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Autore: Mary P_Stark    28/09/2020    1 recensioni
Liza Wallace è la nuova Geri del branco di Clearwater e, a discapito della sua giovane età, dimostra fin da subito di avere un potenziale enorme; il rapporto davvero unico con i suoi Huginn e Muninn, i magici corvi al servizio del Sicario Umano del branco colpisce fin dall'inizio l'intero branco. Questo suo potenziale verrà subito messo alla prova quando, a sorpresa, giungerà a Clearwater una famiglia proveniente da New York. I Sullivan sembrano una famiglia normale, almeno all'apparenza, ma il figlio Mark e suo padre Donovan metteranno in allarme il branco a causa del loro comportamento sospetto. Saranno dei temuti Cacciatori, o qualcun altro si cela nell'ombra, più pericolo e subdolo, tentando di portare lo scompiglio nel branco di Lucas, Devereux e Iris? (particolari della storia presenti nei racconti precedenti della Trilogia della Luna)
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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6.

 

 

 

Curtis lanciò sul tavolo della cucina di Dev un plico giallognolo ricolmo di fogli e, torvo in viso, scrutò la Triade di Potere e Freki prima di dire: «Manderei altrove i minori. Non sono cose piacevoli da vedere, né da sentire.»

Chelsey e Liza misero immediatamente il broncio ma, preferendo non discutere con Curtis in merito a cose ‘da poliziotti’, si presero per mano con espressione offesa e se ne andarono al piano superiore.

La sentinella le seguì con lo sguardo e, finché non udì la porta della stanza di Chelsey chiudersi, non aprì bocca. Al suono del battente che arrestava la sua corsa contro il cordolo della porta, tornò a volgersi verso il suo uditorio e, aperto il plico per mostrarlo a tutti loro, disse: «Famiglia Sullivan. New York. Gennaio duemilaotto. Vittime; Derek Sullivan, Lacey Sullivan e Melanie Sullivan-Winchester.»

«Derek… Sullivan?» ripeté cupo Dev. «Era fratello del professore, per caso?»

Annuendo, Curtis mormorò atono: «Il fratello maggiore, di tre anni più grande. Il referto è spietato, ma preciso. Le due donne, rispettivamente la figlia e la moglie, furono uccise a colpi di staffilate e colpi da arma contundente, nello specifico un frustino da equitazione. Vennero inoltre trovati segni di dentatura di un canis lupus, che fecero risalire a uno scheletro di lupo che il dottor Sullivan aveva nel seminterrato. Lui si sparò un colpo in bocca, dopo la carneficina. O così dice l’analisi della scena del crimine.»

Lucas, Rock, Dev e Iris rimasero ammutoliti, gli occhi colmi di sgomento e incredulità di fronte alle scarne fotografie in alta risoluzione che il poliziotto aveva sparso sul tavolo, così da rendere al meglio la gravità del fatto.

Curtis, comunque, proseguì nella spiegazione dei fatti.

«I morsi, come vi ho detto, vennero ricondotti alla mandibola proveniente dallo scheletro di un lupo, che si trovava nello scantinato. Il signor Sullivan era un dottore in biologia, e pare che stesse sistemando dei reperti al fine di portarli allo Smithsonian per una mostra. Questo, almeno, fu quello che dissero i colleghi. Aveva regolare permesso per svolgere quel genere di lavoro a casa, perciò non venne ritenuto strano trovare quelle ossa nel seminterrato.»

Ciò detto, iniziò a scostare alcuni fogli per trovarne uno in particolare e aggiungere: «Da quello che ipotizzarono all’epoca gli investigatori, il dottor Sullivan venne preso da un raptus, staccò la mandibola dello scheletro per colpire dapprima la moglie al fianco, e in seguito la figlia a una gamba dopodiché, in una sorta di Arancia Meccanica in salsa newyorkese, fece una strage familiare.»

«Cosa vuoi dire?» esalò Iris, sentendosi obbligata a sedersi, le gambe troppo deboli per reggerla.

