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Autore: H0sh1    21/08/2020    1 recensioni
Ethan è affetto da schizofrenia, un uomo che non riesce a distinguere la realtà dalla finzione costruita ad arte dalla belva che lo perseguita.
In una notte tranquilla, questa prende il sopravvento su di lui, portandolo ad uccidere Allison, sua moglie.
Dopo l'evento, Ethan viene dichiarato come non in grado di affrontare un processo, per cui viene rinchiuso nel manicomio della città dove il dottor Johnson, psichiatra che lo segue dagli inizi, continua la sua terapia, adoperando metodi drastici e inumani.
Intanto, dopo la morte di Allison, la visione di sua moglie continua a perseguitarlo in quelle mura asettiche, trascinandolo giù, sempre più in basso.
Genere: Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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La follia di Ethan

Capitolo 3


Il cigolio della pesante porta lo risvegliò da un sonno popolato da incubi. Non importava quanto veloce corresse via dallo scenario in cui cadeva preda, il corpo senza vita dell'unica donna che avesse mai amato era sempre lì. Un orrendo monito di un'altra persona cara strappatagli crudelmente dalla vita.

Due infermieri lo presero con sé di peso tirandolo giù dal letto, portandolo fuori dalla sua camera e verso una meta a lui sconosciuta.

Ethan provò con tutte le sue forze a dimenarsi e scalciare per liberarsi, ma tutto fu inutile in quanto i due infermieri erano molto più forti di lui. La loro presa sulle braccia quasi gli bloccarono la circolazione del sangue.

Lo portarono in una stanza dove un grande lampadario illuminava un lettino, al centro dell'ambiente. Ad attenderlo c'era del personale in camice bianco e in Ethan si manifestò il panico quando non fu in grado di vedere nessuna faccia conosciuta. Tutti predatori che fissavano affamati la propria preda, pregustandosi il lauto pasto.

«Che sta succedendo? Lasciatemi!» Continuò ad urlare e ad agitarsi mentre venne spinto verso quel lettino attorniato da demoni di bianco vestiti.

Lo fecero stendere in malo modo, legandogli sia i polsi che le caviglie con spesse cinghie di cuoio, facendo in modo di evitare che lui potesse muoversi.

Ethan, profondamente spaventato, cominciò a percuotere gli spessi cinturini violentemente, pregando di essere liberato. Il suo animo sembrò quietarsi soltanto quando vide il viso del dottor Johnson che, dai piedi della branda, lo guardava, scuro in viso.

«Non sarei mai voluto arrivare a questo, Ethan.» gli disse con voce ferma e decisa, sinceramente risentito.

«Che significa?» inveì la preda di rimando, scuotendo nuovamente le cinghie ornate di catene il quale rumore metallico si disperse nella stanza.

«Ho deciso di apportare un cambiamento alla tua cura.» Mentre Johnson parlava, Ethan percepì uno dei medici premergli sul viso una mascherina.

«Toglietemi questa roba di dosso!»

«È solo per il tuo bene.» continuò lo psichiatra, cercando, con un tono pacato della voce, di farlo tornare alla calma.

«Non sono io quello malato, sono loro!» continuò a urlare Ethan da sotto la maschera. Vagò con gli occhi per la stanza, fino a vederla: Allison era acquattata in un angolo a braccia conserte, attonita. «Allison, diglielo tu! Digli quello che è successo!» gridò poi alla donna che però non fece altro che protrarre il suo silenzio.

«Lo vedi? È questo il problema.» Lo psichiatra si spostò dai piedi del letto per avvicinarsi al suo fianco, a passo lento. «Sei peggiorato, le tue allucinazioni continuano ad aggravarsi e tu non fai nulla per cambiare le cose.»

«Ma cosa dice, è proprio lì, non vede! Allison, ti prego, dì qualcosa.»

L'uomo prese a dimenarsi con maggiore foga tanto che il medico che teneva la maschera dovette rafforzare la presa.

«Ethan,» lo richiamò lo psicoterapeuta spazientito, con un tono di voce molto più freddo di quanto avrebbe realmente voluto usare. «non c'è nessuno lì. Ma stai tranquillo, presto ti guariremo.»

Mentre l'uomo continuava a dimenarsi per sottrarsi alla presa ferrea delle cinghie, il medico che lo stava tenendo fermo per la testa enunciò la sua sentenza: «Siamo pronti, dottore.»

«Bene. Iniziamo.»

Ethan, nel suo agitarsi, vide lo psicoterapeuta avvicinarsi ad una macchina bianca che, lentamente, avvicinò al centro della stanza, verso di lui.

