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Autore: Alessia Krum    21/09/2020    0 recensioni
Acquamarina aveva continuato a vedere immagini, immagini brutte e spaventose, che non avrebbe mai voluto vedere. Acqua poteva pensare e vedere quelle figure, ma non stava né dormendo, né era svenuta, non era sveglia e non poteva svegliarsi. Voleva vedere e capire che cosa stava succedendo. Vide un villaggio, un piccolo villaggio sormontato da un castello. Il paesino sembrava tranquillo, ma fuori dalle mura si stava svolgendo una feroce battaglia. Persone con la pelle blu e le pinne combattevano con tutto quello che avevano e una grande speranza contro eserciti interi di mostri viscidi, squamosi e rivestiti da armature pesanti che mandavano bagliori sinistri. La battaglia infuriava. Per ogni mostro abbattuto, morivano almeno due uomini. Poi Acqua vide un uomo, protetto da un cerchio di mostri, che sembravano i più potenti e i più grossi. Quell’uomo aveva un qualcosa di sinistro e malvagio. Indossava un pesante mantello nero e continuava a dare ordini e a lanciare fiamme ovunque.- Avanti, Cavalieri, sopprimete Atlantis e l’oceano intero sarà mio! –
Genere: Fantasy, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 41
Più di quello che pensi

Tutto ciò che sentiva era freddo e bruciore. Il ghiaccio le arpionava la pelle, il gelo la pervadeva. Ma, in un modo che non riusciva a spiegarsi, era anche rassicurante e seducente. A volte si ritrovava a desiderare di rimanere così in eterno. Quello che riscuoteva Acqua da quei pensieri era il bruciore delle ferite, premute contro i duri cristalli di ghiaccio. La tormentavano senza sosta, pulsanti di dolore, come se stessero gridando pietà. Acqua avrebbe voluto dimenarsi, gridare, invocare aiuto; ma ogni suo muscolo era immobile, fermo come il marmo di una statua. 
La ragazza aveva intravisto in modo confuso Darcon che si allontanava dalla propria prigione con passi misurati e trionfanti. Poco dopo la sua figura non era diventata altro che una macchia scura e deforme attraverso gli strati di ghiaccio, ma le era sembrato di averlo visto chinarsi, come per raccogliere qualcosa. Il braccialetto dorato, forse? Acqua fu attraversata da una fitta di disperazione. 
Il cuore le batteva ancora convulsamente nel petto, lo sentiva rimbombare nelle orecchie. Respirava pesantemente per la foga del combattimento, anche se non riusciva a capire come facesse l'acqua ad entrarle attraverso le narici e uscire dalle branchie, schiacciata com'era da tutto quel ghiaccio. In qualche modo, il ghiaccio la manteneva in vita, anche se lei non sapeva spiegarsi come. Allo stesso modo, non comprendeva cosa le avesse permesso di liberarsi, prima. Provò innumerevoli volte, ma nulla le permetteva di raggiungere l'essenza del ghiaccio e ghermirla, farla sua. Era sempre un passo troppo lontano. Per quanto si sforzasse, le sue capacità erano legate a catene troppo corte. Cercava di protendersi, sentendo lo sforzo quasi fisicamente; era come sollevarsi sulle punte dei piedi e allungare le braccia verso l'alto, tendendo i muscoli per arrivare ad afferrare il cielo, fino quasi a spezzarsi. Non ci riuscì. Ritornò in sé stessa, sbattendo le palpebre per recuperare la vista annebbiata. Una fitta di dolore le attanagliava le tempie, ma doveva riprovare. Non poteva essere finita così, si rifiutava di accettarlo. A cosa erano valsi tutta quella fatica e i pericoli corsi? Anche lei aveva finito per diventare un trofeo, come Max. 