Dev le avvolse immediatamente le spalle con un braccio e, torvo, scrutò Curtis mentre, scorrendo un altro foglio, aggiungeva laconico: «Il tutto cominciò nello scantinato, dove il dottor Sullivan stava lavorando. Lì, furono trovate le prime tracce ematiche appartenenti a Melanie, riconducibili alla ferita al fianco. In seguito, la donna corse al piano superiore per sfuggire, sempre presumibilmente, alla follia del marito. A quel punto intervenne anche Lacey, che venne colpita alla gamba dalla mandibola del lupo, usata dal dottore a mo’ di clava. Il colpo inferto alla figlia spezzò la mandibola, che venne quindi gettata a terra, ormai inutilizzabile. Da qui in poi vennero riscontrati i colpi più duri, prodotti con un’arma contundente indefinita, stando alla ricostruzione.»

Lucas deglutì a fatica, passandosi una mano sul volto pallido e Dev, nello stringere a sé Iris, mormorò roco: «Le staffilate?»

«Sono le ferite più recenti, stando al rapporto. Presentavano le tracce di sangue meno coagulate, e vennero inflitte con il frustino di Lacey, che era una cavallerizza» spiegò loro Curtis. «A quel punto, si pensa che il dottore si sia reso conto del disastro compiuto, perché si ammazzò facendosi saltare le cervella con un colpo di pistola, regolarmente detenuta.»

«Cielo!» ansimò spaventata Iris, coprendosi il capo con le mani per poi poggiarlo, senza forze, sul tavolo della cucina.

Raccolte foto e documentazione, Curtis chiuse il rapporto e terminò di dire: «Sulla carta fila tutto, ma ci sono alcune incongruenze che non hanno convinto un paio di detective e, a quanto pare, neppure Donovan Sullivan. Per inciso, la mandibola del lupo e i segni sui corpi, non corrispondono. La mancanza di DNA estraneo all’interno della casa, fece però propendere il procuratore distrettuale per un caso di omicidio-suicidio, avvalorato dai debiti di gioco che il dottor Sullivan aveva accumulato in una locale bisca clandestina, ben nota alle forze di polizia.»

«Avrebbe ammazzato la famiglia perché colto da un raptus?» borbottò Lucas, incredulo.

«Se ti dicessi quanti americani muoiono per questo motivo, ti stupiresti» replicò con triste ironia Curtis. «Di per sé, non è più o meno cruento rispetto ad altre stragi che siano state compiute in ambito familiare ma, nel caso specifico, il fatto che i morsi non combacino perfettamente con quello che è stato rinvenuto dai poliziotti come una delle armi del delitto, lascia perplessi.»

«Il procuratore non se ne curò?»

«Non proprio. Non c’erano prove che portassero ad altre piste da seguire, se non per l’appunto l’omicidio-suicidio e, per questo motivo, il tutto venne archiviato. Ufficialmente, è catalogato come cold case, visto che ci sono delle discrepanze tra le prove, tali da non poter permettere la chiusura definitiva del caso, ma non vi sono ulteriori informazioni utili per poter riaprire le indagini.»

«Naturalmente, il professor Sullivan non accettò la tesi dell’omicidio-suicidio» ipotizzò Lucas.

Curtis annuì, asserendo: «Stando a quello che ho scoperto, cercò di rintracciare una potenziale teste nei pressi di Boston e, incrociando le mie informazioni con una fonte piuttosto autorevole, pare che il professore ci avesse visto giusto.»

«Che intendi dire?» domandò Iris, stringendosi a Dev.

«Brianna mi ha dato i numeri di telefono di alcuni lupi che si trovano sulla costa Est degli Stati Uniti e, facendo un paio di domande qua e là, è saltato fuori il nome di una studentessa della Columbia che, all’epoca dei fatti, aveva attirato l’attenzione dei curiosi proprio a causa della sua licantropia» spiegò loro Curtis.

«Donovan, però, non riuscì a trovarla, a quanto pare, né si avvicinò più di tanto neppure agli altri licantropi. Diversamente, avrebbe terminato la sua ricerca molto tempo addietro» chiosò Lucas.

«Infatti. Perse le tracce della ragazza – Sondra Johnson, per la cronaca – perciò si appoggiò al dark web e iniziò a scandagliare i siti più controversi e le dicerie più assurde legate ai lupi» scrollò le spalle il poliziotto. «Devo dire che è stato piuttosto bravo, ma ha lasciato dietro di sé un sacco di tracce, tracce che solo per puro caso non lo hanno portato in conflitto con dei veri licantropi. Ha rischiato di farsi ammazzare.»

«Dici che possa aver incrociato anche Logan e Julia?» si informò Dev.

