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Autore: Rosye    03/09/2020    1 recensioni
In quel momento, nel sentire le sue parole, avrei solo voluto stringerla forte tra le mie braccia e rassicurarla, dirle di non preoccuparsi, di non piangere, perché stavo bene ed ero qui accanto a lei e avrei fatto di tutto per mantenere la mia promessa... ma anche questo mi era impossibile.
- Tratto dal Prologo.
Genere: Guerra, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fugaku Uchiha, Jiraya, Mikoto Uchiha, Sakumo Hatake, Tsunade | Coppie: Minato/Kushina
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Lotteremo Contro il nostro Destino!
Capitolo 5

 










Quando lo vidi uscire e chiudersi la porta alle spalle, mi riscossi dallo stato di trance in cui ero caduto e gli andai dietro. Desideravo poter chiedergli delle spiegazioni ma, con mio grande disappunto, quando giunsi nel corridoio – di lui – non c’era più nessuna traccia. Se n’era già andato.
Frustrato e con mille e più pensieri a ronzarmi per la testa come uno sciame di api impazzito, non mi restò altro da fare che passarmi una mano tra i capelli e lanciare un’occhiataccia torva al corridoio deserto.
Lo strano comportamento di Hatake non solo mi aveva sconvolto ma, mi aveva dato anche molto su cui pensare.
Che Kushina fosse stata coinvolta in una situazione più grande di lei e che io, per seguirla, mi ci ero catapultato a mia volta, ormai mi era chiaro; quello che non riuscivo a comprendere era il motivo per cui, tra tutti, era stata scelta proprio lei e il suo ruolo all’interno di questa complicata storia.
In ogni caso, di qualunque cosa si trattasse, Kushina non doveva più temere nulla.
Stavolta, non sarebbe rimasta da sola ad affrontare tutto questo.
Le sarei rimasto vicino ed insieme, avremmo superato qualsiasi cosa. Ne ero sicuro.
Con questa unica certezza come sola speranza in un mare pieno di dubbi e pericoli, rientrai in camera e senza fare il minimo rumore, presi posto sulla sedia accanto al suo letto e con un piccolo sospiro, mi ci abbandonai mollemente.
Ero davvero esausto.
In quelle poche ore, ne avevo passate così tante da poterne scrivere persino un racconto: il rapimento, l’inseguimento e lo scontro con gli shinobi della Nuvola; la folle corsa per riportare Kushina a Konoha, la discussione con Jiraiya, il quasi scontro con Morino in ospedale, il colloquio con l’Hokage e – appena uscito dall’ufficio di quest’ultimo – la breve chiacchierata con Tsunade; e adesso, come se non fosse abbastanza, anche l’incontro con Sakumo Hatake.
In meno di ventiquattr’ore, erano successe così tante cose e avevo provato così tante emozioni da rimanere completamente sfinito e senza forze.
Mi passai di nuovo una mano tra i capelli, cercando di mettere un po’ di ordine tra i miei pensieri.
Non ero uno stupido, né un illuso.
Avevo capito perfettamente che dietro al suo rapimento si nascondesse un terribile ed oscuro segreto.
Potevo quasi avvertirne sulla pelle l’imminente minaccia: era potente ed estremamente pericoloso. Se ne stava acquattato nell’ombra, pronto ad attaccare alla prima occasione e a distruggere tutto in un colpo solo.
A peggiorare le cose – come se già non fossero abbastanza complicate da sé – erano pure coloro che si ritrovavano coinvolti in questo spietato gioco di dominio.
Erano talmente determinati ad aggiudicarsi il premio finale, da voler scendere a tutti i costi in campo e fare la propria mossa per vincere – e conquistare – chissà che cosa.
In questo caos, era difficile anche solo capire chi fosse davvero dalla tua parte e chi no.
Mi servivano urgentemente delle informazioni per tirare le somme di questa matassa ingarbugliata e decidere da che punto iniziare.
Lanciai un’occhiata di sottecchi verso Kushina.
Come aveva fatto a cacciarsi in questo guaio? Che cosa poteva sapere di così importante da renderla un bersaglio appetibile in questa stupida e spietata guerra?
Forse, la risposta era da cercare all’interno del suo clan.
Non era poi tanto strano che lei conoscesse i segreti di alcune tecniche proibite, gli Uzumaki erano molto famosi e temuti per i loro sigilli di confinamento e la loro forza inarrestabile.
Reclinai la testa all’indietro e chiusi gli occhi, meditando per un po’ su quest’ipotesi.
No, c’era sicuramente dell’altro.
Il Consiglio si era mostrato troppo agitato per essere solo una banale questione tra clan e questo, non faceva altro che preoccuparmi di più. La faccenda riguardava qualcosa di ben peggiore di alcune tecniche segrete.
Non era mai una buona cosa quando, le alte sfere di Konoha, decidevano di intervenire personalmente.
Dovevo prepararmi a qualcosa di grosso e pensare al peggio.
Non potevo farmi cogliere impreparato dalla tempesta che presto avrebbe bussato alla nostra porta e ci avrebbe travolto con la sua forza bruta, senza lasciarci nessuna via di scampo.
Dovevo agire alla svelta e il primo passo, era conoscere l’identità di tutti coloro che erano coinvolti in questa brutta vicenda e poi, distinguere tra loro, i miei alleati dai miei nemici.
Non sapevo ancora cosa aspettarmi da una simile battaglia, ma di certo, in una guerra su più fronti – come si preannunciava questa – non potevo correre il rischio di ritrovarmi a combattere da solo. Era assolutamente impensabile rimanere fermo ai margini, isolato da tutti e ignaro sulle questioni importanti e aspettare inerme che fossero gli altri a muoversi, a venirci a cercare.
Se volevo salvarla – se davvero volevo proteggerla – dovevo capire cosa stava realmente succedendo e chi, in questo sporco gioco, aveva sul serio a cuore la sua sicurezza.
Solo dopo essermi fatto un quadro generale della situazione, solo allora, sarei riuscito a pensare a un modo per uscirne tutti quanti illesi – o perlomeno, ci avrei provato.
Con questi pensieri per la mente, dischiusi gli occhi e feci scorrere il mio sguardo stanco su di lei, esaminando con la massima attenzione ogni centimetro del suo viso per accettarmi delle sue condizioni. E con un moto di sollievo, potei notare che il suo volto – anche se, ancora molto pallido – stava iniziando a riacquistare un po’ di colore. Persino la sua espressione non era più corrucciata in un cipiglio sofferente, anzi.
I suoi lineamenti erano rilassati e distesi nella classica posa serena che ognuno di noi assume quando dorme.
I miei occhi si bearono di quella vista e studiarono il suo viso con una precisione e una cura quasi maniacale, soffermandosi maggiormente sul suo piccolo naso e la linea tenera dei suoi zigomi, dove una manciata di dolci e chiare efelidi sembrava essere stata spruzzata come polvere di stelle sulla sua pelle. Con lo sguardo, le accarezzai una ad una, trovandole assolutamente adorabili; subito dopo, passai pigramente ad osservare le guance e scesi fino alla forma morbida e delicata delle sue labbra, scoprendole, ai miei occhi, stranamente invitanti e attraenti.
Per un attimo, curioso di sentirne la consistenza, mi passò per la mente il malsano desiderio di sfiorarle con le mie per appurare se erano davvero così soffici e delicate come sembravano ma poi, riscuotendomi da quei pensieri assurdi, arrossì furiosamente e distolsi velocemente lo sguardo, troppo imbarazzato per continuare a guardarla.
Impiegai un minuto buono per calmare i battiti impazziti del mio cuore e per imporre al mio cervello di tornare a ragionare.
Che cosa mi stava succedendo?
Da quando i miei pensieri andavano alla deriva come una zattera di salvataggio in balia delle onde e dei venti?
Cos’era quella strana sensazione che aveva arpionato il mio petto e aveva fatto ballare una rumba furiosa al mio cuore, aggrovigliando e strizzando tra loro pure lo stomaco e gli intestini?
Tornai a guardarla, cercando di distinguere tutte le emozioni che provavo in quel momento: confusione, paura, imbarazzo e una buona dose di vergogna; però non c’era solo questo.
Sentivo il mio corpo tremare di un sentimento totalmente e assolutamente disarmante.
Tutto nasceva dal mio petto, per ogni battito impazzito del mio cuore, il mio intero essere fremeva e vibrava come la corda di un violino, dando il via a una melodia potente e del tutto sconosciuta. Era un qualcosa di magico, elettrizzante, e nel contempo assoluto e indescrivibile. Non avevo mai provato nulla di simile in vita mia.
Era incredibile l’effetto che aveva su di me.
