucido e consapevole anche mentre continuava a sorseggiare da un bicchiere di saké.
“Quello che è successo?” chiese disinvolto sedendosi al suo fianco.
Obito gli rivolse uno sguardo appena interessato, non aveva mosso un muscolo quando aveva parlato. Doveva essersi accorto che si stava per sedere.
“Hanno sfidato me e Nozomi a una gara di bevuta. Hanno perso” riferì essenziale.
“Vedo” commentò Kakashi osservando divertito il trenino che era stato formato.
In qualche modo erano riusciti a svegliare Shikaku e si trovava davanti con la testa a ciondoloni e un’espressione molto seccata.
“Anko ha poi proposto una partita a Poker. Tutti hanno scommesso i propri vestiti e questo è perché tutti sono mezzi nudi. Stanno continuando solo quei tre, ormai”.
Indicò con un cenno di capo il tavolo dove Ibiki, Anko e Nozomi stavano continuando a consegnare carte.
“Tu non hai giocato?” chiese Kakashi, osservando tutti gli abiti che indossava.
Fece un’espressione risentita. “Hanno detto che avrei imbrogliato con lo sharingan”.
“E lo avresti fatto?”
“Ovviamente”.
Per qualche motivo scoppiò a ridere. Obito lo aveva detto in un modo serissimo, come se fosse la cosa più vantaggiosa da fare in un campo di battaglia.
Kakashi alzò una mano a richiamare un inserviente.
“Cosa stai facendo?” chiese Obito.
“Sono arrivato in ritardo, ma voglio ancora partecipare alla gara di bevute” offrì.
Sbuffò dal naso. “Vuoi perdere la dignità come loro?” e indicò il gruppetto che ancora facevo il trenino tra i tavoli.
Kakashi gli rivolse un sorriso impertinente da sotto la maschera, visibile solo attraverso gli occhi.
“Io parto in vantaggio. Tu hai già sopportato una gara, io no, sono perfettamente sobrio”.
Vide l’angolo della bocca sollevarsi in un sorriso ironico, il primo da quando si era seduto al suo fianco.
“Se ti piace perdere” acconsentì.
Poco dopo, avevano davanti a sé un intero vassoio di shottini pieni di liquido trasparente. Kakashi aveva fatto la pazzia di chiedere il liquore più alcolico che avessero, ogni sorso era come compiere un palla di fuoco da quanto bruciava la gola.
La testa cominciò a girargli e non capì come Obito continuasse a restare con l’espressione controllata, indifferente al liquore che ormai doveva essere entrato in circolo anche a lui.
“Dimmelo, è una tecnica dello sharinga? Devo usarlo?” borbottò passandosi una mano alla tempia.
Obito ridacchiò. “No. Sono le cellule di Hashirama, non permettono ai veleni di entrare in circolo, incluso l’alcool”.
“Lo sapevo che stavi barando” si lamentò.
“Tutto per vincere” sogghignò prima di prendere un altro bicchiere.
Ormai ne restava solo uno, quello di Kakashi, ma era ancora abbastanza cosciente da sapere che sarebbe stato il bicchiere fatale.
“Nozomi, invece, qual è il suo trucco?” chiese lamentoso.
“Sangue Uzumaki” offrì. “Non va sottovalutato”.
No, decisamente Nozomi non era un tipo da sottovalutare. Lo aveva fatto, perché con la sua aria spensierata e amichevole sembrava tutt’altro che pericoloso. Invece nello sparring aveva dimostrato di conoscere tecniche letali e soprattutto di avere la capacità di metterle in pratica. Abbinate alle sue riserve di chakra che dovevano essere mostruose lo rendevano una vera e proprio macchina bellica.
“Perché hai assecondato il Sandaime?” sbottò senza averlo premeditato.
Obito però capì subito cosa intendesse con il suo brusco cambio di argomento. Non si scompose e scrollò le spalle.
“Non l’ho assecondato. Io l’ho proposto” contraddisse.
Kakashi spalancò l’occhio sorpreso, la sua vista era appena sfocata dall’alcool.
“Perché? Avrei potuto ucciderti!”
“No, non avresti”.
“Nozomi poteva non intervenire in tempo”.
“No, in qualsiasi caso ci sarebbe riuscito” ribadì stringendo lo sguardo. “Non è questione di se, Nozomi lo avrebbe fatto e l’ha fatto. Non avrebbe mai mancato”.
Kakashi provò una fitta al petto che con stupore si rese conto essere invidia. Era invidioso del tono certo con cui aveva parlato, così pieno di fiducia verso il compagno. Per lui era una certezza affidarsi all’altro, sapere cosa avrebbe fatto, che avrebbe sempre fatto in tempo.
Kakashi non ricordava l’ultima volta che aveva avuto un sentimento simile. Non per suo padre, sicuramente. Forse c’era stato un periodo in cui aveva avuto la stessa fiducia in Minato, ma l’ex-sensei era sempre arrivato troppo tardi – tardi per salvare Obito, tardi per salvare Rin, per salvare lui – e poi anche lui era morto. Ora poteva dire con certezza che non c’era nessuno a meritare la sua totale fiducia. Si fidava dell’Hokage, è vero, ma per dovere e basta, non era un gesto spontaneo.
“Perché l’hai proposto?” ripeté.
“Per Naruto” rispose semplice. “L’ho fatto per dimostrargli che può fidarsi di Nozomi, tutto qui”.
“Ha funzionato?”
Lo sguardo si oscurò. “No”.
Non che Kakashi si aspettasse una risposta diversa. Uzumaki Naruto era una questione complicata, soprattutto con Danzō che aspettava una sola scusa per poter mettere le mani su di lui. Kakashi si sarebbe ucciso prima di vedere Naruto finire in ROOT, per questo non poteva far altro che assecondare l’Hokage. Fino a quel momento lo aveva tenuto lontano da Danzō e tanto gli bastava.
