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Autore: Moriko_    30/09/2020    2 recensioni
Due compleanni, due persone, un'unica data: 12 Marzo.
Lo straordinario cammino della vita dai primi passi alla maturità, verso più grandi ed importanti traguardi.
[Il titolo, che riassume il tema dell'intera opera, è ispirato a una citazione di Jean Paul, scrittore e pedagogista tedesco: "I compleanni sono piume sulle ampie ali del tempo."]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio, Shingo Aoi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fanfiction
ph7wotV

Nascita.

{Aoi's side}

 

 

BGM: Hiroyuki Sawano - Licht

 

 

 

[12 Marzo, un anno dopo. Nakahara, prefettura di Gifu.] *

 

«Quando torna a casa mamma?»

Una bambina dai capelli neri, raccolti in un piccolo codino che penzolava in un lato della sua testa, si era avvicinata alla sua amata nonna, porgendole l’orsacchiotto di peluche con il quale stava giocando. Il colore dei suoi capelli contrastava con il vestitino color panna che indossava, così come la sua espressione che, solitamente allegra e spensierata, in quel momento sembrava essere molto triste.

«Presto, Yukiko,» rispose la donna con i capelli ormai bianchi e il volto segnato da alcune profonde rughe. Dopo aver rivolto un sorriso rincuorante a sua nipote, Atsuko prese tra le mani l’orsacchiotto e inscenò un dialogo con lui. «E tu cosa ne pensi, Riku? La mamma tornerà presto a casa?»

Una terza voce, simile a quella della nonna ma di gran lunga più acuta, rispose alla domanda della vegliarda. «Andrà tutto bene! Riku non vede l’ora di giocare con il fratellino!»

«Hai visto? Anche Riku dice che la mamma tornerà presto!» proseguì lei, e con un sorriso tornò a guardare la piccola Yukiko.

Atsuko amava molto trascorrere le giornate in compagnia della sua adorata nipotina, giocando spesso con lei e portandola spesso in giro per il borgo. Il territorio di Nakahara, situato ai confini di Gifu - la capitale della prefettura -, era immerso nel verde delle montagne, costellato da casette sparse dal tetto in paglia e circondato da distese di campi di riso; una stradina portava presso il belvedere situato nel cuore di una foresta poco distante, dal quale si poteva ammirare la valle nella quale era situato l’agglomerato degli antichi villaggi. Nelle belle giornate soleggiate Atsuko e Yukiko passeggiavano per le vie lastricate in pietra, tra le risaie e le piccole case in legno, fino a giungere al ruscello che attraversava la zona dove abitavano: là, immerse nella natura, si divertivano a lanciare ciottoli piatti nell’acqua facendoli rimbalzare il più possibile, o a riconoscere il canto degli uccelli che popolavano quella zona ricca di verde. In quei momenti l’anziana cercava di trasmettere alla nipote il suo grande affetto per quel territorio dove il tempo sembrava essersi fermato a cent’anni prima nella speranza che, crescendo, di giorno in giorno anche la piccola amasse quel posto tanto quanto lei.

Ma la parte della giornata che Atsuko preferiva di più del rapporto con sua nipote era il gioco con Riku, il suo orsacchiotto preferito. Quando non potevano uscire di casa entrambe si recavano nella stanza della piccola, ed era proprio lì che la donna si dilettava a farlo parlare grazie alle sue capacità ventriloque, sotto gli occhi di Yukiko che si divertiva molto ad ascoltarlo. Ad Atsuko quel gioco ricordava sempre il suo passato, di quando era piccola come ora lo era sua nipote e in braccio a sua madre si incantava ad ascoltare la voce di quell’orsacchiotto, e di tutte le volte dove, ormai adulta, con l’ausilio di altri pupazzi aveva coinvolto i suoi concittadini nelle calde notti d’estate, durante il gran festival di danza e musica che animava le vie del borgo. Riku era sempre stato il suo compagno di viaggio, che nel silenzio della sua dimora l’aveva aiutata ad esercitarsi sempre più nell’arte del ventriloquo e diventando, anno dopo anno, sempre più brava a non muovere le labbra e così a creare un perfetto dialogo a due, come se quell’orsacchiotto avesse avuto vita propria.

Anche in quel giorno così speciale Atsuko decise di provare a strappare un sorriso a sua nipote con l’aiuto di Riku, agitando una delle zampe dell’orsacchiotto e con esso accarezzando il volto della fanciulla. In risposta a quel gesto di affetto la piccola Yukiko afferrò la zampa e ne schiacciò mogiamente i cuscinetti.

«Cosa c’è, Riku?» chiese Atsuko all’orsacchiotto, che non tardò a rispondere.

«Perché Yukiko è triste, nonna?»

«Perché le manca la mamma, Riku...»

«Ma non voglio vederla triste!»

