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Autore: Star_Rover    29/09/2020    7 recensioni
Fronte Occidentale, 1917.
La guerra di logoramento ha consumato l’animo e lo spirito di molti ufficiali valorosi e coraggiosi.
Dopo anni di sacrifici e sofferenze anche il tenente Richard Green è ormai stanco e disilluso, ma nonostante tutto è ancora determinato a fare il suo dovere.
Inaspettatamente l’ufficiale ritrova speranza salvando la vita di un giovane soldato, con il quale instaura un profondo legame.
Al fronte però il conflitto prosegue inesorabilmente, trascinando chiunque nel suo vortice di morte e distruzione.
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Il Novecento, Guerre mondiali
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XXXI. Il destino dei vivi e la sorte dei morti    
 

Il piccolo convoglio attraversò la campagna silenziosa e deserta. Il panorama era caratterizzato da campi devastati dai crateri e foreste bruciate. All’orizzonte erano visibili solamente rovine e macerie.
Hugh estrasse una lettera dal taschino, la busta era ancora sigillata, non aveva ancora trovato il coraggio di esaminare il contenuto. Ogni volta che riceveva notizie dall’Inghilterra il suo animo si divideva a metà, da una parte desiderava avvertire il calore della sua famiglia, dall’altra invece avrebbe preferito non ricordare ciò che era stato costretto ad abbandonare.
In quell’occasione Hugh fu vinto dalla malinconia, così trovò la forza di dedicarsi a quella lettura.
 
Al mio amato marito.
Spero che tu stia bene, la tua ultima lettera è stata più breve del solito. Non devi preoccuparti per noi, i soldi sono sufficienti, purtroppo molte famiglie si trovano in situazioni ben peggiori della nostra.
A casa stiamo bene, i bambini stanno crescendo in buona salute. La piccola Grace ha compiuto i suoi primi passi, non posso credere che tra poco festeggerà il suo primo compleanno.
Eddie mi chiede spesso di te, ammira sempre la tua fotografia in uniforme. Sei il suo eroe, è davvero orgoglioso di avere come padre un valoroso soldato.
Tuo figlio ti assomiglia sempre di più, non posso fare a meno di pensare a te ogni volta che lo stringo tra le braccia. Questo mi dona conforto, ma causa anche un profondo dolore.
Nei suoi occhi rivedo il tuo sguardo, ricordo ogni momento del nostro passato, sembra che tutto ciò appartenga ad un’altra vita.
Nonostante tutto la certezza del tuo amore è sempre di conforto.
So che ti senti in colpa per non essere stato accanto alla tua famiglia in questi anni, ma voglio che tu sappia che non hai nulla di cui rimproverarti. Hai sempre fatto del tuo meglio per stare vicino a tutti noi anche nei momenti più difficili.
Non ho mai avuto dubbi sul nostro rapporto, la guerra non ha cambiato nulla.
Voglio credere che un giorno questo incubo finirà, e allora potremo essere davvero una famiglia.
Attendiamo tue notizie, torna presto da noi.
 
Hugh strinse il foglio tra le mani tremanti, avvertì una fitta al petto e gli occhi umidi. La lontananza dalla sua famiglia era sempre più dolorosa da affrontare. Le parole di sua moglie erano piene d’amore e conforto, eppure anche questo faceva male.
Il soldato ripiegò la lettera e la ripose con cura all’interno della giubba. Era deciso a fare il possibile per tornare a casa, ma era consapevole di non poter rassicurare la sua famiglia con false promesse.
Hugh si riprese da quei pensieri ed alzò lo sguardo, i suoi compagni erano cupi e taciturni.
Alcuni erano talmente stremati da essersi addormentati, nemmeno le brusche manovre dell’autista disturbavano il loro sonno profondo. Altri invece stringevano il loro fucile e fumavano in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto.
Hugh poté facilmente intuire i loro pensieri, i veterani che tornavano dalla prima linea erano come fantasmi, una parte della loro anima era rimasta sepolta per sempre in quelle trincee.
 