«E’ possibile. Forse, si trovano qui proprio per questo. Dopotutto, in Columbia Britannica, vi furono diverse sparizioni di bambini, a causa di Logan e Julia e forse questo li ha incuriositi, portandoli a venire qui» spiegò loro Curtis, mostrando al quartetto una mappa della zona ovest del Canada, dove aveva evidenziato le città e i paesi in cui i bambini erano stati portati via con la forza dalle loro famiglie.

«Con la riapparizione dei bambini, la pista si è raffreddata, e perciò Donovan non ha più potuto procedere con ulteriori indagini. Il fatto che nessuno sappia dei quattro giorni in cui Chelsey è mancata da casa, ci aiuta a rimanere nell’anonimato e a non attirare la sua attenzione, ma questo non ci mette del tutto al riparo dalla sua morbosa curiosità» chiosò Curtis, ritirando la mappa e sistemando tutta la sua documentazione all’interno di una ventiquattr’ore di pelle nera.

«Quei due idioti riescono a fare dei danni anche da sotto terra» ringhiò disgustato Devereux.

«Hai scoperto se ci sono casi simili? Se qualche altra famiglia è stata sterminata in modo non del tutto chiaro?» si informò a quel punto Lucas.

Curtis levò impotente le spalle, replicando: «La fantasia omicida non conosce limiti, Lucas, e potrei citarti decine, per non dire centinaia di casi di cui dubiteresti la veridicità. Anche la faccenda del DNA mancante non mi sorprende. Se davvero fosse stato un licantropo impazzito, la sua traccia genetica sarebbe scomparsa nel giro di pochi minuti. E’ così che funziona, con noi, ma non posso sapere se la stessa cosa può accadere anche per altre creature mistiche, se è di questo che stiamo parlando. Però posso dirti qualcosa su Diana Sullivan, all’epoca dei fatti, Scott.»

Estratta una nuova carpetta gialla e oblunga, Curtis mostrò loro un referto medico piuttosto crudo e schematico, ove veniva evidenziato sul disegno stilizzato di un corpo umano il punto esatto delle ferite inferte alla donna.

«Diana Scott, originaria di Charlotte, Carolina del Nord. Studi alla Columbia, si è poi trasferita a Wichita per seguire il fidanzato dell’epoca. Durante un viaggio nella  Cherokee National Forest, venne aggredita lungo un sentiero. Fu trovata per puro caso da un paio di escursionisti, attirati dalle grida di lei, e trasportata nel più vicino ospedale della zona con una parziale amputazione dell’arto inferiore destro e diverse ferite sull’addome e le braccia, riconducibili a ferite da difesa.»

«Tracce di morsi?» domandò Lucas.

«Sul moncherino» assentì Curtis, torvo in viso. «Ma qui viene il bello o, nel nostro caso, l’assurdo. La mandibola di ciò che la morse è quasi identica a quella di un lupo e, rullo di tamburi, a un lupo in particolare

Ciò detto, mostrò loro le fotografie dei morsi inferti a Diana e quelle del caso Sullivan. Le due immagini mostravano lo stesso schema dentale.

I tre Gerarchi e Freki si guardarono in viso più che mai meravigliati, ma solo Lucas domandò: «E’ mai possibile che sia sempre lo stesso lupo?»

«Se la dentatura dei lupi segue la regola delle impronte digitali o del DNA, allora siamo di fronte allo stesso assassino» scrollò le spalle Curtis. «Dovremmo chiedere a Chuck o al dottor Cooper. Loro sono sicuramente più esperti in materia, rispetto a me.»

Freki imprecò tra i denti al pari di Dev mentre Lucas, ombroso, in viso, mormorava: «La cosa si sta complicando.»

«Sono rarissimi i casi in cui un lupo abbia aggredito volontariamente un essere umano e, di sicuro, non si prenderebbe la briga di maciullare arti per diletto. Un lupo punterebbe alla gola per soffocare la preda, oppure azzannerebbe i tendini della caviglia per azzoppare la sua vittima, ma non avrebbe senso strappare a morsi un arto. Richiederebbe troppo tempo, esponendolo al rischio di essere colpito, o attaccato da qualche altro predatore» scosse pensieroso il capo Curtis. «No, non è l’azione deliberata di un lupo naturale. Non rientra in nessuno schema comportamentale logico. Inoltre, quella dentatura mi fa pensare al medesimo killer.»

