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Autore: Mary P_Stark    24/08/2020    1 recensioni
Liza Wallace è la nuova Geri del branco di Clearwater e, a discapito della sua giovane età, dimostra fin da subito di avere un potenziale enorme; il rapporto davvero unico con i suoi Huginn e Muninn, i magici corvi al servizio del Sicario Umano del branco colpisce fin dall'inizio l'intero branco. Questo suo potenziale verrà subito messo alla prova quando, a sorpresa, giungerà a Clearwater una famiglia proveniente da New York. I Sullivan sembrano una famiglia normale, almeno all'apparenza, ma il figlio Mark e suo padre Donovan metteranno in allarme il branco a causa del loro comportamento sospetto. Saranno dei temuti Cacciatori, o qualcun altro si cela nell'ombra, più pericolo e subdolo, tentando di portare lo scompiglio nel branco di Lucas, Devereux e Iris? (particolari della storia presenti nei racconti precedenti della Trilogia della Luna)
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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1.

 

 

Settembre 2019 – Clearwater

 

Bell’affare, essere una Geri. Era costretta a svegliarsi alle cinque del mattino per occuparsi dei suoi corvi, fare colazione ancora mezzo addormentata per poi parcheggiare il didietro sul pick-up del fidanzato di sua cugina per farsi scarrozzare fino a scuola.

Non che farsi vedere in giro con quel Marcantonio di Devereux Saint Clair non fosse piacevole; tutte le ragazze della sua età lo guardavano con la bava alla bocca, e guardavano lei piene di invidia. Il punto era che Dev, oltre quel bel faccino e quel fisico spettacolare, era un autentico dittatore sotto molti punti di vista, ivi compresa la scuola.

Vivere a casa Saint Clair si era rivelato qualcosa di molto simile alla vita in una caserma, almeno agli occhi di Liza, abituata com’era ai ritmi più blandi del life style di una teen-ager di L.A.

Devereux era inflessibile in merito all’ordine che doveva regnare in casa ma, a detta di Chelsey, ciò non dipendeva dal suo nuovo naso di licantropo, ma da una sua consolidata mania “da straccio e candeggina”, come la chiamava la figlia.

Inoltre, per quel che riguardava gli studi, era dittatoriale. Esigeva da loro il massimo impegno e, per ottenerlo, era disposto a qualsiasi compromesso.

Iris si era rivelata identica, in tal senso, e Liza non aveva potuto che adeguarsi, trasformando poco alla volta il suo personale caos primordiale in qualcosa che incontrasse maggiormente i favori del padrone di casa.

A ogni buon conto, Liza doveva ammettere che, alla fine, Dev si era dimostrato anche un ospite davvero simpatico e gradevole. Si era messo subito a sua disposizione per sistemare la stanza che Liza avrebbe occupato, trasformandola nel modo a lei più congegnale.

Il risultato lasciava spesso senza fiato la ragazza, pur se erano ormai mesi che dormiva in quella camera. I legni levigati alla perfezione, di una calda tinta color ciliegio, ben si erano sposati con gli arredi che lei aveva portato da casa. Inoltre, Dev le aveva aggiunto un paio di prese per il computer e per internet, così che lei potesse lavorare agevolmente con il PC anche dalla sua stanza.

Il fatto che, all’interno della camera da letto, vi fossero uno stereo di ultima generazione e un computer dallo schermo gigante, era irrilevante. A Liza piaceva un sacco abitare in quel luogo così immerso nel verde della foresta, e in una casa che ricordava gli chalet di Aspen che tanto amava.

«Terra chiama Liza… ci sei?» domandò Devereux, risvegliandola dal suo sogno a occhi aperti.

Liza sbadigliò sonoramente, annuì distratta e, curiosandosi una mano – dove Muninn l’aveva becchettata per avergli servito per secondo la colazione – borbottò contrariata: «Dovrò scambiare due parole con Branson, per sapere se i suoi uccellacci sono così invidiosi l’uno dell’altro. Muninn mi ha sgridata, stamattina, e per una cosa davvero assurda!»

Dev ridacchiò di quel commento all’apparenza senza senso – se loro fossero stati una famiglia qualunque, per lo meno – e, rallentando per avvicinarsi all’ingresso della scuola, chiosò: «Ho idea che due maschi, alle prese con una femmina affascinante e premurosa, saranno sempre e comunque invidiosi. Anche se sono di specie diverse dalla tua.»