Provò altre volte, con rabbia crescente, a prendere il controllo del ghiaccio. Inutile. Tutto quello che le restava era dolore, fatica, e un'immensa frustrazione. Pensò a Max, e si sentì terribilmente in colpa. Le forze la stavano abbandonando lentamente, ma cercava di resistere. Sentiva il ghiaccio sottrarle energia, piano piano, svuotarla di tutto. La sua mente era sempre più leggera, e opporsi al richiamo del riposo era troppo difficile. Poteva percepire il ghiaccio reclamare per sé le ultime forze rimaste. Acqua si opponeva con testardaggine, cercava di arginare quel flusso inarrestabile di energia che l'abbandonava. Ma era come nuotare controcorrente senza riuscire a vincere la forza dell'acqua. Il ghiaccio era troppo potente, troppo più forte di lei. A cosa valeva lottare in quel modo? Ormai pensava che non sarebbe mai riuscita a liberarsi da lì. 
Acqua era stremata, esausta. Più volte i suoi occhi si chiusero, e più volte si sforzò di riaprirli, ma era una fatica immane. Era stanca... Troppo stanca per opporsi ancora. Sperò che Max la potesse perdonare, perché aveva smesso di lottare. Ma non ce la faceva più. 
– Acqua! – Nel buio in cui stava precipitando la sua coscienza, la ragazza fu scossa da quel richiamo. Era molto lontano, quasi impercettibile, ma non riuscì ad ignorarlo. Qualcosa le diceva che era vero, per quanto potesse sembrarle impossibile crederlo: la voce che chiamava il suo nome era quella di Max. La ragazza tornò lentamente cosciente, emergendo con immensa fatica dall’oscurità. Una debole speranza la riscaldava, mentre la sua mente echeggiava di quel suono. 
– Acqua, sono io! – ripeté di nuovo quella voce, e la ragazza si sentì investita da un incredibile misto di gioia e dubbio. Non voleva essere delusa, nel caso avesse scoperto che si trattava solamente di un’elaborazione della sua mente, una fantasia delirante. Ma non riuscì ad impedire a sé stessa di rispondere.
– Max? Come...? – pensò, confusamente, sopraffatta dall’incredulità. Il cuore le esplose quando lo sentì rispondere, con tono sofferente, dandole conferma che era tutto vero.
– Ti prego, ascoltami senza dire nulla. – biascicò Max. Acqua sentì la sua voce risuonare per la propria mente, rimanendo in silenzio. – Questo ghiaccio ti mangia vivo e io... Non resisterò per molto ancora. Ho conservato le mie energie per parlarti, sapevo che sarebbe arrivato questo momento, che saresti venuta a prendermi. – Max si fermò, come per riprendere fiato. Acqua riusciva in qualche modo a percepire le sue sensazioni, come se insieme alle parole si stessero riversando nella propria mente anche ciò che sentiva. Max era allo stremo delle sue forze, ma tra la stanchezza Acqua sentiva la sua gratitudine. Viceversa, il ragazzo era stato investito dallo shock che provava lei, confusa per le modalità di quell’inaspettato contatto. 
– Qualche anno fa ho imparato il potere di comunicare col pensiero, per poter raggiungere le mie squadre dell'esercito. – spiegò Max, sentendo di doverle delle spiegazioni. – Era uno dei segreti che tenevo con te. Ho usato questa capacità per parlare con tua madre, dopo che era stata catturata. In questo modo sapevo che era viva, e cosa ne era dei prigionieri. – Acqua ricordò il suo stupore quando Max le aveva rivelato quei dettagli che sembravano impossibili da conoscere. Ma non disse nulla, e continuò ad ascoltare. – Mi passava le informazioni che riusciva a carpire, almeno fino a quando non ha smesso di rispondermi. Il ghiaccio si nutre delle nostre energie e dei nostri poteri, li immagazzina, e alla fine Darcon se li prende. – Max si arrestò nuovamente, rendendosi conto che stava divagando troppo; con immensa fatica ricominciò da capo, andando dritto al punto.
– Non ho molto tempo... Acqua, ascoltami: tu sei venuta fin qua per me, ma non è per questo che devi lottare. La tua missione è un'altra. – Max sapeva che ciò che stava per dire non sarebbe piaciuto a nessuno dei due, ma doveva farlo. Si sforzò di ignorare la confusione e l’inquietudine che provenivano da Acqua. 
– Tu devi ucciderlo, sei l'unica che può farlo. – rivelò, vincendo a fatica la sua stessa riluttanza. La reazione di Acqua fu incontenibile, come un fiume in piena. Max sentì le sue parole come se stessero lacerando il silenzio che le aveva imposto.