«Ma a me manca così tanto!» interruppe la bambina, quasi sul punto di scoppiare a piangere. «Quando torna a casa, nonna?»

Di nuovo quella domanda. Era già la quarta volta che la bambina lo chiedeva. In una situazione del genere era normale: quel giorno Yumi, la mamma di Yukiko, era andata all’ospedale di Gifu per affrontare il suo secondo parto e, prima di accompagnarla con l’automobile, suo marito Susumu aveva subito affidato la bambina e la loro casa all’anziana donna.

Atsuko arruffò i capelli alla piccola e le sussurrò con dolcezza: «La mamma ci metterà un po’ di tempo, ma vedrai che tornerà presto...»

«Ma io sono stufa!» esclamò Yukiko, incrociando le braccia. «Quando nasce il fratellino?»

Atsuko si sorprese sempre più per quelle domande insistenti, ma legittime dal punto di vista della piccola. Erano trascorse circa tre ore da quando sua figlia Yumi era partita alla volta dell'ospedale; anche nel caso in cui tutto stesse procedendo per il meglio, ci sarebbe stato ancora da attendere. Ma come avrebbe fatto a fare in modo che sua nipote capisse?

La donna fece spallucce e si rivolse di nuovo all’orsacchiotto che aveva in mano. «Tu cosa dici, Riku? Secondo te quando nascerà il fratellino?»

«Vediamo... forse dopo pranzo! Devi avere pazienza, Yukiko!»

«Uffa!» sbuffò la piccola e subito afferrò il grembiule che sua nonna indossava, scuotendolo ripetutamente. «Ma sono stufa di aspettare! Dai, nonna: andiamo!»

«E dove?»

«Da mamma! Andiamo da mamma!»

Atsuko non potè trattenere un tenero sorriso di fronte all’innocenza della nipotina. Lasciò l’orsacchiotto su una piccola sedia e prese in braccio Yukiko. Nonostante la sua età e il fatto che la piccola, di soli quattro anni, iniziasse ad essere pesante, lei riusciva sempre a prenderla senza molti problemi e conseguenze sul suo fisico che iniziava ad essere segnato dagli anni; inoltre le faceva sempre piacere compiere quel gesto affettuoso, e in quei momenti non pensava più a tutti gli acciacchi della sua vecchiaia.

«Va bene. Aspettiamo papà e andiamo...»

Proprio in quel momento squillò il telefono di casa. La nonna posò la nipotina vicino alla sedia dove si trovava Riku; poi si avvicinò al telefono e alzò la cornetta.

«Pronto?»

Qualche secondo dopo Atsuko spalancò gli occhi per la sorpresa.

«Eeeeeh, di già?! Santissimi numi, che velocità: i bambini di oggi non si lasciano attendere!»

 

 

«Mi raccomando, Yukiko: fai la brava quando entriamo all’ospedale, ok? Anche la mamma ha bisogno di riposo.»

La bambina annuì, mentre si lasciò sistemare il fiocchetto con il quale la nonna stava legando i suoi capelli. Poi Atsuko diede uno sguardo fugace all’orsacchiotto che stava silenziosamente osservando la scena dalla sedia dove prima era stato riposto, inscenando con lui un altro dialogo. «Hai visto, Riku?» esclamò con un sorriso raggiante. «Tra poco andiamo a trovare il fratellino!»

«Non vedo l’ora! Nonna, sai come si chiama?»

«Urm... non lo so, Riku.»

Con grande entusiasmo Yukiko alzò la mano e la agitò nell’aria. «Io! Io lo so! Si chiama “fratellino”!»

La nonna accarezzò la testolina di sua nipote senza smettere di sorridere. «Questo è certo: è pur sempre tuo fratello! Bene, ora siamo pronte!»

Atsuko prese per mano la bambina e la portò di fronte allo specchio. La donna indossava un tradizionale kimono di seta rosa, con motivi di peonie bianche; la piccola, invece, aveva indosso un grazioso vestitino lilla chiaro, con una mantellina di lana dal motivo di fiori di ciliegio, e una fascia rosa che le cingeva la vita.

«Siete bellissime! Al fratellino piacerà!»

«Hai ragione, Riku!» disse la nonna, appoggiando le mani sulle spalle della nipotina. «Però Yukiko è la più bella!»

«Anche tu, nonna!» La bambina sorrideva e continuava a fissare lo specchio, ammirando gli abiti che aveva indosso. «È proprio bello questo vestitino! Ti piace, nonna?»

«Sì, molto!»

Ad un tratto le due udirono il suono quasi incessante di un clacson provenire fuori dalla finestra. Subito si affacciarono alla finestra col davanzale che dava sul piccolo piazzale antistante all’abitazione, ma ormai non c’era più nessuno: infatti, qualche secondo dopo, dalla porta d’ingresso fece capolino un uomo sulla trentina, dai capelli corti e con gli occhiali, che subito si appoggiò allo stipite e cercò di asciugarsi il sudore della fronte con un fazzoletto di stoffa che aveva in tasca.

