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Autore: Wolfirea    25/09/2020    0 recensioni
Ventun anni, il diario di un’eterna Peter Pan che non ha alcuna voglia di crescere e prendersi le proprie responsabilità
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera, come state? Mi rendo conto di esser tornata all’improvviso con la vita di un’altra persona.
Mi spiego meglio, il lockdown mi ha cambiato, ho iniziato ad andare dalla psicologa, conscia di aver realmente bisogno di un aiuto esterno, e ciò che a febbraio mi vedeva fragile e debole ormai non lo comprendo più: rivedo la mia sofferenza solo nelle parole scritte, perchè quella ragazza non la riconosco più, e non riesco neppure a capacitarmi di quanto abbia permesso ad un ragazzino — perché di fatto per esser uomo ci vuole ben altro — di farmi del male, permettendogli di sfruttare le mie attenzioni dopo esser rimasto single, giusto per tornare in carreggiata, più sicuro di se, con l’ego a mille.
Perché insieme di certo non potevamo funzionare, non avevamo nulla in comune e i nostri caratteri cozzavano a tal punto che ci rendevamo incompatibili a priori.
Con Peter invece è andata molto diversamente: lo avevo conosciuto ad aprile 2019, era quel compagno di corso che stava sempre sulle sue, con quell’aria un po’ da stronzetto, un po’ da menefreghista.
Mi incuriosiva e allora gli piacevo, eravamo usciti una sera e fu la prima volta che ci rivolgemmo parola: rimasi letteralmente sconvolta da quanto in realtà fossimo simili, dagli interessi ad alcuni aspetti caratteriali.
Di me non gli raccontai nulla, e non ne ebbi neppure l’opportunità.
Dopo quell’uscita ci furono le vacanze di pasqua e continuammo a sentirci, ma prima che ricominciassero le lezioni preferì troncare tutto.
Ci rimasi molto male ma in fondo il tempo avrebbe guarito quella breve e tranquilla uscita, se non fosse che Peter non ebbe nessuna intenzione di lasciarmi in pace. 
Non capii mai il suo atteggiamento, ma iniziò a seguirmi al supermercato, a sedersi dietro di me, a lanciarmi frecciatine di tanto in tanto, di fatto divenne il mio incubo personale.
Io cercavo di levarmelo dalla testa e lui mi passava davanti con un “buongiorno” tutto sorridente. Non aveva il minimo senso ciò che stava facendo, ma avevamo creato un gioco malato di frecciatine e fraintendimenti dal quale non avevo più voglia di uscire.
Per quanto mi facesse male era diventato divertente provocarlo, e avere i suoi occhi addosso durante le lezioni mi dava una carica che non ero, e non sono, in grado di descrivere.
Il gioco continuava poi su Instagram dove postava continuamente canzoni che in un modo o nell’altro creavano un insano collegamento con ciò che postavo io.
Ma se non mi voleva, che senso aveva tutto ciò?
Le lezioni finirono a giugno, e con quelle smisi di osservare i suoi glaciali occhi verdi: mi mancavano ma era il momento di andare avanti. 
Così a piccoli passi mi ripresi, pensavo a lui ma l’arrivo dell’estate rappresentava una concreta possibilità di distrarsi e andare avanti.
Invece ad agosto mi scrisse, mi illusi che avesse finalmente compreso che in fondo un briciolo di interesse lo provasse ancora, ma in realtà era solo ferito, e voleva divertirsi.
Quando gli proposi di vederci lo feci con la consapevolezza che sarebbe stato un salto nel vuoto, lui aveva le messo le mani avanti, e io in fondo desideravo soltanto affrontarlo una volta per tutte.
Non ero mai riuscita a reagire alle sue provocazioni, avevo troppa paura di lui, non so esattamente di cosa ma quando mi guardava dal suo metro e novanta avevo la sensazione di poter esser schiacciata come un misero insetto. Non avevo più parlato con lui da quell’uscita, e solo perché ero timida e incapace di affrontare uno Stronzo con la S maiuscola.
Ovviamente quell’estate non avevamo le stesse intenzioni, forse mi illudevo che mi potesse esser indifferente, ma in realtà mi piaceva ancora, e quando lo capì prima di me ancora una volta decise che «scusa ma non credo sia il caso di vederci» senza confrontarmi.
Lo superai, Peter era quello che non riuscivo a levarmi dalla testa da otto mesi a quella parte, colui di cui accennai al secondo capitolo di questo diario, e colui che nel 2020 è tornato lentamente nella mia vita: non avrei dovuto permetterglielo, ma di fatto ero debole e le sue scuse mi infragilirono ancora di più.
Un anno fa mi trovavo nella stessa identica situazione di adesso, mi faceva letteralmente schifo come persona, non riuscivo neppure a guardarlo a lezione e se mi salutava mi giravo dalla parte opposta.
Ora invece per il Covid non ho modo di vederlo, e ogni tanto mi fa male non capire perché le persone tornano se non poi non hanno alcuna intenzione di restare.
  
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