Il Crossley Tender frenò bruscamente a lato della strada. Hugh saltò giù dal furgone con eccesiva fretta, poggiando i piedi a terra perse l’equilibrio e in modo alquanto goffo ruzzolò nel fango. I soldati che assistettero alla scena non riuscirono a trattenere una risata, fu una reazione piuttosto innocente, che voleva avere un significato più liberatorio che irrisorio.
Hugh si rialzò sbuffando, recuperò l’elmetto che era caduto in una pozzanghera e si ricompose con indifferenza.
Il suo miserabile ritorno nelle retrovie aveva uno scopo, dunque non aveva tempo da perdere. Il giovane prese un profondo respiro, si fece coraggio e si incamminò in direzione dell’ospedale.
Aveva riflettuto a lungo e alla fine aveva scelto di non sprecare quell’occasione. Desiderava rivedere Dawber, anche se non aveva pensato alle conseguenze. Non aveva idea di ciò che avrebbe fatto quando sarebbe stato davanti al suo compagno, ma in fondo sentiva di dovergli quella visita, non poteva abbandonarlo proprio in quel momento.
Hugh salì le scale di un vecchio edificio diroccato ritrovandosi in un’ampia sala grigia e gelida. Con esitazione si avvicinò ad un’infermiera, la sua aria severa e scontrosa gli fece rimpiangere la presenza di Beth. Si domandò che fine avesse fatto quella ragazza, immaginò che stesse alleviando le sofferenze di qualche poveretto in prima linea, forse tra tutti quei feriti aveva trovato qualcuno in grado di confortarla.
«Allora? Che cosa vuole?»
Hugh tornò alla realtà: «sto cercando il soldato J. Dawber, mi hanno detto che è ricoverato qui»
La donna parve sconvolta dalla sua richiesta: «è sicuro di volerlo vedere?»
«Sì, certamente. Per quale motivo non dovrei?»
«Quell’uomo non si trova in buone condizioni, mi creda, non le farebbe piacere vederlo in questo stato»
Hugh provò una profonda tristezza nel sentire quelle parole.
«Sono qui per lui, non mi importa di nient’altro» replicò con determinazione.
La donna si limitò ad indicare una stanza in fondo al corridoio: «non c’è nessun altro, quindi non può sbagliare. La avviso però, probabilmente non lo riconoscerà»
Hugh non si lasciò impressionare da quegli avvertimenti, il compagno era ancora vivo e questa rassicurazione era più che sufficiente.
Il soldato si affacciò all’entrata, inizialmente vide solamente una sagoma avvolta tra le coperte. Si avvicinò lentamente, quando finalmente si trovò davanti al letto scoprì perché l’infermiera aveva voluto prepararlo a quell’incontro. Quel corpo sfregiato e mutilato era irriconoscibile, Hugh sussultò nel notare i terribili segni della guerra.
Dawber giaceva immobile con gli occhi socchiusi, con un movimento quasi impercettibile parve accorgersi della sua presenza.
«Hugh…»
Egli si commosse nel sentire la sua voce. Dawber tentò di sollevarsi, il suo compagno l’aiutò a posizionarsi sul cuscino.
Hugh avrebbe voluto dire qualcosa, i pensieri si accumularono nella sua mente, alla fine si accorse di non avere le parole giuste per esprimere ciò che sentiva veramente.
Fu Dawber il primo a interrompere il silenzio.
«Posso farti una domanda?»
«Sì certamente»
«Devi però promettermi di rispondere in modo sincero»
Hugh annuì con fermezza.
Dawber guardò il suo commilitone negli occhi.
«Che cosa hai pensato di me quando mi hai visto?»
Il giovane fu colto alla sprovvista da quel quesito.
«Io…sono solo stato felice di rivederti»
Il ferito si innervosì.
«Ti ho chiesto di essere sincero!»
Hugh tentò di replicare: «ti giuro che è la verità»
Egli scosse la testa: «no, ammettilo! Anche tu provi orrore e ribrezzo per quello che sono diventato!»
«No, non potrei mai pensare nulla del genere»
Jack era in preda alla rabbia e alla frustrazione, reagì d’impulso, afferrando il braccio del suo compagno con una forza inaspettata.
«Smettila di comportarti così! Sai bene che chiunque proverebbe solo disgusto nei miei confronti!»
Hugh tentò di liberarsi dalla sua stretta: «lasciami, mi stai facendo male!»
Dawber non mollò la presa e si voltò per mostrare al suo interlocutore l’enorme cicatrice sul lato sinistro del suo volto.
«Guardami bene, la verità è che sono uno storpio dal volto deforme» disse esternando il proprio dolore.
Il suo compagno rabbrividì. Dawber lasciò andare la manica della sua giacca, allontanandolo da sé.
Hugh avvertì gli occhi colmi di lacrime, restò immobile, reggendosi a stento sulle gambe tremanti.
«Mi dispiace…» sussurrò con un gemito interrotto dal pianto.
Dawber non poté restare indifferente davanti al suo commilitone affranto e disperato. Si accorse di aver esagerato, probabilmente egli aveva frainteso il suo comportamento.
«Questo non è successo per colpa tua» affermò in modo più pacato.
«Avremmo dovuto proteggerci a vicenda» rispose Hugh con rammarico.
«Non avresti potuto fare nulla di più per salvarmi»
Hugh non riuscì a comprendere la situazione.
«Se non mi ritieni responsabile perché mi hai trattato in quel modo?»
«Volevo che tu mi dicessi ciò che volevo sentire»
L’altro non capì.
«Tutti qui mi evitano e mi disprezzano, ma nessuno ha il coraggio di dire la verità»
«Per me è diverso, tu sei l’uomo che mi ha salvato la vita, è così che ti vedo»
Jack fu colpito da quella rivelazione, dopo l’incidente il suo compagno era il primo a non considerarlo come un mostro.
 