«Noi siamo molto più grandi di un lupo. A parte Chelsey, che è un cucciolo, la media dei licantropi è più importante di quella di un lupo naturale» sottolineò ombroso Dev. «Non può essere stato un licantropo. Quindi, con cosa abbiamo a che fare? Dubito che un qualsiasi lupo naturale faccia strage in una casa della periferia di New York e poi, dopo anni, si accanisca su una persona a caso nel bel mezzo di una foresta.»

«No, non è un mannaro, questo mi sembra assodato. Ma a questo punto, di che lupo stiamo parlando? Esiste qualche altro essere mistico, oltre a noi, ad avere le sembianze di un lupo? Inoltre, qualche evento precedente all’aggressione di Diana, deve aver spinto Donovan Sullivan a raggiungere Wichita» ammise Curtis, gesticolando debolmente con una mano.

«Immagino che sia una città più o meno violenta al pari di altre cittadine americane» sbuffò Lucas, contrariato.

Curtis assentì. «Scandaglierò ancora e vedrò se salta fuori qualcosa. Comunque, i tempi non tornano. Diana fu ferita dopo l’arrivo di Donovan a Wichita, perciò lui non può essere stato spinto lì a causa del suo ferimento, ma può averla contattata proprio a causa di ciò.»

Lucas si passò le mani sul viso, sospirò e ammise: «So che è terribile da dire, ma sono contento che non sia stato un licantropo a fare tutto ciò. Il problema che si pone, però, è un altro. Se non siamo stati noi… chi altro c’è, là fuori, che agisce come un lupo dagli istinti incontrollati?»

Nessuno osò parlare e, con quel silenzio carico di domande, la riunione fu sciolta.

***

«Un altro genere di lupi, dici?» mormorò Brianna dopo aver ascoltato la lunga e inquietante dissertazione di Iris.

«Così pare. Si comporta in modo diverso da un lupo naturale e, a quanto pare, ama predare gli umani, e in modo piuttosto sadico» ammise disgustata Iris. «Però la sua mandibola è come quella di un lupo vero, non di un licantropo, e questo ci ha portati a credere che ci sia qualcosa di diverso, che gironzola per il nord America in cerca di prede sempre nuove.»

«Chiedo lumi» la informò allora Brianna, prima di azzittirsi. “Fenrir, tu che ne dici?”

Dico che la cosa è assai strana. Tendenzialmente, la carne umana non piace a nessun lupo perché non ha un buon sapore. Figurarsi a un licantropo. Quanto alla possibilità che esista un’altra razza senziente, non posso dire di no. Sappiamo già che esistono berserkir e fomoriani e, qualche secolo addietro, fauni ed elfi silvestri abitavano ancora le foreste di molte zone del nord europeo, perciò non mi stupirei se vi fosse altro, in giro per Manheimr.

“Quindi, brancoliamo nel buio?”

Quasi. L’unica cosa che mi sento di dire è di cominciare a spulciare nelle credenze del posto, o ascoltare i canti delle tribù. Potrebbe venir fuori qualcosa di interessante. Dopotutto, anche voi discendete da un mito, anche se esso è ben diverso da come è stato raccontato ai posteri.

“E’ scomodo dover ricorrere sempre alle credenze popolari. Non sono mai precise”, brontolò Brianna, indispettita.

Fenrir rise dolcemente nella sua testa, replicando: Questa è la tua parte analitica che parla. Ma a cosa potresti affidarti, se non al mito, visto che non compariamo esattamente sull’elenco telefonico, o su Google Maps?

Sospirando, Brianna tornò a rivolgersi a Iris, mormorando: «Fenrir pensa che possa trattarsi di un’altra specie di lupo, simile alla nostra ma non appartenente al suo sangue. Questo spiegherebbe i comportamenti anomali e la forma simile a quella di un lupo naturale.»

«Quindi, non ne ha mai sentito parlare neppure lui» sospirò afflitta Iris, scuotendo il capo. «Chiederemo alla nonna di Rock se sa qualcosa in merito. Magari, in qualche mito dei Piedi Neri, si parla di un lupo mangia-uomini.»

«Lo ha suggerito anche Fenrir. Dopotutto, le credenze tribali sono le uniche cose che assomigliano a un’enciclopedia, per quanto ci riguarda, anche se sono tutto fuorché precise» convenne Brianna. «Mi spiace. Non siamo stati di grande aiuto.»

