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Autore: Mary P_Stark    21/09/2020    1 recensioni
Liza Wallace è la nuova Geri del branco di Clearwater e, a discapito della sua giovane età, dimostra fin da subito di avere un potenziale enorme; il rapporto davvero unico con i suoi Huginn e Muninn, i magici corvi al servizio del Sicario Umano del branco colpisce fin dall'inizio l'intero branco. Questo suo potenziale verrà subito messo alla prova quando, a sorpresa, giungerà a Clearwater una famiglia proveniente da New York. I Sullivan sembrano una famiglia normale, almeno all'apparenza, ma il figlio Mark e suo padre Donovan metteranno in allarme il branco a causa del loro comportamento sospetto. Saranno dei temuti Cacciatori, o qualcun altro si cela nell'ombra, più pericolo e subdolo, tentando di portare lo scompiglio nel branco di Lucas, Devereux e Iris? (particolari della storia presenti nei racconti precedenti della Trilogia della Luna)
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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5.

 

 

 

Gli uffici e, più in generale, i luoghi di lavoro, erano lo specchio di coloro che vi lavoravano all’interno, almeno agli occhi di Diana.

Nello specifico, l’ufficio di Devereux Saint Clair poteva essere un buon viatico per conoscere il carattere del suo utilizzatore che, tra le altre cose, era anche il proprietario della ditta per cui, forse, avrebbe lavorato come designer d’interni.

Ordinato e luminoso – ampie vetrate si aprivano sul piazzale dell’azienda – l’ufficio era semplice nelle linee e dai colori tenui, con piccole fotografie di famiglia sulla scrivania e alcuni prospetti di ville appesi ai muri.

La documentazione era ben sistemata in semplici scaffalature di legno tinto di bianco, mentre le sedie per i clienti erano comode e moderne, apparentemente acquistate con il preciso scopo di far stare a proprio agio gli utilizzatori.

Ciò che invece sorprese un poco Diana fu scoprire i gusti dell’uomo per cui avrebbe lavorato da lì in poi, se tutto fosse andato secondo i suoi piani.

Quando lo vide entrare in ufficio con una tazza fumante di cioccolata calda, l’aria compiaciuta e un sorriso di benvenuto stampato sul bel volto, Diana sorrise sorpresa e dichiarò: «La cioccolata non me l’aspettavo, lo ammetto.»

Bloccandosi a metà di un passo, Devereux ammiccò divertito, si affacciò sulla porta dell’ufficio per chiederne una seconda tazza e, nell’accomodarsi dopo averle stretto la mano, dichiarò: «E’ un vizio che mi ha passato la mia fidanzata, lo ammetto. Indipendentemente dal caldo o dal freddo, la cioccolata mi piace un sacco. Sono lieto di sapere che piaccia anche a lei.»

«Adoro tutto ciò che è dolce, e infatti devo stare attenta a quanto mangio, per non incorrere in adipe in eccesso o nel diabete» ammise con candore la donna.

«Allora ci capiamo, così come capirà più che bene il mio cliente, visto che ama cucinare e ha richiesto una cucina dalle dimensioni imbarazzanti, che lei dovrà arredare di tutto punto, oltre al resto della casa» ammiccò Devereux, portando Diana a sorridere complice.

Dagli SMS che Chelsey gli aveva mandato soltanto venti minuti addietro, Devereux si era figurato una donna intelligente e piacevole, e non poteva che dare ragione alla figlia. Diana Sullivan-Scott sembrava essere entrambe le cose.

Al momento, però, non poteva occuparsi delle faccende del branco, ma solo di lavoro perciò, mentre Suzanne consegnava a Diana una tazza di cioccolata calda, Dev estrasse il progetto della casa e iniziò a elencarle i vari punti in questione.

La donna annuì più volte, consigliò alcune migliorie da apportare all’impianto elettrico e chiese di poter avere accesso alla segheria per visionare alcuni campioni di legno da usare per le scaffalature.

A tutto ciò, Devereux si ritrovò ad assentire con vigore, trovando le soluzioni ideate da Diana assai innovative e molto adatte al tipo di prodotto finale che avrebbero desiderato raggiungere. Non gli dispiacque per nulla trovarsi così in sintonia con quella donna, anche se dover tenerla d’occhio per conto del branco lo disturbava un po’.