«Caspita... che giornata!»

«Papà!» Yukiko si gettò sulle sue ginocchia, facendolo barcollare all’indietro e cadendo di sedere a terra.

Nonostante la botta Susumu, il padre della piccola, cercò di nascondere il più possibile la smorfia di dolore e con un sorriso ricambiò l’abbraccio di sua figlia. «Ti sei divertita con la nonna?»

«Sì!» rispose lei con allegria. «Ora possiamo vedere la mamma e il fratellino? Ti prego, ti prego!»

«Anche Riku, anche Riku!»

«Sì, anche Riku!» aggiunse la nonna, iniziando anche lei a sorridere di fronte allo sguardo stanco di Susumu che, nel frattempo, si rialzò e scrollò la polvere dal pantalone.

«... per favore, almeno voi due mi fate prendere un attimo fiato?» chiese l’uomo, lanciandosi sulla poltrona a sacco e reclinando il capo contro il cuscinetto. «Datemi cinque minuti, vi prego...»

Ma sua figlia non stette ad ascoltarlo: entusiasta di poter riabbracciare presto la sua adorata mamma, si avvicinò a lui e lo prese per il braccio. «Dai, papà! Andiamo!»

«Ti prego, Yukiko... non fare come tuo fratello!»

«Perché?» chiese la piccola con occhi colmi di curiosità. «Cosa ha fatto?»

«Cosa ha fatto, piccolina?» mormorò Susumu, osservando sua figlia con uno sguardo sempre più stanco e iniziando a fissare il soffitto. «È nato subito, ecco! A momenti non ci faceva arrivare nemmeno all’ospedale: non so perché, ma aveva fretta di nascere!»

A quella notizia la bambina fece i salti di gioia. «Che bello! Così la mamma torna subito a casa!»

«Sì, ma...»

«Yukiko, ora lascia riposare tuo padre,» interruppe Atsuko, avvicinandosi a sua nipote e chinandosi su di lei. «Intanto mettiamo in ordine la stanza, così la mamma sarà contenta quando la vedrà! E poi andiamo da lei e dal fratellino, ok?»

La bambina sorrise, lasciando il braccio del padre e correndo dall’altra parte della stanza, decisa a rimettere a posto i suoi giochi nel cestino di vimini che era all’angolo.

«Sì!»

 

 

 

I tre arrivarono all’ospedale municipale di Gifu. La capitale della prefettura era una grande città in tutto e per tutto, che richiamava Nakahara con i suoi templi e quelle poche antiche case in legno che erano sopravvissute all’espansione e alla modernizzazione della città. Sul resto Gifu era così diversa da quel paesino satellite: una città vasta, frutto dell’unione di diversi agglomerati urbani e con la presenza di strutture all’avanguardia, una “piccola Tokyo” - come la definivano gli abitanti delle città e dei paesi limitrofi.

L’ingresso dell’ospedale municipale dove era stata ricoverata Yumi, la moglie di Susumu, era attraversato da un continuo viavai di persone: medici e infermieri che avevano terminato o erano in procinto di iniziare il loro turno di lavoro, parenti che accompagnavano i loro cari in via di guarigione per una piacevole passeggiata nella zona verde dell’ospedale, intere famiglie che, per un lieto o doloroso evento, erano giunte di corsa in quel luogo.

Attraversando un lungo viale alberato Atsuko e Susumu, tenendo per mano Yukiko, giunsero all’ingresso del plesso dedicato ai reparti di maternità. Lì la piccola vide un andirivieni di giovani mamme al seguito di bambini di minore età o più grandicelli di lei, e genitori entusiasti che stavano tornando a casa con i loro figli. Da lontano Yukiko riuscì ad udire pianti di neonati, e quel suono la riempì di entusiasmo: era sempre più impaziente di vedere il suo fratellino per la prima volta.

«Dunque... vediamo un po’...»

Susumu osservò attentamente le indicazioni che si trovavano all’ingresso del reparto dopodiché, seguito da figlia e nonna, entrò nella struttura. Dopo aver chiesto informazioni alla reception giunse di fronte alla stanza dove si trovava sua moglie, ma in quel momento era chiusa, così chiese informazioni ad una coppia che era seduta nel corridoio.

«È appena entrato il medico per le visite di controllo,» rispose il ragazzo della coppia, dando una veloce occhiata allo schermo del suo cellulare per controllare l’orario. «Ma non ci vorrà molto, è questione di minuti.»

«Grazie mille!»

Intanto Yukiko lasciò la mano del padre e si avvicinò alla finestra: cercò in tutti i modi di affacciarsi per vedere il panorama ma non ci riuscì, così chiese aiuto a sua nonna che subito la sollevò.