Liza lo ringraziò per il complimento, stampandosi in viso un dolce sorriso tutto fossette e Devereux, tra sé, si chiese cosa sarebbe successo quando, un domani, la ragazza avesse messo gli occhi su qualcuno.

Avrebbe dovuto chiamare Richard, o se ne sarebbe dovuto occupare lui? Di sicuro, con due occhietti grigi così vispi, un visino dolce come il suo e due labbra a cuore del color delle ciliege, Liza avrebbe sempre attirato su di sé parecchi sguardi.

Certo, sarebbero bastati due minuti scarsi di conversazione, per ricredersi sul suo apparente stato di bellezza delicata e senza nervo. Liza poteva frantumarti le ossa anche solo parlando… figurarsi se avesse messo in campo ciò che sapeva di arti marziali miste.

Da quel che Rock gli aveva detto, se lui non fosse stato un licantropo, avrebbe collezionato diversi lividi, a causa della bravura di Liza nell’imparare quelle tecniche di difesa.

La ragazza appariva come un pacchetto regalo finemente confezionato ma, al suo interno, non era detto che una persona interessata avrebbe trovato quanto immaginato. Liza era fuoco e fiamma, non era solo un bel visino di porcellana.

«Sarà anche vero, ma dovrò spiegarmi. Non voglio perdere un’unghia, una di queste volte, e solo perché uno dei due si sente sminuito» brontolò la ragazza, succhiandosi il dito arrossato dalla beccata.

Chelsey assentì comprensiva, dal sedile posteriore del pick-up, replicando: «Se vuoi, farò loro un discorsetto da lupa a corvo. Sono sicura che capiranno.»

Le due ghignarono complici subito dopo, e Dev lanciò una preghiera mentale per i due poveri corvi. Avrebbero avuto male alle orecchie per giorni, dopo la ramanzina di Chelsey.

Arrestato il pick-up nei pressi del parcheggio della scuola, Dev spense il motore dell’auto e, immancabile, lo sguardo corse alla piccola Smart ForTwo di Iris, parcheggiata nell’area riservata agli insegnanti. Un mezzo sorriso gli si dipinse spontaneo sul volto, mentre Chelsey e Liza sghignazzavano impunemente di fronte a quell’occhiata piena di desiderio malcelato.

Essendo un’insegnante della Secondary High School di Clearwater, dove anche Liza avrebbe iniziato a studiare da quel giorno - ripetendo il primo anno di liceo - Iris aveva preferito non metterla in imbarazzo accompagnandola a scuola.

Sarebbe già stato ironico incontrarsi lungo i corridoi o a lezione di musica; giungere nel parcheggio assieme a lei, avrebbe messo inutilmente altra carne al fuoco.

Il problema di fondo, per Liza, era però solo uno; essere sbattuta giù dal letto le dava assai noia. Per lei, la scuola avrebbe dovuto iniziare dopo le due del pomeriggio. Punto. A tutto il resto, poteva soprassedere.

«Allora, ricordate tutt’e due. Nonna Betty vi aspetta in negozio, e lì passerà poi a prendervi Iris verso le cinque e mezza» sottolineò per la decima volta Devereux, fissando sia Chelsey che Liza come se avesse avuto a che fare con due criceti.

Sospirando, Liza fece un cenno esasperato a Chelsey perché scendesse e, dopo averlo fatto, si accostò al finestrino aperto di Dev, guardò l’uomo con aria di sufficienza e disse: «Sono sopravvissuta a L.A., Devereux. Possiamo farcela ad arrivare illese alla porta della scuola. Dista circa… quaranta metri, no?»

«Sei sotto la mia tutela, ragazzina, finché starai a casa mia, perciò ti stresserò per tutto il tempo che riterrò necessario, credimi» sottolineò per contro l’uomo, ghignando furbo. «E lo farò, posso assicurartelo.»

«Oh, non avevo dubbi in merito, davvero» ribatté Liza, levando ironica le sopracciglia. «Ma dammi retta, non c’è bisogno di tutte queste raccomandazioni. Ho già chi ci sorveglia.»