Tutto di lei mi ammaliava: i suoi capelli di fuoco, così brillanti da sembrare una fiamma sempre viva e inarrestabile; i suoi magnifici e penetranti occhi blu che mi ricordavano le immense distese di un oceano sconosciuto; il suo temperamento forte e deciso; la sua spessa e dura corazza che serviva solo a nascondere un animo talmente dolce e sensibile da apparire quasi irreale.
Tutto, ogni cosa di lei, in ogni sua minima parte e in ogni sua sfaccettatura, mi attirava e mi incuriosiva in un modo del tutto nuovo e inspiegabile.
Ero completamente e irrimediabilmente attratto da lei. E come una piccola e ingenua falena che veniva attirata dalla luce e dal calore di una candela, non potevo impedirmi di gravitarle attorno – nonostante già sapessi che da quest’incontro, ne sarei uscito del tutto bruciato.
Scossi la testa e cercai di distrarmi per mettere a tacere il tumulto che sentivo dentro di me.
«Che cosa mi stai facendo?» le chiesi in un sussurro che si perse nel silenzio della stanza.
Lei non mi rispose.
Ignara del mio tormento interiore, continuò a dormire come se nulla fosse ed io, rimasi lì, ad osservare e a vegliare sul mio piccolo e bellissimo angelo dai meravigliosi capelli vermigli.



 
***



Ero concentrato a esaminare l’ultimo rapporto sul Kazekage quando, un colpo deciso alla porta, attirò la mia attenzione e annunciò l’arrivo di qualcuno. «Avanti.» ordinai, senza distogliere gli occhi dal rotolo di pergamena che stavo leggendo. Non avevo bisogno di guardarlo in faccia per capire di chi si trattasse. L’avevo già intuito dal modo silenzioso con il quale si era avvicinato alla porta. Solo lui e nessun altro, era in grado di oltrepassare del tutto inosservato le mie guardie e di sbucare dal nulla come un fantasma: quella, era una delle sue migliori abilità.
«Ti aspettavo.» aggiunsi un secondo dopo, mentre si chiudeva la porta alle spalle e si avvicinava alla mia scrivania con passo lento e sicuro.
«Lo so, scusa il ritardo.» mi disse, scrollando le sue larghe spalle. «Dovevo controllare una cosa e ho perso un po’ di tempo.»
Non faticai ad immaginare dove fosse stato o che cosa dovesse controllare di così importante da ritardare il nostro colloquio per cui, non potei fare a meno di rivolgergli un’occhiata comprensiva. «Come sta?» gli chiesi, mettendo da parte i documenti che tenevo ancora in mano e scrutandolo con particolare attenzione.
Il suo viso si piegò in una smorfia contrariata ma, quando mi rispose, la sua espressione tornò ad essere fredda e distaccata. «È ancora molto debole.» puntualizzò, usando quel tono cupo e gelido che chi lo conosceva, aveva imparato a temere.
Non me ne meravigliai.
Non ero uno stupido. Lo conoscevo abbastanza bene da sapere quanto lui in quel momento fosse arrabbiato. E la sua freddezza, ne era solo una prova.
Anche prima, durante la riunione con il Consiglio, le sue parole non avevano lasciato posto ai dubbi: la faccenda del rapimento lo aveva fatto veramente infuriare.
Repressi con fatica un sospiro esausto e mi preparai mentalmente all’inferno che – purtroppo per me – si sarebbe scatenato da lì a qualche minuto.
Rassegnato alla mia triste sorte, mi alzai dalla scrivania e con passo lento, andai alla finestra e lasciai scorrere i miei occhi sulle vie principali del villaggio.
Mi persi per qualche minuto ad ammirare il via vai di quelle stradine che, soprattutto in quelle ore del giorno, erano particolarmente trafficate.
Sakumo non se la prese: sapeva quanto osservare Konoha e i suoi abitanti, mi aiutasse a restare calmo e a ragionare con lucidità. Mi lasciò pensare con calma, aspettando in silenzio che fossi pronto per iniziare il nostro colloquio – cosa di cui gli fui immensamente grato.
Con la coda dell’occhio, lo vidi passarsi una mano sulla nuca e dirigersi verso una delle poltrone del mio ufficio per poi, sprofondarci dentro con la sua consueta grazia.
Indugiai con lo sguardo qualche secondo in più su di lui e non potei fare a meno di notare il pallore quasi innaturale del suo viso e le pesanti e violacee occhiaie presenti sotto i suoi occhi. Aveva decisamente un’aria parecchio stanca e sciupata.
Scossi la testa, immensamente dispiaciuto.
Non doveva essere stato facile per lui affrontare completamente da solo la missione che gli avevo affibbiato e dopo, tornare di corsa al villaggio per dare una mano nelle ricerche.
Di sicuro, doveva essersi spaventato molto quando il nostro falco l’aveva raggiunto per comunicargli dell’accaduto.
E come poteva non essere altrimenti?” mi fece presente una vocina acida nella mia testa, facendomi sentire tremendamente in colpa.
Nella missiva che gli avevo spedito, infatti, non c’erano scritte molte parole ad eccezione dell’ordine di perlustrare la zona in cui si trovava per scovare delle eventuali tracce lasciate dai rapitori. Non potevo dargli torto; aveva ragione ad essere arrabbiato, anch’io al suo posto, lo sarei stato.
«Mi dispiace.» mormorai con un filo di voce, rompendo, dopo molto tempo, il silenzio che si era creato tra di noi.
Mi voltai giusto in tempo per vedere il suo sopracciglio inarcarsi per la sorpresa. «Di cosa, scusa?»
«Mentre eri via, non sono riuscito a proteggere quella ragazza.» ammisi, vergognandomi come un ladro per l’incidente della sera precedente.
Era inutile, per quanto provassi a pensare con lucidità riguardo agli ultimi avvenimenti, non riuscivo a darmi pace.
Non potevo fare a meno di incolparmi per il rapimento di quella povera ragazza.
Se quei ninja erano riusciti ad entrare indisturbati all’interno del nostro villaggio, la colpa, era solo e unicamente mia; mia e della mia debolezza.
Un lampo di comprensione passò nei suoi occhi e una muta preoccupazione gli si disegnò sul viso: «Che cosa ti sta succedendo, vecchio mio?» mi domandò, con quel tono di confidenza che usava soltanto quando eravamo da soli e potevamo mandare al diavolo i gradi e il rispetto cerimoniale che l’etichetta ci imponeva di utilizzare in presenza di qualcuno.
Avvilito, trattenni a stento uno sbuffo per non dargli a vedere quanto alle volte, la sua capacità di leggere l’animo umano potesse essere un tantino snervante e, evitando accuratamente il suo sguardo, ignorai la sua domanda.
Eravamo amici da troppi anni perché sperassi di riuscire a nascondergli qualcosa del genere ancora per molto ma, una parte di me, si rifiutava di raccontargli tutto per non preoccuparlo più del dovuto.
Anche se, ormai, avevo la sensazione che lui avesse già fiutato qualcosa e conoscendolo, non ci sarebbe stato molto a intuire cosa mi stesse succedendo.
Come a darmi conferma di ciò, sentii il suo sguardo di fenice fissarmi con insistenza, quasi volesse aprirmi la testa in due per leggere meglio il suo contenuto; ma feci finta di niente, preferendo, invece, dirigermi verso la mia scrivania dove qualche minuto prima, avevo lasciato la mia amata pipa.
I suoi occhi seguirono ogni mio più piccolo movimento finché non mi decisi a buttare fuori la prima boccata di fumo e a guardarlo direttamente in faccia.
Non sapevo da dove iniziare per affrontare la discussione dolente che riguardava Kushina, quindi – da grande vigliacco quale mi sentivo – optai per deviare il discorso su acque a mio parere più navigabili. «Ho ricevuto il tuo rapporto sul Kazekage e l’ho trovato molto interessante.» iniziai con cautela, tastando il terreno. «Stanno sicuramente preparando qualcosa, ormai è certo.»
Il mio comportamento evasivo non sembrò infastidirlo, anzi, lo vidi stirare le sottili labbra nel suo classico ghigno ironico e con una calma da fare invidia persino a Buddha in persona, mi tenne il gioco, paziente. «Sì.» annuì, concorde. «E sono pure del parere che se muovi i fili giusti, potrai ottenere un enorme vantaggio su di loro.» mi suggerì, facendo sfoggio delle sue incredibili abilità di stratega.
Inarcai un sopracciglio, pensieroso. «Hai già qualcosa in mente?»
