
Capitolo quattordicesimo: Neverending
Unending
nights, neverending lights
I know I could live for centuries
But they'll be the brightest I'll ever see
Stand by my side in the darkest times
As this tragedy seems to be
Always enclosed in our memories…
(“Neverending” – Frozen
Crown)
Alfonso aveva ripensato a lungo, nei giorni
seguenti, a ciò che Juan gli aveva raccontato a proposito del fidanzamento di
sua sorella Lucrezia con Alfonso d’Aragona e a quello che tale unione avrebbe
potuto significare per il loro futuro e per quello del Regno di Napoli.
Inizialmente la prospettiva di subire una nuova invasione ad opera del nipote
del Re di Spagna e di perdere il trono lo aveva spaventato, tuttavia più ci
rifletteva e più gli venivano strani pensieri.
Alfonso d’Aragona non era Re Carlo, lui non
lo conosceva di persona ma sapeva che era un ragazzo della sua età, cortese e
di animo nobile. Se gli avesse concesso ciò che voleva, ossia il trono di
Napoli, riteneva che non gli avrebbe fatto alcun male, anche perché erano pure
parenti, alla lontana. E poi avrebbe governato in nome del Re di Spagna e non
gli sarebbe convenuto affatto uccidere un Aragonese.
Il giovane Principe si convinceva sempre di
più che concedere il Regno di Napoli alla Spagna, per tramite di Alfonso
d’Aragona, non sarebbe stata poi quella gran tragedia. Al contrario, l’appoggio
della Spagna avrebbe impedito al Papa di acquisire troppo potere e avrebbe
probabilmente dissuaso eventuali invasori italiani o stranieri. Sì, certo, lui
aveva stretto un’alleanza con Francesco Gonzaga, ma Mantova era un piccolo
Stato e il Gonzaga non aveva poi tutto questo carisma. Alfonso dubitava di
poter essere altrettanto convincente con governanti come gli Este o, peggio
ancora, Ludovico il Moro. Anche i Baroni di Napoli non avrebbero osato alzare
la cresta di fronte al nipote del Re di Spagna, per quanto l’idea di essere
suoi vassalli potesse irritarli.
A dirla tutta, Alfonso era stanco. Stanco di
dover sempre temere per la sua vita, stanco di stare sempre sul chi vive,
stanco di non sapere mai di chi fidarsi. Lui non era come suo padre Ferrante,
non lo era mai stato. Amava il Regno di Napoli per la sua bellezza e per le
comodità e i lussi, ma non si sentiva un vero sovrano. Non era ambizioso, non
desiderava il potere. Gli sarebbe bastato poter rimanere a Napoli come uno dei
tanti nobili, godendo dei privilegi del suo rango… e che fosse Alfonso d’Aragona
a vedersela con i vari Principi italiani e con le mire dei sovrani stranieri!
Juan trovò Alfonso che vagava nella Sala del
Trono, perduto nelle sue riflessioni.
“Come sei serio, Alfonso” gli disse in tono
scherzoso. “A cosa stai pensando?”
Il giovane si voltò verso di lui e lo fissò.
Juan fu ancora più sorpreso dall’espressione decisa e concentrata del Principe
e, ancora una volta, si disse che quel ragazzo era molto più forte di quanto
avesse pensato quando l’aveva incontrato la prima volta e quando, poi, era
tornato a Napoli per diventare suo protettore.
Tutti avevano sottovalutato Alfonso, tutti, a partire da suo padre. Quel
giovane Principe non era forse uno stratega, non era un guerriero né un sovrano
spietato e scaltro come suo padre, ma le esperienze atroci che aveva vissuto
gli avevano infuso una forza d’animo che lui, Juan, di sicuro non possedeva.
“Sto prendendo in considerazione la
possibilità di cedere la corona di Napoli ad Alfonso d’Aragona” dichiarò il
Principe, prendendo completamente alla sprovvista il giovane Borgia.
“Cosa? Ma… di che stai parlando?”