«Grazie comunque. E’ bello anche solo parlarne e scambiare idee in proposito» replicò Iris con un sorriso.

«Questo guaio proprio non ci voleva… e in prossimità del vostro matrimonio, poi…» sospirò Brianna, infastidita.

Le sembrava sempre che i grandi disegni del Cosmo si incrociassero costantemente coi momenti più delicati per le persone, e guarda caso per guastare le feste a tutti.

«Mancano ancora diverse settimane, perciò speriamo non succeda nulla nel frattempo» ammise Iris, con un risolino. «Sarà un piacere rivedervi, dopo tanto tempo.»

«Credimi, è reciproco. Non vedo l’ora di indossare il mio abito da damigella d’onore… adoro il vestito che hai scelto» sorrise eccitata Brianna prima di ridere e aggiungere: «Temo, però, che ne parleremo un’altra volta. Nathan mi richiede con insistenza.»

Scoppiando a ridere a sua volta, Iris assentì e disse: «Ti lascio a lui. Ci vediamo a Calgary il ventinove settembre, allora.»

«A presto, cara.»

Nel chiudere la chiamata, Iris scosse il capo in direzione di Dev, accomodato sul divano del salotto e, poggiato che ebbe il cordless sulla tavola della cucina, mormorò: «Niente da fare. Dobbiamo provare a chiedere a nonnina.»

«Sarà felicissima di darci una mano, ma non so se stavolta potrà risolvere il nostro problema. Se avesse conosciuto delle storie su lupi un po’ speciali, ce le avrebbe raccontate già al vostro primo incontro, ti pare?»

«Sì, è vero» storse il naso Iris, ammettendo quella lieve pecca nel loro piano. «Tentar non nuoce, comunque.»

«Le proveremo tutte, questo è certo perché, se c’è un assassino in giro che può crearci dei problemi, dobbiamo fermarlo a tutti i costi» assentì lui, levandosi in piedi per abbracciarla. «Inoltre, non possiamo permettergli di rovinarci il matrimonio, ti pare?»

«Lo farò a fettine, se solo ci prova» mugugnò Iris, reclinando il capo contro il torace di Dev.

«La mia dolce Terminator» ridacchiò lui, baciandole il capo con tenerezza.

Iris rimase rannicchiata contro il torace di Dev ancora qualche attimo prima di scivolare via da lui, sorridergli maliziosa e mormorare: «Visto che le ragazze sono a Clearwater, che ne diresti se tu e io…»

Devereux non la lasciò terminare. La sollevò a sorpresa tra le braccia, portandola a lanciare uno strillo pieno di sorpresa e aspettativa e, senza attendere oltre, si lanciò al piano superiore saltando i gradini a due a due.

Era raro che potessero concedersi il lusso di fare tutto il baccano che volevano, perciò valeva la pena sfruttare l’occasione fino in fondo.

***

Camminando pacificamente lungo il marciapiede, dirette entrambe verso lo Strawberry Moose per incontrarsi con i reciproci amici, Liza borbottò all’indirizzo di Chelsey: «Certo che Curtis deve aver detto delle cose terribili, ieri sera. Iris era ancora pallida e scioccata, stamattina a colazione.»

«Puoi dirlo forte! Penso di non averla mai vista così sconvolta» assentì Chelsey. «Ma con quelle cavolo di pareti insonorizzate, non sono riuscita a sentire nulla.»

«Forse è meglio, o noi rischieremmo di avere gli incubi notte e giorno per mesi» sottolineò per contro Liza, pur domandandosi se lei, in qualità di Geri, non avesse il diritto di sapere almeno qualcosa in merito a ciò che si erano detti.

Dopotutto, lei era un sicario del branco, e se c’era qualcosa di importante da sapere – o un potenziale pericolo da tenere d’occhio – forse avrebbe dovuto essere informata.

“Non preoccuparti, mamma… ho ascoltato io per te, ma credo davvero che ti farò un riassunto edulcorato, o ti verranno davvero gli incubi” intervenne Muninn con tono cupo.

“E’ davvero così brutta?” esalò Liza, sgomenta.

“Sì” si limitò a dire il corvo prima di involarsi verso un vicino abete sitka per posizionarsi tra i suoi rami.