Se poteva lavorare bene e avere a che fare con una persona simpatica, era sempre preferibile. Sperò quindi con tutto il cuore che non dovesse risultare un pericolo per tutti loro, perché gli sarebbe assai spiaciuto doverla considerare una nemica.

Quando infine ogni punto venne vagliato, Devereux le lasciò una copia della planimetria perché potesse usarla per creare i suoi progetti in 3D dopodiché, nel terminare la sua cioccolata, disse con casualità: «Mia figlia mi ha chiamato per dirmi di aver mangiato da lei dei biscotti buonissimi. Temo vorrà la ricetta, visto quanto ne era entusiasta.»

Scoppiando in una risatina allegra, Diana asserì: «Ammetto di aver fatto la parte dell’impicciona, con sua figlia e la sua amica. Mi sono appostata in giardino per veder tornare mio figlio e capire con chi si accompagnasse ogni giorno. Un po’ dozzinale, come tecnica, ma ha funzionato.»

«Spero non mi debba vergognare per quelle due» chiosò Dev, vedendola scuotere il capo con aria simpatica.

«No, affatto. Sono adorabili entrambe e, per me, è stato un sollievo conoscerle e scoprire che mio figlio aveva fatto amicizia con qualcuno» ammise la donna, tornando seria. «Trasferendoci spesso, abbiamo messo Mark nella scomoda situazione di non poter fare molte amicizie, perciò sono stata felice di saperlo in compagnia di qualcuno… ma credo che lui non abbia apprezzato il mio interesse.»

Devereux annuì comprensivo, dichiarando: «Io ho sempre vissuto qui, perciò non so cosa voglia dire essere sbalestrati da un posto all’altro, ma la mia fidanzata ne sa qualcosa, invece, visto ciò che passò prima di raggiungere Clearwater.»

Diana assentì, mormorando turbata: «Chelsey mi ha accennato a un terribile lutto.»

L’uomo annuì debolmente. «Dopo la morte dei genitori, Iris cercò di ritrovare se stessa e la sua identità. La fortuna volle che il suo camper ebbe un problema che la obbligò a fermarsi a Clearwater, e questo ci permise di fare la sua conoscenza. Grazie al cielo, inoltre, lei volle subito bene alla mia Chelsey.»

Ridendo di se stesso, aggiunse dopo un attimo di smarrimento: «Anzi, oserei dire che è merito di mia figlia, se ho potuto conquistarla. Fosse stato solo per il mio caratteraccio, l’avrei fatta scappare a gambe levate.»

Ricordava ancora bene la prima volta in cui aveva incontrato Iris, e sapeva bene che, se non fosse stato per la lingua lunga di Chelsey, probabilmente lui non avrebbe avuto neppure mezza possibilità di rivedere la donna di cui, poi, si era innamorato.

Sorridendo comprensiva, Diana replicò: «I lutti ci possono spezzare, così come renderci assai determinati ma è bello sapere che, alla fine, la sua fidanzata abbia trovato un porto in cui approdare. Spero che sia così anche per noi. Questo posto è davvero molto bello, e mi spiacerebbe andarmene.»

«Vi auguro di poter rimanere» dichiarò Dev, prima di scusarsi quando il telefono squillò.

Presa la chiamata, ascoltò con aria esasperata le lagnanze di uno dei suoi dipendenti, alle prese con le richieste assurde di un cliente che, di punto in bianco, desiderava apportare modifiche alla casa già montata.

Dev assentì più e più volte finché, con un sospiro, disse: «Fred, è molto semplice; digli che, se vuole un balcone laddove c’è un muro, dovrà pagare un sovrapprezzo del dieci percento sul costo della casa. Quei tronchi costano una fortuna, ed è da pazzi pensare di tagliarli per infilarci una finestra col balcone. Dovremmo rinforzare la struttura portante e quant’altro, perciò sarebbe un lavoraccio. Dieci percento, o niente. Si tiene la parete.»

«La prossima volta, ci andrai tu a lavorare per i Becker, poco ma sicuro» brontolò Fred, chiudendo la chiamata con un ciao smozzicato tra i denti.

Dev sorrise esasperato nel poggiare la cornetta del telefono e chiosò: «Il guaio dei clienti che ci fanno visita in cantiere. Hanno sempre troppe idee e, spesso e volentieri, troppe idee sbagliate

«Per curiosità… a quanto ammonterebbe quel dieci percento?» domandò Diana con curiosità.