“Li ha solo presentati” continuò Obito.
Sgranò l’occhio colpito. Il Sandaime si era comunque spinto più avanti di quanto si aspettasse. Forse era stata una mossa un po’ azzardata, ma era contento che l’avesse fatto. Naruto ora sapeva che c’era qualcuno per lui e sperava che Nozomi facesse il possibile per poterlo adottare.
“Come ha reagito?” chiese curioso.
“Chi? Naruto o Nozomi?” Poi parve decidere che non importava e scrollò le spalle. “Sorpresi e felici, anche se insieme si riveleranno una spina nel culo. Si sono visti tre secondi e già mi hanno fatto venire mal di testa a forza di dattebayo”.
L’implicazione di quella frase gli fece inclinare la testa.
“Anche Nozomi lo dice?”
“Deve essere una deformazione del sangue Uzumaki” pensò Obito. “Anche Kushina-nee-san aveva un suo slang”.
Annuì. “Sì, era dattebane” ricordò.
Appena lo disse, caddero in un cupo silenzio. Kakashi non ricordava l’ultima volta che qualcuno gli aveva parlato di Kushina con un tono tanto casuale. La consapevolezza della sua morte lo aveva colpito, ovviamente, e lo stesso pareva essere successo anche a Obito. Era tornato a essere tetro in faccia, gli occhi persi a contemplare pensieri troppo profondi. Kakashi si chiese se stesse pensando alla morte di Kushina e sensei, al fatto che non era qui quando era successo; si chiese se come lui avesse dei rimpianti per non aver fatto nulla.
Kakashi pensò ai suoi, di rimpianti, e il malessere gli afferrò di nuovo lo stomaco. Guardò l’ultimo bicchierino rimasto valutando se prenderlo e annegare definitivamente i suoi pensieri coerenti nell’alcool. Invece chiese:
“Mi odi?”
Obito non aveva bisogno di chiedere per cosa, era chiaro ancora. Ma anche così Kakashi fu sorpreso di vederlo scuotere la testa.
“Non ti ho mai odiato” ammise. “Non te, non era colpa tua”.
“E allora di chi?” domandò scettico. Era sua la mano che aveva trafitto il petto, sfondando le ossa dello sterno per raggiungere dritto il cuore.
“Del mondo shinobi” rispose senza battere ciglio. “Noi siamo solo pedine e soprattutto eri solo un bambino. Non potevi fare nulla, era destino e io dovevo vedere tutto”.
Quella risposta avrebbe dovuto inquietarlo, ma il sollievo di sapere di non essere odiato da Obito era sufficiente. Non lo guariva dall’odio per se stesso, ma era confortante…
“Com’è Naruto?”
L’improvvisa domanda di Obito sembrò confondere Kakashi.
“Che intendi?”
“Caratterialmente” spiegò. “Com’è? Per ora posso dire che sembra molto solo”.
Scrollò le spalle e si rese conto con imbarazzo di non avere una vera risposta. Non sapeva nulla di Naruto, se non pettegolezzi degli ANBU che lo tenevano sotto controllo.
“Cosa dire di lui” iniziò diplomatico. “A scuola è svogliato e si applica poco, fa uscire di testa tutti i suoi insegnanti, spesso salta le lezioni o si addormenta in classe e fallisce tutti i test. Il suo passatempo preferito è fare scherzi, le sue guardie ANBU ormai hanno i capelli bianchi per colpa sua. Spesso va a mangiare da Ichiraku ramen, ecco il ramen è il suo cibo preferito. Non ha molti amici, come hai notato anche tu è molto solo. Nonostante questo sogna di diventare Hokage e non perde tempo a farlo sapere a chiunque”. Fece una pausa, meditando sul proprio ritratto. “Ti assomiglia” concluse infine.
Obito fece una smorfia che non seppe come interpretare finché non disse:
“Mi assomigliava. Non sono più quel bambino”.
Suo malgrado, Kakashi si ritrovò a essere d’accordo. Questo Obito che aveva davanti corrispondeva male ai suoi ricordi, era come se si fosse fatto più spigoloso e amaro nel tono, nello sguardo e nei gesti. Nei ricordi di Kakashi Obito sorrideva sempre, ora lo aveva visto fare raramente e perlopiù erano sorrisi sarcastici e derisori.
“Inoltre”, riprese con tono indignato, “io mi impegnavo, non ero affatto svogliato! Restavo indietro rispetto agli altri perché non avevo nessuno ad aiutarmi. Non conoscevo la metà dei kanji nei libri scolastici ed ero troppo orgoglioso per ammetterlo. Inoltre mia nonna era troppo vecchia per farmi esercitare nei kata di base, il resto degli Uchiha non si è reso molto utile”.
“Quindi ammetti che restavi indietro”.
Obito sgranò l’occhio, apparentemente incredulo che di tutto il suo discorso avesse colto solo quell’ammissione.
“Vaffanculo, Bakakashi”.
Rise e gli parve che il clima cupo fosse stato in parte stemprato.
“Non dovresti fermarti?” suggerì Obito quando Kakashi fece un altro cenno alla cameriera.
“Sto prendendo solo dell’acqua” lo assicurò. “Sei carino a preoccuparti per me”.
Ricevette un’espressione indignata. “Non sono!”
“Invece sì. Aw, stai anche arrossendo”.
Prendere in giro qualcuno era un terreno che Kakashi conosceva molto meglio e lo fece rilassare. Anche se a quel suo giochetto Obito parve confuso, guardandolo con le sopraccigli aggrottate. Era ovvio che Kakashi non corrispondesse ai suoi ricordi, come valeva per lui.
C’era molto tempo da recuperare, troppe cose da chiarire, ma Kakashi per un momento ebbe fiducia che con pazienza tutto si sarebbe risolto.
 