Il suo sorriso si accentuò in maniera accattivante mentre i suoi occhi, si illuminarono di una luce tremendamente vispa. «Può darsi.» concesse, attento a non lasciarsi sfuggire nulla di troppo. «Ci stavo giusto riflettendo prima dell’arrivo di “Ares”.» specificò, cambiando improvvisamente tono di voce e inchiodandomi con uno sguardo duro e glaciale nel punto in cui mi trovavo. «Allora, Sarutobi» mi esortò poi, imperioso e inflessibile come solamente lui riusciva ad essere. «Mi vuoi spiegare una buona volta che cosa è successo ieri?» aggiunse, senza darmi nessuna via di scampo.
Lo osservai imbambolato, stupito e disorientato dalla velocità con il quale aveva dirottato la nostra conversazione in acque decisamente più alte e agitate. Deglutii confuso e boccheggiai per qualche secondo, senza sapere bene come rispondere alla sua domanda a tradimento.
Una piccola parte del mio cervello – quella più astuta – mi rimproverò per essere caduto così facilmente nella sua trappola, ma una vocina arrendevole mi disse che era del tutto inutile arrabbiarsi per questo, perché non avrei avuto nessuna possibilità di tirarla per le lunghe – non con lui, comunque.
Non avendo modo di evitare ancora quest’argomento spinoso, mi decisi a sputare fuori la verità. Presi un respiro profondo e quando mi sentii abbastanza pronto, puntai i miei occhi nei suoi e sostenni il suo sguardo simile a una notte buia, senza luna né stelle.
La sua espressione era così gelida e impenetrabile da farmi correre un brivido su per la schiena. In lui, non c’era nulla di umano in quel momento. Si era rivestito della sua maschera di guerriero e aveva indossato la sua armatura di spietato mercenario.
Davanti a me, non c’era più il mio caro e fidato amico Sakumo; no, adesso, avevo di fronte l’impassibile “Zanna Bianca della Foglia.
Decisi di non tergiversare più e racimolando tutto il mio coraggio, buttai fuori ciò che non avrei mai voluto dirgli; non in quella maniera, perlomeno: «Stiamo programmando di mandare Kushina al Villaggio del Vortice.»
Se possibile, la sua espressione divenne ancora più gelida e feroce.
I suoi bellissimi lineamenti si fecero simili a quelli di un antico e splendente dio bellico e i suoi occhi, furono attraversati da una ferocia così crudele e spietata da avere il potere di farmi drizzare i peli sulle braccia e, contemporaneamente, di congelarmi il sangue nelle vene. Passò un lungo istante in cui, il suo sguardo, sembrò bruciarmi la pelle come mille tizzoni incandescenti e avvertii le mie guance perdere colore sotto il peso soffocante dell’accusa presente nei suoi occhi.
Imprecai mentalmente, sentendomi un vile e sporco traditore; ma le circostanze, non mi avevano lasciato altra scelta e in cuor mio, pregai con tutte le mie forze che mi desse la possibilità di spiegare il motivo della mia decisione.
Non avevo dimenticato nemmeno per un attimo l’odio viscerale che scorreva tra lui e Daisuke – o le cause che avevano portato quei due a giurarsi rancore eterno – tuttavia, cos’altro potevo fare?
Ero con le mani legate e, per quanto non piacesse nemmeno a me l’idea di implorare l’aiuto di quell’uomo, non vedevo nessun’altra possibile strada da percorrere se non quella.
«Perché?» mi ringhiò tra i denti, con odio.
«Sono gli unici che possono aiutarla.»
Lui scoppiò a ridere, sprezzante. «Da quando si manda un agnello tra i lupi per aiutarlo?»
«Da quando quei “lupi” – come li chiami tu – sono l’unica possibilità di salvezza per lei.» replicai, con un sospiro stanco.
La discussione con Jiraiya mi aveva già stravolto abbastanza per quella giornata, non volevo litigare pure con lui. Non ne avevo la forza per farlo.
Sakumo si mosse irrequieto sulla poltrona e strinse con forza le mascelle come per impedirsi di dire qualcosa di veramente cattivo, ma i suoi occhi sprizzavano una luce così velenosa da lasciare ben poco all’immaginazione.
Era evidente quanto l’idea di mandare Kushina nel suo paese natio lo ripugnasse. E non potevo dargli neppure torto.
Il suo odio per Daisuke non nasceva da piccole questioni irrisolte o da dispute senza senso.
Il capostipite degli Uzumaki aveva letteralmente rovinato la vita di Sakumo, costringendolo a lottare ogni giorno per rimettere insieme i pezzi di un’esistenza che non sarebbe mai più stata felice.
Erano passati ormai molti anni da quando Sakumo, ogni mattina – appena aperti gli occhi – veniva messo di fronte alla dura e cruda realtà e in parte, non poteva fare a meno di ritenersi responsabile per ciò che il suo migliore amico – colui che considerava al pari di un fratello – l’aveva condannato a vedere e sopportare ogni singolo giorno fino alla fine della sua vita. E tutto per un’insana gelosia.
Era stato uno stupidissimo capriccio di Daisuke a segnare l’inizio di ogni cosa e la distruzione di tutto. Quanto dolore poteva procurare una mente distorta dall’avidità del potere?
I torti ricevuti da quell’uomo erano stati così gravi da indurre persino una persona buona e fedele come Sakumo a perdere ogni barlume di speranza e a rompere ogni rapporto con il ninja del Vortice.
Con che coraggio ora potevo guardare Sakumo negli occhi e intercedere per Daisuke?
Inspirai e buttai fuori un’altra boccata di fumo, incurvando le spalle sotto il peso di tutte quelle situazioni ancora irrisolte che da tempo, ci trascinavano in un baratro senza fine da cui era impossibile scappare.
Scossi la testa per scacciare via tutti quei tristi pensieri e focalizzai la mia attenzione sul mio compagno di sventure. Con passo strascicato e la volontà di un condannato a morte, andai a sedermi sulla poltrona accanto alla sua e ripresi a parlare: «Credimi, l’idea non mi piace, ma non abbiamo altre alternative.»
I suoi occhi saettarono su di me e mi fulminarono. «Non capisco. Di che diavolo stai parlando, Hiruzen?» berciò, spazientito.
Mi presi un momento prima di rispondergli, per scegliere con cura le parole giuste da usare e spiegargli quell’assurda situazione in cui ci eravamo ritrovati. Desideravo che lui comprendesse il motivo della mia scelta. Lo desideravo davvero.
Sakumo non era uno sprovveduto e non avrebbe mai messo a rischio la vita di Kushina per le sue dispute personali. Sapevo che avrebbe fatto di tutto per proteggerla, anche se ciò significava scendere a patti con il suo peggior nemico: «Quando prima sei andato a trovarla.» iniziai a dire, allontanando dalle labbra la pipa e sporgendomi un po’ verso di lui. «Non hai sentito qualcosa di strano nel suo chakra?»
Lo vidi irrigidirsi sulla poltrona e stringere le labbra in una linea sottilissima prima di annuire. «Effettivamente, l’ho notato.» ammise controvoglia. «Cosa c’è che non va in lei?»
Alla sua conferma, sentii le mie viscere aggrovigliarsi per l’ansia.
Il rischio che quella situazione ci sfuggisse di mano era molto alto e noi, non potevamo correre simili azzardi. Dovevamo assolutamente trovare un modo per stabilizzare il chakra di Kushina e liberarla da quel sigillo prima che accadesse qualcosa di irrimediabile. E se per farlo, dovevamo rivolgerci ai nostri vecchi alleati e al clan degli Uzumaki, allora, l’avremo fatto. Niente contava più di Konoha e del Paese del Fuoco, neppure il nostro orgoglio ferito o la nostra vita.
Quando ero stato rivestito della carica di Hokage, avevo fatto un giuramento e sarei stato pronto a sacrificarmi in qualsiasi istante per rispettarlo.
Mi sarei preso cura del mio amato villaggio e l’avrei protetto con tutte le mie forze. E sapevo che per Sakumo era lo stesso.
Lui non avrebbe battuto ciglio neppure di fronte alla morte per il bene della Foglia e se, si parlava di proteggere la piccola Kushina, allora, Sakumo sarebbe stato in grado persino di sfidare l’impossibile e batterlo.
Solo per lei, per permetterle di vivere una vita serena nonostante il pesante fardello che gravava sulle sue giovani spalle.
Ed era proprio per il nostro villaggio, per le nostre famiglie, i nostri amici, per Kushina e anche per chi aveva sacrificato tutto – anche la propria vita – in nome di una volontà più calda e dirompente del fuoco che non potevamo fare a meno di prendere questa amara decisione e implorare l’aiuto di persone dall’animo traviato come Daisuke.
«Abbiamo bisogno di Daisuke perché alla ragazza è stato imposto un sigillo maledetto.» lo misi al corrente, concedendomi un’altra boccata di fumo.
Sakumo sollevò un sopracciglio, perplesso. «Un sigillo maledetto?» mi chiese, trincerando il suo sconcerto dietro la sua maschera di fredda indifferenza. «Di che sigillo stai blaterando?»