Huginn si involò verso il campeggio, invece, mentre le due giovani raggiungevano infine il bar. Lì, si salutarono per raggiungere i rispettivi gruppi e Liza, nel vedere Mark da solo e in un angolo del locale, gli si approcciò prima di esalare: «Ma allora lo fai apposta a nasconderti. Se non fossi una ficcanaso professionista, non ti avrei mai visto, qui rintanato in un angolino, e avrei dedotto che non volevi uscire con me, Sasha e gli altri.»

Mark si levò il cappuccio dell’onnipresente felpa – quella domenica era verde scuro con areografie astratte sul torace – e, con una scrollatina di spalle, replicò: «Non ci ho pensato. Di solito, mi metto in un angolo e me ne sto per i fatti miei. E’ più… sicuro.»

«Beh, non qui a Clearwater» brontolò Liza, afferrandolo a una mano per trascinarlo via e condurlo sul lato opposto del locale, dove Sasha era già arrivata e stava ultimando di inviare degli SMS.

Nel vederli, la licantropa sollevò una mano per salutarli, infilò il cellulare nella tasca anteriore dello zaino e, pratica, disse: «Chanel e Fergus ci aspettano all’entrata del campeggio, così imbocchiamo il sentiero per il lago direttamente da lì.»

Liza assentì e Sasha, nel ghignare all’indirizzo di Mark, chiosò: «Prima della fine te lo staccherà, il braccio, se non ti fai un po’ sentire, Sullivan.»

I due ragazzi abbassarono lo sguardo verso le loro due mani ancora intrecciate e, come se si fossero entrambi ustionati, si scostarono di colpo e Mark divenne come di consueto di un imbarazzante rosso vermiglio.

Liza, invece, fissò malamente Sasha che, però, se ne infischiò a bella posta e aggiunse: «Tendi a essere un po’ prevaricatrice, ragazza mia. Forse sarà il tuo essere di L.A.»

Il commento venne seguito da una strizzatina d’occhio e Liza, con uno sbuffo, borbottò: «Non è un caso se ero il capo della banda della scuola. Sapevo farmi valere.»

«Banda? Di teppisti?» ironizzò allegra Sasha, uscendo dal locale assieme a loro, accompagnati dalla risata di Liza e dal sorrisino divertito di Mark.

«Musicale» sottolineò Liza, sorprendendola un po’. «Iris mi ha insegnato a suonare quando avevo dodici anni e, da quel momento, non ho più smesso. Naturalmente, però, non mi sono limitata a imparare… sono diventata la migliore.»

«Che strumento?» si intromise per la prima volta Mark, sinceramente incuriosito.

Liza gli tributò un mezzo sorriso e ammise: «Chitarra e clarinetto. Fui io a insistere perché in scuola ci fosse una banda musicale con tutti gli strumenti. Mi piaceva troppo, quando lo facevano i ragazzi che seguiva Iris nei centri sociali, così ho pestato i piedi perché ci fosse anche nella mia scuola.»

«E tu sei brava a pestare i piedi, no?» ironizzò Sasha, dandole un colpetto con la spalla.

Liza levò il mento con fare fintamente presuntuoso e replicò: «Ma certo. Io sono una maestra di pestaggio di piedi.»

Il trio rise di quel suo ultimo commento e, mentre si approcciavano all’ingresso del campeggio, Liza registrò la presenza di Huginn sul tetto della casa dei Johnson. Con tutta probabilità, li avrebbe seguiti anche nel loro percorso all’interno del bosco e, da lì, sulle sponde del lago, ma non era certa di come si fossero divisi i compiti i due fratelli.

Era però curioso che Muninn avesse lasciato a Huginn il compito di seguirla, visto che loro due non potevano parlarsi mentalmente a grandi distanze. Forse, desiderava che sfruttasse la sua preveggenza mentre lei e Mark erano assieme.

Chissà. Era difficile capire come ragionava un corvo, anche se era senziente come erano quei due.

Salutato con un cenno Lucas – che li stava osservando dalla veranda del suo ufficio – Liza si volse a mezzo per incrociare lo sguardo di Mark e domandò: «I tuoi ti hanno fatto dei problemi, per uscire?»

«No, affatto. Anzi, mia madre ha minacciato di venire ad abbracciarvi, però l’ho convinta a non farlo» brontolò il giovane, spingendo Sasha a sorridere comprensiva.

