Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: alis_dayo    02/10/2020    1 recensioni
«Avevo sempre avuto la verità davanti ai miei occhi, ma avevo deciso di ignorarla. Questo mondo è crudele»
Mikasa aveva scelto di essere forte, di abbandonare tutte le sue paure con l'unico scopo di proteggere Eren, la sua famiglia. Eppure, il senso di solitudine la lacerava dall'interno. Mikasa non capiva, o forse semplicemente ignorava che l'unica persona che potesse realmente capirla fosse Levi.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Rinchiuso in una diffidenza egoistica, forse giustificata dal fastidio provato, dopo una notte passata nel silenzio totale, nell'ascoltare il vociare confuso che man mano aumentava sempre di più lungo i corridoi, Levi era nella sua camera che sfogliava distrattamente alcuni documenti sorseggiando a tratti la sua solita tazza di tè nero con religiosa cura. 

Fu soltanto quando dal corridoio udì un suono di passi vacillanti, simili a quelli che muoverebbe un condannato a morte che si sta dirigendo verso il patibolo, accompagnati da un respiro ansante frammentato a tratti da suoni indefiniti, che si alzò dalla postazione che aveva occupato per diverse ore per avvicinarsi la porta e aprirla appena. A pochi metri di distanza dalla sua camera scorse una sagoma muovere passi incerti appoggiandosi alla parete. Soltanto quando alcuni raggi di sole colpirono quella figura riuscì a riconoscere in lei Mikasa sgranando appena gli occhi per la sorpresa.

Levi uscì dalla sua camera e, senza mai distogliere lo sguardo da lei, seguì il suo cammino fino a quando non si rannicchiò sul pavimento portando le ginocchia al petto. Un tremore leggero accompagnava tutto il suo corpo, il respiro, invece, sembrava diventare sempre più affannato. Per diversi minuti rimase nella penombra, appoggiato alla parete, chiedendosi che espressione avesse Mikasa in quel preciso momento. Contro chi stai combattendo? Era questa la domanda che avrebbe voluto farle mentre contemplava quella figura che mai, come in quel momento, gli era sembrata così fragile e delicata.

Passo dopo passo si avvicinò a lei, «Oi, mocciosa» le disse rompendo il silenzio. Alle sue parole notò il corpo della ragazza irrigidirsi, ci vollero diversi secondi prima che alzasse lo sguardo nella sua direzione. Levi la osservò notando un piccolo tremito nel suo labbro inferiore. Si scambiarono uno sguardo rapido in cui lui riuscì a leggere un'agitazione simile a quella delle onde colpite dal vento. «Seguimi, è rimasto del tè» le disse prima di voltare le spalle ed incamminarsi sotto lo sguardo confuso e sorpreso di Mikasa. Lei, che nonostante sembrava aver riacquistato un respiro quasi regolare, aveva ancora il corpo scosso da leggeri tremolii, ma, dopo qualche istante di esitazione, lo seguì a passi lenti. Lui, che camminava diversi passi avanti a lei con le mani in tasca e il solito sguardo cupo, la osservava di soppiatto attraverso i riflessi delle finestre assicurandosi che non cadesse. 

Lo seguì fino alla porta della sua stanza, dove entrò titubante e, dopo aver ricevuto il permesso, si sedette su una sedia vicina alla scrivania tenendo lo sguardo basso. Levi, dopo aver preso una tazza pulita, tornò ad occupare il suo solito posto e le versò una tazza di tè. Mikasa, con lo sguardo basso, chiusa in un silenzio di vergogna, prese la tazza e iniziò a sorseggiare quella bevanda che tanto piaceva al Capitano facendosi travolgere dal tiepido calore. Con la tazza ancora tra le mani, abbandonò il capo all'indietro. «Mi dispiace» sussurrò poi con una voce tremante, rauca. Levi accavallò le gambe e portò una mano sotto il mento, lo sguardo sempre fisso su di lei, non le rispose, aveva paura che qualsiasi parola l'avrebbe ridotta in frantumi. Rimasero così, in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri in quella stanza ancora troppo buia in cui perfino i raggi del sole sembravano restii ad entrare. Soltanto quando Mikasa ebbe riacquistato un colorito umano e un respiro regolare Levi si decise a rompere quel silenzio che paradossalmente era diventato assordante, «Puoi andare ora», le sue parole, come al solito, si dimostrarono fredde e arroganti, avrebbe aggiunto un gli altri mocciosi si staranno chiedendo dove sei finita, ma le parole gli si fermarono in gola. Mikasa sussultò nel percepire la freddezza delle parole del Capitano, cercò di mantenere un'espressione composta velando il senso di tristezza nel dover lasciare quel luogo che, seppur per poco tempo, le era sembrato sicuro e caldo. Tuttavia, quando si accinse a raggiungere la porta fu nuovamente bloccata dalle parole di Levi «Oi, Mikasa», si girò appena a guardarlo, le gambe accavallate, la schiena dritta, l'espressione seria, lo sguardo gelido e profondo, tutto in lui lasciava intravedere risolutezza e durezza d'animo. «Non c'è bisogno di essere sempre forti», Mikasa non vide più nulla, un velo grigio si estese dinanzi ai suoi occhi, si sentì irrigidita, come se il sangue avesse cessato di scorrere. Quelle parole, che la colpirono come un fulmine a ciel sereno, le invasero il cuore con una strana sensazione, un misto di dolore e rassegnazione. Nonostante cercasse con tutta sé stessa di tenerle a freno, sentì un flusso di calore rigarle il volto, ancora una volta si era dimostrata debole, incapace di vincere le proprie emozioni. Esitò nel rispondergli poi, stringendo i pugni e con voce flebile disse semplicemente «Non posso». Levi, che nel frattempo si era avvicinato a lei, incontrò il suo sguardo arrossato per le lacrime leggendo nei suoi occhi un'emozione insopportabile di amore e di abbandono, egualmente eterni. Soffocò il respiro per qualche secondo quando comprese che ad accomunarli non era soltanto il cognome o la forza sovrumana, ma anche quel senso di solitudine, di dolore, di vuoto con cui ogni giorno dovevano far i conti. 

Per un solo istante, materializzato sotto i suoi occhi, vide la parte più debole di sé, l'immagine di lui bambino, rassegnato e spaventato allo stesso tempo. Quello che seguì fu un gesto quasi spontaneo, portò una mano sulla testa di Mikasa scompigliandole leggermente la chioma corvina. Lei, con ancora gli occhi lucidi, rimase confusa da quel gesto. «Quando senti di non riuscire a sostenere il peso della tua forza ti lascerò del tè, aiuta a distendere i nervi» disse infine. Mikasa uscì dalla camera del Capitano frastornata con una nuova e pura emozione nel petto, per la prima volta si era sentita capita.

   
 
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