– Ma se non riesco nemmeno a liberarmi... – protestò la ragazza. La sua mente era sommersa dalla paura, dall’impotenza, dal senso di sopraffazione e da tanto altro che Acqua non riusciva a tradurre in parole, ma che Max comprendeva alla perfezione. Fu faticoso per il ragazzo riuscire a riprendere la parola, nel mezzo di quelle emozioni che erano così forti da travolgere anche lui.
– I tuoi poteri sono molto più forti di quello che pensi. Estremamente. Devi solo riuscire a trovare questa forza. – le disse. – Ricordi la cupola protettiva intorno alla città? Eri tu. Sei stata tu per tutto quel tempo, senza nemmeno saperlo. Ti rendi conto della tua grandezza? – Acqua non riusciva a nascondere la sua sorpresa per questa rivelazione, ma fu presto travolta dallo scetticismo. – Acqua, riuscirai a liberarti, lo so. Hai tutto ciò che ti serve. Sei forte. – le ripeté Max con convinzione.
– No, io non ce la faccio. – ribadì la principessa, anche se la sua sicurezza stava vacillando. Improvvisamente ebbe un’idea. – Max, libero anche te. Da sola non ce la farò mai, ho bisogno di te! – protestò. Con questa proposta stava dando per scontato di essere veramente capace di sciogliere il ghiaccio; ma dopo quello che le aveva rivelato Max riguardo la cupola, cominciava a credere che ci sarebbe riuscita. Tutto ciò che restava da affrontare dopo, però, rimaneva qualcosa di molto più grande di lei. Come poteva Max caricarla di un peso così enorme e lasciarla sola? 
– Ti prego, Acqua. Non sprecare la tua energia per me. Liberati e poni fine a tutto questo. Tu sei l'unica speranza, per tutti noi. Se c'è una sola persona che può farcela, sei tu. – La sicurezza che il ragazzo ostentava le dava i brividi, ma allo stesso tempo le sue affermazioni la rassicuravano. Acqua era ancora spaventata e titubante, ma qualcosa stava cambiando. Dopo una breve pausa, Max riprese a parlare. 
– Ho cercato per tanto tempo di impedire che questo accadesse, tutte le volte che ho cercato di impedire che tu combattessi... Volevo proteggerti da tutto ciò, avevo paura per te. Non riuscivo a sopportare nemmeno il pensiero che tu dovessi affrontare questo. – Acqua leggeva nella mente di Max una preoccupazione così profonda e autentica, che si vergognò per non aver mai veramente cercato di capire la sua posizione. Il Generale lo sentì, ma lasciò perdere quei vecchi litigi tra loro e continuò il suo discorso. 
– Però ho capito che non posso oppormi al destino, e questo è il tuo destino, scritto da tempo. – disse, ridendo della propria illusione di cambiare le cose. – Ho capito che devo lasciarti andare, e fidarmi di te. –
– Ho paura. – mormorò Acqua; ma le sue parole non erano più una protesta. Erano piene di accettazione; una fredda constatazione.
– Lo so. – rispose Max. – Ma nulla può fermarti. Acqua, credi nelle tue possibilità. Hai un potere immenso, infinito, così grande che nemmeno tu lo percepisci fino in fondo. Sei forte. Tanto forte. Ce la farai. – Il ragazzo era esausto per il continuo sforzo di quella conversazione, ma aveva parlato con una foga tale che il cuore di Acqua batteva a mille, totalmente pervaso di una nuova energia.
– Max. Ti amo. – sussurrò, semplicemente, sperando che insieme alle parole il ragazzo potesse sentire anche la marea di emozioni e l’immensità di gratitudine e amore che la travolgevano. Le sembrò di sentire qualcosa, e istintivamente il cervello le suggerì che Max stava sorridendo. La sua presenza si stava affievolendo, sentiva la comunicazione farsi sempre più distante, la coscienza affaticata di Max che si allontanava dalla sua mente. Ma prima che se ne andasse completamente, le arrivarono le sue ultime parole.
– Ti amo. – 
Avevano il tono malinconico di un addio, e la profondità infinita della resistenza più fiera. Erano la cosa più preziosa che Acqua avesse mai avuto.