“Di quello che mi hai riferito qualche giorno
fa. Tua sorella Lucrezia sposerà Alfonso d’Aragona il mese prossimo e da quello
che so di tuo padre non ha certo organizzato questo matrimonio per la felicità
della figlia” ribatté il ragazzo. “Rodrigo Borgia vuole governare su Napoli, è
per questo che ti ha mandato qui. Però adesso ha un’occasione ancora più
favorevole: mettere sua figlia sul trono, come sposa del nipote del Re di
Spagna. Del resto, la Spagna ha sempre voluto Napoli e mio padre ha lottato per
anni per mantenere l’indipendenza…”
“Certo, e sarà quello che continuerai a fare
anche tu. Io sarò al tuo fianco per appoggiarti e poi stipulerai alleanze con i
signori delle Corti italiane e…”
“Con chi potrei allearmi, Juan? Con i Medici,
che al momento non possono ancora rientrare a Firenze?* Con gli Este, che sono filofrancesi? O magari con Ludovico
Sforza? Non credo che sarà molto propenso ad ascoltarmi, specialmente se ti
vedrà al mio fianco” replicò Alfonso, con distaccato realismo. “Non posso
mettermi contro il Re di Spagna, ho già abbastanza nemici…”
Juan era allibito. Non era questo che avevano
deciso qualche sera prima, quando avevano parlato per la prima volta del futuro
matrimonio di Lucrezia e Alfonso d’Aragona, anzi. Juan si era dichiarato
disposto a sfidare anche la sua famiglia pur di difendere il suo posto accanto
al Principe, il legittimo erede al trono di Napoli. Possibile che Alfonso,
adesso, fosse così disposto ad arrendersi? Sembrava rassegnato, vinto, così
Juan decise di dargli una notizia che, senza dubbio, lo avrebbe rallegrato e
magari spinto a reagire.
“Questo non è vero, non hai tanti nemici”
disse. “Sono convinto che sarai in grado di allearti con i governanti degli
Stati italiani… sì, anche con Ludovico il Moro, perché no? Le cose sono
cambiate, adesso. Gli Sforza hanno avuto un atteggiamento ambiguo con i
Francesi, hanno cercato un’alleanza con loro per avere i cannoni con cui
difendere Forlì, ma poi il Moro ha partecipato alla Lega Santa per respingere
le pretese di Carlo VIII sull’Italia. E… forse non lo sai, ma non dovrai più
temere quel Re crudele e sadico.”
Proprio come Juan prevedeva, le sue ultime
parole catturarono l’attenzione di Alfonso, che gli si avvicinò e lo guardò con
una muta speranza negli occhi.
“Cosa vuoi dire?”
“Semplicemente che Re Carlo è morto più di un
mese fa, nel suo castello di Amboise. Pare che abbia sbattuto la testa contro
l’architrave in pietra di una porta e che sia morto dopo due o tre ore di
agonia” riferì il giovane Borgia, soddisfatto.
Alfonso sembrava non credere alle proprie
orecchie. Re Carlo era morto, il suo aguzzino, il mostro che lo aveva fatto
torturare era morto… e in un modo così assurdo! Il sollievo che lo invase fu
talmente intenso che solo in quel momento il ragazzo si rese conto di quanto,
in realtà, lo temesse ancora. Nei suoi incubi, il malvagio sovrano era sempre in
agguato, pronto a organizzare una nuova invasione del Regno di Napoli e a farlo
riportare nella stanza delle torture, questa volta fino alla fine, perché il
Generale non era più lì per proteggerlo…
Il giovane Principe scoppiò in una risata
argentina, come per liberarsi dal peso che aveva portato sulle spalle negli
ultimi anni.
“Ha… sbattuto la testa sull’architrave?”
mormorò, tra una risata e l’altra. “Ma come ha fatto? Era… insomma, come ci è
arrivato fin lassù, basso com’era?”
La risata di Alfonso era contagiosa e fece
ridere anche Juan.
“E’ assurdo, vero? In realtà pare che fosse a
cavallo… ma i particolari non hanno importanza, no? Quello che conta è che
quell’uomo crudele e spietato ha pagato per tutto il male che ti ha fatto. E’
morto, ha sofferto, e non avendo eredi ha dovuto lasciare il Regno di Francia
al cugino, Luigi d’Orléans. Ha perduto tutto!” **
Era così dolce vedere Alfonso con gli occhi
brillanti per la gioia. Juan non seppe resistere e lo prese tra le braccia,
baciandolo a lungo e quasi sollevandolo da terra. Come sempre, quando iniziava
a baciarlo non riusciva a frenarsi e aveva già iniziato a cercare di
slacciargli i pantaloni… ma, cosa strana, questa volta il Principe trovò il
fiato e la forza per trattenerlo.
