Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Giulia1098    21/09/2020    1 recensioni
Dodici giardini per dodici ragazzi, dodici mesi, ingranaggi di un sistema perfetto, ma limitante. Questa è la storia di Maggio, di come decise di voler assaggiare di più del mondo e delle sue storie e così scoprì grandi misteri nascosti, così scoprì l'amore
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 Maggio riaprì gli occhi sotto un cielo terso, sentiva l’erba che le pizzicava piacevolmente le guance e qualche filo le arrivava fino alla bocca; il corpo sdraiato sembrava leggermente affondare in un terreno morbido ed umido, che sapeva di buono. Terra pensò.
Si mise a sedere guardandosi un poco attorno, mentre le gambe riprendevano pian piano sensibilità: si trovava in una grande distesa di erba, quell’erba che è ancora un poco gialla, soda e fresca, in lontananza poteva scorgere un villaggio fatto di casupole e tetti spioventi dai cui camini salivano rigagnoli di fumo, poi l’occhio si perdeva oltre, verso un orizzonte luminoso che si spalancava su di uno spazio per lei infinito.
Mentre se ne stava lì, quasi ipnotizzata da quella sensazione di luce e chiarezza, notò un gruppo di tre bambini che si rincorrevano nel prato, giocando ad acchiapparsi l’un l’altro.
 -Sei lento, Agapio!- gridava divertita una bambina, la cui corsa un po’ sgraziata aveva fatto sciogliere i laccetti che le legavano i capelli, ora liberi di agitarsi al vento -Non è giusto, Helena, lo sai che ieri sono caduto! Potevamo anche stare con la mamma oggi pomeriggio!- ma la bambina aveva già smesso di ascoltarlo pronta ad acchiappare il ragazzino più grande che, ad ampie falcate, cercava di sfuggirle -Timoteo, questa volta non vincerai, te lo giuro!- le gambette della bambina si erano avvicinate sempre più alla schiena del compagno, ed un braccio magrolino si era teso in avanti per afferrare la casacca, ma lui, scaltro, aveva rallentato apposta ed ora con uno scatto fulmineo si era portato in avanti.
-Mi sono stufato di giocare con voi!- stava urlando nel frattempo il piccolo Agapio, oramai abbandonato a se stesso, lontano nel prato, -Non mi fate vincere mai- e sedutosi per terra, iniziò a singhiozzare con le braccine incrociate sul petto. Helena si fermò un attimo per assicurarsi che il fratello stesse solo facendo i suoi soliti capricci, ma quello per Timoteo fu il momento decisivo per sfuggirle del tutto. Prese a correre con maggior decisione, una falcata dopo l’altra, proprio in direzione della povera Maggio, che nel frattempo se ne era stata seduta lì, in mezzo all’erba ad osservare silenziosa. Ormai il ragazzino le era dinnanzi, ma con un altro slancio in avanti le passò attraverso, senza nemmeno accorgersi di lei, se non forse per un buon profumo di fiori che in quel momento gli passò sotto il naso.
Maggio chiuse quasi istintivamente gli occhi, quando si vide il ginocchio magrolino del ragazzino piantarsi proprio di fronte alla sua faccia, anche se già sapeva di essere per gli uomini solo un vago sentore di frutti ed al massimo un fantasma evanescente che qualcuno si voltava a guardare pensando di aver visto una sagoma, che poi si rivelava solo un riflesso, una qualche ombra lontana.
Mentre guardava quei ragazzini che giocavano e si divertivano tra loro, Maggio pensò spontaneamente ai fratelli e cercò di immaginare come dovesse essere avere un’infanzia, avere dei momenti come quelli, poter giocare e festeggiare, il pomeriggio sonnecchiare assieme al sole e la sera raccontarsi favole, ma purtroppo così non era e non aveva senso lagnarsi, pensò, tanto valeva mettersi all’opera e darsi da fare il prima possibile, alla fine trentun giorni non sono poi così tanti. Ma nella testa aveva fermato l’istante in cui la mano di Helena si era sporta verso la schiena di Timoteo, mentre il piccolo Agapio zoppicava poco più dietro, decisa a ritrarre quel momento sul suo taccuino una volta tornata indietro.
Iniziò il suo operato.