«Credimi, Mark… non sei l’unico ad avere una madre apprensiva» chiosò la giovane, sollevando nel frattempo un braccio per farsi notare da Chanel e Fergus, che li attendevano a poca distanza. «Se non mi credi, ti presenterò la mia. Fino ai tredici anni, ha creduto che avrei vissuto per sempre nella mia stanza, di fronte a un computer e con le cuffie nelle orecchie.»

Liza levò sorpresa un sopracciglio, lanciando un’occhiata dubbia all’indirizzo dell’alta licantropa. Era mai possibile che, in fase pretrans, si fosse sentita così inadeguata e debole da rinchiudersi volontariamente in casa?

«All’epoca abitavamo ad Alexandria, un buco sperduto della British Columbia dove c’eravamo solo noi, l’Orso Yoghi e la Renna Rudolph» ironizzò la ragazza, ammiccando al loro indirizzo. «Per andare a scuola dovevo prendere l’autobus tutte le mattine e raggiungere la vicina cittadina di Prince George, indipendentemente dal buono o dal cattivo tempo e, quando rientravo, non avevo amici con cui giocare. Insomma, era un posto delizioso.»

I due assentirono muti e, quando raggiunsero Chanel e Fergus, Sasha aggiunse per chiudere il discorso: «Per papà è stata una manna dal cielo trovare un lavoro presso la segheria del padre di Chelsey, perché così ci siamo potuti spostare, e mia sorella non ha dovuto fare la mia stessa trafila per andare a scuola.»

Quello che ovviamente Sasha non disse fu che la sorella non sarebbe stata costretta a crescere in un bosco, isolata dal mondo degli umani, come invece aveva rischiato di fare l’intera famiglia Kendrick.

La famiglia di Sasha, infatti, era rimasta vittima della Voce del Comando di Logan e, da quel poco che aveva saputo, avevano passato più di un anno nel campo nei pressi del McDougall Lake.

Quando i Kendrick erano stati finalmente liberati dall’influsso del loro malvagio Fenrir, scoprendo così ciò a cui erano stati costretti, lo shock non era stato indifferente. Thomas Kendrick, il capofamiglia, aveva compreso di aver perso il lavoro a Prince George, costretto le figlie a venire marchiate e offerto la moglie a quel folle di Logan.

La crisi che ne era seguita aveva quasi fatto impazzire il licantropo, e solo l’amore della moglie e delle figlie lo aveva salvato dal suicidio. Quando infine Darren – il fratello redento di Logan – gli aveva proposto di trasferirsi a Clearwater e di lavorare presso la segheria di Devereux Saint Clair, Thomas Kendrick aveva accettato subito.

Da quell’evento era passato più di un anno e, ormai, a ricordo di quella brutta esperienza rimanevano soltanto i marchi sulle spalle di Sasha e di sua sorella Micha.

«Oh… stavi facendo sentire un po’ meno speciale Sullivan?» celiò Fergus McBride dando di gomito al ragazzo, che accennò un sorriso timido. «Non sei un caso isolato, credici sulla parola. Sasha e Liza sono solo tra le ultime, a essersi trasferite qui. Per esempio, io e i miei siamo arrivati qui quattro anni fa, da Calgary. Mia nonna materna abita qui da sempre ma, negli ultimi anni, non è più così in salute, così ci siamo spostati per esserle di aiuto, visto che è sola.»

Chanel Howthorne, compagna di classe di Liza e Mark al pari di Fergus, assentì e aggiunse: «Se chiedi in giro, sentirai di un sacco di gente che va e viene. Il legname dà lavoro un po’ a tutti, qui in zona, e il turismo anche, perciò ci sono un sacco di persone che fanno i pendolari o gli stagionali, mentre altri si spostano qui in pianta stabile dopo alcuni anni di lavori part time.»

Imboccando il sentiero, Sasha si volse verso Mark come a chiudere quel discorso e, strizzandogli l’occhio, chiosò: «Sei solo l’ultimo della fila, ma non sei certo l’unico.»

Mark assentì, vagamente rasserenato da quelle storie e, nel sistemarsi le stringhe dello zaino sulle spalle, si avviò assieme a loro per la prima, vera camminata per i boschi che avesse mai fatto da dieci anni a questa parte.

