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Autore: NyxTNeko    27/09/2020    0 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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9 novembre

Il mattino di quella giornata di inizio novembre si aprì con uno strato molto spesso di una nebbia fittissima che giungeva dal mare, rendendo l'aria non solamente fredda e umida, ma addirittura spettrale. Napoleone, come di consueto, si era svegliato poco prima che l'alba giungesse, anche se, con quel poco di luce presente sembrava che il sole non fosse proprio sorto quel giorno.

Il corso, nel mentre si sollevava dalla brandina che aveva ai piedi, fu investito da un brivido che lo scosse dalla testa alle estremità del corpo. Soffocò un'imprecazione blasfema e tentò di scaldarsi strofinando le mani sulla stoffa pesante dell'uniforme, senza ottenere il caldo desiderato - Odio il freddo - borbottò nervoso. Con aria sconfitta, in quanto non accettava questa sua debolezza, afferrò la coperta posata sulla branda e se la mise sulle spalle, sperando di non raffreddarsi ulteriormente.

Dopodiché compì alcuni balzetti, facendo attenzione a non svegliare gli uomini che stavano dormendo beati, russando rumorosamente. Era l'unico momento in cui i suoi sottoposti e aiutanti di campo potevano essere più rilassati. Desiderava che fossero riposati ed pronti. Lui non aveva bisogno che di qualche ora per riacquistare le energie, a volte, persino di pochi minuti durante l'arco della giornata.

Avanzò verso la batteria posizionata sulla collinetta dove, oramai, si era praticamente insediato. Aveva preso la decisione di stabilirsi lì, accanto ai suoi uomini, per incoraggiare loro, attraverso l'esempio. Aveva percepito dello sconforto tra le fila, nonostante il lavoro, l'impegno e le risorse che stavano giungendo, seppur lentamente. Non poteva rimproverarli, erano giustificabili, quella situazione di stallo stava mettendo alla prova tutti quanti, Buonaparte in primis.

Che fosse il vero piano di Carteaux? Fiaccarli fino a farli impazzire per l'inerzia, per la noia? Per fortuna Saliceti e Gasparin, settimane addietro, gli avevano riferito, tramite una lettera, che presto Carteaux sarebbe stato sostituito con un generale più competente e preparato. Bisognava solamente che a Parigi si decidessero sull'autorizzarlo il prima possibile, la burocrazia rallentava le proposte e le nomine.

Così, tra speranze e resistenze, i giorni erano passati, non sempre felicemente. Il 7 di quel mese, infatti, il commissario Gasparin, già malato da tempo, fu colpito da un attacco di polmonite più aggressivo del solito, tanto che non fece nemmeno in tempo a tornare ad Orange, la sua città natale, che morì, lasciando grande tristezza nel cuore del giovane maggiore.

Era stato un grande sostenitore di Buonaparte, lo aveva difeso con la sua autorità, la sua pazienza e la sua fiducia, dalle cattiverie dei suoi superiori, i quali si erano spesso lamentati delle sue ingerenze e intromissioni. Non lo avrebbe dimenticato. "Gasparin avrebbe voluto tanto vedere Tolone riconquistata..." aveva detto fra sé, poggiando una mano sul petto, all'altezza del cuore, non appena aveva saputo della sua dipartita, colto da immensa, struggente malinconia "Farò di tutto affinché questo suo desiderio diventi realtà, combatterò anche per lui e vincerò, altrimenti la morte" giurò a sé stesso.

Il generale Carteaux, nel frattempo, si era rifugiato nella sua disperazione, non poteva credere che alla fine quel ragazzino fosse riuscito nel suo intento di togliergli l'incarico. Era questione di tempo, ne era certo, i membri della Convenzione e del Comitato di Salute Pubblica non potevano non accogliere quella richiesta fatta insistentemente e appoggiata quasi all'unanimità, da altri facoltosi commissari. Il maggiore Buonaparte aveva dalla sua perfino il sostegno del Robespierre minore, era praticamente inattaccabile. Presa coscienza di ciò, si fece portare una bottiglia di vino - Non importa della sua qualità al momento - sbottò nervoso, guardando truce il povero sottoposto - Datemelo e basta! O nemmeno questo posso ordinare più?

- S-sì generale ve...ve lo p-porto immedia...immediatamente - emise spaventato, balbettando il malcapitato soldato. Si avvicinò al baule, posto alle spalle di Carteaux, lo aprì faticosamente ed estrasse l'ultima bottiglia rimasta di un vino non particolarmente pregiato, probabilmente fu lasciato proprio a causa della sua infima qualità - Ecco a voi...generale - disse poggiandolo sul tavolo, su cui vi era anche il bicchiere. 