“Juan, aspetta… io… Temo che sia troppo
presto per festeggiare. E’ vero, Re Carlo è morto e io ne sono molto
compiaciuto, ha avuto la fine che si meritava ma… come sappiamo che Luigi XII
non sarà anche peggio di lui? Sicuramente avrà anche lui delle mire sul Regno
di Napoli…” mormorò, ritornando d’improvviso malinconico. “Ed è per questo che
io… io preferisco che sia qualcun altro ad affrontarlo al posto mio. Se vorrà
farlo Alfonso d’Aragona, si accomodi pure.”
“Insomma, Alfonso, hai già dimenticato tutto
quello che ci siamo detti pochi giorni fa? Devo ripeterti all’infinito che non
sei solo, che io sono qui con te, che ti aiuterò ad intessere le alleanze?”
reagì Juan, stizzito dal fatto che il ragazzo facesse tante difficoltà. “Oppure
la verità è che non ti fidi di me? Pensi che ti stia mentendo, che sia come mio
padre? Perfetto, credevo che almeno tu avessi capito chi sono e mi accettassi
per ciò che sono…”
Lo scatto di rabbia di Juan parve turbare
ancora di più il Principe, che lo guardò con occhi pieni di dolore e
disperazione.
“Non è questo, Juan, io mi fido di te, ma non
della tua famiglia né dei sovrani italiani e stranieri” mormorò. “E… sono tanto
stanco, Juan. Sono stanco di vivere nel terrore, di avere sempre paura di
qualcuno, di aspettarmi ogni giorno qualcosa di terribile. E sono stanco anche
di preoccuparmi di tutto, di dover contattare governanti che mi ritengono un
inetto e supplicarli di allearsi con me. Sai, quando sei arrivato a Napoli e ho
iniziato a conoscerti meglio, quando facevamo delle cose insieme come due
ragazzi normali, cavalcate, passeggiate, chiacchierate, io… io mi sentivo
davvero felice come non ero mai stato. Non ero più solo, avevo un amico più o
meno della mia età e vivevo una vita serena e piacevole. Forse preferirei
davvero che fosse sempre così… se Alfonso d’Aragona prendesse il trono, io
potrei vivere tranquillo come uno dei tanti nobili di Napoli…”
Juan guardò a lungo il suo giovane Principe,
il suo povero Alfonso rassegnato e malinconico, e si sentì stringere il cuore.
In quel momento sembrava di nuovo il ragazzino che i Francesi avevano
inseguito, catturato e poi torturato in modi atrocissimi, spezzandogli il corpo
e l’anima, sembrava più giovane e indifeso… e Juan si rimproverò per non essere
stato ad aiutarlo e a proteggerlo in quei momenti terribili. I sensi di colpa
lo straziavano mentre pensava a come si fosse goduto la vita, in quegli anni,
tra prostitute spagnole, viaggi, notti di baldoria nelle locande, fumo e altri
piaceri e, nel frattempo, Alfonso era solo e terrorizzato ad affrontare il
sadico Re Carlo, Alfonso si alzava ogni giorno pensando a cosa sarebbe potuto
accadergli di orribile, chiedendosi se sarebbe sopravvissuto fino a sera.
E tutto ciò che voleva era una vita
tranquilla, essere un ragazzo normale…
Per la prima volta nella sua vita il giovane
Borgia si vergognò di ciò che era stato e che aveva fatto fino a quel momento,
della sua esistenza vuota, superficiale, irresponsabile e legata solo alle
soddisfazioni personali. E osava lamentarsi di suo padre e delle sue critiche?
Con che coraggio? Non aveva dovuto patire neanche un millesimo di ciò che aveva
sopportato Alfonso, più giovane e fragile di lui…
Ma ora sarebbe cambiato tutto. Juan sarebbe
cambiato, si sarebbe deciso finalmente a crescere e avrebbe protetto, difeso e
incoraggiato Alfonso, aiutandolo ad ottenere tutto quello che meritava e che
non aveva mai avuto, a dimenticare paure e sofferenze, a essere semplicemente
felice… al suo fianco.
Lo prese per le spalle e lo attirò a sé.
“Hai ragione, Alfonso, hai perfettamente
ragione” gli disse. “Anch’io voglio vivere finalmente una vita normale e serena
accanto a te, ma questo non vuol dire dover rinunciare al Regno di Napoli.