 
***

Acqua si ritrovò completamente sola nella sua prigione di ghiaccio. Il vuoto lasciato da Max pulsava come una ferita ed era quasi impossibile da ignorare. Ma ogni pensiero rivolto a lui la riportava a quelle incredibili rivelazioni sul proprio conto, che a dire il vero avrebbe voluto dimenticare. Com’era possibile che un compito così grande toccasse a lei? Fra tutti proprio lei, la ragazza che aveva vissuto la sua vita su un altro pianeta, al sicuro dalla guerra che ora era chiamata a risolvere. Era una responsabilità troppo grande, così immensa che la paralizzava. 
Eppure, se tutto fosse andato come Max le garantiva, sarebbe stata veramente la fine di un incubo. Acqua pensò a tutta la sofferenza di cui era stata testimone e a tutta quella che non aveva direttamente sperimentato. Migliaia di morti, famiglie distrutte, vite rovinate per sempre, un pianeta sull’orlo del collasso… tutto ciò avrebbe potuto finire. E sembrava un’idea così vicina e raggiungibile, che per un attimo Acqua dimenticò i suoi timori. 
Poi però, un pensiero si insinuò nella sua mente e la colpì come una pugnalata. Avrebbe dovuto uccidere un uomo. Un pazzo, certo, un folle sanguinario che non aveva esitato a calpestare vite innocenti per chissà quale ideale… ma era pur sempre un uomo, e l’uomo più potente che quel mondo avesse mai visto. Acqua non era sicura di farcela, psicologicamente e materialmente. Al suo confronto, lei non valeva nulla. Darcon aveva infinite possibilità, lei non possedeva altro che i propri poteri; l’esito di un altro scontro era già scritto. 
O forse no? L’eco delle parole di Max le rimbombavano nel cervello. Il ragazzo aveva detto che era capace di cose che nemmeno avrebbe immaginato. Acqua era ancora incredula per la scoperta della cupola. Non riusciva a credere di essere stata lei stessa a creare un’opera del genere: uno scudo così forte da resistere a svariati attacchi, così esteso da avvolgere tutta la città, così robusto da durare per tutto quel tempo. E aveva salvato così tante persone… Era qualcosa di incredibile, difficile anche solo da immaginare. Ma era stata lei, lei sola. Era veramente capace di imprese impossibili. Acqua sentì come se una nuova forza la stesse riscaldando, riempiendola di orgoglio e determinazione. Poteva farcela, era arrivata fino a lì sulle sue gambe e avrebbe continuato. Ora aveva una nuova missione.
Con immensa fierezza pensò a Max, e il suo cuore palpitò di gioia. Si accorse solo dopo che, al margine del proprio campo visivo, la prigione di ghiaccio cominciava a ricoprirsi di goccioline. Si stava sciogliendo; lo percepiva, ora… E dopo un attimo di smarrimento si rese conto che era lei a comandare il processo, era lei che controllava l’essenza del ghiaccio oscuro. Riusciva a sentirlo, mentre si piegava alla sua volontà: una sensazione strana, che prima aveva semplicemente relegato nell’inconscio. Ma ora era decisa ad andare fino in fondo, e lasciò che accadesse: si impadronì del ghiaccio, senza filtri e senza paura, lo controllò e lo annientò. E come la prima volta, la sua prigione si sgretolò e finì a terra in una cascata di frammenti ghiacciati. 
Acqua rimase immobile qualche istante; si sentiva potente, si sentiva grande. Sentiva un’enorme energia scorrere nel proprio corpo, qualcosa che la attraeva e la inquietava insieme. Quando aveva agito inconsciamente, la magia oscura non aveva avuto effetti su di lei; in quel momento, invece, dopo aver intenzionalmente oltrepassato il confine di quel grande potere, si sentiva corrotta, come se avesse osato troppo. Prese un respiro, ricordandosi di ciò che aveva fatto in passato, della magia buona che aveva usato per la cupola. Non c’era stata nessuna ripercussione, e non ci sarebbe stata nemmeno ora. 