Dawber sembrava essersi calmato, la sua rabbia si era tramutata in disperazione.
Hugh poteva comprendere il suo dolore, avrebbe desiderato poter fare qualcosa per il suo commilitone, sapeva che non poteva affrontare tutto ciò da solo.
«La tua famiglia deve sapere la verità» azzardò.
«A quale scopo? Non hanno mie notizie da tanto tempo, a questo punto è meglio che credano che sia morto!»
«Lo credi davvero?»
Dawber ristò in silenzio.
«Tu ami ancora la tua famiglia. Hai dimostrato di avere a cuore la sorte dei tuoi cari, anche se non vuoi ammetterlo adesso hai bisogno di loro»
Dawber non poté negare la verità a se stesso.
«Non posso tornare a casa in queste condizioni»
«Sono certo che tua moglie e i tuoi figli sarebbero felici di rivederti indipendentemente dal tuo aspetto»
«Quando me ne sono andato ero un criminale, ed ora dovrei tornare come un mostro?»
«Sei un reduce che è stato ferito combattendo per la Patria, non hai nulla di cui vergognarti»
Jack sospirò: «quelli come me non torneranno in Inghilterra come eroi, non ci saranno parate per i veterani, la banda non suonerà a festa come alla loro partenza. L’unica musica che sentiranno sarà il valzer dei sogni infranti…»
«La tua famiglia è la tua unica speranza»
«Non posso chiedere perdono per gli errori del passato, non più ormai…»
«Sei una persona migliore di quanto credi, lo hai dimostrato più volte sul campo di battaglia»
«Non credo che tu abbia mai dimostrato interesse nei miei confronti»
«Ho compreso troppo tardi il tuo valore, ho sempre creduto che non ti importasse di nessuno, invece hai sempre agito per il bene di tutti noi»
«Ero solamente un uomo che non aveva più nulla da perdere»
Hugh accettò tristemente la condizione del suo commilitone.
«Se non vuoi tornare a casa che cosa vorresti fare?»
Dawber abbassò il capo: «ho pensato di farla finita, dopo aver visto il mio riflesso per un istante ho desiderato lasciare questo mondo. In tanti sono morti, persone innocenti che avevano ragioni per cui vivere…io invece ho avuto un dono terribile: del tempo in più per continuare a soffrire»
Hugh fu turbato da quella confessione, la guerra non aveva lasciato alcuna speranza, i sopravvissuti non si ritenevano fortunati, ma condannati.
«In ogni caso sono felice che tu abbia cambiato idea»
«Non ho avuto nemmeno la forza di uccidermi…il mio istinto di sopravvivenza mi ha salvato tante volte nel momento del pericolo, tanto che non sono riuscito a contrastarlo. Poi il desiderio di morte si è tramutato solamente in apatia nei confronti della vita»
«Oh, Dawber…non puoi arrenderti così»
«Per te è semplice parlare»
«Non posso nemmeno immaginare il dolore che stai provando, ma nel limite delle mie possibilità vorrei provare a fare qualcosa per te»
«Non puoi fare niente per cambiare le cose, dimentica pure le buone intenzioni e i sensi di colpa. Almeno tu torna alla tua vita»
«Non posso abbandonarti»
Jack distolse lo sguardo: «non mi serve la tua pietà»
«Non è per questo che desidero aiutarti»
Dawber rimase scettico: «dunque perché sei qui?»
Hugh prese la sua mano stringendola delicatamente, poi accennò un flebile sorriso.  
«Perché sono tuo amico»
 