Ciò detto, indicò verso il cielo e Devereux, seguendo la traiettoria del suo dito, storse il naso e borbottò: «Quegli uccellacci sono peggio di una zecca attaccata al…»

Scoppiando a ridere, Liza si allontanò dalla portiera prima di poter sentire il termine di quell’elegante affermazione e, nel passare dinanzi al pick-up mano nella mano con Chelsey, salutò ironica Dev e infine si diresse verso la scuola.

Tutta ridente, Chelsey disse: «Papà non lo ammetterà mai ma si diverte un mondo, quando lo punzecchi così.»

«Uomini come lui non ti diranno mai che ti vogliono bene. Ma in qualche modo te lo faranno sempre capire» chiosò lei, scrollando le spalle.

«A me, papà lo diceva» borbottò Chelsey, prima di aggiungere: «Ora, però, molto meno. Ma mi piace anche questo nuovo sistema, perché come… beh, come papà è molto affettuoso.»

Mordendosi la lingua per mascherare la gaffe a malapena evitata, Chelsey salutò poi Liza per dirigersi verso le classi inferiori, dove lei avrebbe iniziato il nuovo anno.

Non doveva essere facile, per una ragazzina ciarliera come Chelsey, limitarsi nel parlare per non ammettere con tutti la sua doppia natura, ma lei ci stava riuscendo alla grande.

Liza era ammirata dal suo coraggio e dalla sua forza d’animo – in fondo, quando si era trasformata per la prima volta, nessun’altra ragazzina della sua età era stata come lei – e, in cuor suo, fu lieta che ora non fosse più sola.

Lo smantellamento del branco di Logan e Julia per merito dell’intervento di Lucas , Dev e Iris, aveva lasciato orfane diverse famiglie, così come molti lupi solitari. Tra loro, Darren – fratello di Logan – si era prodigato più di tutti perché questo vuoto di potere non portasse a conseguenze tragighe.

Scoprire di essere stati soggiogati per anni dalla Voce del Comando di Logan, aveva portato i licantropi dell’ormai deposto branco a chiederne la morte, e così era infatti avvenuto. Questo, però, li aveva anche resi insicuri e privi di una guida.

Darren, quindi, aveva chiesto aiuto a Lucas, che si era dichiarato disposto ad accogliere a Clearwater chiunque lo avesse desiderato.

L’arrivo di queste nuove famiglie di licantropi, aveva quindi consentito a Chelsey di conoscere tre nuovi ragazzi suoi coetanei; due femmine e un maschio. Non era molto, forse, ma era stata un’autentica fortuna, per la ragazza, non essere più sola in quel mondo popolato in gran parte da adulti dotati di pelo e zanne.

Concedendosi un ultimo sorriso all’indirizzo di Chelsey, Liza sbirciò il suo foglietto con gli orari per la settimana e, di buona lena, raggiunse il piano superiore dello stabile, dove cercò l’aula di Storia e, con essa, la sua nuova classe.

Controllando uno a uno i cartelli appuntati al muro, la ragazza andò quasi a sbattere contro un giovane incappucciato e dalla schiena incurvata. A Liza diede l’idea di una persona tesa e preoccupata, non necessariamente debole, ma pronta a subire un’aggressione da un momento all’altro.

La sua reazione, per lo meno, glielo fece credere perché, non appena la sua ombra sfiorò quella del ragazzo, questi sobbalzò e la squadrò, irritato e guardingo, con i suoi immensi occhi di smeraldo.

Preferendo non prenderla sul personale – era chiaro che quel ragazzo era reduce da frequenti atti di bullismo, per avere timore anche di un’ombra – lasciò perdere e si stampò in faccia un sorriso.

Scusandosi con un risolino, Liza sollevò il cartellino con gli orari e chiosò: «Scusa, sono nuova di qui. Stavo cercando l’aula di Storia e, per poco, non facevo diventare entrambi storia antica, avanzando a testa bassa come stavo facendo.»

Il ragazzo, allora, accennò un sorrisino timido e, forse tranquillizzato dal fatto che lei fosse solo una ragazza, mostrò il proprio, di cartellino, mormorando: «Siamo in due, allora.»

Ringalluzzita da quella novità, Liza avanzò di un passo verso di lui per controllarne gli orari; lei era si sentiva a proprio agio con tutti, anche con un perfetto sconosciuto, perciò la vicinanza con gli altri non le era mai pesata.

