Seattle
“Obiezione,
Vostro Onore:
l’avvocato ha espresso un’opinione, non un
fatto”. Hyacinth neanche alzò la
testa mentre rivedeva gli appunti.
Quando
lo fece fu solo per
sentire il giudice dire: “Accolta”, e compiacersi
della cosa.
I
due avvocati pronunciarono le
arringhe finali e la giuria si ritirò. Quando
tornò in aula, un’ora dopo, il verdetto
fu a favore dell’imputata, che venne dichiarata innocente.
Hyacinth
sorrise soddisfatta e i
quaranta minuti successivi furono dedicati a grandi gesti di stupore e
abbracci
calorosi da parte dell’imputata, dei suoi parenti e dei suoi
sostenitori.
Hyacinth
ricambiò tutti gli
abbracci e sorrise professionalmente a tutti. Era contenta di aver
difeso la
ragazza, era pienamente convinta della sua innocenza ma… Ma
la sua professione
non le dava più le stesse soddisfazioni di prima. La
guardò mentre il suo
fidanzato l’abbracciava e si costrinse a togliere lo sguardo
quando si
baciarono.
Erano
quasi otto anni che faceva
l’avvocato. Il tirocinio, il passaggio in società,
diventare socia… Una
carriera stravolgente. Ma quanto riguardava la sfera affettiva,
Hyacinth era
ferma al liceo. O meglio, alla sera del ballo dell’ultimo
anno. Perché non solo
aveva fatto l’amore con Helios e, secondo H, era stata la
volta migliore di
tutte, anche di quelle che erano venute dopo, ma avevano passato la
notte a
scherzare e a ridere, abbracciati nel vecchio ufficio di Mr. Crox ed
era stata
la più bella notte della sua vita. Erano usciti per vedere
il sole sorgere e
lui aveva intrecciato le dita con le sue e le aveva baciato i
polpastrelli. Per
Hyacinth era stato il gesto più intimo del mondo.
L’alba
era per gli amanti e i
fornai. Chi lo aveva detto? H sospirò.
Era
ferma a Helios. Nessuno di
quelli che aveva conosciuto dopo erano stati alla sua altezza. Nessuno
era
riuscito a entrarle nel cuore, a farla ridere e a darle quello
stordimento che
la faceva volare come una tenda in una stanza ventilata.
Con
nessuno aveva discusso come
con lui. Nessuno le aveva fatto vedere le stelle. Con nessun altro era
entrata
in combustione. E per quanto se ne dicesse, la combustione ti faceva
sentire
viva. Ti faceva battere il cuore e tremare la voce, quando, poco prima
dell’estasi, il suo nome diventa l’unica parola
importante. O quando il tuo
nome sulle sue labbra diventa così bello che pensi che non
ce ne sia uno
migliore che ti avrebbero potuto dare.
H
sapeva che Helios era rimasto a
New York e lei non lo aveva più cercato pensando che si
fosse fatto una vita
soddisfacente e felice. Aveva letto qualche notizia sulla sua carriera
di
giornalista e sapeva che se la stava cavando molto bene. Lo immaginava
con una
moglie bionda come Bettany, con a fianco due bambini di altezze diverse
ma
vestiti allo stesso modo.
Dopo
aver risposto a qualche
domanda dei giornalisti, essersi assicurata che nessuno fosse lui (una
cosa che
non era ancora riuscita ad abbandonare: il desiderio di vederlo, che
lui la
cercasse) e aver sistemato gli altri dettagli, Hyacinth si
avventurò a passo
svelto verso l’uscita. Era un venerdì pomeriggio,
ma per lei avrebbe potuto essere
anche un lunedì, che non avrebbe fatto differenza.
“Hyacinth!”
Hyacinth
sentì un brivido
scuoterle la schiena e si fermò al suono di quella voce. Non
voleva credere.
Non voleva illudersi. Non voleva girarsi e scoprire di essersi
sbagliata. Non
voleva…
“Hyacinth!”
Questa
volta la voce era più
vicina e lei si voltò.
“Hyacinth…”
La voce dell’uomo che
si stava avvicinando si affievolì, mentre il suo sorriso
diventava sempre più
grande.
“Helios!”