Fino a quel momento, le sue erano state solo caccie al nulla, a un fantasma di cui non conosceva il volto, ma che ossessionava suo padre – e di conseguenza la sua famiglia – fin da quando suo zio era morto.

Per una volta, invece, avrebbe potuto godersi la frescura del bosco, i suoi colori autunnali, il profumo delle erbe, il ciangottare degli uccellini e il gorgogliare delle acque.

Per una volta, avrebbe potuto comportarsi come un comune ragazzo di sedici anni, in compagnia dei suoi nuovi amici.

Per una volta, sarebbe stato solo Mark.

***

In cuor suo, Liza aveva sperato fino all’ultimo che i suoi nuovi amici avrebbero messo a loro agio Mark e, nel sentirli parlare a quel modo, il suo cuore era scoppiato di gioia al pensiero di non essersi sbagliata su di loro.

Per quanto lei fosse allegra, spensierata e faceta, l’aveva terrorizzata a morte il pensiero di trasferirsi a Clearwater e sentirsi quella nuova. Aveva preferito di gran lunga raggiungere Iris ben prima dell’inizio delle scuole proprio per prendere famigliarità con le persone del posto, per non sentirsi un pesce fuor d’acqua al suo primo giorno con gli altri studenti.

Non era immune dalla paura come molti pensavano, e non era di sicuro così avventata come invece temeva sua madre. L’idea di essere Geri l’aveva galvanizzata ma, a mente fredda, aveva iniziato pian piano a percepirne il fardello e, solo dopo alcune settimane di unicorni rosa e sogni a occhi aperti, si era finalmente svegliata.

Una mattina, di punto in bianco, il giogo di quel nome sussurrato da Lucas le aveva quasi tolto il fiato e, nel panico più nero, era corsa nella stanza dei genitori con le lacrime agli occhi.

Non aveva detto nulla – non era riuscita ad aprire bocca –, limitandosi a stringere suo padre come se ne andasse della sua stessa vita, mentre sua madre le carezzava comprensiva i lunghi capelli castani.

Solo a pianto ultimato, si era raddrizzata e issata per bene sul letto. Nel tergersi il volto, aveva infine espresso paure e dubbi, ma suo padre si era limitato a dirle: «Hai sentito giusto, quel nome, su di te?»

Lei aveva annuito stentatamente, così il padre si era spinto a dichiarare: «Allora, tu sei una Geri. E sei mia figlia.»

«Nostra figlia» aveva sottolineato la madre, trovando il plauso del marito.

«Sei nostra figlia, e nostra figlia cerca sempre di riuscire al meglio in ciò che fa, perciò non ho timori in merito alla buona riuscita di questo tuo nuovo compito. E’ giusto che tu ne sia intimorita, perché chi non lo sarebbe, di fronte a simili responsabilità? Solo un folle, credo» le spiegò il padre, carezzandole gentilmente il viso. «Ma tu non sei folle, e comprendi sia l’onere che l’onore di essere un guardiano della libertà dei tuoi futuri compagni. Li dovrai difendere, anche da loro stessi, se necessario, e io so che tu ne hai le capacità, anche se non hai la loro forza fisica.»

«Grazie, papà» aveva mormorato lei, tergendosi le ultime lacrime. «Grazie, mamma.»

Da quel momento, si era sentita meglio e, di comune accordo con Iris, si era trasferita a Clearwater per iniziare il suo training di apprendimento.

Sapeva bene, quindi, quanto potesse essere scioccante cambiare vita, e l’idea di quella gita le era venuta proprio per mettere a suo agio Mark, per permettergli di capire quanto, a Clearwater, avrebbe potuto trovarsi bene.

Ora, sperava soltanto di non aver collaborato a far sentire meglio un Cacciatore.

Era forse l’unica cosa che avrebbe potuto toglierle il sorriso per sempre.


 


 




N.d.A.: come avete visto, Donovan ha degli ottimi motivi per cercare l'assassino di suo fratello. Ciò che hanno fatto alla sua famiglia è terribile. Questo, però, l'ha messo più volte a rischio - senza che lui lo sapesse - e, come se non bastasse, ha messo in allarme un intero branco di licantropi (meno male che non hanno il grilletto facile!).  Resta da vedere se le sue ricerche lo porteranno ancor più vicino ai licantropi, o se i nostri "amici del Nord" non ficcheranno il naso prima del tempo.
  
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