Chiacchierarono ancora, ogni tanto lasciando che un argomento e l’altro ci fossero lunghi buchi di silenzio. Questo nuovo Obito non sembrava a disagio con il silenzio.
Kakashi notò presto che il suo occhio continuava a spostarsi sempre su Nozomi, come per assicurarsi che fosse ancora lì, che stesse bene. Quell’atteggiamento lo portò a chiedersi quale fosse la vera natura della loro relazione e i suoi sospetti vennero in un certo senso confermati quando Obito indurì l’espressione e quasi ruppe il bicchiere che aveva in mano.
Kakashi guardò ilare quella reazione alla vista di Anko, mezza nuda, che si spostava sulle ginocchia di Nozomi. L’Uzumaki sembrò confuso e fece per allontanarla, lei allora disse qualcosa che parve tranquillizzarlo al punto da lasciarla seduta su di lui.
Obito non era affatto tranquillizzato. Anzi se lo sharingan che aveva attivato era un chiaro segnale, sembrava pronto a bruciare qualcuno con un katon.
Kakashi temette che volesse davvero fare del male a qualcuno quando lo vide alzarsi dal divanetto e marciare verso il tavolo dove stavano ancora giocando a poker. Lo seguì un poco impressionato. Ricordava che Obito da bambino era molto geloso, lo sapeva bene perché era sempre lui il principale destinatario della sua gelosia dal momento che sia sensei che Rin sembravano preferirlo. Non pensava che crescendo questo suo tratto peggiorasse.
Afferrò Anko per un braccio e quella quasi lo colpì alla gola con un saibon, salvo che Obito riuscì a bloccarla.
“Che vuoi?” grugnì la kunoichi sfacciata.
“Alzati e allontanati” ordinò Obito impassibile.
Anko non era una persona che prendeva bene gli ordini e anche in questo caso non fece eccezione. Ritrasse il suo tentativo di omicidio, ma non il sorriso pericoloso e quasi per indispettirlo si sistemò meglio sulle ginocchia di Nozomi.
“Sto bene qui” lo provocò.
Nozomi intervenne prima che Obito provasse a risucchiarla con il suo kamui per spedirla nella prima dimensione disponibile.
“Per favore, alzati. Effettivamente è un po’ imbarazzante”.
Kakashi sperimentò la più grande sorpresa della sua vita: Anko accontentò un per favore e fece come le era stato detto. Si alzò da Nozomi tornando alla sua sedia.
“Siete noiosi” si lamentò comunque.
“Anko-san ha perso a Poker contro di me i suoi ultimi vesitit” spiegò invece Nozomi divertito. “Quindi, invece di spogliarsi tutta, ha pensato di spostarsi da me. Tanto abbiamo finito la partita”.
“Tranquillo, piccolo Uchiha” disse Anko senza abbandonare il suo sorriso pieno di malizia. “Non rubo il tuo innamorato. Ti devi aggiornare, a me interessano solo le ragazze”.
Per enfatizzare il suo concetto Anko avvicinò alla bocca l’indice e il medio allargati a V e passò la lingua nello spazio tra essi in modo molto allusivo. Quel gesto volgare fece distogliere lo sguardo di Obito, per dissimulare il rossore alle orecchie sbuffò infastidito.
“Sei un’esperta di veleni, avresti potuto avvelenarlo” si giustificò, comunque consapevole che nessuno gli avrebbe creduto.
Ibiki non intervenne nella conversazione, in realtà aveva uno sguardo molto lucido e le guance paonazze, perfino il suo naso era arrossato. Anche senza la fila quasi interminabile di bicchierini sul tavolo il suo stato di ubriachezza sarebbe stato fin troppo ovvio.
Sorrise sotto la maschera. Decisamente non erano riusciti a far piangere Nozomi od Obito, al contrario proprio lui e Anko sembravano essersi lasciati catturare dai due nuovi shinobi.
Comunque, Obito sembrava ancora intenzionato a picchiare Anko, che a sua volta era divertita dal provocarlo. Pensò di intervenire prima che passassero alle mani.
“Bei tatuaggi” disse inclinandosi in avanti.
 La sua considerazione gli fece catturare per un momento l’attenzione, ma poi anche Anko e Obito si fissarono sulle braccia nude di Nozomi, dove sulla pelle caramello erano inchiostrati simboli antichi.
“Molto macho” commentò la kunoichi con sarcasmo.
Nozomi si grattò l’avambraccio, sopra uno di essi, con imbarazzo.
“Non sono tatuaggi, ma sigilli”.
Kakashi non riuscì a dissimulare lo sgomento. Era stato lo studente preferito dello Yondaime, questo significava che sapeva qualcosa sull’arte di sigillare, compreso quanto fosse pericoloso farlo sulla propria pelle. Era per questo che esistevano i rotoli, creati con una carta speciale in grado di contenere il chakra senza disperderlo. I sigilli fatti sul corpo erano sempre complessi e difficili da realizzare proprio perché erano calibrati per non distruggere chi li indossava. Aveva sentito storie di shinobi spinti alla follia per via di sigilli mal applicati direttamente sulla pelle. Lo stesso sigillo che adornava l’ombelico di Naruto aveva preso tutta l’abilità e la conoscenza dello Yondaime, dimostrando quanto fosse grande la sua capacità nel suggellamento. Sentire Nozomi parlarne con così disinvoltura, indossarli come se niente fosse… era sorprendente.