«Centotrentamila dollari circa. I Becker hanno voluto una casa enorme in stile country canadese, ma bucare una parete portante non è come carotare un muro qualsiasi. Comporta una redistribuzione dei pesi, portanze da ricalcolare e tutta una serie di permessi da richiedere per variazioni in corso d’opera che i signori in questione non tengono conto nel loro folle piano di apportare modifiche random, oltre all’innegabile danno estetico che comporterebbe distruggere la parete di cui parliamo.»

Sospirando, Devereux scosse il capo, disgustato al solo pensiero di dover danneggiare una simile opera, e tutto per accontentare le follie di un cliente.

«Quei tronchi sono meravigliosi, e il solo pensiero di tagliarli mi fa accapponare la pelle. Spero che la cifra li spaventi a sufficienza per far loro capire che, A, non hanno bisogno di un balcone proprio lì, e B, deturpare la casa per delle fisse assurde costerà loro in termini di salute mentale, oltre che di danno economico, quando si accorgeranno dell’errore.»

Annuendo di fronte alla disamina del problema, Diana assentì, più che d’accordo. «Non è un muro di mattoni che, eventualmente, può essere tappato e intonacato. Il legno è una creatura a sé stante e ne vanno seguite le venature, le pieghe e i disegni.»

«Esattamente. Ma alcuni, purtroppo, non lo capiscono, e nascono situazioni simili» scrollò le spalle Dev, levandosi dalla poltroncina per poi indicarle la porta. «La accompagno nel reparto legname per mostrarle i tronchi e le assi che avremmo intenzione di usare, così mi dirà se vede qualcosa di suo gradimento.»

«La ringrazio, signor Saint Clair.»

«Devereux, la prego, o anche Dev. Siamo tutti piuttosto informali, qui» le sorrise lui, accompagnandola all’esterno dell’ufficio, dove Suzanne ammiccò loro con aria cordiale.

«Iris ha chiamato per dire che tarderà un po’, stasera, e di non preoccuparsi» lo informò la segretaria. «Poi è passato George e mi ha detto di dirti, testuali parole, che il tuo cavolo di pick-up dovrebbe finire i suoi giorni in un burrone, per quanto è inguidabile. Ti ordina di fargli bilanciare le gomme.»

«Ordina?» ripeté ironico Dev, levando un sopracciglio con ironia.

«Ehi, Dev, io ripeto a pappagallo ma, secondo me, è colpa della protesi. Cigolava talmente tanto da farmi accorgere del problema, quindi ci può stare che guidi male per quel motivo. Ma non sono un medico» gli fece notare lei, ammiccando divertita.

Sbuffando, Devereux scosse il capo nell’uscire dalla casamatta assieme a Diana e, borbottando, le spiegò: «George Sanders è uno dei nostri boscaioli migliori ma, alcuni anni addietro, ebbe un bruttissimo incidente in cui perse tibia e perone. Gli innestarono una protesi e tornò a lavorare per noi ma, da quel che può aver compreso, non se ne prende molta cura e, ogni tanto, devo fare la voce grossa perché vada dal suo ortopedico per una revisione, per così dire.»

La donna assentì comprensiva e replicò: «Oh, lo capisco bene. Il primo anno, per me, fu assai difficile accettare di avere un moncherino sotto il ginocchio ma, col tempo, la sensazione di stranezza è passata.»

Dev levò un sopracciglio con interesse, replicando: «Non si direbbe. Cammina speditamente.»

«Mi sono allenata molto» ammise lei.

Sorridendo, l’uomo replicò: «Il punto è che lui non ha problemi ad avere il moncherino, però dimentica che non è una gamba di carne e sangue, ma meccanica, e che ha bisogno di manutenzione. Dare calci a un tronco perché vada in sede, non aiuta le giunture metalliche, a mio parere.»

Diana fece tanto d’occhi, a quel commento, ed esalò: «Oh, cielo. No davvero!»

«Ecco, si è figurata che tipo sia George e… parlando del diavolo…» chiosò Dev indicando un uomo che, caracollante, li stava raggiungendo col volto ombroso e pronto a dar battaglia. «… da quando in qua mi dai degli ordini, George?»

«Da quando mi fai guidare quella baracca del tuo pick-up!» sbraitò l’uomo, raggiungendoli con andatura incerta e fissando per un istante la nuova venuta con aria curiosa. «Signora…»

«Signor George…» replicò divertita Diana, studiando l’uomo che, dopo quel saluto grossolano, tornò ad attaccare il suo datore di lavoro.