Susumu, invece, si sedette poco distante da quei due ragazzi che si trovavano insieme a loro in quel corridoio, e sorrise nel vederli felici: dal loro dialogo allegro, aveva capito che la sorella di lei aveva appena partorito due gemelli, che il parto era stato lungo e difficile ma che, alla fine, tutto si era risolto per il meglio. Nei confronti di persone che non conosceva, Susumu era un tipo di poche parole: non interveniva quasi mai nei discorsi degli altri, stando però attento ad ascoltare tutto ciò che si dicevano tra loro. Storie di vita vissuta, esperienze appena affrontate: ovunque andava, il padre di Yukiko partecipava silenziosamente ai sentimenti degli altri, gioendo o rattristandosi con loro nelle profondità della sua mente.

«Pensa che mentre mia sorella era ancora in travaglio c’è stato un parto velocissimo!» disse con euforia la ragazza di quella coppia che era seduta vicino a Susumu. «Nemmeno un paio d’ore, ed ecco qui il pupo! Anche mia sorella si è sorpresa non appena l’ha saputo dai medici: quando mi ha raccontato di ciò che aveva sentito nel corridoio è scoppiata a ridere... di certo quel bambino è stato un fenomeno!»

Susumu diventò paonazzo in volto. Senza farsi notare da loro si voltò dalla parte opposta, facendo finta di essere interessato al quadro di ginestre che era appeso insieme agli altri sulla parete del corridoio. È mio figlio il fenomeno! pensò stupefatto, con gli occhi spalancati e una mano tra i capelli con velato imbarazzo.

Tuttavia, subito dopo fece scivolare sulle gambe il braccio che aveva inavvertitamente alzato per portarsi la mano sulla testa e, al pensiero che dopotutto il peggio fosse passato e che sia sua moglie che suo figlio stessero bene, gli venne da sorridere commosso.

In effetti, un parto del genere non è una cosa da tutti i giorni... siamo stati molto fortunati!

 

All’improvviso la porta della stanza dove si trovava Yumi si spalancò, e il medico fece cenno ai presenti di entrarvi. Entrò prima la coppia, seguita da Susumu insieme alla piccola Yukiko e Atsuko.

All’interno vi erano quattro letti, tre dei quali erano occupati dalle donne che avevano già partorito. Quello di Yumi era uno dei due vicini alla finestra, dalla quale si poteva scorgere parte della città e, sullo sfondo, l’imponente catena delle Alpi giapponesi le cui cime erano ancora ricoperte di neve; al di sotto di quelle montagne si intravedevano i paeselli ai confini di Gifu che riempivano la valle come delle piccole tessere di mosaico. Anche la stessa Nakahara era laggiù, con la vicina foresta che la faceva quasi da cornice.

Su quel letto Yumi stava cullando suo figlio che in quel momento dormiva profondamente. Nonostante fosse stremata per il parto, era così emozionata per ciò che le era accaduto: in quel momento non desiderava altro se non che il tempo si fermasse, fissandosi in quell’istante dove lei si sentiva leggera e pervasa da un dolce tepore da farla sorridere senza fine. Poi alzò lo sguardo e, in un battito di ciglia, il mondo intorno a lei riprese vita.

Di fronte a lei vi erano suo marito, sua madre e la piccola Yukiko che, non appena la vide, lasciò la mano della nonna e corse subito da lei. «Mamma!» la chiamò, finalmente felice di rivederla.

«Ciao, piccolina!» rispose Yumi, rivolgendo a sua figlia un affettuoso sorriso.

Yukiko restò ferma ad osservare la mamma e il fagottino che aveva in braccio. «Sei bellissima, mamma! E anche il fratellino è bellissimo!»

Anche se sapeva di essere ancora stremata per il parto, a Yumi fece piacere sentirsi dire quelle parole dalla sua bambina. In quel momento, la piacevole sensazione di tepore che aveva provato poco prima si era allargata anche verso la sua bambina, avvolgendo entrambe come il calore del sole nella tarda primavera. «Proprio come te: sei proprio bella con quel vestitino!»

Yukiko rise e tornò dalla nonna per prendere il suo orsacchiotto e mostrarglielo. «Guarda, mamma: c’è anche Riku! Anche lui voleva vedere il fratellino!»

«Ciao mamma! Congratulazioni!»

«Mamma...» sussurrò Yumi, incrociando lo sguardo di sua madre. Gli occhi divennero lucidi: sapeva molto bene che quell’ultima frase proveniva dal cuore della sua adorata madre e non solo da quello di stoffa di un morbido pupazzo a forma di orso; il tono di quel “Congratulazioni!” era al colmo della commozione, nonostante la voce ferma il più possibile per cercare di contenerla.

Yumi sorrise a sua madre, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. «Grazie mille!»

«Sono felice che il parto sia andato tutto bene,» rispose Atsuko, sedendosi al suo fianco. «Anche se... non mi aspettavo che ti sbrigassi subito! Questa volta ci hai colto di sorpresa: tuo marito è arrivato a casa stravolto!»