Un boato proveniente da una stanza vicina la risvegliò dalle sue riflessioni. Era il momento di agire. I suoi piedi si mossero da soli, mentre in testa le risuonava ciò che aveva detto Max. “È il tuo destino, scritto da tempo”. 
E questo pensiero la sospingeva, mentre un passo dopo l’altro arrivava a fronteggiare il volto sfregiato di Darcon. Per un breve attimo fu sorpreso di vederla, ma il suo volto non lo tradì. Al contrario, sulle sue labbra si fece strada il sorriso beffardo di chi prova piacere nel ridicolizzare un bambino.
– Ti sei liberata di nuovo. – la schernì lui, ma la ragazza rimase impassibile, misurando i respiri e chiamando a raccolta tutta l’energia rimasta. 
– Sei ostinata e orgogliosa, non cedi mai. – continuò, muovendo qualche passo verso di lei. – Mi ricordi me stesso, siamo molto simili, sai? Vuoi vendicare tuo padre, lo capisco. – aggiunse, facendosi serio e annuendo per dimostrarle la propria derisoria comprensione.  – Ma io mio padre l’ho ucciso, per vendicare mia madre. – ghignò nuovamente. Acqua fu percorsa dai brividi, percependo la freddezza di quel racconto. 
– No, ti sbagli, non si tratta di vendetta. – rispose lei, con la voce ben salda. – Si tratta di rinascita, liberazione. – rimaneva immobile, sentendo il proprio corpo che si rinvigoriva, ritrovando una forza che proveniva da un luogo a lei sconosciuto. 
– Ho già sentito queste parole dalla bocca di un re morente. – replicò lui, con aggressività crescente – Tutto si ripete, e alla fine quello che rimarrà sarò io. Nessuno può ostacolarmi! Riunirò in me tutti i poteri di questo mondo, sarò l’essere più potente mai esistito, diventerò la Leggenda! Ucciderò il Dragone e il mondo sarà definitivamente mio per sempre. –
Vedendo l’immutata calma della principessa, Darcon esaurì la pazienza. Fece per richiamare a sé le rocce ghiacciate del muro, ma chissà come Acqua aveva previsto la sua mossa. Fece in modo che il ghiaccio comprimesse le rocce fino a farle scoppiare nel momento in cui si avvicinavano a Darcon. La tecnica funzionò, ma la ragazza dovette proteggersi dai detriti che finirono per schizzare nella sua direzione. Non perse un secondo; mantenendo il controllo del ghiaccio, lo fece sciogliere e comandò il fluido oscuro per raccogliere i massi caduti o sospesi. 
Darcon era rimasto interdetto dalla prontezza della ragazza e non era riuscito a deviare i detriti dell’esplosione. Vedendolo coprirsi gli occhi per proteggersi, Acqua direzionò il fluido carico di rocce verso di lui ad altissima velocità, e allo stesso tempo riuscì, anche se con fatica, a creare lame di ghiaccio al suo interno. L’uomo grugniva, affannandosi per proteggersi; cercò allora di sottrarre alla ragazza il controllo di quel vortice letale, ma lei riuscì ad impedirlo. 
Acqua non ebbe il tempo di gioire, che qualcosa la colpì alle spalle, facendola crollare a terra. D’istinto creò uno scudo attorno a sé stessa, che la protesse dai colpi successivi di massi e lastre ghiacciate comandate da Darcon. Si rialzò, mantenendo la protezione, e ricominciò ad attaccarlo senza sosta, allentando occasionalmente le proprie difese per il troppo sforzo. Era sospinta da un’irriducibile smania di combattere e trionfare. Gioiva ogni volta che nella foga scorgeva una ferita aprirsi sulla pelle dell’avversario, e allo stesso tempo era spaventata da quella gioia profonda, ma cos’altro poteva fare? Se quello era veramente il suo destino, era arrivato il momento di renderlo realtà. 
Si destreggiava nel caos dei rispettivi poteri scatenati al massimo, ma senza retrocedere. Sentiva che la propria energia diminuiva, accusava i colpi di ogni attacco andato a segno; ma ignorava le ferite e la stanchezza, e proseguiva stoica. Comandare i propri poteri le risultava più semplice, come se avesse capito improvvisamente qual era tutto il potenziale celato in essi. Gli scudi che la proteggevano erano spessi ed elastici e rimbalzavano altrove ciò che non poteva più ferirla. Spesso si trasformavano in flussi che schizzavano come impazziti per la grotta, raccogliendo tutto ciò che incontravano sul proprio percorso, e finivano per diventare palle ghiacciate scagliate con la forza di un cannone verso il nemico. 