«Quell’aggeggio infernale farebbe finire all’ospedale chiunque! Devi farlo aggiustare!» sbraitò George, sbracciandosi con veemenza per rendere il suo dire più chiaro e lampante.

Imperturbabile, Dev si piegò su un ginocchio, sollevò i pantaloni da lavoro del suo dipendente per mettere in mostra la protesi metallica e, replicando burbero, disse: «George, ti sei accorto che hai perso qualche bullone?»

«Che cavolo stai dicendo?» brontolò l’uomo, strattonando i pantaloni per coprire la protesi.

Dev lo fissò con aria di sufficienza e replicò: «Vai da Cole, fatti rimettere in sesto e poi riparliamone. Se non lo fai, ti corro dietro con la ruspa, così vedremo se sei tu che procedi storto, o se è la mia auto a farlo.»

«Sei il solito bifolco… e poi non si parla così davanti a una signora» sbuffò George, guardando dubbioso Diana.

«Sono abituata a ben di peggio… e mi creda, il suo titolare ha ragione. Un bullone fa molta differenza» chiosò Diana, sollevando appena il proprio pantalone per mostrare la caviglia in metallo.

Subito, George sgranò gli occhi per la sorpresa e la comprensione e, meno burbero, dichiarò: «Eeeh, mi sa che ha ragione lei. Ma è questo cavernicolo che non sa dire le cose nel modo giusto.»

Dev soprassedette e, dopo la promessa di George di recarsi da Cole Webber – il suo ortopedico – lo guardò allontanarsi con passo ciondolante fino a raggiungere la sua jeep.

Con una sgommata sul terreno soffice del cortile, l’auto si infilò sull’interstatale per poi scomparire alla loro vista e Devereux, sorridendo a Diana, chiosò: «Le sfuriate le farò fare a lei. Poco ma sicuro.»

«Nessun problema. So trattare con gli zucconi» ammiccò la donna, sorridendo.

A Dev quel sorriso piacque molto e, tra sé, cominciò a pregare un Dio a cui solitamente ben di rado si rivolgeva per chiedergli di non annoverare Diana tra i loro nemici. Sarebbe stato davvero un brutto colpo, per lui.

***

«…e così, Diana è piaciuta anche a te. Liza e Chelsey ne sono entusiaste» chiosò Iris, finendo di darsi la crema sulla pelle prima di raggiungere Dev nel letto matrimoniale.

«A livello umano, la trovo davvero piacevole. Vorrei sottolinearlo, perché non voglio creare dubbi nella tua testolina» sorrise Dev, intento a leggere una rivista sportiva.

Tra l’arrivo a tarda ora di Iris e i molteplici impegni di Dev, i due avevano cenato tardissimo, quando Liza e Chelsey avevano già terminato di mangiare e si erano spaparanzate sul divano del salotto per guardare la TV.

Alla coppia non era rimasto che mangiare in cucina da soli, ragguagliandosi su ciò che avevano scoperto quel giorno e sulle rispettive giornate lavorative.

Iris aveva avuto meno fortuna, rispetto agli altri, poiché il professor Sullivan non era ciarliero come la moglie, perciò aveva potuto soltanto sapere dei suoi molteplici viaggi e poco altro.

Dev, allora, le aveva riferito dei frequenti spostamenti della famiglia Sullivan e dello strano incidente che aveva fatto perdere la gamba a Diana. Da quel che la donna gli aveva raccontato, aveva perso l’arto a causa dell’aggressione di un lupo in un bosco, alcuni anni prima.

«Curtis è stato avvertito di tutto?» domandò torva Iris, scivolando tra le coperte per poi poggiarsi contro il petto del compagno.

«Sa tutto, e sta incrociando i dati che gli abbiamo fornito con gli spostamenti dei Sullivan. Visto che Diana non è la vera madre di Mark, è possibile che loro si siano conosciuti durante uno dei loro trasferimenti, e Donovan sia stato testimone del fatto, o abbia capito la vera natura delle ferite della sua attuale moglie» le spiegò Dev, lasciando da parte la rivista per darle un bacetto sui capelli.