«Del sigillo enneastico.» gli riferì, serio.
«Enneastico?» borbottò a mezza voce, incupendosi in volto pian piano che il suo cervello collegava i pezzi e gli mostrava la tristissima realtà. «Non è quell’affare su cui stanno indagando i tuoi ragazzi?»
«Sì, proprio quello.»
Come c’era da aspettarsi, alla mia conferma, la sua espressione si fece dura e impenetrabile come una lastra di diamante ma, i suoi occhi, bruciarono di una gelida furia omicida.
Non era difficile per me comprendere cosa stesse pensando in quel momento e in cuor mio, mi ritrovai a ringraziare tutti i Kami che la sua mente fosse troppo razionale per cedere al suo impulso di andare – seduta stante – nel Paese del Fulmine e fare una strage dei nostri nemici.
«Kumo pagherà per questo.» sentenziò crudele come un boia pronto all’esecuzione. «Magari non ora, ma dovrà pagare per aver osato tanto.»
Repressi a malapena un brivido sotto al suo sguardo indemoniato e annuii, sicuro che prima o poi, il Raikage si sarebbe amaramente pentito di aver messo gli occhi sulla bestia a nove code.
Oh, se si sarebbe pentito di averlo fatto.
Sakumo era un uomo molto furbo e non avrebbe mai permesso alle sue emozioni di prendere il sopravvento ma, non sarebbe nemmeno passato sopra a una questione del genere – lo sapevo bene.
Una delle sue migliori qualità era un’insana e letale dose di pazienza; sarebbe stato capace di attendere anche per anni il momento giusto per riscuotere la sua vendetta e quando lo faceva, era letteralmente implacabile.
Da grande stratega qual era, amava pensare prima di agire, vagliare tutte le possibili conseguenze e i rischi dietro ogni sua scelta; non andava mai scoperto o senza un buon piano che gli permettesse sempre una via di fuga. Era una persona intelligente, un avversario scaltro e un combattente agile come una bestia selvatica.
Non per niente era temuto come la peste e, il suo soprannome, era conosciuto in ogni dove per le sue fenomenali doti strategiche e combattive. Non c’era un solo ninja che non conoscesse il nome della “Zanna Bianca di Konoha” e questo, dimostrava la sua incredibile forza. In molti avevano scoperto sulla propria pelle cosa significava scontrarsi contro di lui e soltanto in pochissimi, erano riusciti a raccontarlo con la propria voce. Persino qui a Konoha veniva temuto e il Consiglio, preferiva non contrariarlo mai apertamente.
Un esempio, era stato per l’appunto il caso di insubordinazione del giovane Minato.
Se non mi fosse venuto incontro e non mi avesse appoggiato nel difenderlo a spada tratta, a quest’ora, la testa di quel ragazzo sarebbe rotolata a terra da un bel pezzo.
Ma Sakumo era pure altro. Era un uomo dal cuore puro e sincero, fedele ai suoi principi e alle persone che considerava la sua famiglia. Era implacabile nel campo di battaglia tanto quanto devoto nei confronti di chi amava.
Ed era proprio perché conoscevo questo particolare aspetto del suo carattere che non riuscii più a sostenere il suo sguardo.
Non mi sarei mai perdonato di aver fallito nel proteggere uno dei suoi tesori più preziosi e di averlo deluso a quel modo; lui che era sempre stato presente quando ne avevo avuto bisogno, che con la sua forza mi aveva sostenuto quando il mondo mi era crollato addosso e mi aveva dato la speranza di ricominciare a credere nelle cose davvero importanti della vita. Lui che nonostante avesse i cocci della sua esistenza da dover raccogliere e sistemare, aveva deciso di lasciare tutto in un angolo pur di correre in mio soccorso e ripescarmi dal baratro in cui ero caduto; e incurante delle sue macchie, mi aveva persino scrollato la polvere di dosso e mi aveva reso una persona migliore di ciò che ero.
Gli dovevo molto e come ringraziamento, non ero riuscito neppure a impedire che facessero del male a un frammento della sua anima.
Colpevole, abbassai lo sguardo sulle mie mani e fissai con rammarico la mia pipa.
«Non capisco una cosa però.» precisò a un tratto, accigliato. «Perché hai nascosto al Consiglio l’esistenza del sigillo? Alla riunione non ne hai fatto parola.»
«È semplice. Ho preferito non divulgare questa notizia per non dare a nessuno l’opportunità di interrogare quel povero ragazzo.» gli spiegai, totalmente sincero. «La situazione di Minato era già parecchio compromessa, non volevo peggiorarla ulteriormente.»
Per un lungo istante, il suo sguardo mi perforò la pelle come mille lance infuocate e mi sembrò quasi che il tempo, si allargasse e si fermasse al ritmo impazzito dei miei battiti poi però, Sakumo cacciò fuori un grosso sospiro e rilassò le sue ampie spalle, adagiandosi sullo schienale della poltrona. «Quindi, l’hai fatto solo per proteggere il ragazzo?»
Il suo tono all’apparenza sembrava neutrale, tuttavia, lo conoscevo abbastanza da non illudermi: era ancora molto arrabbiato.
«Sì, solo per quello.» annuii, serio. «Lo sai, non avrebbero mai permesso a quel ragazzo di sapere troppo e Minato, che lo abbia voluto o no, si è ritrovato immischiato fino al collo in questa brutta storia.» mi passai una mano sulla faccia, pensieroso. «Ha persino attirato l’attenzione di chi non doveva.» sbuffai sconsolato al pensiero di cosa sarei stato costretto a fare per tenerlo lontano da quella serpe velenosa.
Sakumo intuendo i miei pensieri, fischiò ammirato e ghignò in maniera sadica. «Uhm, ahi ahi, questa sì che è una bella rogna per te!»
Gli lanciai un’occhiataccia da dietro la mia mano, ma lui la ignorò bellamente. «Quel marmocchio pestifero non ha nessun istinto di autoconservazione.» ribatté, stranamente divertito. «Non è ancora uscito dalle fauci delle iene che già si è lanciato in quelle del lupo.»
Lo fissai, incredulo. «L’hai incontrato?»
«Sì, diciamo di sì.»
E la luce presente nei suoi occhi sembrava dirla lunga.
Scossi la testa, avvilito. «Non dirmi che hai giocato con lui?»
Il suo sorriso sghembo non lasciò posto agli equivoci. «Solo un po’.» rise, affettuoso. «Devo ammetterlo, è cresciuto davvero tanto in questi anni.»
Alzai un sopracciglio, invitandolo a continuare. «E…?»
«Ed è identico a suo padre.» ammise, con una punta di nostalgia nella voce.
Sul suo volto nacque un piccolo sorriso e i suoi occhi, divennero liquidi e lucidi come l’inchiostro. Era la stessa espressione che assumeva ogniqualvolta i suoi ricordi felici riaffioravano a galla e lui, prima di riacciuffarli e racchiuderli nei meandri del suo cuore, si incantava ad ammirarli e a riviverli nella sua mente con la consapevolezza e il rammarico di chi sapeva di non poter tornare a quei momenti unici e speciali.
Il tutto durò pochi secondi poi, sbattendo un paio di volte le ciglia, Sakumo ritornò al presente e come al solito, dovette costringersi a nascondere la delusione dietro una maschera di fredda indifferenza. «Parlando di altro...» mi disse, riportando la nostra conversazione al punto principale. «Spiegami meglio di questo sigillo.»
Ci misi un minuto buono prima di riordinare i miei pensieri e riprendere il filo del discorso per spiegargli tutti i dettagli in mio possesso. «Come sai, di quel maledetto sigillo si conosce ancora ben poco. Tsunade, durante le sue ricerche ha scoperto la sua storia, ma non conosce un modo per spezzarlo.»
«È riuscita a sapere da dove proviene quell’affare?»
Annuii impercettibilmente. «Sì, nei diari di Mito c’era scritto qualcosa a riguardo. Sembra che all’inizio questa tecnica venisse usata per i prigionieri di guerra o i peggiori criminali che si macchiavano delle colpe più atroci, ma a quanto pare, persino gli shinobi più potenti avevano timore di usarlo perché aveva delle conseguenze disastrose sul sistema circolatorio del chakra.» portai la pipa alle labbra e aspirai una lunga boccata, prima di proseguire sotto il peso dei suoi occhi di fenice. «Se evocato male, non è solo la vittima a morire, ma anche chi compone i sigilli incorre nella stessa tragica sorte. Per ovvie ragioni, alla fine la sua pratica è stata bandita e con il tempo, venne dimenticato. Gli unici che ne custodiscono ancora la formula completa, secondo gli appunti di Mito, sono gli Uzumaki.» alzai nuovamente i miei occhi su di lui, sostenendo il suo sguardo impenetrabile. «Capisci, ora?» gli chiesi, sperando davvero che capisse perché avevo deciso di mandare Kushina al Vortice. «Solo Daisuke conosce il modo per spezzare quel sigillo. Solo lui e nessun altro.»