Il ragazzo la lasciò fare, in parte sorpreso da tanta intraprendenza, in parte colpito da quella ragazza dai chiari occhi color del ghiaccio e dalla folta chioma castana, che sembrava così padrona di sé nonostante fosse, al pari suo, un nuovo studente.

«Oh, abbiamo quasi tutte le materie insieme… possiamo perderci in coppia, allora» rise divertita Liza, allungandogli poi una mano con fare intraprendente. «Io sono Liza Wallace, tanto piacere.»

«Ah… Mark Sullivan. Piacere mio» balbettò lui, accettando la sua stretta, che trovò forte e sicura. Trattandosi di una ragazza, aveva preferito non essere incisivo, nello stringere, per timore di farle male ma, quando avvertì la sua forza, poté rispondere in modo più sincero a quel saluto.

«Hai parenti Nativi in zona, per caso? O degli amici? Te lo chiedo perché volevo cominciare Storia Tribale, visto che è nel programma di studi. Io conosco una donna che fa parte di una tribù di Piedi Neri e so che molti, nell’Alberta e nella Columbia Britannica, hanno parenti di quella tribù» si informò a quel punto Liza.

Mark sbatté le palpebre per la sorpresa, ben poco abituato a persone così ciarliere e, ancor meno, a ragazze così ciarliere e dirette e che lo trattavano con educazione. Nei suoi molti viaggi in giro per gli States e per il Canada, lui era sempre stato il forestiero, quello da tenere in disparte, il pel di carota raccomandato e nerd. Quello da prendere di mira per scherzi e battute idiote.

Da quando suo padre, il professor Donovan Sullivan, si era imposto di scoprire le reali cause della morte del fratello e della sua famiglia, la vita di Mark era drammaticamente cambiata.

Erano ormai dieci anni che lui, suo padre e la sua matrigna vagavano da un angolo all’altro del Nord America, seguendo chimere ogni volta diverse e tentando – sempre invano – di scoprire chi avesse annientato Derek Sullivan, sua moglie e sua figlia in modo tanto terribile.

A nulla erano valsi gli sforzi della polizia di fargli comprendere che si era trattato di un triste, drammatico atto di omicidio-suicidio. Suo padre non aveva mai accettato che il fratello avesse trucidato la famiglia per poi spararsi un colpo in testa.

Lasciando perdere la sua carriera alla Columbia, si era messo quindi in viaggio con il piccolo Mark e la sua prima moglie, Adele, mandando all’aria tutto, in primis il suo matrimonio.

Mark aveva seguito questo infinito e obbligatorio pellegrinaggio con sempre minore convincimento, arrivando addirittura a minacciare i genitori di abbandonarli per raggiungere i nonni paterni ad Atlanta.

Il padre, però, si era strenuamente rifiutato di accontentarlo e, complice la sua minore età e il rispetto che, comunque, Mark continuava a portare per il padre, il ragazzo aveva ingoiato il rospo e aveva ceduto ogni volta.

All’ennesima trasferta in una nuova città, Adele aveva pensato bene di usare il vecchio sistema del ‘scendo a prendere un pacchetto di sigarette’. Peccato che la donna non avesse mai fumato.

Semplicemente, un giorno non era più tornata a casa, lasciando il figlio ad attenderla invano dinanzi all’entrata della scuola. Quando il padre se n’era accorto, era andato su tutte le furio, ma non si era stupito di ricevere, due settimane dopo, le carte per il divorzio.

Quella era stata la prima, vera tempesta affrontata in famiglia, dacché erano partiti da New York, ma non era certo stata l’unica, né l’ultima.

Ve n’erano state diverse – come la richiesta di Adele di rivedere Mark perché conoscesse i suoi nuovi fratellastri – ma, alla fine, Mark vi aveva fatto il callo.

Certi tipi di tempeste, però, non erano facili da tenere a bada con le sole parole, o una pazienza infinita, e Mark aveva il sentore che Liza Wallace fosse quel genere di tempesta. Una tempesta, tra l’altro, niente affatto sgradevole, per una volta.

«No, mi spiace. Niente parenti in zona. Vengo da New York» mormorò spiacente Mark, facendo spallucce.

Liza sgranò lentamente gli occhi, a quella notizia e, con un fischio modulato, esalò: «Miseria ladra. Sei ancor più lontano da casa rispetto a me!»