Senza preavviso, il medico che poco prima gli aveva tenuto la mascherina premuta sul viso lo costrinse ad aprire la bocca con forza, inserendovi un apribocca che Ethan fece per sputare, ma l'infermiere provvide a riportarlo al suo posto.

Subito dopo sentì qualcosa di freddo venirgli applicato sulle tempie e qualcos'altro di morbido vi veniva adagiato.

«Basta, lasciatemi stare!» biascicò l'uomo, cercando di sottrarsi alla presa dei cuscinetti che gli ghermirono le tempie nella loro dolce morsa.

«Non voglio mentirti,» disse Johnson poco prima di girare una manopola del macchinario. «sarà doloroso.»

Quelle furono le parole che aprirono le porte dell'inferno.

Una scarica elettrica trapassò il capo di Ethan e sentì un fortissimo dolore pervadergli tutto il corpo. Gli arti si irrigidirono, quasi non li sentì più; il respiro gli si bloccò, invano fu il tentativo disperato di introdurre aria nei polmoni, gli era impossibile.

Avrebbe voluto urlare, dimenarsi, ma i muscoli non risposero a nessun comando, costringendolo a subire quella tortura immonda.

La scossa durò solo una decina di secondi che parvero interminabili. Quando quella cessò, i muscoli tornarono a rilassarsi e lui sentì le lacrime far capolino e inumidirgli le gote.

Sentì Johnson dire qualcosa, ma non riuscì bene a capire perché tutti i suoni erano ovattati, lontani. Fece solo in tempo a riprendere un po' di fiato, il corpo scosso da spasmi incontrollati, prima che una nuova scossa – un po' più forte della precedente – tornasse a colpirlo.

E allora il corpo tornò rigido, guardò fisso il soffitto ad occhi spalancati, pervaso da un dolore indicibile.

Ne contò tre, quattro, tra le lacrime e futili suppliche di smetterla di dargli tormento, ma dopo la quinta, man mano che le scariche si fecero più forti insieme al dolore, smise di contarle e ogni speranza per un briciolo di pietà svanì insieme all'elettricità che si propagò inesorabile in tutto il corpo.

Tra una pausa e l'altra, nell'angolo, Allison si lasciò andare ad uno sfogo che solo un uomo in quella stanza riusciva a vedere, rannicchiata a terra con le mani tra i capelli e urlando disperata per un'agonia che non poteva fermare.

* * *

Un grandissimo mal di testa lo costrinse a destarsi dal suo sonno. Era di nuovo nella sua stanza, disteso a letto e scosso ogni tanto da spasmi involontari causati dalla terapia elettroconvulsiva di poche ore prima.

Non ricordava molto, solo le ultime parole di Johnson.

E una figura.

Non era chiara, tutti i ricordi sembravano essere annebbiati, e per quanto si sforzasse di pensare a chi potesse essere non riusciva a capirlo. Una donna piangente che prima c'era e poi non più.

Il dolore martellante alle tempie non gli diede pace, era come se avesse la testa incastrata in una grande morsa che, pian piano, si stava restringendo fino a togliergli il respiro.

L'infermiera del giorno prima, quella in carne, gli portò un paio di antidolorifici da prendere, ma quelli sembrarono non sortire alcun effetto. Il dolore continuava ad essere il suo unico e vero compagno in quella stanza buia.

Si sentiva confuso, assetato e affamato. Prima che l'infermiera potesse uscire, la supplicò per avere un po' d'acqua, magari del cibo. L'altra se l'era scrollato di dosso, facendolo retrocedere di qualche passo. Aspetta la cena, gli aveva detto indifferente prima di lasciarlo di nuovo in quella stanza oscura, da solo con la sua agonia.

Dalla sera precedente fino al primo pomeriggio non gli fu somministrato né cibo né acqua, lasciandolo a digiuno in vista del trattamento.

Ethan non capì perché tanto dolore gli veniva inferto, ed era in una di quelle notti che l'oscurità decise di tornare a giocare ancora con lui.

Un complotto.

Sì, doveva essere così, che altra spiegazione poteva esserci? Volevano vederlo morto, ma non gli avrebbero concesso un trapasso rapido. Era evidente che loro, sadicamente, volevano gustarsi ogni momento di agonia, vedendolo implorare pietà.

Gli infermieri, ma certo! Dovevano essere loro il braccio degli uomini in nero, operavano per volere loro!

E la bestia, nell'angolo della stanza e fiera del suo operato, rise sguaiatamente nella sua veste scura, gustandosi il dolce nettare di tanta sofferenza.

   
 
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