Dopo pochi giorni il mondo aveva già adorato la comparsa delle more, era vero, ogni tanto qualche sbadato finiva dentro un roveto, ma otteneva solo un po’ di graffi e l’insegnamento di fare più attenzione la volta successiva, in compenso le donne si recavano a cogliere i bei frutti scuri e se ne riempivano i grembiuli, accompagnate dai bambini che invece si impiastricciavano la bocca e le dita rubandole dai cestini e cercando poi di nascondere il misfatto.
Maggio adorava tutta questa spontaneità, tutta questa vita che scorreva placida, serena e felice ed era contenta, fiera di poter donare gioia a tutte quelle persone, di poter portare un sorriso facendo splendere un poco di più il sole prima del tramonto sulla finestra di qualche anziano, così che potesse godere ancora un po’ del suo tepore.
Dopo poco meno di una settimana, aveva già partecipato ad almeno tre feste di paese, all’insaputa degli invitati, riso e ballato assieme a quelle persone che celebravano un matrimonio, una nascita o una strana figura femminile che portava ogni anno le messi, anzi, rise sotto i baffi pensando che forse gli uomini l’avevano qualche volta scambiata nelle loro menti per quella donna giunonica e prospera che chiamavano Cerere.
E proprio alla festa di questa fantomatica Cerere, mentre i cittadini della città innalzavano ghirlande di fiori e l’aria rosseggiante per il tramonto si riempiva del dolce profumo del pane, Maggio assaggiò per la prima volta, rubandola dalla coppa di una bella donna dai capelli corvini, una bevanda strana, dolce ed acida allo stesso tempo, di un viola profondo e speziato, che il giorno successivo le causò un forte mal di testa.
Così se ne vagava per il mondo adornandolo con i suoi frutti e fiori, godendo spensierata della vita e cercando di catturare nella mente quanti più ricordi le fosse possibile ricordarsi, quando giunse in prossimità di un alto bosco tetro.
L’aria lì era un poco più fredda e rarefatta, le pizzicava nelle narici quando inspirava e la vista rimaneva quasi annegata da quel verde così profondo e pieno che le si parava, quasi fosse stato un muro, davanti. Un brivido le corse su per la schiena, un senso di angoscia e paura, forse spirito di sopravvivenza, che le suggeriva di lasciar stare quello strano posto, di non addentrarsi dove sentiva venir meno la vita, ma la sua curiosità era troppo alta, e poi, sotto sotto, nascosto tra buoni propositi e progetti per il futuro, un pensiero macabro e triste: forse se mi succedesse qualcosa, sarei finalmente libera. Rimase agghiacciata dal rendersi anche solo conto di aver potuto pensare ad una cosa del genere, ma alle volte la razionalità non è abbastanza potente da vincere la passione irrazionale che ci stringe il petto e così, un passo timoroso dopo l’altro, si addentrò sempre più nella selva.
 Quel bosco era un luogo veramente molto strano, non sentiva cantare un solo uccello, né lo scricchiolio degli animali che passeggiavano sugli sterpi, neppure l’ululato di un solo lupo la accompagnava in quel posto privo di luce che le si faceva sempre più opprimente addosso.
Per un momento pensò di tornarsene indietro, indietro verso le feste con il vino, indietro verso i bambini che giocavano e i tramonti color pesca, ma, quando si voltò poi effettivamente indietro, non vide altro che buio dietro di sé, così come non c’era altro che buio attorno a lei e sopra di lei. Sembrava di avanzare in una strana massa scura, indefinibile e sempre uguale, ogni tanto si rendeva conto che quello spazio in cui si stava muovendo, o almeno, pensava di starsi muovendo, fosse un bosco, con i suoi tronchi, i suoi rami e le sue foglie, ma l’attimo successivo tornava a sembrarle solo un’indefinita massa scura, densa, che le bloccava il respiro.