Levando un sopracciglio con evidente sorpresa, Mark le domandò: «Perché? Da dove vieni?»

Lo squillo della prima campanella fece rabbrividire Liza che, afferrato il polso di Mark, lo trascinò con sé lungo il corridoio e disse: «Te lo spiegherò dopo. Adesso è vitale che troviamo l’aula, o faremo la classica figura degli idioti!»

Mark la lasciò fare – sempre più sorpreso dall’intraprendenza di quella ragazza – e, assieme a Liza, cercò la fantomatica aula di Storia, trovandola ovviamente alla fine del loro lungo peregrinare per i corridoi.

Catapultandosi dentro praticamente come una carica di cavalleria, attirarono inevitabilmente l’attenzione, ma Liza non vi badò affatto. Avendo passato l’intera primavera ed estate a Clearwater, la ragazza conosceva bene o male quasi tutti i giovani della zona. Non trovò quindi strano incrociare qualche faccia conosciuta in quel mare di volti sorpresi e, levata una mano a mo’ di saluto, esclamò: «Ehi, ciao a tutti!»

«Ciao, California!» ciangottarono in coro due ragazze dalle chiome corvine, mentre una terza – biondo platino e dai chiari occhi azzurro lapislazzulo – le strizzò l’occhio con complicità.

Trascinandosi ancora dietro Mark – rimasto in religioso silenzio e e con lo sguardo ben piantato verso terra –, Liza si avvicinò a un paio di banchi ancora liberi, vi gettò sopra la propria sacca ed esalò sgomenta: «Stavamo per perderci… e dire che questa scuola è molto più piccola di quella che frequentavo prima!»

«Stavamo?» ripeté la ragazza corvina più alta, indirizzando uno sguardo curioso al nuovo arrivato, che teneva ancora caparbiamente il cappuccio della felpa ben calato sul capo. «Hai appena cominciato e già fai conquiste, California? Io sono Marianne Colby, comunque… e tu?»

«Mark Sullivan» replicò telegrafico il ragazzo, lo sguardo fisso sul banco.

«Ci pensi? Arriva da New York!» esclamò eccitata Liza, attirando così l’attenzione dei presenti.

Mark la fissò a metà tra l’esasperato e l’imbarazzato ma, grazie a Liza, nel breve decorrere di un minuto, - e per la prima volta in vita sua - passò dall’essere il ‘ragazzo tappezzeria’ all’ ‘autentico interesse della scuola’.

L’arrivo dell’insegnante di Storia interruppe il terzo grado della classe e, quasi con gratitudine, Mark si sedette al suo posto, aprendo il suo nuovo libro, con il suo nuovo quaderno e il suo nuovo astuccio.

Non avevano portato nulla, con loro, da quando erano partiti da New York dieci anni addietro, a parte una cosa, e di quella avrebbe ben volentieri fatto a meno. L’ostinazione di suo padre, in effetti, avrebbe ben volentieri voluto gettarla nel primo lago disponibile, ma ovviamente non poteva.

Quando, però, si rese conto di chi fosse il suo insegnante, si disse che dopotutto avrebbe fatto volentieri a meno anche di qualcos’altro.

«Buongiorno a tutti, ragazzi. Io sono il vostro nuovo insegnante di Storia…» esordì un uomo alto, robusto e dalla folta e ordinata barba rosso scuro. «…sono Donovan Sullivan, e non vedo l’ora di cominciare questo nuovo anno assieme a voi.»

Come un’onda di piena, gli studenti della classe si volsero in direzione di Mark e lui, tra un’imprecazione sibilata tra i denti e molte di più urlate mentalmente, calò maggiormente il cappuccio sul viso e pregò di sparire.

***

Di comune accordo – o meglio, prendendo l’iniziativa e lasciando ben poche possibilità di replica a Mark – Liza e Chelsey decisero di accompagnare a casa il loro nuovo amico.

A Mark non restò altro che appaiarsi alle ragazze, non avendo trovato nulla di abbastanza valido per scantonare l’autoinvito delle sue due nuove conoscenze. Con tutta probabilità, già dal giorno seguente i ragazzi della classe lo avrebbero preso debitamente in giro, ma in fondo a Mark poco importava.