«Ahahah, posso immaginare!»

Yumi si ricordò di quella scena. Il parto non era andato esattamente come previsto: per la sua precedente esperienza con Yukiko, la giovane aveva pensato che anche questa volta ci avrebbe impiegato molto prima dell’arrivo del suo secondogenito. Giunta all’ospedale con suo marito, l’inaspettata sorpresa: il piccolo era riuscito a nascere nel giro di poco tempo, in circa un paio d’ore: un record che li aveva colti di sorpresa, abituati entrambi a parti normali nelle loro rispettive famiglie. Per loro fortuna era andato tutto bene, nonostante la nascita fosse stata così veloce e quasi inaspettata.

Quando avevano riportato Yumi nella stanza, Susumu aveva deciso di restare al suo fianco per godersi il momento: proprio su quel letto, sotto i raggi del sole che li illuminavano e alle loro spalle lo sfondo del territorio di Gifu, i due avevano rinnovato la loro promessa di essere dei buoni genitori mentre osservavano il nuovo arrivato della loro famiglia. Niente era più importante di loro tre, tutto il resto non contava: né il chiacchiericcio che si sentiva di sottofondo, né il tempo che continuava a scorrere. Solo quando il medico aveva fatto ingresso in quella stanza per la visita di controllo, Susumu aveva subito guardato l’orologio e fuggito via, afferrando al contempo il cellulare che aveva riposto nel taschino della sua giacca: era evidente che egli si era dimenticato di avvisare sua suocera e la loro bambina, e di fronte al suo atteggiamento Yumi aveva cercato di trattenere le candide risate che stavano sgorgando dal suo cuore.

Di fronte a quel ricordo, la donna fece cenno a suo marito di avvicinarsi e gli porse il neonato. «Hai visto? Ha ragione Yukiko: è molto bello...»

Susumu tese le braccia per prenderlo e si sedette a bordo del letto, accanto a sua moglie. Aveva un po’ di timore nel tenere in braccio quel fagottino: sembrava così piccolo e fragile, e aveva paura di fargli del male in qualche modo. Nonostante fosse abituato con Yukiko, sentì come se la storia si stesse ripetendo, allora come quattro anni prima: cullare un neonato non era la stessa cosa di cullare una bambina ormai cresciuta, sebbene anche lei fosse ancora piccina.

«Ciao, piccolino...» disse Susumu stringendolo a sé, per poi aggiungere con un sorriso commosso verso sua moglie: «È una sensazione bellissima...»

«Già,» rispose Yumi. Le era sfuggita una lacrima, che brillava come una perla nelle profondità del mare. «Sai, avevo promesso di non piangere... e invece mi sono commossa di nuovo. Avevano ragione le altre mamme: ogni parto è sempre un pianto!»

Susumu le accarezzò dolcemente la guancia, asciugando quella lacrima che stava rigando il suo volto.

«Ehi, piccioncini! A proposito: come si chiama il pupetto?»

«Eh?»

I due genitori furono colti alla sprovvista dalla domanda di Riku - o, per meglio dire, da quella di Atsuko. Nei giorni precedenti al parto Susumu e Yumi avevano iniziato a pensare a un nome per il nascituro, ma non erano riusciti a trovarne uno che potesse convincerli del tutto; tuttavia il parto era avvenuto in modo così veloce, che i due non avevano ancora avuto il tempo per fermarsi e riflettere... o, per meglio dire, avevano avuto un po’ di tempo, ma presi dal momento non ci avevano più pensato. Grazie alla loro tradizione avrebbero avuto ancora qualche giorno in più prima della decisione definitiva, nell’occasione dell’Oschichiya[1], però non se la sentivano di uscire dall’ospedale senza prima decidere un nome.

La coppia si guardò negli occhi, piuttosto indecisa sul cosa rispondere. Susumu e Yumi si fissarono negli occhi e iniziarono a balbettare, ma senza dire nulla di sensato.

«Te l’ho già detto, Riku!» interruppe Yukiko, rivolgendo all'orsacchiotto un cipiglio di disappunto. «Si chiama “fratellino”! Vero, mamma?»

«Beh...» disse Yumi. «Sì, è il tuo fratellino, ma...»

«Dovremmo dargli un nome, sai?» aggiunse Susumu, guardando la piccola. «Come tu ti chiami Yukiko, anche lui ha un nome...»

«E allora come si chiama, papà?»

«Ecco...» Il giovane padre diede uno sguardo fugace a sua moglie in cerca di un segnale che potesse aiutarlo ma, nel vedere anche lei con uno sguardo piuttosto dubbioso, alla fine sorrise imbarazzato e fu costretto ad ammettere la verità. «... beh: non lo sappiamo ancora!»

«Va bene, lo decide Riku!»