Anko, che al suo contrario aveva una conoscenza base dell’arte dei sigilli, quella che offriva l’Accademia, non sembrò molto colpita da quella rivelazione. Anche se il suo sguardo si fece più attento, meno giocoso.
“Quindi sei un fūinjutsu master, eh?”
“Sì, me la cavo”. Parve ripensarci. “Anzi, sono molto bravo, perfino più bravo di Jiraiya” si pavoneggiò.
Kakashi non riuscì a evitare di sbuffare. Quella doveva essere una palla, una esagerazione fatta per mettersi in mostra. Poteva riconoscere le sue abilità, ma il Sannin era quello che aveva insegnato a Minato il suggellamento, attualmente era il miglior fūinjutsu master che le terre shinobi conoscevano, da quando Uzushio era caduta.
Anko soppesò molto attentamente le sue parole.
“E oltre che applicarli, sei anche in grado di cancellarli se impressi sulla pelle?” chiese.
Kakashi la vide portarsi la mano sulla spalla in un gesto inconscio, dove Orochimaru le aveva impresso il sigillo maledetto quando era solo una bambina.
L’espressione di Nozomi passò da rilassata a seria, lanciò uno sguardo a quel gesto come se sapesse esattamente di cosa stesse parlando.
“Dipende” iniziò. Anche il suo tono di voce era cambiato, facendosi serio e maturo, quell’atteggiamento lo rese ancora più simile a Minato. Nozomi doveva essere una persona abituata a comandare e a essere ascoltata. “Ci sono certi gradi di complessità dei sigilli. Questi che indosso io sono di semplice tenuta, li uso per trasportare armi e cibo, così da averne sempre con me in ogni emergenza. Posso dissiparli senza nessuno sforzo, ma ne ho altri che uso per aiutarmi nella velocità e nella percezione, sono pensati per essere indossati sempre e per questo toglierli sarebbe complicato. Poi ci sono sigilli come quelli applicati ai Jinchūriki, fatti per contenere enormi quantità di chakra estranei. Non puoi toglierli senza una chiave creata appositamente per il singolo sigillo. Altre volte eliminare un sigillo del genere è uno sforzo tale che porta all’esaurimento del chakra e alla morte. Prima di fare qualsiasi cosa devo vedere il sigillo e, se non lo conosco, studiarlo.»
Obito aveva un’espressione annoiata, poco interessato a quel discorso, invece Kakashi si trovò ad ascoltarlo con molta attenzione. Eccelleva in tutta le arti ninja, lo poteva ammettere senza presunzione, ma per la scarsa quantità di chakra che possedeva non aveva mai potuto approcciarsi ai sigilli, nonostante il sensei fosse anche l’unico maestro di Konoha. Tutto sommato era bello sapere che il Villaggio aveva acquistato un altro esperto di fūinjutsu, sarebbe stato un peccato se quell’arte si fosse persa.
Anko valutò quello che aveva appena sentito, per un momento credette che intendesse rivelare del suo sigillo, ma poi tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia e incrociò le braccia sotto il seno.
“Te ne intendi” concesse di nuovo sbruffona, come se avesse fatto quelle domande solo per metterlo alla prova. “Forse ne approfitterò una di queste volte”.
Nozomi allargò il sorriso, per nulla preoccupato dal tono della donna che sembrava quasi minaccioso.
“Se posso rendermi utile!” garantì.
Anko sembrava molto divertita, probabilmente aveva davvero preso in simpatia l’Uzumaki. Sarebbe stato il primo uomo che non desiderava uccidere dopo Ibiki.
“E dicci, Fūinjutsu master-sama, per caso lì nascondi altri scarabocchi?”
Per un momento Nozomi parve risentirsi per il modo in cui aveva chiamato i suoi capolavori, ma alla fine la voglia di mettersi in mostra ebbe la meglio.
“Oh sì, tengo alcuni sigilli sulle gambe, principalmente quelli per aumentare gli scatti e rendere lo shunshin più efficace”. Iniziò a sbottonarsi gli abiti, scoprendo le clavicole abbronzante. “Invece sul petto ho…”
Kakashi non scoprì mai di cosa si trattasse, perché prima che Nozomi potesse scoprire la pelle del petto Obito soffiò un’improvvisa palla di fuoco, che incendiò il tavolo. Ovviamente bruciò tutto quello che era sopra di esso, rischiando di colpire anche Ibiki e Anko.
Ibiki in particolare fece un salto all’indietro, improvvisamente vigile e con gli occhi che non sembravano più risentire l’effetto dell’alcool.
“Ci attaccano!” gridò.
Obito non commentò. Del resto era riuscito a ottenere il suo scopo: con un piccolo incendio nella locanda nessuno era più interessato a togliere vestiti a Nozomi.