Le sue labbra si piegarono in una smorfia di disprezzo nel sentire quel nome, ma il suo cervello andò oltre, preferendo ragionare su fatti più importanti.
Lo vidi passarsi una mano sugli occhi, pensieroso per poi, scendere a massaggiarsi il collo. «Come diavolo facevano quei bastardi di Kumo a conoscere quella tecnica?» sbottò alla fine, arrabbiato.
«Non lo so» ammisi, riflettendo insieme a lui. «Forse, qualcuno dei loro anziani si ricordava ancora della sua esistenza, chissà.» azzardai, concentrato. «Comunque, non è quello che mi preoccupa sapere.» aggiunsi subito dopo, mettendolo al corrente del dubbio che più mi tormentava da quando ero venuto a sapere del sigillo. «Vorrei tanto sapere il ‘perché’ abbiano usato proprio quella tecnica su di lei.»
Sakumo sembrò cogliere subito il punto nascosto dietro le mie parole e mi lanciò un’occhiata seria e sospettosa. «Ti rendi conto di cosa significhi questo?» mi domandò, irrigidendo le spalle per la tensione.
Ricambiai il suo sguardo, preoccupato quanto lui dai miei stessi pensieri.
Ci avevo pensato molto durante quelle ore e purtroppo ero giunto sempre alla stessa conclusione: «Ne sono consapevole, credimi.» gli risposi, in ansia. «Non so come abbiano fatto a scoprirlo, ma sono convinto che loro sapessero del segreto di Kushina e che l’abbiano rapita per mettere le mani sulla volpe a nove code.»
Nella stanza piombò un silenzio carico di preoccupazioni non dette e ansia, lasciandoci quasi privi di qualsiasi forza di fronte a quella spaventosa realtà.
Non ero uno sciocco, sapevo quanto fosse grave il peso delle mie parole e il significato intriso in ciò che avevo detto.
Se i miei dubbi si fossero dimostrati veri, voleva dire che una talpa aveva divulgato i nostri segreti di Stato ai nostri nemici e ciò, ci metteva tutti in serio pericolo.
Fu Sakumo a spezzare il silenzio con un sussurro appena percettibile. «Ne sei sicuro, Hiruzen?»
«Non posso dirlo con certezza.» precisai, con cautela. «Ma non vedo altre ragioni plausibili per cui un gruppo di Jōnin si dovrebbe disturbare ad usare una simile tecnica su una ragazzina come Kushina. Le loro azioni non hanno un senso, almeno ché...»
«…non fossero già a conoscenza di cosa si nascondesse dentro di lei.» mi anticipò, seguendo il filo logico del mio ragionamento. «Che stronzi!» esplose, furioso. «Le hanno bloccato il chakra nella speranza che quel maledetto sigillo facesse assopire quella cosa!»
Grugnii un assenso come risposta e ripresi la parola. «Poveri sciocchi, hanno solo peggiorato la situazione.»
«Che intendi dire?»
«Non so come, ma quella ragazza ha saputo aggirare in parte il sigillo.» gli rivelai. «Tsunade mi ha detto che nonostante il chakra di Kushina sia stato bloccato, lei continua ad avere in circolo una forte fonte di energia. Penso che quella ragazzina, in qualche modo, stia riuscendo a controllare il potere del Kyuubi e a farlo suo.» aggrottai la fronte, ancora incerto su come Kushina fosse stata in grado di fare una cosa simile. «Ma non so per quanto ancora possa farlo.» aggiunsi, spostandomi inquieto sulla poltrona. «Kushina al momento è molto debole e il suo chakra non è in ottime condizioni. Temo che se non stabilizziamo la situazione al più presto, possa perdere il controllo su quell’essere e allora...»
«…allora, sarebbe un vero e proprio disastro!» mi interruppe inorridito, saltando dalla poltrona come una molla e iniziando a camminare su e giù per la stanza come una bestia in gabbia.
Annuii mestamente, chinando il capo. «Non oso nemmeno immaginare quali danni potrebbe fare quel mostro se il sigillo che lo imprigiona dovesse spezzarsi.»
All’immagine di quello scenario catastrofico, Sakumo si fermò di colpo e con un colorito parecchio cadaverico si lasciò cadere sulla poltrona con un sospiro stanco e rassegnato.
Non parlò subito, si perse per parecchi minuti nei suoi pensieri ed io, lo lasciai riflettere in santa pace. Potevo quasi sentire il rumore degli ingranaggi del suo cervello lavorare freneticamente in cerca di una scappatoia, ma alla fine, dovette arrendersi di fronte all’evidenza. Si passò una mano sulla faccia, sdegnato e masticò tra i denti qualcosa di simile a un: «Quindi, non c’è altra soluzione: dobbiamo portare l’agnello dai lupi.»
«È per il bene di tutti.» gli mormorai, mortificato di causargli una simile angoscia.
La sua mandibola schioccò per la frustrazione. «Posso capirlo, ma non significa che lo approvi.» grugnì, livido di rabbia. «Già una volta quel verme gli ha voltato le spalle, proprio quando lei aveva più bisogno di lui. Che cosa ti fa credere che adesso sia cambiato qualcosa?»
«Hai ragione, l’ha fatto.» fui costretto ad ammettere, sconfortato. «Tuttavia, sono sicuro che Daisuke non perderà l’occasione di usare questa storia per avanzare delle pretese su di noi. Puoi starne certo, sarà sempre felice di aiutarci finché questo gioverà al suo tornaconto personale.»
Sakumo incrociò le braccia al petto e fece uno sbuffo, sprezzante. «Quella piccola e sudicia serpe.»
«Serpe o no, questo non cambia il fatto che sia sempre suo padre.» tentai di mitigare, ma me ne pentì l’istante stesso in cui pronunciai quelle parole.
Gli occhi di Sakumo si accesero di una cieca collera e dalla sua gola ne scaturì un suono simile a un ringhio cupo. Con uno scatto fulmineo, si portò a pochi centimetri dalla mia faccia e sibilò a denti stretti: «Un vero padre non abbandona i suoi figli!»
Incurvai le spalle sotto il peso della sua furia. «Non lo perdonerai mai, vero?»
«No, mai
E nella mia mente quelle parole sembrarono affilate e crudeli come la peggiore sentenza di morte. Nel mio ufficio scese di nuovo il silenzio e io, ne approfittai per riordinare meglio le mie idee.
Nell’urgenza del momento, avevo pensato di mandare insieme ai miei ragazzi anche Sakumo ma ora, non ne ero più tanto sicuro. Il suo odio per Daisuke era ancora vivo in lui come il primo giorno e l’idea di farli incontrare, mi preoccupava parecchio.
Quei due avevano troppi conti in sospeso da risolvere e non potevo permettere che qualcosa andasse storto e mandasse a monte la missione; dal suo esito, ne andava la sicurezza e la salvezza di tutto il villaggio della Foglia e del Paese del Fuoco.
Non potevamo fallire per nessuna ragione al mondo.
Sakumo sembrò intuire le mie paure perché quando la sua voce parlò nuovamente – e spezzò il nostro silenzio – era estremamente calmo e serio: «Non preoccuparti per me, Hiruzen.» mi disse, assumendo quell’espressione che solo in rare occasioni gli avevo visto in volto e che metteva a nudo il suo intero essere, mostrando tutte le sue debolezze – senza filtri o maschere nel mezzo. «Lo ammetto. Odio quell’uomo con tutto me stesso per aver usato sua figlia come merce di scambio e per avere tradito la nostra amicizia. Se potessi, lo ammazzerei con le mie stesse mani per ciò che le ha fatto e per come l’ha abbandonata dopo averla resa ciò che è. Non lo perdonerò mai per questo né per aver giocato con la vita di Aiko e Nanami. Puoi starne certo, non lo perdonerò mai; nemmeno se da questo ne dipendesse la mia vita. Tuttavia, prima di essere un uomo con dei sentimenti spregevoli verso quel vile traditore, sono un ninja di Konoha e so bene qual è il mio dovere nei confronti del mio Paese e della mia gente. Non perderò mai il controllo sulle mie emozioni e non darò in stupidi colpi di testa a causa dei miei problemi personali, questo, posso giurarlo. Mi conosci abbastanza da poterti fidare di me; quindi, non preoccuparti e assegnami al gruppo di spedizione per il Paese del Vortice. Non farò casini, te lo prometto.»