Si fermò. Davvero hai paura del buio, davvero credi di non poterci riuscire? E’ solo un bosco giusto? Rendilo tale pensò mentre un sudore freddo le imperlava la fronte e così tentò di riportare un poco di vita in quel posto che sembrava esserne privo da molto tempo. Appoggiò le dita sul tronco di un albero, la scorza dura e fredda, terribilmente fredda, e vi impresse tutta la forza che sentiva in corpo, tutto quell’attaccamento spasmodico alla vitalità che è proprio del mese dei frutti e dei fiori, e così quasi timidi, come se fossero stati risvegliati da un lungo torpore malato, dei germogli verdi iniziarono a strisciare sotto i suoi palmi ed ad abbracciare il tronco dell’albero che pian piano riprendeva calore.
Maggio appoggiò un orecchio al fusto e sentì dentro, in profondità, il cuore di legno riprendere timoroso a battere ed a pulsare linfa nel suo corpo, per cui, rinvigorita dal primo tentativo, fece lo stesso con gli altri alberi che le stavano attorno: si appoggiava alla loro fredda scorza e vi imprimeva di nuovo la vita, gioendo ogni volta che il lento battito millenario riprendeva ad echeggiare nel profondo del legno.
Purtroppo però la carica emotiva, l’ansia di fallire ed il timore della morte di quel luogo, avevano reso Maggio distratta nei confronti dei particolari, per cui, nella foga di risvegliare ogni albero, non si rendeva conto che i precedenti ricadevano in quello stato di morte apparente in cui li aveva trovati, non si rendeva conto che i germogli che aveva loro donato si ghiacciavano e sbriciolavano nel momento esatto in cui lei girava loro le spalle, quasi fosse una madre con troppi figli malati e troppo amore per ciascuno di questi, Maggio curava un albero per poi non accorgersi di star lasciando morire gli altri dietro la sua schiena bianca.
Lo schiaffo della realtà arrivò nel momento in cui non riuscì più a guarirli ed allora si rese disperatamente conto che anche tutto il suo lavoro precedente non era servito a nulla, che il freddo imperversava, che la morte non abbandonava quel posto maligno, che lei aveva ormai perso la strada per uscirne fuori. A questo punto la paura si impadronì di lei, perse quel poco di lucidità che le era rimasta e iniziò a correre, e più correva più piangeva per il terrore, e più piangeva più la vista le si offuscava e credeva di vedere strane figure intorno a lei che la rincorrevano, figure sgraziate, terribili, dai corpi di ghiaccio così magri, che sembravano quasi volerla divorare per la fame di cui portavano i segni visibili sulle membra. L’unica parola che la sua testa riusciva a formulare in quel momento era: paura.
Voltandosi indietro cercando di capire se poi quelle figure abominevoli ci fossero o meno, non si era accorta di una grande radice che la fece cadere con la faccia in mezzo all’erba scura. Quando si alzò, un poco stordita vide una radura che sembrava quasi protetta, rinchiusa da quella selva terribile e proprio al centro di quella stessa stava una vecchia casa diroccata.
Sembrava una vecchia dimora, grigia e spenta, così come il bosco che la circondava, una persona anziana e malata, che aveva visto di gran lunga tempi migliori: le finestre parevano orbite nere, le pareti da fuori erano rovinate dalla muffa e dalle intemperie e nella porta, sbarrata, si apriva uno squarcio stretto che avrebbe a stento fatto passare un uomo. Maggio ne era totalmente rapita e spaventata, non riusciva a muoversi, sentendo quasi un torpore sinistro afferrarle le gambe ma un grido agghiacciante le ridiede il movimento.
Dietro di lei infatti quelle che fino a quel momento aveva sperato fossero solo visioni allucinate di una mente stanca ed impaurita, erano diventati veri e propri fantasmi, dalle braccia lunghe che ricadevano a penzoloni sul terreno, occhi talmente tristi da bloccare il respiro in gola e soprattutto venivano proprio verso di lei. Non aveva scelta che rifugiarsi in quella sinistra casa.
Corse velocemente all’ingresso salendo rapida le scale che portavano al pergolato e si infilò nella piccola apertura sulla porta, lasciandosi alle spalle quelle creature terribili i cui lamenti le stavano facendo vibrare dolorosamente i timpani.
Se un uccello nel suo viaggio lungo il cielo in quel momento avesse guardato verso il basso, verso quella strana radura in quella strana casa, avrebbe colto un piccolo petalo di rosa scomparire, divorato da una buia bocca sdentata
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Giulia1098