Capisco che hai passato esperienze terribili, ma adesso è tutto diverso. Non sei
più solo, Alfonso, ci sono io con te e non ti lascerò mai. Questa è la mia casa
e la mia vita è accanto a te, lotterò per proteggere quello che stiamo
costruendo insieme, a qualsiasi costo.”
Incredulo, il giovane Principe gli rivolse
uno sguardo in cui, finalmente, sembrava brillare una tenue luce di speranza.
Incoraggiato da quella luce, Juan continuò, stringendo Alfonso tra le braccia.
“Non sei solo a doverti preoccupare delle
alleanze o della difesa del Regno, ci sono io a farlo con te e Don Hernando ad
occuparsi dell’esercito. Riusciremo ad allearci con i potenti degli Stati
italiani e tutto andrà bene. Del resto, io non credo che davvero mio padre e il
Re di Spagna vogliano mettere Alfonso d’Aragona e Lucrezia al tuo posto ma, se
dovesse accadere, difenderemo ciò che è nostro. E lo stesso vale per il nuovo
Re di Francia, non sappiamo ancora ciò che vorrà fare, se avrà la stessa
ambizione e spietatezza di Re Carlo. Non devi più tormentarti per cose che,
forse, non avverranno mai. Lo facevi quando eri da solo e dovevi pensare a
tutto, ma ora sei con me, sei mio e
qualsiasi ostacolo e nemico lo affronteremo insieme quando si presenterà, senza
angosciarci inutilmente prima.”
Detto questo, Juan iniziò a baciare profondamente
Alfonso, spingendolo contro la parete, armeggiando con i lacci dei suoi abiti,
accarezzandolo dappertutto. Non avrebbe rinunciato al suo dolce e indifeso
Principe per niente al mondo e, per averlo, era disposto anche ad abbandonare
la sua vita superficiale e viziosa e a crescere, a prendersi delle vere
responsabilità. Il legame con Alfonso, che nessuno dei due osava ancora
chiamare amore, lo aveva cambiato e sarebbe stato in grado di appoggiare e
difendere il Regno di Napoli se ce ne fosse stato bisogno. Juan continuava a
minimizzare la crudeltà e la spietata ambizione di suo padre e di suo fratello
Cesare, riteneva che le minacce, caso mai, sarebbero venute da Spagna e Francia…
tuttavia era deciso ad affrontarle per non perdere niente del futuro che si
stava costruendo con Alfonso.
Perduto tra le braccia di Juan, il giovane
Principe si lasciò andare, concedendosi il lusso di sperare, di credere
finalmente che le cose sarebbero anche potute andare bene e che lui e Juan,
insieme, avrebbero potuto superare qualsiasi ostacolo e difficoltà. Mentre,
confuso e smarrito, si abbandonava ai baci ardenti e alla passione di Juan,
mentre i loro corpi divenivano una sola essenza di piacere e desiderio, Alfonso
ebbe un ultimo pensiero lucido: al fianco del giovane Borgia avrebbe potuto
ottenere tutto ciò che aveva sempre desiderato.
Juan era la sua felicità, la sua completezza,
il suo destino. Avrebbero fatto grandi cose perché, e questo era ciò che per
lui contava più di tutto, sarebbero stati per sempre insieme. Unito a Juan, anche Alfonso sentiva di poter affrontare
qualsiasi nemico, minaccia e difficoltà, di poter lottare nei momenti più
oscuri e negativi fino alla luce e alla gioia di un futuro fianco a fianco.
Insieme a Juan.
FINE
* I Medici erano stati cacciati da Firenze nel 1494 dal
popolo, ispirato dalle prediche del Savonarola, ed era stata instaurata una Repubblica.
Nel giugno del 1498, data in cui ho ambientato questo capitolo (un mese prima
delle nozze di Lucrezia Borgia con Alfonso d’Aragona), a Firenze governava il
Gonfaloniere Piero Soderini, legato alla famiglia dei Medici, ma Firenze era
ancora una Repubblica. I Medici potranno rientrare a Firenze solo nel 1512.
** Può sembrare strano, ma questa è la storia vera. Carlo
VIII morì proprio così e sul trono salì suo cugino, che regnerà come Luigi XII
di Valois-Orléans, capostipite di una nuova famiglia regnante in Francia. E’
proprio vero che Carlo VIII perse tutto, morendo senza eredi diretti.