***

Finn era profondamente addormentato, il suo corpo fremeva scosso dai brividi.
Il sergente Redmond si chinò sul volto pallido dell’infermo, il suo respiro era affannato e irregolare, il suo petto si muoveva spasmodicamente sotto alle coperte.
Il sottufficiale passò un panno umido sulla fronte del giovane, la sua pelle scottava a causa della febbre. Finn continuava ad agitarsi nel sonno, vittima di incubi e allucinazioni.
Redmond restò ad assistere il malato con pazienza e dedizione. Osservando quel ragazzo non poté evitare di ricordare Arthur. In tutto quel tempo il sergente non aveva mai smesso di pensare a suo figlio. Ricordò quando l’aveva stretto per la prima volta tra le braccia, in quel momento ogni dubbio e timore era svanito, mentre cullava dolcemente il neonato aveva compreso che da quel preciso istante il suo unico compito sarebbe stato quello di amare e proteggere quella dolce creatura. E così era stato, Arthur era cresciuto con tutte le attenzioni e le cure amorevoli di un padre affettuoso e comprensivo. Redmond non aveva mai fatto mancare nulla a quel ragazzo, arrivando a compiere anche numerosi sacrifici per potergli garantire una buona istruzione. Desiderava solo la sua felicità.
Credeva di aver sempre agito per il bene di Arthur, rispettando sempre la volontà del giovane. Alla fine però aveva tradito la sua promessa, lasciando solo suo figlio in quella guerra.
Arthur era così eccitato per essersi arruolato, aveva grandi speranze per il futuro ed era completamente affascinato all’idea di visitare luoghi lontani ed esotici. Al tempo Redmond non aveva potuto fare nulla per distoglierlo da quella decisione. Aveva avuto fiducia in lui, nonostante tutto aveva voluto mostrarsi orgoglioso di lui, su questo non aveva mai mentito.
Dopo aver appreso della scomparsa di Arthur una parte di sé non aveva voluto accettare la realtà, e nonostante tutto aveva continuato a sperare. Inevitabilmente si era sentito responsabile, un genitore non avrebbe dovuto sopravvivere al figlio.
Redmond però non si era lasciato sopraffare dalla disperazione, relegando quel dolore nel profondo della sua anima. Nel momento in cui aveva perso Arthur aveva avvertito maggiormente il peso della sua responsabilità nell’esercito. Anche per questo si era affezionato ai suoi uomini, con la consapevolezza che anche quei soldati erano figli che dovevano tornare a casa.  
 