 

֎

 
“Sei adorabile da geloso, lo sai?”
“Non ero geloso. Mi è sembrato che Ibiki stesse facendo qualcosa di sospetto”.
Nozomi ridacchiò, si piegò sul lavandino e sputò l’acqua e il dentifricio, poi tornò a strofinarsi i denti con lo spazzolino. Il riflesso ricambiò lo stesso sguardo azzurro, indossava una molletta rosa per tirare su la frangia e tenere libero il viso. Si risciacquò, pronto per andare a dormire.
La serata era finita non appena erano riusciti a domare l’incendio e Shikaku aveva pagato i danni dei tavoli bruciati. Obito aveva fatto finta di niente, ripetendo quella scusa fino allo sfinimento. Fortunatamente erano tutti troppo ubriachi per farci davvero caso, tranne Kakashi e, a giudicare dallo scintillio divertito nel suo occhio, Obito doveva essersi appena scavato da solo la tomba. Se questo Kakashi era come il suo Kakashi-sensei, conoscendolo allora avrebbe stuzzicato questo lato di Obito ogni volta che poteva.
A quei pensieri fece uno sguardo malinconico. Era stato tutto così strano. Aveva sempre guardato questa generazione di Jōnin da lontano, come il bambino che era. Non aveva mai avuto modo di essere considerato un loro pari, molti di loro erano morti prima che diventasse a sua volta un jōnin, come Hayate, Inoichi e Shikaku. Gli tornarono in mente le espressioni amare di Shikamaru e Ino, le lacrime che avevano pianto ai funerali.
Non questa volta, si promise a se stesso.
Ripristinò il sorriso scherzoso che aveva fino a un secondo prima e uscì dal bagno, non aveva ancora smesso di prendere in giro Obito.
“Sei adorabilmente letale da geloso” corresse il tiro precedente.
La voglia di scherzare svanì quando entrò nella camera da letto, Obito si stava cambiando e indossando abiti scuri e più pratici.
“Stai uscendo?” chiese.
“ROOT non si spia da sola” rispose distaccato.
Gli strappò la maglietta che stava cercando di indossare e ignorò lo sguardo indispettito che ricevette.
“Non serve che spii ROOT ogni notte, lo sai. Non finché non possiamo fare nulla di concreto e al momento dobbiamo evitare di attirare qualsiasi sospetto. Non essere paranoico e vieni a dormire”.
Obito si risentiva ogni volta che lo chiamava paranoico o maniaco del controllo.
“Non ho bisogno di dormire” protestò.
“Sì invece. Sai da quanto non chiudi occhio?” Non attese che rispondesse. “Nove giorni”.
Non sembrò piacergli che avesse tenuto il conto.
“Sono stato mesi senza dormire” borbottò.
“Già, portandoti allo sfinimento. Hai ancora la stanchezza del viaggio da recuperare, sei stato ogni notte da quando siamo qui a controllare ROOT e oggi hai combattuto, so che hai sprecato energie. Devi recuperarle”.
“Non sono stanco” si impuntò e Nozomi pensò che tutto sommato fosse adorabile.
Gli rivolse uno sguardo indulgente, poi andò a stendersi sul letto dove si stiracchiò come un gatto.
“Dai, vieni a farmi compagnia”.
Anche con gli occhi chiusi poteva sentire lo sguardo di Obito che sfiorava il suo stomaco. Uno sbuffo e uno smottamento del materasso fese sogghignare Nozomi, aveva vinto ancora una volta.
Si accoccolò soddisfatto mentre Obito allungava le braccia per stringerlo contro di lui. Le loro gambe si intrecciarono e sentì il mento dell’altro piantarsi fra i suoi capelli.
“Credo che il piccolo Itachi sospetti di me” esordì all’improvviso.
Nozomi riaprì le palpebre e lo guardò con la coda dell’occhio. L’espressione dell’Uchiha era molto pensierosa e corrucciata.
“Perché dovrebbe?” domandò confuso.
Sapeva che Itachi aveva incontrato Obito sotto le spoglie di Madara a ridosso del massacro, ma ormai aveva cambiato quella parte della cronologia. Anche se non sapeva quando fosse avvenuto il primo incontro, erano ormai quasi due anni che lui e Obito viaggiavano insieme, non c’era modo che potessero essersi incontrati al Tempio Naka.
“Anni fa, non mi ricordo quanti, ho provato a uccidere il Daimyō del Fuoco. Avrei fatto in modo che la colpa ricadesse su Suna o un altro villaggio, così che si dichiarassero guerra e i villaggi si indebolissero abbastanza da permettermi di catturare i Bijū”.
Nozomi non riuscì a trattenere la smorfia. Rabbrividiva ogni volta che Obito esponeva i suoi piani passati in quel modo logico e calmo, come se non coinvolgessero dolore e morte.
“La squadra di Itachi era incaricata di scortarlo. Ho messo sotto genjutsu il suo sensei e ho ucciso un suo compagno, quando sono tornato a guardare Itachi aveva gli occhi rossi, probabilmente gli avevo appena fatto risvegliare lo sharingan. Non ho potuto fare altro, perché ho avvertito una squadra ANBU avvicinarsi e sono scomparso usando il kamui”.
Nozomi sfuggì delicatamente alla sua presa e si tirò a sedere, scrutò l’espressione sul volto di Obito. Non lo stava guardando, in realtà non sembrava nemmeno essersi reso conto che era scivolato dalla sua stretta. Sembrava troppo concentrato in quel ricordo, le pieghe della fronte che si mimetizzavano con le cicatrici.
“Ho usato la stessa katana di questa mattina. Lo sharingan appena risvegliato deve avergliela stampata nella memoria e l’ha riconosciuta, non c’è altra spiegazione” mormorò fra sé.
Soppesò attentamente questa nuova informazione. Voleva dirgli che non doveva preoccuparsi, che occorreva molto di più per avere un tale sospetto, del resto era sicuro che all’epoca indossava una maschera e un mantello che nascondeva il suo corpo.
Ma si trattava di Uchiha Itachi.
Era sempre stato troppo intelligente perfino per il suo stesso bene.
“Non usare il kamui con lui nei paraggi” suggerì.
Annuì. “Eviterò di teletrasportarmi. Spero solo non abbia visto la forma del mio Mangekyo”.
 “Faremo più attenzione, staremo attenti con lui. Non deve percepirci come una minaccia e se ne dimenticherà”.
Passò le dita tra i corti capelli neri, grattando la cute. Quella carezza fece sollevare lo sguardo di Obito, si alzò anche lui seduto e senza dire niente appoggiò le sue labbra su quelle di Nozomi.
Ricambiò il gesto prendendosi tutto il tempo che voleva, sollevò una mano a stringere la sua mascella, l’altra scivolata sulla sua nuca. Era bello toccare Obito, perché non si scostava mai, non odiava il contatto fisico. Anzi, lo cercava sempre, come se fossero due calamite. Proprio come Nozomi aveva la stesso desiderio di essere toccato. Per troppo tempo nessuno lo aveva mai sfiorato, in tutta la sua infanzia non aveva ricevuto un gesto d’affetto, il primo in assoluto era stato Iruka. Era stato il maestro dell’Accademia il primo ad abbracciarlo e da allora aveva sentito una forte dipendenza per qualsiasi tocco. Ma anche nel team 7 ne era stato privato, Sasuke e Kakashi non erano persone tattili e Sakura lo toccava solo brevemente, con discrezione; Jiraiya aveva un po’ colmato quel vuoto con gesti paterni, affettuosi, e lo stesso era successo più tardi nella sua adolescenza a Konoha, gesti affettuosi con Sakura, Kakashi e Shikamaru; pacche sulle spalle con Kiba e Lee, buffetti da parte di Tsunade e i continui abbracci paterni di Iruka. C’era stata poi la guerra, e i gesti di Sakura si erano fatti meno discreti e anche Sasuke aveva spesso cercato il conforto di un corpo. Era la guerra, era la disperazione di assicurarsi di essere vivo e avere ancora qualcuno vivo al proprio fianco, era paura di essere lasciati soli in una landa desolata.  
Ma il modo costante con cui Obito lo cercava, toccava, stringeva era stato del tutto nuovo, gli aveva fatto capire quanto fosse in realtà insaziabile. Non era paura di restare solo, era puro desiderio che bruciava e lo faceva avvampare.
Sospirò felice quando Obito si spostò dalle sue labbra per mordicchiare piano il mento, la gola e le clavicole. Sentì la lingua tracciare una linea umida lungo il suo petto fino al bacino. Capì perfettamente dove stesse andando quando le sue mani afferrarono i suoi boxer e li tirarono via.
Appoggiò la testa indietro.
“Ci sono le guardie ANBU a controllarci, ci vedranno” gli ricordò con poca convinzione.
Obito non diede segno di preoccuparsene, gli baciò l’interno coscia.
“Se non piace, non guardano”.