Numerose volte le lame di ghiaccio riuscirono a penetrare la carne di Darcon, che non se la cavava bene nonostante la capacità di guarire rapidamente. Ma la massima potenza della ragazza si scatenava quando riusciva ad accumulare abbastanza forza per raccogliere l’acqua intorno a Darcon e crearne vortici che lo travolgevano, e lo scagliavano contro le pareti rocciose. Anche Acqua subiva molto, ma le sembrava che fosse l’avversario quello più in difficoltà. E allora si sentiva potente ed esultava in cuor suo, pensando a Max e a quello che le aveva detto.
Acqua creò l’ennesimo vortice che finì per scaraventare l’uomo in un angolo a terra. Erano entrambi sporchi di sabbia, terra e sangue, entrambi allo stremo. Ma nessuno avrebbe ceduto. Inaspettatamente però, la reazione di Darcon tardava ad arrivare. Acqua si preparò ad un nuovo attacco, ma in un rapido e dannatissimo momento incrociò lo sguardo di lui. Un lampo attraversò repentinamente le iridi dell’uomo e Acqua non capì più nulla. 
I suoi sensi erano impazziti, le mandavano segnali confusi e contradditori: non riusciva più a distinguere l’alto e il basso, la destra e la sinistra. Nulla aveva più senso, lo spazio non le apparteneva più. La stanza prese a vorticare, mentre Acqua tentava disperatamente di rientrare in possesso del proprio corpo: sbatteva le palpebre, barcollava sulle proprie gambe intorpidite senza capire cosa stessa facendo. Non esisteva un punto fermo, niente a cui appigliarsi. Fu solo quando sentì la parete di roccia contro la propria schiena che riuscì a ritornare in sé. Ma le sensazioni subito successive furono le mani di Darcon strette attorno alla gola e i piedi che penzolavano nel vuoto. Annaspava disperatamente, cercando di respirare dalla bocca e dal naso; il dolore delle branchie, tappate a forza, era insostenibile. Ricordava la brutta sensazione di quando Max gliele aveva toccate per un secondo. Il contatto di un’altra persona, così violento e prolungato, era una vera tortura. Tentò di divincolarsi, ma il dolore le impediva qualsiasi sforzo efficace, e la presa dell’uomo era irremovibile.
– Anch’io sono stato un misero ragazzino come te. – sibilò lui, colmo d’ira. Acqua scorse il suo sguardo tagliente a pochi centimetri dal proprio volto, senza riuscire a concentrarsi su nulla. – Conosco la tua stessa presunzione illusoria di contare qualcosa, ma conosco anche la povertà e la perdita più assolute. Ho vissuto come feccia, come l’essere più vergognoso del mondo! – sputò, stringendo la presa sul collo di Acqua. – Chiunque avessi intorno mi ha voltato le spalle, dal primo giorno della mia vita, finché non ho imparato a farlo io, prendendomi ciò che mi spetta. Non una persona al mondo è stata mai fedele, perché ognuno persegue sempre e solo i propri obiettivi. – Acqua non riusciva più a seguire quel flusso di farneticazioni, col cervello annebbiato in mancanza di ossigeno. Il suo rantolo si trasformò in un grido quando le mani di Darcon si fecero fredde, pronte a fiorire in un tripudio di ghiaccio. Doveva riuscire a liberarsi al più presto.
– La verità è che le persone sono profondamente egoiste, e non è qualcosa che suppongo, lo so. – Continuava nel frattempo l’uomo, le cicatrici pulsanti sul volto. 
– Ed è per questo che il mio obiettivo è il più alto di tutti. – Acqua rabbrividì a quella dichiarazione, ma non perse tempo. 