Se si fosse trovato lì a Clearwater per restarci, si sarebbe anche preoccupato un poco ma, per come si era sempre comportato il padre in quegli ultimi dieci anni, dubitava che sarebbe rimasto tanto a lungo da doversi agitare per qualche chiacchiera.

La sua vita era una continua giostra tra una città e l’altra, tra una ricerca e l’altra e, quando l’argomento era saltato fuori, quella mattina, lui aveva nicchiato di fronte a qualsiasi tentativo di trovare dei lati positivi in una simile esistenza.

Naturalmente, Liza Wallace era stata colei che più di tutti si era opposta al suo modo di vedere chiuso e limitato, ma lui l’aveva lasciata dire senza replicare. In fondo, si era anche divertito a sentire le sue lagnanze in merito al suo poco interesse provato per i tanti viaggi da lui intrapresi.

E, naturalmente, se avesse conosciuto bene Liza, avrebbe dovuto capire che un simile argomento, lasciato senza un potenziale finale, non avrebbe mai potuto essere accantonato dalla ragazza.

Da questo, in buona parte, era giunto l’autoinvito di Liza ad accompagnarlo a casa, a cui si era unita anche la piccola Chelsey.

Camminando appaiati lungo il marciapiede di Park Drive, in direzione dell’Old Caboose Pub e del vicino negozio per parrucchieri di proprietà della nonna di Chelsey, Liza chiosò cocciuta: «Secondo me sbagli. Lamentarsi perché i nostri compagni di classe trovano interessante la tua storia, mi sembra assurdo. La tua vita è stata interessante, almeno fino a qui.»

Sospirando per la centesima volta, Mark la guardò si soppiatto da sotto il cappuccio della felpa, chiedendosi se dovesse davvero tornare sull’argomento o se fosse meglio farlo morire per mancanza di spunti ulteriori.

Durante quella prima mattina a scuola, così piena di interrogatori e domande sibilline, Liza si era districata alla grande tra le mille e più domande dei loro nuovi compagni di classe. Con una calma olimpica e una marea di frasi spigliate, aveva spiegato a tutti della sua parentela con Iris Walsh, la nuova insegnante di Musica.

A ciò aveva fatto seguire un monologo senza sosta sulla sua precedente vita a L.A., condita da commenti, buffi anedotti ed espressioni facciali più eloquenti di un’intera enciclopedia.

Mark non ne sarebbe mai stato in grado.

Le poche volte in cui la discussione era invece gravitata su di lui, Liza aveva saputo trarlo d’impaccio con classe, bacchettando verbalmente i più maliziosi e dando peso solo al lato più avventuroso dei viaggi compiuti da Mark.

A suo modo di vedere, però, lui trovava difficile definire interessante la propria vita, passata a fare e disfare bagagli di anno in anno, cambiando sempre destinazione e sempre compagnie. Trovava piuttosto che vivere la propria vita in un unico luogo fosse di gran lunga preferibile.

In uno dei rari momenti in cui aveva potuto parlare con Liza senza essere interrotto, Mark aveva fatto notare a Liza quanto, dal suo punto di vista, la vita vissuta a L.A. dalla ragazza fosse stata invidiabile.

Lei, però, era sembrata del tutto indifferente al suo passato losangelino, trovandolo addirittura una perdita di tempo e preferendo di gran lunga parlare del suo primo approccio con Clearwater.

«Credo che, alla fine, sia interessante ciò che non si è mai sperimentato, ti pare?» replicò a quel punto lui, facendo spallucce e dandole finalmente corda.

La ragazza parve soppesare il suo dire e, dopo qualche istante, assentì con vigore. «Verissimo. Anche se credo che aver visitato tanti posti, e tutti così diversi, sia più stimolante che aver vissuto nella stessa via per sedici anni di fila, finendo con il massacrarsi tutti gli anni, negli stessi negozi, durante il Black Friday. Almeno, tu avrai potuto viverlo in ambienti sempre differenti, calpestando sempre persone diverse.»

Chelsey rise sguaiata di quel commento, al pari di Liza che si asciugò gaie lacrime d’ilarità, e Mark non poté che fare altrettanto, seppur in modo più garbato.

Senza alcuna fatica, comunque, si immaginò la grintosa Liza Wallace alle prese con i saldi di fine stagione e con le sue già perdenti – pur se agguerrite – avversarie. Aveva la vaga idea che avrebbe davvero potuto calpestare con foga qualcuno, pur di ottenere ciò che voleva.