- Molto bene! - esclamò il generale pittore togliendo di mano la bottiglia dal soldato, la aprì e versò il liquido vermiglio nel bicchiere, fino all'orlo, per poi tracannarlo in un secondo - Ah, terribile - sputò il generale, constatando quanto fosse pessimo, si asciugò la bocca e il mento sporchi di bava rossastra con la manica dell'uniforme - Davvero terribile... come si fa a vendere un simile schifo e spacciarlo per un ottimo vino? Sono dei ladri!

- Ve lo avevo detto generale - ridacchiò bonariamente il soldato, senza avere il coraggio di guardarlo. Il solo aspetto fisico di quell'uomo incuteva timore, se non addirittura riverenza, eppure qualcuno lo aveva sfidato apertamente, come aveva fatto con Barras, senza mostrare nè paura, nè tentennamento. Ricordava ancora il momento in cui il deputato della Convenzione era tornato furibondo dal generale, gridando a gran voce che quel ragazzino impertinente aveva osato disobbedirgli e rinfacciare la sua competenza e preparazione.

Carteaux aveva sperato di trovare un alleato per togliersi dai piedi il maggiore Buonaparte, conoscendo la prestigiosa posizione di Paul Barras ed essendo anche  affini nel carattere e nelle ambizioni. "Quel ragazzo non resterà impunito" gli aveva promesso il deputato con convinzione, tuttavia, non poteva fare molto contro di lui, in quanto si rese conto che Napoleone aveva un numero sempre più crescente di sostenitori che credevano nel suo progetto e che si stavano mettendo all'opera per sollevare dall'incarico Carteaux. A quel punto Barras capì che forse non era conveniente restare con un tipo del genere, il suo nome, già abbastanza compromesso, ne sarebbe uscito ancora più debilitato. Seppur desideroso di voler dare una lezione al ragazzetto, dovette ritirare la sua promessa, abbandonando il generale.

- Non avrei dovuto fidarmi di quel bastardo di Barras! - si rimproverò Carteaux attaccandosi direttamente alla bottiglia, nonostante il vino fosse disgustoso, era l'unico rimedio che gli dava sollievo e storidimento al momento. Alcuni rivoli di vino attraversarono il collo, bagnandogli la cravatta slacciata e parte del petto villoso - Come tutti i potenti pensa solo ai propri comodi e se la fa sotto non appena trova un ostacolo - sputò nuovamente - Che merda - Si alzò, tenendo ancora la bottiglia e raggiunse l'entrata, protetta dalle guardie che avevano appena iniziato il turno. Lui, invece, non aveva chiuso occhio, aveva provato ogni metodo per addormentarsi, nessuno aveva funzionato - Tolone mi sta facendo impazzire! Da quando sono qui non riesco a combinare nulla! - notò la bassa nebbia che aleggiava e inglobava ogni cosa - Ci mancava solo questa maledetta nebbia! 

Junot aprì lentamente gli occhi, svegliato dal freddo pungente penetrato sotto la corta e sottile coperta con cui aveva cercato di avvolgersi. Si mise seduto, si guardò intorno, accorgendosi della nebbia e dell'assenza del comandante al suo fianco. Allungò il braccio verso la schiena distesa di un individuo poco distante, per capire se ci fosse almeno Marmont, sentì la spessa e grezza stoffa di un uniforme al tatto, e la toccò insistentemente - Marmont - sussurrò - Marmont siete voi? - domandò poi scuotendolo leggermente.

- Sì - rispose il collega girandosi verso di lui - Junot sono io - confermò il giovane sottotenente. Anch'egli si mise seduto, a fianco il compagno e sbadigliò educatamente, coprendosi la bocca - Cosa c'è? - chiese grattandosi rumorosamente la testa.

- Il comandante non c'è - riferì Junot sistemandosi, in fretta e furia, la parrucca sulla testa.

- Sarà sicuramente in giro, sapete com'è fatto, non ama e nemmeno riesce a stare fermo - emise Marmont dandosi la spinta per alzarsi, stiracchiandosi. Le ossa scrocchiarono.

- Ma cosa avrà da fare con questa nebbia fittissima? - sospirò profondamente.

Marmont fece spallucce - Non ne ho la più pallida idea, ma possiamo scoprirlo - ammiccò divertito. Il clima di immobilità, quasi soffocante, degli ultimi tempi non aveva intaccato il suo buon umore e la sua energia. Pareva contagiato dal dinamismo del suo comandante, in fondo lo conosceva meglio rispetto a Junot, il cui rapporto era piuttosto recente.

- Aspetta, prima di andarlo a cercare insieme, vado a prendergli il giaccone - si ricordò Junot. Aveva notato, qualche giorno prima, l'estrema sensibilità di Buonaparte al freddo, anche un minimo abbassamento della temperatura diventava intollerabile per lui, provocandogli brividi e raffreddori. Quell'ufficiale era così bizzarro, insolito, pareva essere uscito dai libri di storia che gli era capitato di leggere - Oppure lo troviamo assiderato da qualche parte... - ridacchiò infine, immaginandosi la scena.