 

֎

 
Arrivato a questo punto l’ANBU si interruppe. Era dritto come un fuso davanti alla scrivania di Danzō, le braccia unite al busto e la testa alta. Indossava la maschera, perciò solo le orecchie arrossate segnalavano il suo disagio. Non che a Danzō importasse: le ombre della Radice non dovevano provare sentimenti, incluso l’imbarazzo per scene del genere.
Sotto lo sguardo impassibile del suo superiore, l’ANBU si sforzò di continuare il suo rapporto.
“Dopodiché, Uchiha Obito ha t-tirato fuori il pe…”
Danzō lo interruppe prontamente con un gesto della mano.
“Non ci interessano i dettagli di questo, vai a avanti”.
L’ANBU parve molto sollevato.
“Alla fine si sono lavati e si sono messi a dormire. Non ci sono state mosse sospette per tutte le ore che ho sorvegliato” garantì.
“E non sei in nessun modo riuscito a capire di cosa stessero parlando prima?”
Scosse la testa. “Sospetto che la casa sia protetta da un sigillo silenziante, non siamo riusciti a captare nessun rumore provenire dall’interno. Ma potrebbe essere anche per via della distanza, come ci ha ordinato ci siamo tenuti abbastanza lontani perché gli ANBU di Sandaime non ci percepissero”.
“Va bene così, puoi andare”.
L’ANBU ubbidì all’ordine, con un inchino shinshuned lontano dall’ufficio privato di Danzō. Rimasto solo, si alzò dalla scrivania e guardò la notte fuori dalla finestra. Continuava a pensare quello che il suo ANBU Hyūga aveva detto sullo strano chakra di Uzumaki Nozomi, il sospetto che avessero introdotto un Jinchūriki pronto a liberare una bestia codata per portare distruzione nel villaggio come otto anni fa era molto forte. Ma se anche fosse stato così, forse poteva usare quel vantaggio a loro favore. Se fosse riuscito a manipolarlo e farlo entrare nelle sue file sarebbe stato un’arma molto potente.
Paradossalmente, non era però l’Uzumaki a preoccuparlo, da quello che gli avevano riferito era un idiota, poteva raggirarlo facilmente. La sua principale preoccupazione era Uchiha Obito e per svariate ragioni. Prima di tutto lo incupiva che a Konoha si fosse introdotto un altro Uchiha con il Magekyo, che poteva partecipare al colpo di stato; c’era poi il modo sospettoso con cui Uchiha Itachi lo aveva guardato, anche se il suo piccolo corvo non aveva detto nulla era chiaro che sospettasse qualcosa e Danzō tendeva a fidarsi dell’istinto del suo piccolo corvo.
Strinse gli occhi al pensiero di quell’Uchiha che usava il Mokūton e combatteva come Uchiha Madara.

 

 

֎

 

