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Autore: kurojulia_    29/08/2020    1 recensioni
Una raccolta di vicende. Una raccolta di speciali episodi per ognuno dei personaggi del mondo di
Vampire Devil. Eventi importanti, eventi insignificanti.
[Da leggere DOPO la storia principale.]
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Loneliness & Stoic
knight.





Sentivo tanto trambusto. Il ché era strano, in vari sensi; a casa nostra, casa Akawa, non c'erano mai forti rumori, né si pensava anche solo di farne, perché mio padre non li amava per niente, e a nessuno sarebbe mai passato per la testa di infastidirlo.
E poi, noi vampiri, abbiamo la saggezza di non sprecare inutilmente le nostre energie, specialmente in certi momenti della giornata – e quello era uno dei famigerati momenti, dal momento che erano appena le sei del mattino.

Un orario decisamente improponibile.

 

Aprii gli occhi, uno alla volta, dandomi il tempo per abituarmi alla bianca luce del sole che filtrava tra le tende.

Ugh, pensai, non la sopporto proprio. Ma che sta succenden–

 

A quel punto – mentre io ero ancora distesa sotto le coperte – sentii mia madre urlare. Il tono della sua voce... faceva paura. Mi aveva così spaventata che, noncurante della luce, balzai subito a sedere. Gettai un'occhiata alla mia porta, chiusa, e scesi dal letto – lasciandomi il suo tepore alle spalle.

Ero ancora in pigiama, ma non potevo aspettare un secondo di più. In ogni caso, mi sarei solo affacciata per dare una sbirciata.

 


Aprii la porta silenziosamente, e infilai prima la testa fuori, per accertarmi che la via fosse libera; senz'ombra di dubbio, se qualcuno mi avesse notata mi avrebbe rispedito in camera mia seduta stante, perché "ero troppo piccola per capire". Era una sciocchezza bella e buona ma non avevo la facoltà di rispondergli a tono e... la cosa finiva lì.
Dopo essermi assicurata la via, uscii dalla stanza e richiusi la porta. Imboccai il corridoio della zona notturna della casa, superando la camera da letto dei miei genitori, e raggiunsi infine la balaustra che si affacciava al salone d'ingresso.
Mi accovacciai lì di fronte e guardai sotto di me – in tempo per capire cosa stava accadendo.

C'erano nostra madre, nostro padre, e qualche domestico, tutti intorno ad Alyon come un branco di lupi.

La voce di mio padre era un tuono. «Hai capito cosa ti sto dicendo, Alyon?», ringhiò. «Non tornare mai più in questa casa. D'ora in poi, se ti avvicinerai ad un solo Akawa, ti sarà data la caccia. Ti è chiaro?». Stette in silenzio per un istante, forse aspettando una risposta, e alla fine urlò: «RISPONDI!».

Il suo urlo mi fece tremare dalla testa ai piedi.

 

Mio fratello era fisso nel suo mutismo. Dal corridoio del secondo piano, lo guardavo ad occhi spalancati, sbigottiti – spaventata. Era vestito di nero, con una giacca e dei pantaloni, una camicia bianca. Sul suo viso c'era un leggero, leggerissimo sorriso, venerabile solo dal punto in cui mi trovavo.
Alyon alzò il viso. Le sue labbra si incresparono verso di me, mentre le mie tremarono vistosamente.

 

«Basta», singhiozzò mia madre. «Vai via. Mi sento male solo a guardarti».

Mio padre fece uno scatto verso Alyon e lo afferrò per il braccio, spingendolo con brutalità verso il portone di casa, già aperto. Lui non faceva niente per respingerlo, per difendersi, lasciandosi trattare come un cane randagio.

 

Quando raggiunsero la soglia e la luce inondava la schiena di Alyon, io mi alzai in piedi e scavalcai il parapetto, dandomi la spinta con le mani, e in un attimo mi trovai al pian terreno – ad un passo da mia madre; lei si voltò di scatto, paonazza in volto, incredula, ma io non mi fermai e corsi verso Alyon e papà più veloce che riuscii.
Semplicemente, non potevo permetterlo.

«NO!». Urlai, ma non sapevo perché. Io ed Alyon avevamo davvero un rapporto?
Eravamo fratello e sorella. Due fratelli che convivevano, così, perché ci si erano trovati. «Non puoi mandarlo via, non ha fatto niente di male!». Eppure era bello sedermi vicino ai suoi piedi di fronte al camino, ascoltando le pagine del suo libro mentre le sfogliava. Era bello quando veniva in carrozza, fino alla mia scuola, e tutte le mie “compagne” lo guardavano con occhi ammiranti. E io mi sentivo privilegiata.

 

Mi aveva sempre concesso il suo tempo. Non mi aveva mai lasciata sola.

 

«Kazumi. Spostati, se non vuoi farti male», sibilò mio padre, cercando di allontanarmi – con il ghiaccio negli occhi; mi ero aggrappata alla vita di Alyon, infrapponendomi tra di loro, abbracciando mio fratello a me.
Tra le lacrime, scossi e scossi la testa. «È mio fratello... non puoi... ». Era come un mantra. Mi reggevo a lui sempre più forte, sempre di più, anche quando mio padre mi afferrò per la spalle e mi tirò via, facendomi male solo con la forza delle dita.


«Smettila, Kazumi!». Papà sollevò la mano e lì capì che voleva schiaffeggiarmi. Sentii l'aria spostarsi e trattenni il fiato in gola, strizzando gli occhi – spaventata a morte.
Ma lo schiaffo non giunse mai. Nessun dolore.


Aprii le palpebre.



Come un cavaliere – quello dei sogni delle mie compagne – Alyon aveva bloccato la mano di nostro pare agguantandolo per il polso, mentre l'altro braccio mi avvolgeva le spalle. Socchiusi le palpebre e reclinai la testa indietro per guardarlo. I suoi occhi neri si erano fatti seri e minacciosi, un'ombra cupa era calata a mo' di sipario. Alyon fissava nostro padre come se egli fosse il suo peggior nemico. «Facciamola finita», bisbigliarono le sue labbra.
Poi, improvvisamente calmo, abbassò lo sguardo su di me.

«Mi dispiace», disse. «ma alla fine, ho sempre mentito alla tua domanda... ».

 


E mi sorrise. Con quella accecante luce bianca che gli faceva da sfondo, il cavaliere degli Akawa mi lasciò andare.

Quello fu il suo ultimo sorriso. L'ultimo vero sorriso – malinconico, stoico, del mio vero fratello maggiore.

   
 
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