-  Avete ragione - ricambiò sorridendo Marmont - La coperta che si è portato con sé non gli sarà molto utile

- Giusto - sorrise Junot sistemandosi la divisa leggermente sgualcita.

Napoleone, intanto, imprecava sottovoce, tra i denti che battevano, lamentandosi per quel gelo insopportabile. Perché non riusciva ad adattarsi a quella condizione? Con altri tipi di climi e ambienti se la cavava più che bene, soprattutto perché un militare era addestrato per resistere ad ogni situazione. "Perché il destino doveva farmi vivere in un corpo così debole e fragile?" rifletteva, torvo, cupo e nervoso. L'invidia riemerse prepotente, lo faceva stare male, perché disprezzava quel sentimento tanto velenoso, capace di corrodergli l'anima. "Come se non bastasse il gelo, ho dimenticato il cappotto nella tenda, credo proprio che dovrò andarlo a riprenderlo se voglio evitare di morire di freddo".

Fece dietrofront e ripercorse la strada che aveva appena attraversato. Non ne aveva fatta molto, a dire il vero, proprio perché non riusciva a tollerare troppo la rigidità di quella mattinata di novembre, i giorni precedenti erano stati decisamente più gradevoli e freschi. Forse era un presagio di qualcosa che stava per accadere, in fondo era certo che Carteaux stava per essere mandato via, quindi era come se il tempo stesse concedendo una tregua ad entrambi gli schieramenti, in modo che fossero ritemprati a sufficienza per attaccare.

Questo era ciò che la mente sempre attiva di Napoleone stava elaborando, condizionata da questa inusuale visione della vita, quasi basata sulla predestinazione, come se qualsiasi evento che accadesse fosse già scritto o un qualunque uomo, che calpestasse la terra in qualsiasi epoca, avesse la sua intera esistenza determinata e stesse seguendo il copione che il Fato aveva consegnato a ciascuno di loro. Secondo lui, ciò che veniva chiamato libero arbitrio non era altro che la messa in atto di un immenso spettacolo in cui ogni singolo individuo era attore che si credeva protagonista, mentre era solo comparsa.  

Simili pensieri velarono i suoi occhi chiari,  fissi sugli stivali marroncini, che non superano le ginocchia, coperti di chiazze di fango, terra e polvere, il cuoio consumato dalle continue camminate. Era la sua tecnica per trascorrere il tempo o per scaldarsi se non muovendosi, dandosi da fare, impegnandosi. Lo sguardo seguiva i movimenti dei piedi, la loro alternanza regolare, rapida, cadenzata. Le mani dietro la schiena penzolavano leggermente, le dita sottili ripetevano le oscillazioni dei palmi ai quali erano attaccati.

I due aiutanti di campo videro in lontananza una figura che si delineava dinnanzi a loro, la coltre di nuvole basse era così spessa che solo avanzando potevano riconoscere l'identità di quella figura. Ma man mano che quella pioggerellina sospesa in aria si diradava, quell'ombra diventava familiare, fino a scorgere il loro comandante, a capo chino, sovrappensiero, e la testa altrove, stretto nella coperta. Camminava lungo la trincea, evitando di svegliare bruscamente i soldati.

- Eccolo - gridò Junot accelerando il ritmo del suo passo, Marmont lo seguì silenzioso, non riuscendo a trattenere un sorrisetto compiaciuto. Era stato più semplice di quanto potesse immaginare. Aveva annuito non appena il suo compagno si era girato verso di lui, a mo' di conferma - Comandante - emise Junot ad un palmo di naso - Comandante...

Napoleone sussultò quando si accorse di due uomini che gli sbarravano la strada improvvisamente, alzò velocemente il volto e li guardò - Junot? Marmont? Che...che ci fate qui? - li interrogò avendoli riconosciuti subito, sbatté le lunghe ciglia. Dalla bocca usciva del fumo bianco.

- Vi abbiamo portato questo - rispose Marmont, il collega gli porse il giaccone grigio e lungo - Lo avevate dimenticato, non vogliamo rischiare di vedervi ammalato e nemmeno voi lo volete immagino...

Napoleone sorrise leggermente, poi ridacchiò e afferrò il cappotto che indossò immediatamente, si sentì pervaso dal calore che tanto bramava. Persino il viso, pallido e giallastro, riprese colore, le guance arrossirono lievemente - Vi ringrazio, stavo tornando indietro per prenderlo, ma mi avete anticipato - ringraziò mentre le mani ossute erano impegnate con i bottoni che chiusero il giaccone sul corpo minuto, piegò la coperta sul braccio destro - Non mi parlate di malattie, ve ne prego, non potete capire cosa ho dovuto subire quest'estate, il solo ricordo mi fa rabbrividire! - ridacchiò, allontanando quel freddo che li circondava con la sua risata giovanile, accompagnata da suoi aiutanti di campo. 