Hyacinth non riuscì a
contenere la contentezza e si avviò velocemente verso di
lui. Quando gli arrivò
di fronte, si accorse che era più alto e dovette tirare
indietro la testa per
guardarlo.
“Non
ti ricordavo così alto!”
“Ti
sarai abbassata tu!” le
rispose Helios, avvicinandosi e facendo il gesto di abbracciarla.
Hyacinth non
si fece pregare e gli portò tutte e due le braccia dietro la
schiena, anche
quella che reggeva la valigetta con gli appunti del processo, e lo
strinse,
calorosa.
L’abbraccio
di lui era forte,
caldo, morbido e sapeva di casa. Chiuse gli occhi giusto
l’attimo di gustarsi
quel momento perfetto e poi tornarono tutti e due a guardarsi.
“Che
ci fai qui a Seattle?
Pensavo fossi a New York!” Helios sorrise alle sue parole; lo
stesso sorriso
che Hyacinth immaginava quando chiudeva gli occhi giusto un attimo
prima di
addormentarsi. Quel sorriso che l’accompagnava
nell’ambito di altri sogni e
altre notti.
“Sono
tornato a casa la settimana
scorsa… A Hownville” iniziò lui.
Hyacinth annuì. I suoi genitori si erano
separati e, tutti e due, si erano trasferiti in altre città.
Lei non era più
tornata nella cittadina dove era cresciuta, a Hownville. “Ho
visto Christina e
lei mi ha detto che adesso vivevi qui…”
continuò, guardandosi intorno nella
hall del tribunale.
“Christina?”
chiese Hyacinth.
Sentiva la sua amica due volte a settimana; lei aveva sposato un
dentista, un
ragazzo che aveva conosciuto al college, ed era tornata nella vecchia
città
quando aveva scoperto di aspettare tre gemelli. Era sicura che avere
vicino sua
madre le sarebbe stato d’aiuto. Hyacinth non riusciva ad
andarla a trovare
tanto quanto le prometteva, ma loro si sentivano tutte le volte che
potevano e la
ragazza si dichiarava felice della sua vita. Viveva in una villa di
ultima
generazione, con i suoi tre vivacissimi bambini, un cane e due gatti,
senza
contare quel marito di cui si vantava tutte le volte che poteva e che,
a
distanza di sei anni da quando lo aveva conosciuto, guardava ancora con
amore.
E Hyacinth sapeva che lei era veramente felice così.
“Sì,
Christina. Mi ha anche
minacciato, dicendo che se non fossi venuto a cercarti me
l’avrebbe fatta
pagare…” Lei rise: Christina poteva averlo fatto
davvero.
“Così
sei venuto qui sotto minaccia?”
chiese, scherzando.
“Già.
Per nessun altro motivo”
rispose lui, sornione. “Le dirai che l’ho fatto?
Così non me la farà pagare?”
“No,
no. Non puoi cavartela così:
dovrai anche offrirmi da bere. Se non sbaglio mi devi ancora un drink
da quella
sera al locale di Joe.”
Quando
rise anche lui, Hyacinth
si accorse di essere ancora più rilassata. E contenta.
“Allora
andiamo! Conosci un posto
dove possa pagare il mio debito?”
La
ragazza annuì e indicò la
porta del tribunale. Helios le fece un cenno e insieme si incamminarono
verso
l’esterno, chiacchierando di cose vecchie.
Quando
arrivarono davanti alla
porta lui gliela tenne aperta e la lasciò passare. Hyacinth
quasi si commosse a
quel gesto spontaneo e così ‘da Helios’.
“Quindi?
Da che parte andiamo?”
chiese lui, una volta fuori sul marciapiede, guardandosi intorno.
Hyacinth lo
osservò attentamente visto che si trovavano
all’aperto e notò, ancora, quanto
fosse bello. Più bello che al liceo. Più bello di
quanto ricordasse nei suoi
pensieri. Più bello di quando sul divano del prof
l’aveva guardata come se
fosse la cosa più preziosa del mondo.
“Di
qua.”
H
indicò la strada quasi
meccanicamente e insieme attraversarono la via, giungendo
sull’altro
marciapiede.