«Sai cosa c’è, Dev? Donovan non mi è parso un uomo cattivo, ma ha come un demone che lo divora dall’interno. I suoi occhi sembrano sempre ardere, quando non crede di essere osservato, anche se è molto abile a mascherarlo» sospirò Iris, meditabonda.

«Beh, non credo che si possa ottenere una buona pubblicità, se parli a vanvera di mostri che attaccano le persone per ucciderle, ti pare?» ironizzò fiaccamente Dev. «Comunque ti capisco. Neppure Diana sembra una cattiva persona, e mi dà un fastidio tremendo ficcare il naso a sproposito.»

«Pensi sia stato un licantropo, a uccidere la famiglia di Donovan e a ferire Diana?»

«Tutto è possibile. Tu sei stata ferita a tua volta e, per grazia di Dio, non è successo il peggio. Se però pensiamo a gentaglia come Logan e Julia, non mi posso stupire più di tanto, se qualcuno afferma che un lupo ha attaccato un uomo con l’intento di uccidere» ammise Dev, scuotendo un poco le spalle.

«Lei, quindi, ha sangue di neutro nelle vene, per non aver subito la mutazione» gli fece notare Iris.

«Non so. Non mi sembrava avere l’odore di un neutro. Inoltre, c’è una cosa che non mi torna; anche i lupi più piccoli del branco, tolti i cuccioli, hanno dimensioni di molto superiori a quelle di un lupo naturale, perciò Diana avrebbe avuto dei dubbi, in merito alla reale natura dell’animale che la attaccò, se si fosse trattato di un mannaro.»

«Oppure, ha omesso qualcosa nel racconto perché, come dicevamo prima, parlare di mostri a dei perfetti sconosciuti non aiuta a farsi pubblicità» gli fece notare Iris.

Dev assentì e Iris, con lo sguardo, tornò alla sua ferita da artiglio, ferita che le aveva permesso di conoscere un mondo a lei sconosciuto e che aveva condotto nella sua vita la dolce Chelsey e il suo futuro marito.

Lì a Clearwater aveva ritrovato se stessa, aveva fatto pace con la sua parte animale e scoperto come convivere con essa e, anche grazie a uno stupido pneumatico forato, aveva trovato l’amore. Non poteva certo dire di essere scontenta di come erano andate le cose, ma avrebbe preferito condividere quella gioia con i suoi genitori.

“Spiace anche a me di non averli conosciuti, ma Richard e Rachel sono davvero degli zii eccezionali, non ti pare?”, le trasmise mentalmente Dev, spegnendo la luce per poi lasciarsi andare contro i cuscini.

“Se non ci fossero stati loro, sarei davvero morta di paura. Devo moltissimo a tutti loro, ma ogni tanto ci ripenso e mi intristisco. Scusa.”

“Non scusarti. Hai voluto loro un bene dell’anima, e sarebbe sciocco non provare nostalgia. Ora, però, sai che sono da qualche parte assieme a Madre e, se sono le persone eccezionali che mi hai descritto, avranno mantenuto la loro corporeità spirituale e i loro ricordi, e potranno cercarti nelle polle che ci sono su Helheimr.”

Iris gli sorrise nell’oscurità, replicando divertita: “Hai imparato bene la lezioncina, eh?”

“Quando parli con un dio come Fenrir, ne impari molte, di cose, e ne credi molte di più” ammiccò Dev, dandole un bacio sulla fronte. “Ora dormiamo, però. Domani tu hai scuola, e io devo andare presto in cantiere.”

Lei assentì e, nel chiudere gli occhi, ripensò allo sguardo d’acciaio di Donovan e al dolore che vi aveva visto bruciare dentro. Non aveva davvero idea di cosa avessero scorto quegli occhi color del mare, ma doveva essere stato uno spettacolo davvero raccapricciante.

***

La visita a sorpresa a casa di Mark le aveva lasciato un retrogusto amaro in bocca e, al solo ripensarci, Liza si sentì sporca ed egoista.

Non le piaceva affatto quella situazione, e il solo pensiero di dover continuare quella sorta di recita fino alla scoperta del segreto della famiglia Sullivan, le faceva sorgere in seno un orribile sentimento; il disgusto.

Si sentiva nauseata da se stessa ma, al tempo stesso, riconosceva la necessità di venire a capo di quel problema, che avrebbe potuto seriamente minacciare l’incolumità di ogni membro del suo clan.

“Non dormi neppure stasera, mamma?”

“Muninn? E tu, allora? Cosa dovrei dire, di te?”