Finn si risvegliò con un sussulto, si sorprese nel ritrovare il sergente Redmond accanto al suo giaciglio. L’uomo gli rivolse un confortante sorriso, ma il suo sguardo restò colmo di apprensione.  
Il ragazzo non riuscì a comprendere il motivo della sua presenza.
«Sergente…come mai è qui?» domandò con aria confusa.
Redmond rispose con sincerità: «ero preoccupato per te, quando ti ho trovato ho davvero temuto di essere arrivato troppo tardi»
Finn sussultò: «è stato lei a salvarmi?»
Egli annuì.
Il giovane si sentì a disagio in quella situazione, avvertì un profondo senso di colpa al pensiero di aver deluso anche il sergente, che aveva sempre considerato come un valido superiore.
«Io…non so come ringraziarla…mi ha salvato la vita»
Il sergente si limitò ad alzare le spalle: «ho fatto solo il mio dovere come commilitone, nulla di più»
Finn apprezzò la sua risposta.
Redmond tralasciò la questione e si interessò del suo stato di salute.
«Come ti senti?»
«A quanto pare potrò riprendermi dalla bronchite, ma ciò non vuol dire che guarirò presto»
«Che cosa significa?»
«Non lo so, il dottor Jones ha detto solo che i danni causati dai gas potrebbero essere permanenti»
Redmond tentò di nascondere il suo turbamento.
«L’importante è che ora tu stia bene» replicò con tono rassicurante.
Finn scelse di credere nelle sue parole.
Dopo qualche istante di silenzio il ragazzo si decise a porre la fatidica domanda: «ci sono notizie del tenente Green?»
Il sottufficiale negò tristemente.
Finn non riuscì a trattenere le lacrime, ormai era certo che fosse accaduto qualcosa di terribile a Richard.
Redmond poggiò una mano sulla sua spalla, condividendo con lui quel profondo dolore.
«Sono certo che il tenente non vorrebbe vederti in questo stato, adesso devi solo pensare a riprenderti»
Finn non volle pensare al peggio, sicuramente non avrebbe potuto affrontare quella guerra senza Richard.
La loro conversazione fu interrotta dall’arrivo del dottor Jones. Il medico si avvicinò alla branda rivolgendo un’occhiata severa al sergente.
«Devo chiederle di andare via, le ho concesso anche troppo tempo, i pazienti hanno bisogno di riposare»
Redmond non poté controbattere, in fondo sapeva che il dottore stava solo cercando di fare del suo meglio per il bene di quei soldati.
Il sottufficiale si fermò sulla soglia voltandosi ancora una volta verso il suo giovane compagno.
«Buona fortuna ragazzo, abbi cura di te» concluse prima di oltrepassare la porta.
 
***

William attraversò il corridoio, uscì all’aperto e proseguì lungo il porticato, la fasciatura alla spalla irrigidiva i suoi movimenti, anche la sua camminata appariva lenta e impacciata. Il tenente aveva lasciato la sua stanza per raggiungere il piccolo chiostro, aveva bisogno d’aria fresca. La luce era talmente intensa da far male agli occhi, non era più abituato ai raggi del sole dopo aver trascorso tanto tempo in quelle stanze fredde e buie.
William prese un profondo respiro inalando i dolci e intensi profumi della primavera.
L’ufficiale rivolse lo sguardo al profilo della chiesa che si ergeva verso ovest, quella costruzione doveva apparire imponente prima della guerra, ora parte della facciata era crollata in un cumulo di macerie.  Quell’antico monastero in rovina sarebbe potuto essere l’ambientazione di un romanzo gotico.
Passeggiando nel giardino provò un’intensa malinconia, ma quei pensieri svanirono in fretta quando rientrò nell’ampio refettorio per poi tornare nei corridoi stretti e oscuri del monastero.  
Foley si presentò in una delle piccole stanze che momentaneamente ospitava il colonnello Harrison.
Il suo superiore lo accolse con apparente calma.
«Tenente Foley, sono lieto di vedere che si sta riprendendo»
William rimase diffidente, aveva intuito che in quelle circostanze non avrebbe ricevuto buone notizie.
«Si accomodi, ho bisogno di parlarle»
Egli obbedì.
Harrison non perse tempo e giunse subito al punto.
«Dopo gli ultimi avvenimenti per lei ho ritenuto opportuno un trasferimento»
Foley alzò lo sguardo, le sue iridi smeraldo incrociarono gli occhi scuri del suo superiore.
«Ciò che cosa significa?»
«Semplicemente che tornerà al comando nelle retrovie»
William scosse la testa: «per cosa ha deciso di punirmi?»
«Ero certo che non avrebbe ben accolto la notizia, ma deve credermi, nelle sue condizioni è la scelta migliore»
Il volto di Foley si rabbuiò.
«Non deve rammaricarsi per questo, lei è riuscito a farsi un buona reputazione nell’esercito. Di certo ha mantenuto alto l’onore della sua famiglia»
William trasalì: «che cosa intende dire?»
«Suppongo che non sia stato semplice discostarsi dalla colpa di un disertore»
«Mio fratello era soltanto un ragazzino, di certo io non provo vergogna per la sua condanna»
«Mi dispiace, non intendevo offenderla»
«Thomas non era un codardo. Era un giovane di diciassette anni che non voleva né uccidere né morire, e solo per colpa della sua ingenuità ha commesso un errore imperdonabile»
Il colonnello si limitò a restare in silenzio, sia per rispetto che per accondiscendenza.
William strinse i pugni, in quel momento si accorse di star tremando per la frustrazione. La realtà dei fatti l’aveva sconvolto, non poteva permettere che suo fratello restasse per sempre legato a quel disonorevole marchio d’infamia. Non voleva nemmeno credere che dopo tutti i suoi sforzi l’esercito avesse deciso di liberarsi di lui. Perché in fondo era questo il vero significato delle parole del colonnello Harrison.
Foley si rialzò esternando la sua disapprovazione, ma si congedò senza ribattere in alcun modo. Almeno per il momento non era il caso di peggiorare ulteriormente la situazione. Il tenente si sentì tradito dai suoi stessi superiori, si allontanò a testa bassa, profondamente ferito nell’orgoglio.
 