Il gracchiare di un corvo lo svegliò e Itachi aprì immediatamente gli occhi nell’oscurità. Si alzò dal letto, trovando alla finestra un uccello da lisce e lucenti penne nere che beccava piano sul vetro. Itachi aprì la finestra e il corvo volò via, fermandosi a guardarlo sul rame dell’albero davanti a casa sua. Itachi sorrise: Shisui era tornato dalla missione, finalmente.
Facendo piano per non svegliare nessuno – soprattutto Sasuke nella stanza accanto – indossò abiti comodi al posto del pigiama e le sue calzature ninja. Aggiunse un set di armi alla cinta solo per essere sicuro di non ricevere attacchi inaspettati, non perché sperava in uno sparring con il cugino più grande, in fondo era appena tornato da una missione.
Saltò dalla finestra al ramo dove si trovava il corvo, bravissimo nel non fare rumore. Nessuna foglia si mosse, niente segnalò la sua presenza e per questo si concesse un sorriso soddisfatto. Grazie agli insegnamenti di Kakashi-senpai ormai era diventato bravissimo nella furtività.
Seguì il corvo che lo guidò lontano dal complesso di case, vicino ai campi di allenamento. Shisui era steso sul prato a guardare le stesse, apparentemente rilassato e ignaro di quello che lo circondava. Ma non sussultò quando cadde vicino, segno che lo aveva avvertito molto bene.
“Hai fatto tardi” disse a mo’ di saluto.
Shisui posò gli eleganti occhi su di lui. Erano grandi come quelli di un gufo, ma non altrettanto rotondi per via della forma allungata verso l’alto. Però le folte ciglia li rendevano dolci più che inquietanti.
“Sono tornato da ore, l’Hokage mi ha trattenuto” lamentò.
Nonostante Shisui avesse ben due anni e mezzo più di lui, Itachi trovava che la sua voce fosse ancora molto infantile. Ogni tanto tentennava, facendosi più stridula o più profonda senza motivo apparente.
“E dalla tua faccia corrucciata, immagino sia per lo stesso motivo” continuò.
Itachi sbatté le palpebre incredulo. “Non sto facendo nessuna faccia”.
“Oh, dai! Ormai ti conosco troppo bene. So distinguere faccia impassibile impassibile, da faccia impassibile felice, faccia impassibile triste, faccia impassibile preoccupata…” lasciò la frase in sospeso con una leggere risata. In quel momento Itachi aveva fatto un broncio davvero poco impassibile.
Si sedette sull’erba al suo fianco, era umida e fredda. Il cielo notturno era sulle loro teste pieno di stelle, illuminando d’argento lo spazio aperto.
“Che cosa voleva il Sandaime per tenerti così tanto?”
“Oh, sì” sembrò ricordarselo e si tirò a sedere a sua volta. Lo superava di alcun centimetri quindi rimase curvo con la schiena per fissarlo negli occhi. “Mi ha detto di Obito, che è ancora vivo! E anche del suo amico, ovviamente”.
Più che amico avrebbe detto amante, visto i pettegolezzi che avevano già iniziato a girare su loro due che si baciavano al centro di una strada… comunque, Itachi si concentrò sul tono familiare con cui aveva nomato l’Uchiha.
“Tu lo conoscevi?”
Itachi era troppo piccolo per ricordarlo, ma immaginava che in quell’età quasi tre anni di differenza facessero molto con la memoria. Infatti annuì.
“Non benissimo, era sempre in giro con la sua squadra, ma… era fantastico” disse con un sorriso. “Un po’ idiota”.
“Come si può essere idioti e fantastici?”
“Be’, il tipo di idiota fantastico” spiegò come fosse ovvio. “Era un po’ un disastro e correva sempre in ritardo da una parte all’altra, ma era gentilissimo con tutti. Una volta il mio kunai si era incastrato su un ramo troppo alto e io non sapevo ancora controllare il chakra e quindi non potevo arrampicarmi. L’ha fatto lui per me. Sì, è quasi scivolato, ma… è stato l’unico ad avermi aiutato a prenderlo. Gentile, appunto. E molto sorridente” terminò il suo ritratto con soddisfazione.
Itachi paragonò quella descrizione con il ragazzo aveva visto per brevi istanti al villaggio, con un espressione funesta e gli occhi arrabbiati, e poi allo shinobi che aveva tenuto testa a Kakashi-senpai.
“Siamo sicuri di parlare dello stesso Uchiha Obito?”
Shisui sbatté le palpebre perplesso e socchiuse la bocca. “Perché? Non ricordo omonimi”.
Sorvolò su quel commento e tornò al punto originale. “Quindi, oltre a dirti di Obito?”
“Be’, vuole che io lo sorvegli. Mi ha detto che ha un Mangekyo, quindi probabilmente al momento sono l’unico che può tenergli testa”.
Quell’affermazione gli fece scattare qualche campanellino nella testa, significava che il Sandaime aveva qualche motivo per non fidarsi di Obito. Forse il suo sospetto non era sbagliato.
“Perché te l’ha chiesto?” domandò deciso.
Il suo tono fece accigliare ulteriormente Shisui. “Immagino sia per… be’, lo sai”.
Il colpo di stato.
A quel pensiero entrambi tacquero, ricordandosi della spada che pendeva sulle loro teste. Ormai la rabbia degli Uchiha era diventata uno tsunami che temevano di riuscire più a trattenere, cresceva ogni giorno di più e, effettivamente, l’aggiunta di un altro Uchiha così potente non aiutava la situazione.
“A mio padre Obito non sta simpatico” disse Itachi, quasi questa fosse una consolazione.
“Sì, mi ricordo non andassero d’accordo” annuì Shisui distrattamente, ma poi posò gli acuti occhi su di lui scrutandolo a fondo. “’Tachi, va tutto bene? Mi sembri turbato”.
Non si stupì che avesse indovinato il suo umore, Shisui era il suo migliore amico, probabilmente la persona che lo conosceva meglio fra tutti, forse l’unico che lo conosceva davvero… Del resto solo lui sapeva del suo timido sogno di diventare Hokage. A volte faceva paura notare quanto lo capisse, come gli bastasse guardarlo nel viso per capire come si sentiva.
Strine i fili d’erba tra le dita, quasi strappandoli.
“Ti ricordi come ho risvegliato lo sharingan?”
Shisui annuì. “Il nukenin che ha attaccato la tua squadra”.
“Era un Uchiha”.
Ci fu un lungo silenzio alla sua ammissione, così lungo che si sentirono solo i grilli estivi e il ronzare di qualche altro insetto. Shisui lo stava guardando con gli occhi sbarrati, come un fantasma.
“Oh. Questo me lo sono dimenticato ed è strano perché è un dettaglio importante, insomma me lo sarei assolutamente dovuto ricordare…”