Con l’ultimo briciolo di lucidità rimasto chiamò a raccolta i poteri e sperò che il suo piano funzionasse. Fu estremamente difficile riuscire a manovrare il ghiaccio, ma infine alle spalle di Darcon si materializzò un pugnale ghiacciato. In meno di un secondo era conficcato a fondo nel collo di Darcon; Acqua riuscì a percepirlo mentre lacerava la carne, poco prima di cadere a terra. Cercò di allontanarsi barcollando, mentre respirava affannosamente, avida d’ossigeno, e il grido di Darcon riempiva la caverna. 
La principessa pensò che avrebbe potuto sfruttare l’occasione per finirlo, per quanto quel pensiero fosse terribile. Darcon a terra cercava di controllare il ghiaccio per levarlo dal collo, e quando finalmente ebbe successo la ragazza era a pochi passi da lui, sul punto di agire. Bastava pochissimo… ma l’uomo scomparve sotto i suoi occhi. Acqua rimase interdetta, confusa per le proprie disperate condizioni e per quel potere che l’aveva di nuovo colta di sorpresa. Si voltò di scatto per cercarlo, ma rimase ansimante ad esaminare il vuoto. Nell’attesa snervante, percepiva ogni muscolo teso riflettere i battiti accelerati del suo cuore. Il silenzio così denso fu spezzato da un respiro pesante. 
– Ora basta giochetti. – sibilò Darcon. Non appena Acqua si accorse della sua presenza, avvertì le sue mani arpionarle il braccio destro, che si ghiacciò immediatamente. In una frazione di secondo, l’uomo piegò il ghiaccio fino a spezzarlo; lo schiocco della materia spaccata si propagò nello spazio insieme al grido di dolore di Acqua. Inconsciamente la ragazza creò un’esplosione d’acqua che li scaraventò lontani l’uno dall’altra, riuscendo a malapena a sorreggersi sulle gambe. Il dolore del braccio era così forte da impedirle qualsiasi pensiero lucido; la mente tornava ossessivamente allo schiocco delle ossa spezzate, mentre cercava di riprendere il controllo di sé respirando faticosamente. 
Un flusso di energia la investì buttandola a terra, e la vista le si annebbiò per un attimo. Subito percepì che il ghiaccio stava iniziando ad inglobarla, ma riuscì ad arrestare velocemente il processo. Fece uno sforzo immane per ignorare il braccio pulsante, e travolse Darcon in un vortice per allontanarlo, mentre lei lentamente si rialzava. L’uomo riuscì inspiegabilmente a fuggire dalla trappola, le ferite fresche che si rimarginavano lentamente sulla pelle straziata. 
Lo scontro ricominciò, ed infuriò per un tempo che ad Acqua parve infinito. Darcon era deciso a porre fine a quel combattimento che stava proseguendo da troppo. Attaccava la ragazza freneticamente, cercava di fermarla per sempre nella morsa del ghiaccio, renderla finalmente una di quelle statue silenti e sottomesse che non esistevano se non per servirlo. Ma ogni volta lei sfuggiva, guizzante come un animale che scappa dalla morte, anche se invano. Continuava ad allontanarlo, a trafiggerlo con lame ghiacciate, a investirlo di forti flussi e vortici. Ogni volta che lui si avvicinava eccessivamente, Acqua scoppiava in un’esplosione di correnti: non gli avrebbe mai più permesso di sfiorarla, o sarebbe finita. Era una danza letale senza fine: i due corpi si dimenavano cercando di respingersi, avvicinarsi, imprigionarsi, fuggire. Lui attaccava con foga, lei si sottraeva alla morsa del ghiaccio; lei scatenava la propria forza e lui retrocedeva per poi ricominciare. 
Acqua cercava in ogni modo di andare oltre, spingere i propri poteri sempre più in là. Non aveva dimenticato l’obiettivo finale, e cercava in ogni modo di raggiungerlo, anche se le sembrava sempre più lontano. Si sentiva sola, ora, abbandonata in qualcosa di più grande di lei. Ma se avesse mollato, avrebbe in ogni caso finito per soccombere. Una nuova idea la illuminò di speranza. Si liberò dal ghiaccio per l’ennesima volta e circondò Darcon in una barriera come quella che aveva usato per proteggere Atlantis. La serrò attorno a lui con vigore, concentrandosi particolarmente perché ogni via respiratoria fosse bloccata. Sperava di riuscire a soffocarlo, e continuò lottando contro il proprio ribrezzo per andare fino in fondo; per ucciderlo. Lo vide affannarsi e dimenarsi come un topo in trappola, e per la prima volta le sembrò che la vittoria fosse ad un passo da lei.