Il
sole stava tramontando e gettava
gocce di luce sulla figura della ragazza. Helios non riusciva a
togliere lo
sguardo da lei. Da quando l’aveva vista, nel corridoio del
tribunale, il cuore
aveva iniziato a battergli così forte nel petto che aveva
paura che tutti
potessero sentirlo. Il suo viso era diventato più sottile e
delicato, ma i suoi
occhi brillavano ancora come quando era al liceo e riusciva a battere
il suo
interlocutore in un dibattito. Il suo corpo danzava dolcemente, cullato
dal
suono di una musica che sentiva solo Helios, circondato di stoffa
pregiata che
le accarezzava le curve che il ragazzo conosceva fin troppo bene nella
sua
memoria.
Quando
fece dondolare la
valigetta, lui vide perfettamente la Hyacinth che lo prendeva in giro
all’ultimo anno, quando aveva fatto lo stesso movimento con
lo zaino e gli
aveva detto che non erano tutti intellettuali, vantandosi del sesso che
faceva
con BlackWall. Il ragazzo si chiese se per lei la sera del ballo fosse
stata
una volta come tante o se, come per lui, era stata una notte
meravigliosa da
ricordarsi per sempre.
L’aveva
cercata in ogni angolo
del mondo. Aveva trovato così tanti spunti di lei in ogni
persona che aveva
incontrato, che non riusciva a credere che lei potesse veramente essere
all’altezza dei suoi ricordi. E invece lei era lì,
davanti a lui, a ricordargli
quello che era e quello che lui si era perso.
Davanti
al locale Hyacinth
sorrise e glielo indicò con un gesto del capo. Helios si
fece avanti per aprire
la porta, ma lei fu più veloce e la tirò verso di
sé, invitandolo a entrare.
Il
ragazzo rimase basito quando
scrutò all’interno della stanza: i tavolini, il
pergolato, i lampadari, i
divanetti: tutto in quel posto ricordava il pub di Joe, il locale che
tutti i
liceali a Hownville frequentavano con documenti falsi per farsi versare
birre e
alcolici.
Quando
Helios si voltò con gli
occhi sbarrati verso Hyacinth lei rise un po’ stupidamente e
un po’ sollevata
dal fatto che lui si fosse ricordato.
“Quando
ho nostalgia di casa
vengo qui a scrivere le arringhe” confessò. Helios
le sorrise comprensivo e le
posò una mano dietro la schiena per accompagnarla verso uno
dei tavoli.
Lei
si sedette e, ancora contenta
di quella piccola cosa che li univa, alzò la mano per
chiamare il cameriere. “E
dimmi… hai spesso nostalgia di casa?” le chiese il
ragazzo, osservando il
tavolino e le sedie di legno. Lungo la parete c’erano
divanetti e tavoli più
grandi e parecchi ragazzi, vista l’ora, stavano
chiacchierando a tavolate,
gustandosi l’aperitivo. Sembravano studenti. Del college,
probabilmente, perché
di Joe che chiudeva un occhio sugli alcolici, ce n’erano
pochi a Seattle.
Quando
una ragazza bionda rise
accarezzando la testa del giovane seduto vicino a lui, si
voltò verso Hyacinth,
la ragazza di cui sognava le carezze tutte le notti: lei aveva
abbassato lo
sguardo e stava ancora sistemando la valigetta su una delle sedie
libere.
“Sì,
Helios. Ho spesso nostalgia
di Hownville…” disse, ma non alzò lo
sguardo su di lui.
Helios
capì che le costava
ammetterlo e le coprì la mano con la sua. “Anche a
me manca. Ho tanti… bei
ricordi” mormorò, ma la voce si bloccò
in gola. Non riusciva a dirglielo.
Dopo
dieci minuti di frasi corte
e mozzate, su com’era la vita a New York e come si vivesse a
Seattle, Hyacinth
non resistette più e, dopo essersi agitata più
volte sulla sedia, gli chiese a
bruciapelo: “Perché sei qui, Helios?”