La bambina appoggiò l’orsacchiotto sull’altra sedia che si trovava vicino al letto, al fianco di sua nonna, e gli domandò con allegria: «Che nome ti piace, Riku? Dai, scegliamo insieme il nome per il fratellino!»

«E... ecco...»

Atsuko fu colta di sorpresa. Ora l’attenzione di tutti era rivolta a Riku... o, per meglio dire, a lei che per prima aveva avuto la curiosità di chiedere quale fosse il nome del piccino. In un certo senso, avvertì la sensazione di essersi scavata la fossa con le proprie mani.

«Allora, cara nonna...» sussurrò Yumi, rivolgendo uno sguardo di sfida nei confronti di sua madre, «hai qualche idea? Facciamo un gioco: la prima tra te e Yukiko che trova un nome adatto a questo piccolino vince un bel premio!»

«Evviva!» Yukiko esultò di felicità, iniziando anche lei a pensare un bel nome per il suo fratellino.

Nel frattempo Susumu tornò a guardare suo figlio che aveva ancora in braccio e, come se fosse caduto in trance, iniziò a mormorare il suo cognome alla ricerca di qualche suggerimento che lo avrebbe aiutato a sciogliere quell’arcano.

«Aoi... Aoi...»

L’unica che si accorse di quello strano balbettio fu Yumi che, piuttosto incuriosita, si domandò perché suo marito stesse ripetendo quella parola senza alcun senso apparente.

Poi, colpito da un’improvvisa rivelazione, Susumu spalancò gli occhi per lo stupore. Come un lampo, dalle sue labbra uscì a gran voce una parola diversa da quella che stava mormorando fino a qualche secondo prima.

«... Shingo!»

«Cosa?!»

Tutti lo osservarono in silenzio, senza chiedergli nulla. Accortosi del fatto che il resto della sua famiglia avesse gli occhi puntati su di lui, Susumu si voltò verso di loro e iniziò a farfugliare: «Cioè... in realtà... non lo so! È che all'improvviso ho pensato che questo bimbetto è arrivato in modo veloce... proprio quando sei per strada e trovi il semaforo verde!»

«I semafori?» chiese Yumi, corrugando la fronte, ma subito dopo capì il senso delle parole di suo marito. «Aspetta un attimo: hai detto “Shingo”? “Aoi Shingo”? Il traffico... la luce verde...»

«Il semaforo?» sussurrò la bambina, alzando sul suo papà i suoi occhi neri. «Cosa c’entra con il fratellino? Anche lui è arrivato qui con l’auto, proprio come noi?»

La giovane madre scoppiò a ridere candidamente. «Ma no, Yukiko! Solo i grandi possono guidare le auto!»

«Ma papà ha detto “semaforo verde”!» disse la piccola, tornando dalla mamma con sguardo interrogativo. «Ha detto proprio “semaforo verde”!»

«È vero!» aggiunse Riku. «Il fratellino è arrivato subito, come un’auto che non si ferma di fronte al semaforo verde!»

«Ricordi, Yukiko?» sussurrò la nonna, prendendo la piccola in braccio. «Quando siamo di fronte al semaforo, il colore rosso ti dice di fermarti ma il verde no. Tuo fratello è arrivato dalla mamma come un’auto a tutta velocità, per questo papà vuole chiamarlo Shingo. Come il nostro amico ao-shingō, il semaforo verde! Ti piace il verde, vero Yukiko?»

La piccola annuì. «Mi piace il verde... e sono felice che il fratellino è arrivato subito dalla mamma! Così presto torniamo tutti a casa!»

Poi Yukiko chiese alla nonna se potesse portarla dal padre, e l’anziana la accontentò. La bambina allungò le braccia verso di lui, chiedendogli: «Posso prendere il fratellino, papà?»

«Aspetta un attimo, ti aiuto...»

Susumu si alzò e mise il piccolo tra le braccia di Yukiko, aiutandola a sorreggerlo.

«Come è piccolo!» esclamò lei. «Sembra un bambolotto!»

Il papà sorrise. «Anche tu eri così piccola, ricordi? Piccola piccola, proprio così...»

«Ma poi diventa grande come me?»

«Certo! Così potrai giocare presto con lui!»

«Domani?»

«Beh... domani ancora no: deve mangiare tanto, prima che diventa grande come te... e tu devi fare la brava e aiutarci, così crescerà subito subito!»

«Va bene!»

In quel momento il neonato strizzò le palpebre e aprì lentamente gli occhi, fermando lo sguardo sulla sorellina. Anche se non poteva ancora distinguere bene ciò che lo circondava, era come se la voce della piccola fosse stata l'unica ad aver catturato la sua attenzione.

«Guarda, papà! Il fratellino mi sta guardando!» esclamò Yukiko con entusiasmo.

«Su, parlaci!»

«Mi ascolta?»

«Sì!» disse Susumu, e ancora una volta incoraggiò sua figlia. «Il fratellino vuole ascoltarti: puoi dirgli quello che vuoi!»