Raggiunto che ebbero lo svincolo con Murtle Crescent, Mark si fermò e, indicando la modesta casa di legno bianco in fondo alla via, disse: «Io abito lì. Ci si rivede a scuola, allora.»

«A presto!» esclamarono in coro le due ragazze, tornando poi ad avviarsi lungo la via per raggiungere l’atelier di Betty.

Non appena furono a distanza di sicurezza, Chesley lanciò un’occhiata all’amica e chiosò: «Ha un buon profumo.»

«In che senso, scusa?» domandò la giovane, fissando la dodicenne con aperta curiosità.

«Sa di maschio pulito e sano. Non è un fanatico degli aromi artificiali, e il mio naso apprezza molto» le spiegò la lupetta, facendo spallucce. «Inoltre, sa di buono nel senso più puro del termine. Mi sembra un bravo ragazzo.»

«Beh, immagino sia un buon metro di giudizio, per determinare la buona volontà di una persona» sbatté le palpebre Liza prima di scoppiare a ridere con l’amica.

«Lo trovo anche molto carino, se proprio vuoi vederla in un altro modo» celiò Chelsey, prendendo sottobraccio l’amica mentre, insieme, balzellavano all’unisono lungo il marciapiede.

«Anche questo è un buon metro di giudizio» annuì Liza, trovandosi d’accordo. I suoi occhi verdissimi ben si sposavano con la carnagione chiara, le efelidi sul volto elegante e i capelli rosso carminio. Quel che la disturbava, in realtà, era la sua espressione perennemente corrucciata e triste.

Le spiaceva che il peregrinare suo e della sua famiglia lo avesse reso infelice e, peggio ancora, potesse aver reso tesi i suoi rapporti col padre. Da come si erano comportati in classe, le era parso di vedere due estranei a confronto, e non padre e figlio.

Lei, al contrario, aveva battuto il cinque con Iris a fine lezione, dichiarandosi più che felice di prendere lezioni dalla cugina.

Sembra un giovanotto guardingo, a giudicare dalla camminata.

Sobbalzando, Liza lanciò un’occhiata verso l’alto e, dopo aver inquadrato la figura di un corvo a diverse decine di metri sopra di lei, borbottò: “Ci stavi spiando?”

Niente affatto, Geri, ma è mio compito controllare che non ti succeda niente, e a questo mi attengo.

“Sei un cucciolo, Muninn. Cosa pensi di fare, anche quanto?”

Sarò anche un corvo giovane, ma il potere conferitomi da Madre mi da qualche vantaggio in più, rispetto ai miei simili, replicò con sussiego Muninn, facendola sorridere per diretta conseguenza.

“Le mie più sentite scuse, allora… comunque, Mark mi sembra un tipo a posto, e Chelsey mi fa degna guardia.”

Hai con te le tue armi?

“Sempre.”

Le piacesse o meno quella parte del suo ruolo, Liza aveva deciso di prendere molto seriamente il suo impegno come Geri e, ogni volta che usciva da casa, aveva con sé almeno uno dei suoi giocattolini in argento.

Che fosse un piccolo stiletto, o una più efficace cerbottana dai dardi avvelenati con ioduro d’argento, non usciva mai di casa disarmata. Le pistole nichelate che Branson le aveva regalato erano, invece, per le missioni ufficiali e, per quanto segretamente le piacessero, Liza pregava sempre che non dovessero mai uscire dalle loro fondine di pelle bianca.

Non voleva fare del male a nessuno ma, se Lucas l’avesse mandata in missione, avrebbe messo tutto il suo impegno per non deluderlo. Sentiva di essere nel posto giusto, e con le persone giuste, e non si sarebbe di certo risparmiata, pur di  adempiere al suo ruolo.

Lei era Geri del branco di Lucas. Non avrebbe mai dovuto dimenticarlo.


 

 

 


N.d.A.: facciamo la conoscenza di Mark, il nuovo arrivo nella classe di Liza, e scopriamo che suo padre sarà il nuovo insegnante di Storia per entrambi. Per ora sembra tutto normale, ma durerà? (Torno a sottolineare che la storia è un Crossover con la Saga dei Fomoriani, così che siate preparati per il futuro)
  
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