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Autore: heliodor    27/09/2020    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Il Signor Baffetto
 
La palestra era un quadrato ampio, dalle pareti di pietra grigia e rossa illuminate dalle lampade a olio. In un angolo c’era una rastrelliera dove erano appoggiate spade, mazze, una lancia, un arco e uno scudo tutto ammaccato.
La palestra stessa puzzava di sudore rappreso e il pavimento era macchiato e scheggiato.
E Valya adorava quel posto. Ci avrebbe trascorso tutto il giorno, se fosse stato possibile.
Abbylan doveva averlo intuito perché continuava a tenercela per poco tempo, preferendo addestrarla nel cortile, all’aria aperta.
Il signor baffetto, così Valya aveva iniziato a chiamarlo la prima volta che le si era presentato.
L’addestramento era iniziato una Luna prima, quando Izora l’aveva condotta alla palestra e lì lasciata in attesa che Abbylan si degnasse ad arrivare.
“Oh, sei ancora qui” aveva detto arrivando, quasi sorpreso di vederla.
“Dove dovrei essere?” aveva chiesto spazientita. “La governatrice non ti ha detto che devi addestrarmi?”
“Innanzitutto” aveva risposto Abbylan. “Non prendo ordini dalla governatrice. Lei è una strega e io un guerriero, se non l’hai notato. Secondo, mi ha chiesto di addestrarti nell’uso della spada e io le ho risposto che ci avrei pensato.”
“E ci hai pensato?”
“Sì” aveva risposto scrollando le spalle. “E penso sia tempo sprecato con te.”
“Non è vero” aveva protestato. “Mettimi alla prova.”
“Lo farò di sicuro” aveva risposto. “E ti farò scappare via come tutti quelli che pensano di essere nati per essere dei grandi guerrieri ma in realtà le spade possono solo fabbricarle. O fare gli inservienti di quelli che le fabbricano.”
“Parli tanto a fai poco” l’aveva sfidato Valya.
“E tu parli a vuoto, ragazzina.” Abbylan aveva preso una spada dalla rastrelliera. “Scegli la tua arma, ma bada bene. Sarà quella fino alla fine dell’addestramento, anche se sarà molto, molto breve.”
Valya si era avvicinata e aveva passato in rassegna tutte le spade. Alcune erano lunghe e sottile, altre corte e tozze. Una era sia lunga che larga con l’elsa così ampia che dubitava di poterla afferrare e reggere.
“Allora?” aveva fatto Abbylan impaziente e annoiato al tempo stesso. “Ci vuole ancora molto?”
“Perché, hai da fare?”
“Sono una persona impegnata, io.”
“Allora impegnati ad addestrarmi.”
Abbylan si era accarezzato i baffi.
“Signor baffetto” aveva aggiunto Valya senza riuscire a trattenersi. Aveva sottolineato la frase con un ghigno.
“Mi vuoi provocare, ragazzina? Guarda che non è il caso. Sono già abbastanza arrabbiato con te.”
“Anche io” aveva detto Valya impugnando una spada lunga ed elegante.
Aveva tagliato l’aria agitando la lama per saggiarne il peso e il bilanciamento.
Abbylan a sua volta aveva estratto la spada ed eseguito un paio di affondi verso il muro. “Finito di giocare, figlia del fabbro?”
Valya aveva annuito decisa. “Sono pronta.”
Abbylan le aveva rivolto un sorriso sardonico. “Inizia pure.”
Valya aveva alzato la spada sopra la spalla, in modo che puntasse verso l’avversario e allo stesso tempo aveva spostato in avanti il piede sinistro e poco più indietro quello destro.
“Questa cosa sarebbe?” aveva domandato Abbylan.
“La mia posa di attesa.”
L’atro aveva annuito grave. “Attesa di cosa, se posso chiedertelo?”
“Di un tuo attacco.”
“Capisco. E se io non ti attaccassi?”
“Vorrebbe dire che sei un codardo.”
“La maggior parte dei guerrieri lo è. Quasi tutti quelli che sopravvivono a uno scontro lo sono. Di solito muoiono i coraggiosi e gli stolti.”
Valya aveva cercato di ignorarlo. “Tu sei sopravvissuto.”
Abbylan le aveva sorriso. “Una stoccata a tuo favore, figlia del fabbro.”
“Mi chiamo Valya” aveva urlato scattando in avanti e calando la spada verso il guerriero.
Abbylan si era mosso di lato e aveva intercettato il fendente con il piatto della spada, deviandolo.
Valya si era ritrovata ad annaspare alla ricerca di un punto d’appoggio e dopo un paio di passi l’aveva trovato. Stava per voltarsi verso l’avversario quando si era sentita spingere in avanti ed era ruzzolata sul pavimento, perdendo la spada.
“Fine dell’addestramento” aveva detto Abbylan rinfoderando l’arma.
“No” aveva esclamato Valya tirandosi in piedi. “Devi insegnarmi, lo hai scordato? Ordini della governatrice.”
“Ti ho già detto che non prendo ordini da quella donna.”
“Se fosse vero non saresti venuto.”
Abbylan aveva scosso la testa e sospirato. “A cosa ti serve imparare a usare la spada?”
“A cosa ti servono quei ridicoli baffi?”
“Così non ti aiuti” aveva risposto lui.
Valya aveva raccolto la spada. “Voglio diventare una grande guerriera. La più grande di tutte.”
“Sei senza speranza.”
Valya aveva tagliato l’aria con la spada. “Sarò il tuo più grande successo. La gente ti ricorderà per aver addestrato Valya la guerriera suprema invece che per quegli orribili baffi.”
“E sia, ti insegnerò” aveva detto il guerriero. “Ma tu dovrai smetterla di prendermi in giro per via dei baffi.”
“Non ti assicuro niente” aveva risposto lei con tono irriverente.
Abbylan le sfiorò il fianco con un affondo al quale lei rispose traendosi indietro di un passo per preparare la risposta.
“Sei distratta” disse il guerriero indietreggiando.
Valya notò che aveva il fiatone.
I suoi colpi sono meno forti del solito, pensò. Forse è stanco.
Quel pensiero moltiplicò le sue energie e nell’attacco successivo decise di provare a colpirlo al fianco. Abbylan rispose con una parata alta e fece ruotare il polso della mano facendole perdere l’equilibrio.
No, pensò sgomenta mentre scivolava di lato e lui ne approfittava per colpirla col piatto della spada alla coscia. Il dolore avvampò all’istante facendole piegare il ginocchio.
Spostò il peso sull’altra gamba per raddrizzarsi e fronteggiare l’avversario, che ora la fissava sorridendo.
“Sembravi esausto” esclamò Valya indignata.
“Era quello che volevo farti credere” rispose Abbylan.
“Non è leale.”
“Di solito quelli leali muoiono in fretta. Vuoi riprendere o sei stanca?”
Valya sollevò la spada.
 