Per un attimo la bambina restò in silenzio, indecisa sul cosa comunicargli; poi, subito dopo, il dubbio lasciò spazio all’entusiasmo di poter interagire con il piccolino. «Ciao! Io mi chiamo Yukiko, e sono la tua sorellina! Sai che sei proprio bello? Molto bello!»

Il neonato aprì leggermente le labbra, come se anche lui avesse voluto dire qualcosa. Poi iniziò ad agitare le gambe, mentre una piccola smorfia - che sembrava essere un piccolo sorriso - si formò sul suo volto, e Yukiko rise divertita.

«Papà, papà! Hai visto? Il fratellino è felice!»

Susumu la guardò con occhi pieni di amore. «È ovvio: sei la sua sorellina, è felice di stare con te!»

Di fronte a quella scena, Yumi e Atsuko sorrisero. Quest'ultima incrociò le braccia con soddisfazione e commentò: «Però devo ammettere che tuo marito ha avuto una bella idea... Shingo, eh? Non sarebbe niente male come nome! Di certo, per come è nato, non sembra essere qualcuno che si ferma facilmente, eheheh...»

Yumi annuì. «Anche a me piace molto come nome... però hai visto, mamma? A Yukiko non importa del suo nome; per lei l'importante è giocare con il suo fratellino!»

Atsuko guardò sua figlia, e le prese la mano.

«Sai... in fondo la mia nipotina ha ragione. Ciò che conta è che stiano bene e che vadano d'accordo! Solo così, il chiamarsi per nome sarà ancora più bello!»

 

 

Note dell'autore:

* (Per questo riferimento a "Nakahara" si rimanda all'angolo che segue dopo le note, dove ci sarà una spiegazione dettagliata.)

[1] L’Oschichiya è una cerimonia tipicamente giapponese che avviene sette giorni dopo la nascita del bambino e durante la quale si annuncia il suo nome pubblicamente. Secondo la tradizione, è il padre a scrivere il nome del nascituro nel meimeisho, il "certificato del nome" che poi viene esposto in casa alla presenza di parenti e amici.

 

 


 

[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]

Rieccoci qui, con il secondo appuntamento di The feathers on the wings of time! Come già preannunciato, questa seconda parte inizia a raccontare la storia di Shingo... del quale, dal punto di vista familiare, è stato più fortunato!

Nel World Youth, infatti, in più punti vediamo la sua famiglia composta da un padre, una madre, una sorella e uno zio che abita in Italia. Quest'ultimo viene solo citato (nel primo capitolo), mentre la prima immagine che abbiamo degli altri si trova nel capitolo 5: di loro non sappiamo molto, a dire il vero, ma bisogna ammettere che già il vederli nel manga è tanto, almeno per me che adoro le storie a tema familiare!

Per questo motivo, partendo già da un briciolo di base in partenza, il mio compito è stato quello di impegnarmi a caratterizzarli ancora di più... e ora ve li presento nella seconda "appendice" dei nomi. Anche in questo caso la scelta dei nomi e dei futuri ruoli che vedrete più avanti non sono stati scelti a caso, ma hanno un preciso significato:

 

- Atsuko 「篤子」 è la nonna di Yukiko e Shingo, madre di Yumi e suocera di Susumu. È un’eccellente ventriloqua - una dei pochi al mondo a parlare senza muovere alcun muscolo del viso - e attraverso l’orsacchiotto Riku riesce ad intrattenere i suoi nipotini. Il suo nome significa "bambina gentile", che rispecchia perfettamente il suo carattere.
- Yumi 「弓」 è la mamma di Yukiko e Shingo, moglie di Susumu e unica figlia di Atsuko. Il suo nome significa “arco”, labile riferimento ad uno degli oggetti in legno che producono gli artigiani di Nakahara.
- Susumu 「進」 è il padre di Yukiko e Shingo. Il suo nome significa "avanzare, procedere" - dato che è instancabile e non smette quasi mai di dedicarsi al lavoro che svolge - e che poi vedrete.
- Yukiko 「由希子」 l’unico nome ufficialmente rivelato della famiglia di Shingo nel capitolo 54 - è la prima figlia di Susumu e Yumi. Dolce e gentile, è molto affezionata all'orsacchiotto Riku, con il quale adora chiacchierare in presenza della nonna. Il suo nome significa "bambina preziosa".
- Riku 「陸」 è l'orsacchiotto di Yukiko, dono della nonna. In origine era un regalo che la mamma di Atsuko aveva creato appositamente per lei, affidandole poi il compito di regalarlo a sua volta alla sua discendenza. Il suo nome significa "territorio", dato che è destinato a rimanere a Nakahara nella famiglia Aoi.

 

Su questa seconda parte in generale, qualche precisazione che non ho inserito nelle note dell'autore.