Il
ragazzo, colto alla
sprovvista, aprì la bocca per rispondere una bugia, quando
la cameriera posò un
vassoio con le loro ordinazioni sul loro tavolo. I dieci minuti in cui
Hyacinth
chiacchierò vivacemente con la ragazza, Helios
pensò a tutte le scuse a cui
aveva pensato durante il viaggio, ma nessuna gli sembrò
abbastanza credibile, o
vera, per poter essere raccontata. Guardò quasi con fastidio
la schiena della
cameriera che si allontanava verso altri clienti e poi tornò
a posare lo
sguardo sulla sua compagna di tavolo: lei meritava la verità.
“Com’è
la tua vita quando non ti
manca casa tua, Hyacinth?” le chiese a bruciapelo, dopo poco.
La ragazza
spalancò gli occhi e non rispose, ma abbassò di
nuovo lo sguardo sulle mani
che, tremanti, abbracciarono il bicchiere pieno di birra.
“È
perfetta, Helios. La mia vita
è perfetta. Ho una carriera che mi dà grandi
soddisfazioni, guadagno più di
quello che mi serve, ho un attico a DownTown, guido una delle macchine
più
belle degli ultimi anni e ora ho anche incontrato la
persona…”
Helios
non voleva più ascoltare:
non poteva dirle che invece la sua vita non aveva il senso che avrebbe
dovuto
avere perché lei non era al suo fianco, non voleva
distruggere la sua vita
perfetta.
“Sto
scrivendo un libro,
Hyacinth” sbottò, interrompendola. Aveva cambiato
idea, non voleva più
raccontarle la verità. “Sto scrivendo un libro e
volevo la tua collaborazione.
Vorrei che ogni capitolo avesse uno dei tuoi disegni.
Dovresti…”
“Io
non disegno più” mormorò la
ragazza, sospirando subito dopo e bevendo un lungo sorso di birra.
Cosa?
Hyacinth non disegnava più? E perché?
“Cosa
vuol dire che non disegni
più? Sei sempre stata bravissima! E poi, adoravi disegnare e
ti veniva così
bene…” La voce di Helios si spense lentamente.
Hyacinth non poteva rendersene
conto, ma a lui, il fatto che lei non disegnasse più, che
avesse smesso di riempire
di linee perfette gli occhi del mondo, gli spezzava il cuore molto di
più che
sapere che aveva incontrato l’anima gemella. Era una
tragedia. Lui aveva
conservato tutti i disegni della ragazza su cui era riuscito a mettere
le mani:
tovaglioli stropicciati, foglietti di quaderni, menù di
locali, locandine,
brochure, per non parlare dei fogli di appunti dei dibattiti a cui
avevano
partecipato insieme. Aveva ancora la copia della caricatura che lei
aveva
disegnato sulla lavagna nell’aula di chimica e che ridendo
gli aveva regalato
un piovoso pomeriggio. Era un foglietto piegato, segnato dalle mille
volte che lui
lo aveva aperto e richiuso. Non solo era consumato sugli angoli, ma
tutto il
bordo plissettato, le pieghe più calcate e il colore della
carta ingiallito e
macchiato, lo rendeva un vero cimelio, un tesoro inestimabile per
Helios, che
lo teneva nel portafoglio con lo stesso amore con cui suo padre
conservava la
foto di famiglia quando era adolescente.
“Io…
Non mi diverte pù disegnare.
E se non mi diverto, non ci riesco.”
Quello
che Hyacinth non riusciva
a dire era che lei non riusciva neanche più a tracciare un
cerchio con un
bicchiere perché, ogni volta che finiva un disegno, il suo
primo pensiero era
quello di mostrarglielo, di farlo vedere a Helios, che la incoraggiava
sempre
criticandola con la sua solita ironia. Senza di lui che guardava i suoi
disegni
e fingeva di essere un critico giudicando tutto guardando il foglio con
un
finto monocolo, per poi infilarselo in tasca, non era più
bello e le sembrava
che non avesse più senso. Perché fare qualcosa se
non poteva riderne con lui?
Quando
lui non disse più niente.
Hyacinth pensò che fosse deluso dal fatto di aver
attraversato il paese per niente
e, non riuscendo a sostenere la sua delusione, si alzò per
andarsene.
“Mi
dispiace, non posso aiutarti.
Sei venuto per niente” disse, prima di riprendere la
valigetta.