Durante tutto il suo discorso, Sakumo non mollò il mio sguardo nemmeno per un secondo. Dentro potevo leggerci tutte le miriadi di emozioni che stava provando: la rabbia e l’odio verso Daisuke, la preoccupazione per Kushina, il rimorso e il dolore per i ricordi che ancora lo incatenavano al suo triste passato, la frustrazione per non essere stato in grado di chiudere veramente le porte del suo cuore e l’impotenza – soprattutto, l’impotenza – di non essere forte abbastanza per poter mettere fine a tutta quella vecchia e triste storia.
Rimasi così colpito dall’intensità di tutte quelle emozioni da restarne frastornato.
Era davvero intenzionato a unirsi alla spedizione e sebbene una parte di me fosse contraria a quella scelta, un’altra non poteva che esserne estremamente sollevata.
Lo conoscevo fin da quando eravamo soltanto dei ragazzi alle prime esperienze con quel mondo crudele e pieno di battaglie e, lo dovevo ammettere, era per merito suo se alcune volte ero riuscito a portare a casa la pelle. Nel mio inconscio, sapevo di potermi fidare ciecamente di lui ma, quella parte di me ancora timorosa, non mi lasciava tranquillo.
«Non lo so.» sospirai alla fine, indeciso. «Credimi, vorrei poterti dire di sì, ma temo davvero che tu faccia qualche stupidaggine.»
Lo vidi annuire, estremamente serio. «È vero, potrei.» concesse, sincero. «Ma non lo farò.»
«Davvero sei disposto ad incontrarlo?»
«Sì.»
«Sei sicuro che riuscirai a controllarti davanti a lui?»
Strinse i pugni così tanto da farsi sbiancare le nocche ma, la sua voce, risuonò alle mie orecchie decisa e calma: «Posso farlo.»
Mi presi qualche secondo in più per valutare la situazione, conscio che in fondo la mia decisione era già stata presa. «Mi dispiace per ciò che ti sto chiedendo di fare.» alitai in un mormorio appena percettibile.
Le sue labbra si stirarono in una lieve smorfia ironica e mi fece un cenno con la mano per indicarmi di lasciar perdere e di non aggiungere altro su quell’argomento. «Se non me lo avresti chiesto tu, lo avrei fatto io.» disse semplicemente, adagiandosi di nuovo allo schienale della poltrona. «Non potrei mai lasciarla andare da sola in quel luogo, sarebbe troppo per lei.»
Mi strofinai la fronte, avvilito da tutta quella situazione ingarbugliata.
Non era giusto, dentro di me sapevo di chiedergli troppo.
Chiunque al suo posto si sarebbe facilmente ribellato e invece, Sakumo metteva sempre il bene degli altri d’innanzi al proprio.
«È proprio da te.» mi ritrovai a dire, fissando con insistenza la sottile spirale di fumo che proveniva dalla pipa. «Pur di salvare il tuo gregge, saresti disposto a incendiare l’intero raccolto.»
Il suo volto si aprì in un sorriso dolce e fiero, uno di quelli che usava raramente: «Quella ragazza è parte della mia famiglia, darei la mia vita per lei.»
La sua dichiarazione non mi lasciò per nulla sorpreso e non faticai nemmeno a prenderla sul serio.
Sapevo molto bene quanto il suo affetto per Kushina fosse sincero; lo era sempre stato.
Fin dalla prima volta in cui i loro occhi si erano incrociati – proprio qui, nel mio ufficio – il giorno in cui quella ragazza era giunta a Konoha.
Sakumo non mi aveva mai voluto rivelare cosa quel giorno avesse visto in quella bambina dai folti capelli rossi, ma qualcosa in lei, sembrava aver smosso il suo cuore.
Forse, erano stati proprio i suoi grandi occhi blu così spauriti a scatenare l’istinto protettivo del mio amico; non lo sapevo con certezza, ma da quell’istante, l’aveva semplicemente amata con la stessa intensità e tenerezza di un padre amorevole.
Le era rimasto così profondamente legato, da restarle accanto nonostante la sua stretta parentela con Daisuke e aveva cercato di aiutarla in qualsiasi modo per imparare a contenere il potere della volpe a nove code. L’aveva accolta in casa sua e le aveva donato una parvenza di serenità che nessun altro era stato disposto a darle.
E Kushina non era stata da meno: era arrivata nella vita di Sakumo al momento giusto.
Proprio quando lui stava per crollare e lasciarsi trascinare via da quel mare di eventi impazziti, nell’istante in cui stava per perdere di vista la sua reale natura e la bontà del suo animo, quella ragazzina, gli aveva mostrato una luce nelle tenebre e l’aveva guidato verso una speranza che lui aveva smarrito. L’aveva aiutato donandogli una ragione per reagire al dolore e lui, aveva deciso di aggrapparsi alla vita. Insieme, avevano cercato di ricollegare i pezzi di un’esistenza che non sarebbe mai più stata la stessa ma che, dopotutto, valeva ancora la pena di essere vissuta.
A ben pensarci, era proprio questa la differenza tra lui e Jiraiya; mentre Sakumo aveva deciso di superare gli eventi traumatici di quella disgraziata storia, lottando per amore delle persone che gli stavano attorno, Jiraiya, non riusciva a reagire e, questo, lo portava a scappare continuamente da qualsiasi cosa avesse a che fare con quella vicenda.
Un esempio, lo era stato il nostro litigio.
A quel ricordo, mi lasciai sfuggire un altro sospiro – l’ennesimo di quella giornata.
Sakumo puntò il suo sguardo su di me per chiedermi se andava tutto bene e io, non potei fare altro che scuotere la testa e confessare con lo sguardo basso: «Ho litigato di nuovo con Jiraiya.»
Per un lungo istante, non disse nulla e, inconsciamente, mi sentii davvero in colpa nei suoi confronti.
Sapevo più di chiunque altro quanto, quella faccenda, lo ferisse e nonostante tutto, non potevo fare a meno di parlargliene.
In quel momento – da vero egoista qual ero – avevo così bisogno di confidarmi con un amico, da non badare neppure a cosa potesse provare lui a riguardo.
Ero un pessimo amico, davvero pessimo.
Tuttavia, non avevo nessun altro con cui poterne parlare o di cui mi fidassi veramente. E Sakumo, come sempre, mise sé stesso da parte per correre in mio aiuto.
Con dolcezza, appoggiò una mano sulla mia spalla e mi confortò: «Vedrai, gli passerà presto.»
Scossi il capo, afflitto. «No, questa volta è stato diverso.» sussurrai, portandomi entrambe le mani alla testa e nascondendo il volto tra i palmi chiusi a coppa. «Tu non l’hai visto, era completamente fuori di sé.»
«Hiruzen, è normale.» mi spiegò, dispiaciuto. «Jiraiya è colui che, rispetto a tutti, ne ha sofferto di più.»
Sollevai di scatto la testa e cercai i suoi occhi, rammaricato. «No, non è vero.» negai, con una voce ferma. «Sei tu che quella sera hai perso tutto, non lui.»
Una smorfia amara gli si disegnò sulle labbra e incapace di contraddirmi, distolse gli occhi dai miei. Lasciò cadere pure la sua mano dalla mia spalla e si allontanò per tornare ad appoggiarsi allo schienale della poltrona. Incrociò le braccia al petto e si nascose dietro la sua solita maschera di gelida indifferenza. «Entrambi ne abbiamo sofferto, non è una gara a chi lo fa di più.» mormorò dopo un po’.
Incurvai le spalle per il rimorso e la vergogna. Non avrei mai dovuto riportargli alla mente quei ricordi dolorosi. «Mi spiace, non dovevo.»
Lui scosse il capo e riprese a parlare. «Non penso che Jiraiya sbagli nel voler tenere il segreto ancora per un po’.» se ne uscì all’improvviso, sorprendendomi. «Per quanto le sue ragioni possono sembrare sbagliate, vuole solo proteggere il ragazzo. Dargli tempo, quando sarà il momento giusto, le cose verranno da sé.»
Aggrottai la fronte, riflettendo sulle sue parole. «Pensi che lo stia spingendo troppo?»
Sakumo sbuffò con il naso e si portò di nuovo la mano al collo, massaggiandoselo con cautela mentre ragionava.
Quel gesto tanto spontaneo, attirò la mia attenzione e mi distrasse dai miei cupi pensieri. «Cosa hai fatto al collo?»
Mi fece cenno d’ignorarlo ed eclissò velocemente la questione con poche parole. «Un piccolo incidente durante la mia ultima missione, tranquillo, nulla di grave.» mi disse e con disinvoltura, tornò alla nostra precedente conversazione. «Penso, comunque, che Jiraiya sappia cosa è meglio per il suo allievo. Non dimenticare che tra tutti noi, è colui che lo conosce meglio.»