- La prima, quella più importante e sottolineata dall'asterisco iniziale nel riferimento temporale iniziale, riguarda la cittadina di Nakahara. Nella serie di CT esiste la squadra di calcio delle medie Nakahara della prefettura di Gifu che compare per la prima volta nel flashback del capitolo 1 del World Youth, e che è la squadra di calcio nella quale gioca Shingo. Sempre nel World Youth, nel capitolo 44 viene chiesto a Shingo del suo eventuale ritorno a Gifu, per cui si deduce che il giovane abita in quella città (o comunque nel suo territorio): Gifu è una città dove si fondono tradizione e modernità, famosa per l'artigianato - elemento che, vi anticipo, tornerà nel corso di questa storia quindi occhio! ;) La prefettura di Gifu è inoltre ricca di paesi e villaggi dai centri storici tradizionali come Takayama, dalle strette stradine e dalle abitazioni in legno e paglia.

Perché ho fatto tutta questa premessa, elencando elementi provenienti dal manga al fianco quelli reali? Per via di un'ipotesi che si è fatta strada quando ho riletto le parti con Shingo riguardo proprio la sua famiglia - e che spero di svelarvi man mano che la storia andrà avanti - per cui alla fine ho deciso di creare la cittadina di Nakahara che, sebbene si trovi poco distante da Gifu, è allo stesso tempo lontana dalla frenesia del grande centro urbano: ho pensato che così sarebbe stato più semplice gestire la storia che avevo pensato per Shingo rispetto al catapultarlo in una realtà simile a quella dinamica della città di Nankatsu.

Anche per questo elemento non indifferente, la storia è stata inserita tra le What if.

- Un parto è considerato veloce al di sotto delle quattro ore di travaglio (potete trovare qui una delle tante fonti). Come avete letto, la storia del parto di Shingo, seppur un po' "strana", serve anche a sottolineare la scelta del suo nome da parte del padre.

- Proprio a proposito del nome di Shingo - forse qui per molti di voi non dirò nulla di nuovo - rappresenta un gioco di parole con il suo cognome: ao (青) è il nome che indica il colore blu o verde, e ao-shingō (青信号) vuol dire "luci blu/verdi" riferito proprio alle luci del traffico in Giappone. Infatti più volte Shingo si diverte a citare tale gioco di parole, proprio quando sottolinea il fatto che nessuno può fermarlo quando inizia a correre sul campo da calcio - tra parentesi, a proposito di giochi di parole con le luci del traffico, in CT abbiamo un altro personaggio che si chiama ​Akai Tomeya che è un eccellente difensore che riesce a non far avanzare gli avversari. A questo punto mi aspetto che in futuro Takahashi introdurrà anche un personaggio che richiama il colore giallo dei semafori in Giappone, giusto per completezza XDD

Tornando a Shingo, è evidente che l'autore nel dargli quel nome non ha pensato al modo in cui è nato, ma proprio per la sua capacità di farsi strada tra gli avversari senza troppi problemi. Nella mia storia, ovviamente Susumu non è un veggente e per questo penserà a quel nome proprio per il modo in cui il suo secondogenito è arrivato rispetto a Yukiko: di corsa, come un'automobile di fronte al semaforo verde!

- Per la serie "Le curiosità inutili della Moriko": se siete curiosi del vestitino di Yukiko, ho pensato a una cosa del genere. Qui non c'è la mantellina di lana, ma per il resto a me è piaciuto molto immaginandolo su di lei. È molto grazioso, non trovate?

 

A conclusione di questa seconda parte di delucidazioni ringrazio tutti coloro che hanno iniziato a seguire questa storia, sia silenziosamente che con le loro recensioni. La parte sulle rispettive nascite, che sono servite anche da introduzione a buona parte dei personaggi che si muoveranno in questa storia - protagonisti compresi - si sono concluse, per cui vi annuncio che dal prossimo capitolo gli ingranaggi della storia iniziano a muoversi. Per quanto nelle vesti di frugoletti Yuzo e Shingo siano carinissimi, non possiamo lasciarli per sempre in quello stato... per cui presto li vedrete già "in azione"!

Come preannunciato la scorsa settimana, gli aggiornamenti di questa storia subiranno una pausa di circa un mese, in concomitanza con l'inizio del Writober al quale proverò a partecipare: per questo motivo ho pensato di sospendere quest'opera per non farla sovrapporre con le ff dedicate invece all'evento di ottobre (i cui aggiornamenti saranno giorno per giorno... gasp!) ma sappiate che non ho intenzione di perderla di vista. In fondo siamo ancora all'inizio: voi non siete curiosi di vedere dove andrò a parare, nel bene o nel male? ;D

Dunque, ai lettori di questa storia: ci vediamo tra un mese. Invece a quelli che seguono anche le altre: ci vediamo domani, LOL!

Al prossimo aggiornamento!

--- Moriko

 

 

   
 
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