Helios
la guardò girarsi e
incamminarsi verso l’uscita. Colto dal panico, non sapendo
bene come
comportarsi, disse l’unica cosa che gli passò per
il cervello in quel momento.
“Siamo della stessa materia di cui sono fatte le
stelle!” La sua voce, forse un
po’ troppo alta e agitata, era spaventata dal fatto che
potesse essere l’ultima
volta in cui lui si lasciava scappare quella ragazza. Per un momento
non gli
importò più che lei potesse essere sposata,
impegnata, o anche solamente
innamorata di qualcun altro. Aveva bisogno che lei sapesse e,
probabilmente,
per poter andare avanti, che lei lo rifiutasse per bene una volta per
tutte.
Hyacinth
si bloccò al suono di
quelle parole, come se lui avesse espresso un incantesimo e lei non
potesse più
muoversi. Il suo cuore palpitò e il respiro le si
bloccò in gola: aveva usato
le stesse parole dell’ultimo anno del liceo. Le parole che
riguardavano solo
loro. Solo loro e nessun altro.
“Helios…”
disse la ragazza,
girandosi verso il tavolo. Helios intravide le sue lacrime non ancora
scese e
si alzò per raggiungerla.
“Ti
ho cercato dappertutto”
sussurrò, con il cuore in gola. “Non ti ho trovato
da nessuna parte: in nessun
luogo, in nessuna donna, in nessun dannatissimo schizzo su cui ho messo
gli
occhi. E la cosa peggiore è che qualunque cosa mi ricorda
te: ti vedo ovunque,
ma tu non ci sei mai…”
“Hai
cercato nei posti sbagliati:
io sono sempre stata qui…” Hyacinth sorrise
dolcemente, allargando le braccia e
Helios scoppiò nervosamente a ridere.
“Immaginavo
che fosse colpa mia!”
Si passò una mano fra i capelli mentre la guardava e poi si
rifece serio. “E
ora è troppo tardi…”
“Per
cosa?” chiese, allarmata,
lei.
“Per
noi. Hai detto di aver
incontrato qualcuno che…” La voce di Helios, venne
interrotta subito da una più
acuta: “Dicevo che avevo incontrato te! Ma possibile che non
capisci mai
niente? Ero contenta di averti visto! Ma poi volevi solo i miei disegni
e io,
che pensavo fossi venuto per me, ho pensato che…”
Helios
non la fece finire e,
fatti due passi, le prese il volto fra le mani e la baciò.
Mise in quel bacio
tutta la frustrazione accumulata in quei dodici anni in cui non si
erano visti,
tutto il rammarico per quello che avrebbe dovuto essere, tutta la
sofferenza
per non aver creduto abbastanza in se stesso quando le aveva permesso
di
scordarsi di loro, ma soprattutto, mise in quel bacio tutto il calore e
la
passione di cui era pieno e lasciò che le sue labbra
parlassero per lui.
Hyacinth
rimase immobile, perché
non si aspettava da Helios una mossa del genere, anche se,
effettivamente, lui
aveva fatto la stessa cosa la sera del ballo e lei avrebbe dovuto
capire molto
prima che non era come gli altri ragazzi. Lasciò che lui la
invadesse, gli
permise l’accesso alla sua mente e, anche se era
già successo, lasciò che le
riempisse il cuore. Un’emozione forte, travolgente e
potentissima le prese la
parte del petto che sbatteva rumorosa nel suo cervello e, lasciando
cadere la
valigetta, gli appoggiò le mani sul petto. Si sentiva
timida, come se non lo
avesse mai fatto, come se da quel gesto dipendesse tutta la
felicità della sua
vita, l’unico modo per essere completa.
“Quindi,
la storia del libro?”
“Oh,
lascia stare, Hyacinth… Non
sapevo più cosa dire.”
“Potevi
dire che volevi stare con
me. Io… Non lo sapevo…” La voce della
ragazza si fece, nonostante tutto,
insicura e fragile.
“Tu non hai capito: non è che io voglia stare con te… Io non posso vivere senza di te!”
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***so
che vi ho fatto aspettare tanto... scusate... ma ci sarà
anche un piccolo epilogo... intanto grazie per aver letto fino a qui!
:-)