«Sì, forse hai ragione.» gli concessi, avvicinandomi la pipa alle labbra mentre ripensavo ai nostri ultimi litigi. «Vorrei soltanto aiutarlo, ma non so come fare.» gli confidai, frustrato.
«Devi solo stargli vicino e avere fiducia in lui.» mi consigliò, scrollando le spalle – quasi, stesse dicendo qualcosa di estremamente ovvio. «Conosci Jiraiya meglio di me e sai perfettamente che non scapperà per sempre, non è da lui farlo. Non preoccuparti, al momento opportuno – quando se lo sentirà – affronterà tutto e lo supererà.» fece un piccolo sorriso e continuò. «Quel testone è sempre stato un po’ più tardo rispetto agli altri ma, alla fine, ce l’ha sempre fatta.»
Le sue parole mi colpirono con una violenza inaudita e mi fecero rendere conto di quanto fossi stato ottuso in tutto quel tempo.
Aveva ragione, non sarebbero state di certo le mie continue pressioni ad aiutarlo.
Se davvero volevo rendermi utile, l’avrei dovuto sostenere e non opprimerlo in quel modo.
«Sono stato davvero un’idiota.» sussurrai appena, coprendomi di nuovo la faccia con entrambe le mani.
Sakumo mi diede una pacca amichevole sulla schiena. «L’importante è averlo capito.» scherzò, ironico.
Gli lanciai un’occhiataccia, segretamente divertito. «Così non sei d’aiuto.»
«Davvero?» si lagnò, accigliandosi in un’espressione parecchio infelice. «Eppure, pensavo di essere stato abbastanza fico un attimo fa.»
Scoppiai a ridere, non riuscendo più a trattenermi. «Quanto sei scemo
Mi fece un occhiolino, giocoso e si portò una mano sul cuore. «Oh, tesoro, così mi ferisci!»
«Smettila, se ti sentono possono pensare male.»
Da vero bastardo qual era, ghignò sadicamente ed esclamò a voce alta. «Hai paura che Biwako sappia di noi, amore? Non temere, io non sono geloso.»
Saltai allarmato, preoccupato che qualcuno avesse potuto sentire quell’idiota del mio migliore amico e lanciai un’occhiata fugace alla porta. «Zitto, cretino!» gli ordinai, arrossendo sulle guance.
«Amo quando fai il pudico: sei così tenero.» mi rispose invece lui, sogghignando come una iena.
Con uno scatto, gli tirai addosso il cuscino della mia poltrona e lo fulminai con lo sguardo, fingendo di essere esasperato dalle sue stupide battutine. «Non vuoi conoscere chi sarà il gruppo che ti affiancherà per accompagnarti al villaggio del Vortice?» gli chiesi, cercando di riportare la nostra discussione su un argomento quantomeno serio.
Sorrise, ricomponendosi velocemente. «Non serve, penso di averlo già intuito.»
«Ah, davvero?»
«Con una talpa che scorrazza libera per il villaggio, non ti fideresti di nessuno ad eccezione dei tuoi ragazzi. Quindi, è ovvio che saranno loro la tua scelta.»
Lo osservai con un sorrisetto compiaciuto ed annuii. «Sì, hai ragione. Ho pensato al Team Sarutobi: oltre te, sono gli unici di cui mi fido ciecamente.» considerai, tranquillo. «Tuttavia, non ci saranno solo loro.»
Sakumo a quella notizia, alzò un sopracciglio parecchio sorpreso. «Non credo sia una buona idea, Hiruzen.» commentò, assorto. «È rischioso mandare un gruppo troppo numeroso: potrebbe attirare l’attenzione.»
«Già, anche questo è vero.» dovetti ammettere.
Non aveva tutti i torti, ma qualcosa mi diceva di inserire ugualmente Minato nella spedizione per il Villaggio del Vortice.
Ne ero certo, quel ragazzo si sarebbe reso molto utile e probabilmente, avrebbe anche potuto apprendere molto durante il viaggio. Era così intelligente che non aggregarlo alla missione sarebbe stato un vero spreco.
«Per non contare che se siamo in tanti, mantenere il segreto di Kushina diventerà una vera impresa.» continuò a dire Sakumo, elencando sulle dita tutte le buone ragioni per farmi cambiare idea. «Il sigillo di Mito è instabile e non sappiamo cosa potrebbe succedere durante il viaggio: si potrebbe spezzare definitivamente, Kushina potrebbe perdere il controllo su quell’essere o – cosa da non sottovalutare – qualcuno potrebbe capire. E noi, non possiamo permettere che ciò succeda, lo sai.»
Rimuginai per un po’, in cerca di una soluzione e alla fine, pensai di aver trovato un ottimo compromesso. «Che ne pensi allora di riorganizzare la squadra?»
Si accigliò, perplesso. «E dimmi, chi sarebbero i candidati?»
«Beh, se devo essere costretto a scegliere direi proprio: Tsunade come capo squadra e ninja medico...»
«Sarà lei a gestire la missione?»
«Sì, sarà la più lucida del gruppo in questa spedizione.» commentai, calmo.
«Hai proprio pensato a tutto, eh?»
Gli donai un piccolo sorriso di scuse e proseguii con la mia lista: «Ovviamente, ci sarai tu e poi, Jiraiya – di sicuro, grazie alla sua allegria non vi annoierete per la strada.»
«Come se stessimo andando a fare un picnic.» si lamentò a mezza voce, ma lo ignorai.
«E infine, desidero che al posto di Orochimaru venga con voi Minato.»
Sakumo quasi cadde dalla poltrona per la sorpresa. «Minato?»
«Sì, Minato.» confermai, deciso.
«Non capisco, perché vuoi che il ragazzo venga con noi?»
«Credo sarà utile.»
«Utile?» domandò, scettico.
Quasi ridacchiai della sua espressione. «Fidati di me.»
«Non chiedermelo, per favore.» gemette sconsolato, passandosi una mano sulla faccia. «Non è mai una buona cosa fidarsi di una scimmia infida come te.»
Sogghignai sotto i baffi e gli rivolsi uno sguardo angelico. «E perché, scusa?»
Sbuffò, scocciato, gettando gli occhi al cielo. «Hai anche la faccia tosta di chiedermelo?»
Chinai il capo e alzai le mani in segno di resa. «Okay, forse, hai ragione.» ghignai, divertito. «...ma ehi, se non lo fossi, non sarei quello che sono: semplice legge di sopravvivenza!»
Lui mi sibilò contro un epiteto poco carino ed io, scoppiando a ridere, mi ritrovai finalmente a tirare un sospiro di sollievo.
Certo, avevamo ancora molta strada da fare per appianare questa situazione disastrosa e il futuro, era così incerto da pesarmi come un macigno sulle spalle. Ciononostante, non riuscivo a deprimermi completamente.
Insieme, eravamo sempre riusciti a trovare un modo per cavarcela e questa volta, non sarebbe stata diversa dalle altre.
Questo pensiero, mi donò la sicurezza di cui avevo bisogno per non arrendermi ed andare avanti.
Come se avesse intuito la direzione dei miei pensieri, Sakumo mi sorrise e mi diede una pacca sul ginocchio, complice.
«Se tutto va bene, tra due settimane partirete.» lo informai.
Lui annuì, pragmatico. «Dovevo aspettarmelo. Minato non può lasciare il villaggio finché non sconterà la sua detenzione.»
«Già.»
«Jiraiya n’è al corrente?»
«Sì, ha intuito subito le mie intenzioni.» risposi, con una smorfia. «Non era entusiasta della cosa ma, alla fine, ha accettato.»
«E per gli esami?» si informò, curioso.
«Non ha potuto rifiutarsi.» mi limitai a dire, ridacchiando senza ritegno per lo stratagemma che avevo usato per farlo cedere.
Gli occhi di Sakumo furono attraversati da una luce estremamente divertita e brillarono come due gemme preziose. «Non esito a crederlo.» commentò, beffardo. «Quando vuoi, sai essere molto convincente.»
Stavo giusto per rispondergli quando, al centro della stanza, si materializzò con un rispettoso inchino la figura snella e dinoccolata di Tetsuya – di ritorno dalla sua missione.
E fu inevitabile per me, sentire lo stomaco aggrovigliarsi allo spiacevole pensiero di dover risolvere un’altra questione spinosa e della massima urgenza.
Mi si congelò il sorriso sulle labbra e il mio umore, scese rapidamente sotto le scarpe.
Sakumo notò subito il mio repentino cambiamento e inarcò un sopracciglio, irrigidendo le spalle in una silenziosa attesa.
In un istante, il clima rilassato della stanza mutò in un silenzio carico di tensione e aspettative non dette.
«Sandaime-sama.» mi salutò Tetsuya, venendomi vicino.