***

Richard strinse le redini, il cavallo accelerò il passo sollevando nubi di polvere sotto agli zoccoli. Il tenente era determinato a raggiungere il confine, aveva seguito le indicazioni di Yvette ed ormai era certo di non essere troppo distante. Non aveva ancora pensato a come avrebbe fatto a superare l’ostacolo del ponte crollato, una possibilità era tentare di guadare il fiume a cavallo, ma non conoscendo bene il territorio quella sarebbe stata una scelta rischiosa.
Dopo aver trovato il suo compagno di viaggio Green aveva ipotizzato di essere vicino ad un accampamento britannico, ma la sua logica supposizione non aveva ancora avuto conferma. In quei territori devastati dal conflitto non aveva trovato altro che deserto e desolazione, tutto ciò era sempre più allarmante.
L’ufficiale era perso in questi pensieri quando all’improvviso notò qualcosa tra gli alberi. Immediatamente fermò il cavallo, era certo di aver riconosciuto una sagoma familiare. Avvicinandosi con cautela poté avere la prova di non essersi sbagliato, in una piccola radura intravide le tende di un accampamento britannico. Il tenente proseguì lungo il sentiero, la speranza di salvezza iniziò a svanire, quel luogo era troppo silenzioso.
Il terribile sospetto divenne presto realtà, Richard vide i primi cadaveri riversi nell’erba umida, probabilmente i suoi commilitoni erano stati assaliti di sorpresa. Le sentinelle non avevano nemmeno avuto il tempo di dare l’allarme, i tedeschi avevano messo in atto una feroce imboscata.
Non era rimasto più nessuno, probabilmente il destriero che aveva trovato nel bosco era stato l’unico fuggitivo di quella spietata carneficina.
Il tenente rimase immobile al centro del prato, ovunque guardasse regnava l’orripilante presenza della morte.
Richard smontò da cavallo, con esitazione esplorò l’accampamento abbandonato. Vagando tra le tende vuote avvertì soltanto un’intensa inquietudine. Percepì un brivido di terrore realizzando di essere rimasto l’unico essere umano vivente in quella macabra radura.
L’ufficiale tornò in sella, non voleva restare in quel luogo nemmeno un istante di più. Ancora scosso e sconvolto guidò l’animale lungo il sentiero, addentrandosi nuovamente nella foresta. Quella drammatica scoperta aveva rivelato la presenza di un pericolo imprevedibile, il nemico non si era ritirato dal confine.
Con questa consapevolezza Richard spronò l’animale al galoppo, lasciandosi alle spalle l’accampamento fantasma.
   
 
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