“Sono un corvo, mamma.”

“E questo cosa vorrebbe dire?”

“Avevo fame, perciò sono andato a caccia, e ora sto mangiando un pezzo di carne” dichiarò con naturalezza Muninn, quasi fosse superfluo spiegare.

Liza rimuginò qualche istante su quell’affermazione prima di rammentare che, in effetti, i corvi erano dei pozzi senza fondo e, spesso e volentieri, mangiavano a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Non fosse stato che Huginn e Muninn predavano in libertà e non disdegnavano praticamente nulla, sul loro menù, Dev avrebbe speso follie per il loro mantenimento.

Il solo pensiero la portò a sorridere e, nel rigirarsi nel letto al fine di trovare una posizione migliore per appisolarsi, mormorò: “Mangia e poi mettiti a dormire. Vedrai che succederà anche a me.”

“Huginn dice di non essere tranquillo. Qualcosa lo turba. Dice di stare attenti, perché il pericolo è vicino.”

“Pericolo? Sa anche di che genere?”

“No. Ma dice che sa di animale, non di uomo.”

Liza preferì non indagare oltre. Se Huginn non osava aggiungere altro, in merito alle sue visioni, stava a significare che null’altro poteva essere detto. Huginn non lesinava mai sulle parole, se aveva qualcosa da dire perciò, molto semplicemente, non c’era nient’altro che potesse aggiungere.

Solo, l’idea che vi fosse un pericolo proveniente da un animale, non la confortava. Era mai possibile che l’essere che Donovan Sullivan cercava da dieci anni, fosse infine giunto lì?

***

Il vento portava con sé un profumo dolce, di sangue giovane e forte, aroma di cibo fresco e di un cuore indomito.

La foresta era cupa, oscura e fredda, attorno a lui, ma non ne aveva timore. Lui e la foresta erano l’uno la continuazione dell’altra. Lui apparteneva alla foresta, come la foresta apparteneva a lui.

Perciò, aveva tutto il diritto di predarvi all’interno e, all’occorrenza, di divorarne gli intrusi. Lui era all’apice della catena alimentare, era come un dio sceso in terra per fare fiero pasto degli incivili che calpestavano la madre Terra senza alcun ritegno.

Dopotutto, era un Salvatore, no? Puniva i miscredenti!

“Non darti tutte queste arie. In te non c’è niente del Salvatore. Sei solo un predatore, e come tale devi vederti” replicò la voce di Lei, che sempre lo teneva al guinzaglio perché non commettesse errori.

Senza di Lei, lui sarebbe stato perso. Era Lei che lo guidava verso le Luci del Nord, poiché Lei era il suo sprone a vivere. Lei lo aveva reso tale, forte e imbattibile, e lui le doveva obbedienza cieca. Per Lei avrebbe ucciso e ucciso ancora, così come si sarebbe ucciso, se Lei glielo avesse chiesto.

Lei era tutto, come se essa stessa fosse le Luci del Nord, che Lei gli aveva detto essere legate a lui e al suo ciclo vitale.

“Non posso predarlo, quindi?”

“Non ho detto questo” sottolineò lei, nella mente il pensiero della caccia e della morte si intervallavano con velocità sempre crescente.

Il ghigno di lui si fece feroce, a quell’ammissione e, mentre il vento portava con sempre maggiore forza l’aroma di un uomo solitario e dei suoi cani nel bel mezzo della foresta ai piedi del Denali, lei disse: “A tempo debito caccerai. Ora osservalo, studia le sue mosse, fallo sentire predato. Instilla in lui la paura finché non si sentirà così in pericolo da voler scappare. Solo allora, uccidilo. La sua carne sarà più buona.”

“Come desideri” mormorò lui, obbediente. Lei sapeva sempre come fargli apprezzare appieno la caccia.

Così avrebbe fatto e, quando il suo cuore pulsante si fosse ritrovato sotto i suoi artigli, lo avrebbe offerto a Lei, come sempre.

 

 

 

 

 N.d.A.: Huginn ha visto qualcosa nel futuro di Liza, forse proprio coloro che Donovan sta cercando. E' dunque giunto il momento della vendetta, per Donovan? O i suoi nemici saranno così pericolosi che, persino per i nostri amici licantropi, il loro arrivo sarà fonte di problemi molto seri? Non resta che aspettare, e vedere. Alla prossima!


  
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