Sakumo si voltò a guardarlo e quando lo riconobbe, gli fece un piccolo cenno di saluto con il capo.
«L’hai trovato?» gli chiesi, troppo di malumore per badare ai miei modi burberi.
«Sì, signore.»
Mi feci scuro in viso e mentalmente, mi preparai a rivedere quell’uomo. «Bene, aspettami fuori.»
Tetsuya annuì, ubbidiente e, con un rispettoso saluto rivolto ad entrambi, scomparve rapidamente dalla nostra vista.
Nel mio ufficio scese per l’ennesima volta un silenzio carico di tensione e nessuno dei due sembrò intenzionato a prendere la parola per primo.
Sollevai lo sguardo su di lui e come mi aspettavo, trovai già i suoi occhi ad aspettare i miei. «Devo andare.» gli mormorai, tetro.
Annuì, tremendamente vigile. «Passeggiata pomeridiana?»
Gli feci un cenno di assenso e quando, di malavoglia, mi alzai per raggiungere Tetsuya, la sua mano scattò fulminea come una saetta e mi afferrò per un braccio, bloccandomi a metà del movimento. Incatenò i nostri sguardi e strinse con più forza le dita attorno alla sua presa.
Mi imposi di sostenere il suo sguardo e, indossando la mia migliore espressione di indifferenza, tirai fuori il mento, in un gesto di sfida a dire qualcosa.
Sakumo mi scrutò con un’insistenza e un’intensità disarmante e, per un breve istante, temetti davvero che lui intuisse i miei sospetti su quell’uomo.
Non volevo che ne venisse a conoscenza, non era ancora il tempo.
Prima volevo accertarmi di persona che quell’idiota fosse direttamente coinvolto in questa storia, altrimenti, Sakumo, sarebbe corso alle conclusioni e per quello stupido sarebbe stata la fine.
La fronte mi si imperlò di sudore freddo, ma mi sforzai di non distogliere lo sguardo.
Tuttavia, sembrò tutto inutile.
E lo compresi nel momento in cui le labbra di Sakumo si piegarono in una linea dura e severa.
Gli era bastato poco per capire ed io, tremai di fronte a quella consapevolezza perché la luce che lessi dentro ai suoi occhi per me, valse più di mille parole.
Feci per parlare, ma lui mi anticipò. «Sai che questa storia non finirà a buon mercato, vero?» mi chiese, mortalmente serio.
Bastarono solo quelle semplici parole per far morire sul nascere ogni mia speranza di farlo ragionare.
Distolsi subito lo sguardo dal suo, incapace di sopportarlo oltre.
Era arrivato alla verità e lo conoscevo troppo bene per pensare anche solo lontanamente che lui avrebbe lasciato correre una cosa del genere.
Non si sarebbe fermato finché non avesse preso tutti i responsabili coinvolti in questa faccenda e li avrebbe ammazzati con le sue stesse mani.
Sospirai, agitato.
Ingenuamente, avevo sperato fino a l’ultimo che Sakumo non fosse venuto mai a conoscenza di tutti i dettagli. Che stupido e folle che ero stato!
«Cosa vuoi che ti dica?» esalai con un filo di voce, rassegnato all’inevitabile.
Alla mia domanda, vidi il suo volto congelarsi in una maschera di spietata furia omicida e i suoi occhi, mi perforarono come mille coltelli affilati. «Niente.» ribatté, con una calma degna di un assassino. «Non voglio che tu dica niente. Ti sto solo informando che stavolta non lascerò correre, tutto qui.»
Mi si accapponò la pelle, quella storia non avrebbe portato nulla di buono. «Dimmi, Sakumo, cosa hai in mente di fare?»
Lui stirò le labbra in un ghigno spietato. «Non lo immagini?»
Oh, certo che lo immaginavo!
La sua espressione parlava già molto chiaramente senza il bisogno che lui si spiegasse a parole. Ed era proprio quello che mi spaventava più di ogni altra cosa!
«Sakumo, ascolta...» provai allora a dire, posando la mia mano libera sulla sua spalla. «Ho già avviato un’indagine interna. Lascia che mi occupi io di questa storia.»
Gli scappò una piccola risata crudele e carica di odio. «Non posso farlo.» si limitò a dire, glaciale. «Hanno osato farle del male, di nuovo. E questa volta, non li lascerò andare. Nemmeno se sei tu a chiedermelo, mi spiace, Hiruzen.»
«Non capisco, se hai preso la tua decisione, perché me ne hai parlato?»
«Volevo semplicemente metterti al corrente, tutto qui.»
Sospirai, seriamente preoccupato. Sakumo era senza dubbio il peggior nemico che “quell’idiota” poteva scegliere di farsi.
Dovevo riuscire a farlo calmare oppure, all’interno del villaggio, sarebbe potuto seriamente scoppiare un vero disastro.
«Se tieni a quella ragazza, non dovresti prima pensare al suo bene e solo dopo alla tua vendetta?» tentai, cercando un qualsiasi appiglio sulla sua coscienza per farlo desistere dai suoi propositi.
Lui sbuffò, irritato. «Mi credi veramente così stupido da non sapere cosa vuoi fare? Mettere Kushina in mezzo non ti servirà a nulla, fidati.»
«Lo so, credimi.» risposi, imponendomi di rimanere calmo. «Non per niente, siamo amici da molti anni. Non posso cavarmela così facilmente con te, lo so, lo so molto bene.» commentai, tetro. «Ma per favore, ascoltami.» lo pregai, con una punta di disperazione nella voce. «Lascia a me il compito di cercare i responsabili di questa storia e di punirli. Tu, pensa solo a prenderti cura di lei.»
Sakumo voltò il viso dall’altra parte, infastidito.
Il suo, poteva sembrare un rifiuto categorico ma io, lo conoscevo abbastanza bene da sapere che in fondo, stava valutando il da farsi.
Quando lo udii bofonchiare una sequela di imprecazioni e parole così poco puritane – che alla mia adorata moglie avrebbero causato uno svenimento per lo shock – quasi il terreno mi mancò sotto i piedi per il sollievo.
«Affare fatto?» lo incalzai, trattenendo a stento un sorriso.
Lui mi lanciò una tremenda occhiata in tralice e grugnì, sdegnato. «Sarutobi, sei proprio un’infida scimmia!»
«Sì, può darsi.» confermai con un sorriso angelico, battendogli un’altra pacca amichevole sulla spalla.
Lui mi sibilò contro un altro insulto poco carino ed io, mi ritrovai a tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo.
«Hiruzen.» mi chiamò, poi. «Dì a quel bastardo che la prossima volta, non ci sarà nessuno che potrà parargli il culo. Se qualcuno proverà a sfiorare di nuovo quella ragazza, giuro sulla mia testa che lo ammazzo con le mie stesse mani. Ricordalo.»
Trattenni il respiro sotto il suo sguardo di fuoco, ma provai ugualmente ad indossare la mia migliore maschera di indifferenza: «Perché pensi che ci sia lui dietro a questa storia?»
Lui scoppiò in una risata amara. «Lo stai chiedendo davvero?»
Scossi la testa, dispiaciuto e lui, senza aggiungere più una parola, si alzò in piedi e si diresse verso la porta per uscire.
«Tieniti reperibile, appena sarà tutto pronto per la partenza te lo farò sapere.» gli ricordai, prima che uscisse fuori.
«Ci vediamo.» mi salutò, senza voltarsi.
Perfetto, Hiruzen, ora ti tocca affrontare il terzo grattacapo della giornata!” pensai, con un sospiro sconsolato.





















NdA:
Dopo anni di assenza, avevo paura a pubblicare di nuovo e una vocina nella mia testa, mi invitava a desistere dal continuare questa storia, ma il mio cuore fremeva ogni volta che avviavo il computer e i miei occhi, si posavano sul foglio di Word nell’angolo in alto a destra del desktop. Ho voluto riprovarci, riprendendo la storia dal punto in cui l’avevo lasciata perché in fondo, non ho mai rinunciato ai miei personaggi. E alla mia passione per la scrittura.
Ringrazio di cuore tutte le dolcissime persone che nonostante il tempo, la mia assenza, nonostante tutto, hanno continuato a tenere la mia storia nelle seguite, nelle ricordate e nelle preferite!
Grazie di cuore, perché a darmi il coraggio di premere di nuovo il tasto ‘Aggiungi una storia’ siete stati proprio voi. E anche la mia migliore amica che, compagna di letture e amica instancabile e insostituibile, mi ha spronato a non arrendermi e ad ascoltare il mio cuore.
Detto questo, spero che questo nuovo capitolo vi possa piacere.
Con affetto,
Rosye.





 
   
 
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