Ma fu un istante, e anche l’uomo riuscì ad emanare da sé stesso un’esplosione che lo liberò. La ragazza rimase ferma, sentendo ogni speranza svanire mentre i calcinacci si dileguavano, rivelando la figura di lui, in piedi immobile come la statua di un dio rabbioso e invincibile. In un lampo di terrore, Acqua realizzò che aveva già visto l’espressione impressa sul viso dell’uomo. Era il ghigno d’ira folle che aveva poco prima dell’assassinio del padre. 
Senza una parola Darcon evocò un’ondata di energia che investì in pieno Acqua e la mandò a sbattere con un terribile impatto sulla parete di nuda roccia. Lo schianto del corpo causò una grande frana e Acqua rimase sepolta sotto i massi, incapace di muoversi. Non riusciva più a percepire un singolo muscolo che le appartenesse, qualcosa che rispondesse ai suoi comandi. La sua mente vagava nel nulla, elaborava confusamente frammenti di immagini senza senso. Il dolore la annientava, soggiogava ogni frammento del suo essere. Si irradiava dalla spina dorsale, scorrendo come veleno attraverso le braccia spezzate e le gambe schiacciate dalle rocce. Ogni centimetro della sua pelle era diventato un groviglio di tagli e ferite che bruciavano al contatto con il sale. Dalla sua gola proveniva un cupo rantolo, i suoi respiri che divenivano sempre più deboli. Vide la figura confusa di Darcon entrare all’improvviso nel suo campo visivo, controllando le sue condizioni. Con un sadico sorriso, fece precipitare un’altra roccia sul suo torace, forzandola a sputare fuori la poca aria rimastale nei polmoni con un grido gutturale. Infine si allontanò con passo indolente, considerandola ormai troppo malridotta per meritarsi ancora la sua attenzione. Solamente si rimproverava di non essere riuscito a strapparle i poteri, ma ormai era troppo tardi. Gli eventi avevano voluto diversamente, proprio come era successo con quel re inetto che era suo padre.
In un lampo improvviso di lucidità, Acqua realizzò che stava morendo. Che presuntuosa era stata pensando di essere in grado di uccidere Darcon, colui che da quindici anni teneva in scacco un mondo intero con la sua potenza. Presuntuosa, ma anche ingenua, stupida, sprovveduta. Che morte inutile sarebbe stata la sua! Non era riuscita a porre rimedio a nulla, non aveva fatto niente, niente, per liberare Max, o sua madre, o uno qualsiasi di tutti gli altri prigionieri. 
La sua morte sarebbe servita solo a compiacere il folle ego di Darcon, solo a far sprofondare Atlantis nel panico, ora che anche lei era stata uccisa.
Aveva condannato a morte il suo mondo.
Tra l’annebbiamento del dolore, pensò a quanto aveva messo in pericolo Henri, Alicarnasso, e chiunque altro l’aveva aiutata rischiando enormemente. Corallina, la zia, tutti all’interno di quella sventurata città superstite erano ormai destinati a soccombere. E la sua mente fu investita da un dolore forse ancora più lancinante di quello che emanavano le sue ossa frantumate e la sua carne dilaniata, quando confusamente realizzò che non li avrebbe mai più rivisti. Li stava lasciando tutti quanti… Corallina con la sua allegria contagiosa, la zia e le sue premure, sua madre sulla Terra che non avrebbe mai più saputo nulla della figlia scomparsa… e Max. Max che fin da bambino le era stata accanto, che era cresciuto con lei. Max che l’aveva protetta, compresa, profondamente amata. Max coi suoi occhi dolci, il suo calore e la familiarità di chi la conosceva da sempre.  
Quando la morte le chiuse lentamente le palpebre, una lacrima dorata le scese lungo la guancia e brillò nell’oscurità della grotta. 
Fu quella piccola lacrima a sancire la fine di Acqua.
   
 
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