Nella tenda del generale pittore erano piombati alcuni rappresentanti della Convenzione, giunti appositamente da Parigi per destituirlo - Ci sono arrivate innumerevoli lamentele sul vostro modo di condurre l'assalto e osservando ciò che si presenta a noi, non possiamo che confermarle, per questo vi chiediamo di seguirci

- Seguirvi? E dove mi condurrete? - domandò Carteaux perplesso. Era chiaro del fatto di avere le ore contate, non pensava, però, che il governo avesse intenzione di trasferirlo da qualche altra parte, semmai permettendogli di tornare alla sua abitazione, con la moglie, che alloggiava in una delle abitazioni che avevano a disposizione a Ollioules.

- In carcere, dobbiamo constatare il vostro spirito rivoluzionario, sono sorti dei dubbi circa la vostra posizione e il vostro nome - emise secco uno dei due deputati, stringendo gli occhi, sospettoso. 

- Questo vostro comportamento ha intaccato la vostra figura di rivoluzionario e di repubblicano, il governo desidera accettarsi della vostra fedeltà - aggiunse il suo collega, posato, dava l'idea di rigidità e intransigenza. Sul volto di quest'ultimo non traspariva alcuna espressione, pareva un pupazzo, una marionetta napoletana, manovata a Parigi dalle mani del Governo, priva di volontà e coscienza.

Carteaux non poté ribellarsi ad un simile ordine dall'alto, era troppo rischioso, e li seguì nonostante sentiva di non avere nessuna colpa. Aveva salutato i suoi sottoposti poco prima. Non aveva altro su cui appigliarsi per prendere tempo - Potreste dirmi chi è il mio sostituto?

- Il cittadino François Amédée Doppet - fu la loro risposta concisa. Carteaux non fece più alcuna domanda e balzò sul suo cavallo,  messo in mezzo fra quelli dei due deputati, con i polsi legati. Lo tenevano d'occhio, non doveva sfuggire loro. Siccome era accaduto, stavolta volevano evitare di commettere il medesimo errore.

Napoleone e i suoi aiutanti di campo lo videro allontanarsi, con un'espressione tra la gioia e lo sgomento. Ancora non sapevano chi sarebbe stato il nuovo generale, poteva essere chiunque, un ufficiale finalmente capace o un incompetente la pari di Carteaux, non c'era da rallegrarsi. Il maggiore corso moriva dalla curiosità e a grandi passi sbucò al quartier generale, chiedendo ai suoi ufficiali superiori se sapessero chi fosse il nuovo generale - François Doppet - gli riferirono stancamente.

- Cosa? Quel Doppet? - strabuzzò gli occhi - Siamo messi bene allora - sbottò sarcastico, si grattò il mento. 

11 novembre

Il suo repentino arrivo al quartier generale stupì non pochi ufficiali, abituati ai modi lenti e svogliati di Carteaux. Molti avevano un'idea di Doppet e avevano appreso delle sue recenti vittorie conseguite nei pressi di Lione, non pochi mesi prima, che gli avevano permesso di ottenere quell'incarico. Conoscitore dell'ambiente militare e di guerra, di professione era medico e aveva scritto persino dei libri su alcuni aspetti interessanti dell'amore e dell'erotismo.

Una volta entrato in tenda Doppet non si aspettò l'accoglienza di tutti gli ufficiali, Napoleone compreso, bramoso di saperne di più sul nuovo arrivato, nascondendo questo desiderio dietro un atteggiamento disinteressato. Le voci non sempre erano veritiere e lui voleva accertarsi delle sue doti "Sarà realmente in grado di prendere Tolone senza più perdere tempo?" risuonava nella sua testa.

L'aspetto fisico non era certo paragonabile a quello del suo predecessore, anzi, pareva un uomo comune, dai classici lineamenti francesi, il naso dritto, le labbra sottili, i capelli incipriati, naturali e il corpo rotondetto. Era quasi coetaneo di Carteaux, se non di qualche anno in meno, non che fosse rilevante ai fini della buona riuscita dell'assalto. L'esperienza e la capacità di mettere su un buon esercito erano le qualità davvero importanti.

Si presentò con molto garbo, dimostrando di essere pacato e gentile, poi si rivolse ai presenti pregando di riferirgli nome e grado rimanendo impressionato e sorpreso dalla giovanissima età di qualche ufficiale - Spero, con il vostro aiuto, di riuscire a riconquistare Tolone, come ho fatto con Lione e soprattutto della vostra collaborazione - Il resto annuì, augurandosi l'azione, cosicché potessero risolvere il problema e tornarsene nei propri reggimenti. 




 

 

   
 
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