Itachi si sforzò di non alzare gli occhi al cielo, visto che sapeva di essere lui nella parte del torto.
“Non te l’ho detto” ammise.
Ora la smorfia di Shisui divenne ancora più ridicola, soprattutto molto offesa.
“Certo, perché è qualcosa su cui sorvolare! Insomma, a chi importa che il nukenin che voleva uccidere il nostro daymio fosse un Uchiha?!”
Strinse gli occhi per il rantolo acuto con cui terminò la frase, anche se non poteva dargli tutti i torti. Sapeva di aver omesso un’informazione importante, quasi fondamentale… Ma l’atteggiamento melodrammatico di Shisui a volte era un po’ troppo, perché non poteva reagire in modo calmo e basta?
“L’Hokage lo sa almeno?” domandò, anche se era evidentemente offeso all’idea di essere stato escluso.
Ecco.
“No”.
Si aspettava un’altra sfilza di commenti sarcastici e drammatici, ma forse qualcosa nel suo tono doveva aver fatto capire a Shisui che non era più il caso di scherzare.
“Perché no?” domandò quindi confuso.
Va bene, poteva accettare che non glielo avesse detto – forse –, ma tacerlo all’Hokage?
“Temevo… che le cose peggiorassero così per il clan” spiegò. “Quindi non l’ho detto. Ma quel nukenin aveva lo sharingan, l’ho visto”.
Shisui si mosse nervoso, sedendosi a gambe incrociate e pizzicandosi le braccia nude.
“È impossibile. L’ultimo e unico nukenin Uchiha è stato Uchiha Madara”.
“E Obito”.
“Cosa c’entra? Lui era morto!”
“Il fatto che non era davvero morto” gli fece notare.
“Cosa, tu… woah!” realizzò. “Tu stai dicendo che quel nukenin è Uchiha Obito?”
Non annuì, si limitò a fissarlo mortalmente serio. Era tutta la notte che ci pensava, da quando aveva assistito allo scontro.
“Oggi, durante lo sparrig ha usato una katana. La stessa katana che aveva anche quel nukenin”.
Anche Shisui si rendeva conto che non poteva essere una semplice coincidenza e contrasse lo sguardo, combattuto.
“È impossibile, Obito non lo farebbe mai. Aiutava le vecchiette a portare la borsa della spesa, non è un assassino”.
“È un ninja, è un assassino” gli fece notare impassibile. “E credo che sia cambiato molto rispetto a un tempo. Mio padre non ne ha parlato, ma si capisce”.
Shisui si alzò cominciando a camminare in cerchio sul campo di allenamento. Portò perfino le mani tra i capelli ricci, arruffandoli ancor di più. A Itachi piacevano i capelli del cugino, era morbidi e soffici, diversi da quelli di qualsiasi altro membro del clan. Tutti dicevano che li aveva ereditati da suo nonno Kagami.
“Quindi se è vero, noi abbiamo accolto tra le nostre file il potenziale assassino del nostro Signore” disse alla fine con voce stridula. “Mentre il nostro Clan sta progettando un colpo di stato. Ottimo! Proprio quello di cui avevamo bisogno: altri problemi”.
Itachi condivideva la sua preoccupazione, anche se con meno sarcasmo. Strappò alcuni fili d’erba, incapace di tenere le mani ferme.
“Devo dirlo? All’Hokage?”
“E ammettere quell’omissione?” rincarò Shisui, incrociò le braccia. “Siamo gli unici Uchiha di cui si fidano, se confessi di aver taciuto su una cosa del genere non si fideranno più. Forse l’Hokage, ma non quelle vipere dei consiglieri…”
Itachi si risentì un po’ al tono sprezzante. “Danzō-sama si fiderebbe. Conosce il mio valore e non mi getterebbe via per così poco”.
“Danzō dovrebbe levare il suo brutto muso dalla vista” disse con rabbia e lo indispettì ancor di più. Itachi non capiva perché improvvisamente Shisui fosse diventato così critico nei confronti del vecchio consigliere, era passato dal rispettarlo a odiarlo in pochissimo tempo.
“Serve Konoha e i suoi consigli sono preziosi, se non ci fosse lui…”
“Staremmo meglio” garantì Shisui con decisione.
Sbuffò. “Perché improvvisamente lo odi così?”
L’altro ragazzo non rispose, lo guardò a lungo come se fosse incerto e combattuto, soprattutto molto spaventato. Alla fine si strinse le braccia al petto e scosse la testa.
“Lascia stare. Sei tanto intelligente, ma certe cose non le capisci ancora…”
Itachi avvampò di vergogna, non c’erano nulla che non potesse capire e odiava che proprio Shisui in quel momento lo sottovalutasse. Ma prima che potesse protestare, l’amico fece un passo indietro.
“Senti, è tardissimo e tu stavi sicuramente dormendo. Mi dispiace di averti svegliato, meglio se torni a casa”.
“No, adesso mi dici cosa intendi” pretese.
Shisui lo guardò stancamente, ma ciò che lo confuse fu la piccola paura che ancora vedeva nel fondo dei suoi occhi.
“Non è niente di importante” lo rassicurò. “L’ho detto solo perché non sapevo come controbattere, lascia stare”.
Non ne era per nulla convinto, Shisui da un po’ era troppo strano, come se ci fosse qualcosa che lo turbava… ma anche quella volta pensò che si trattasse del colpo di stato, in fondo stava investendo tutte le loro energie.
“Ci vediamo domani?” chiese quindi come ramoscello di pace.
Shisui sorrise, visibilmente sollevato. “Ovviamente, così sarò abbastanza riposato da dare risposte sensate” sorrise.
Itachi ricambiò il sorriso, anche lui più sereno. Litigare con Shisui era l’ultima cosa che voleva, senza di lui sarebbe stato sicuramente perso. Certo aveva Sasuke, ma suo fratello era un bambino… Shisui era Shisui, colui con cui poteva parlare di tutto senza timore.
“Solito posto?” domandò il cugino.                       
Annuì. “Mi mandi tu il corvo?”
“Ovviamente”.
Allargò il sorriso rinfrescato dalla complicità che stava provando e ogni titubanza che aveva provato prima sparì quando, scherzosamente, Shisui fece battere i loro pugni. Era bello avere qualcuno con cui affrontare tutto il resto.
 
 
 
 
Weee, non troppo tardi questa volta!
Spero che questo capitolo un po’ più slice of life vi sia piaciuto ^^ Hanno fatto la loro apparizione personaggi che avranno qualche ruolo nella trama, Kakashi e Obito sono riusciti a parlare senza uccidersi e Anko si è mostrata interessata alle capacità di Nozomi, ovviamente perché spera possa levarle il sigillo maledetto. E poi c’è Danzo, perché i malvagi non vanno mai a dormire xD
Vi ringrazio tantissimo per le recensioni!
Hatta
   
 
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