La forgia era illuminata dal fuoco che ardeva nel forno sempre acceso. Il calore emanato le schiaffeggiò il volto facendole arricciare il naso. Il battito dei martelli sul ferro e l’acciaio era una cantilena familiare per lei, ma lì dentro, dove erano decini a unirsi a quell’orchestra, diventava assordante.
Valya dovette urlare per farsi sentire dal valletto che stava trasportando dei grossi pezzi di metalli si di una carriola.
“Che hai detto, scusa?” le domandò il ragazzo guardandola con espressione indolente.
“Ti ho chiesto dov’è mio padre?”
Lui la fissò senza rispondere.
“Simm Keltel. Il famoso eroe.”
L’altro annuì con foga. “Lo so chi è. È andato via nel pomeriggio e non è ancora tornato.”
“Andato dove?”
“Ha lasciato detto che andava in città.”
“Perché?”
Il valletto si strinse nelle spalle.
“C’è qualcuno a cui posso chiedere?”
“Il suo aiutante?”
Mio padre ha un aiutante? Si chiese Valya. E da quando?
“La sua forgia?”
“È quella lì” rispose il ragazzo indicando un forno. “Chiedi a Rann. Forse lui lo sa dov’è andato tuo padre.”
“Io” iniziò a dire Valya ma l’altro era già ripartito con la carriola.
Sospirò e camminò fino al corno indicatole dal valletto. Prima di arrivarsi dovette attraversare lo stretto passaggio tra le due file di banchetti di legno che si estendevano per tutta la lunghezza dell’edificio. Contò almeno trecento passi prima di stancarsi.
Quanto è grande questo posto? Si chiese.
Dall’esterno non sembrava così grande.
Rann era in piedi davanti al banchetto, il corpo esile coperto da un camice sporco di fuliggine e il martello stretto nella mano destra, ma in quel momento non stava martellando la spada sul banco.
Quando alzò la testa sgranò gli occhi. “Io ti conosco” disse. “Sei la figlia di maestro Keltel.”
Maestro, pensò Valya divertita. È così che adesso si fa chiamare? Lo prenderò in giro per intere Lune.
Si limitò ad annuire. “Sono io. Sai dov’è andato?”
“Maestro Keltel è andato in città.”
“In che posto di preciso?”
“Non lo so. Non me lo dice mai.”
“È andato altre volte?”
“Ci va più o meno ogni dieci giorni, anche se mi sembra che l’ultima volta sia stata sette giorni fa. Non saprei.”
“E ha lasciato te da solo?”
Rann annuì.
Valya indicò la spada sul banco. “Quella la stai forgiando tu?”
“No. Maestro Keltel non mi lascia ancora forgiare niente. Dice che non sono pronto.”
“Ti capisco.”
Rann sembrò esitare.
Valya socchiuse gli occhi. “Hai già forgiato qualcosa da solo?”
“Maestro Keltel” iniziò a dire il ragazzo.
“E smettila di chiamarlo maestro” sbottò Valya. “Maestro in cosa, poi. Se hai forgiato qualcosa di tuo puoi dirmelo. Manterrò il segreto.”
“Se il maestro lo venisse a sapere si arrabbierebbe.”
“Non lo saprà, fidati di me” disse Valya cercando di essere convincente. Da giorni poteva parlare solo con l’odiosa Olethe o col signor baffetto e iniziava a sentire strette le mura della fortezza. Per quel motivo era uscita per parlare con suo padre e chiedergli scusa per avergli risposto male.
È pur sempre mio padre, si era detta. E se gli farò le mie sincere scuse, forse accetterà il fatto che Abbylan mi sta insegnando a usare la spada.
Invece aveva trovato quello strano ragazzo che diceva di essere l’apprendista di suo padre e lo chiamava maestro.
“Allora?” chiese impaziente.
Rann sospirò e mise da parte il martello. “Non la tengo qui” disse togliendosi il grembiule.

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