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Autore: Enchalott    05/10/2020    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’origine della maledizione
 
Le fiaccole fumanti degli Haltaki punteggiarono la notte di bagliori verdastri. L’odore balsamico della resina che prendeva fuoco si espanse sul campo di battaglia, mentre i guerrieri dell’ultima tribù caricavano i nemici, sporgendosi come acrobati dai cavalli lanciati al galoppo sulla sabbia.
Kreyossì!!
Il grido di guerra risuonò nel buio, mentre l’attacco imprevisto falciava coloro i quali tra gli Anskelisia erano semplici mortali. Gli eftaster dei nuovi arrivati, lame simili a boomerang a quattro punte, fendettero il buio mietendo tutto ciò che trovavano sul loro cammino per poi tornare docili ai mittenti in un sibilo letale.
I daimar si bloccarono, fiutando l’aria con espressione disgustata: l’effluvio aromatico delle torce disturbava il loro olfatto e li disorientava, allontanandoli dalle prede più gradite, dall’esalazione della paura umana. Le loro iridi di sangue si cercarono vicendevolmente, si scambiarono suoni in un linguaggio incomprensibile e iniziarono a retrocedere nell’ombra delle dune.
Rona terminò di divorare la creatura che teneva tra gli artigli, senza curarsi del fatto che fosse uno dei suoi sulluhat: si passò la lingua sulle labbra violacee con soddisfazione. Il sangue fresco gli colò sul segno triangolare inciso sul mento, che assorbì il fluido rossastro come se fosse una seconda bocca. Si levò in piedi, sfidando sfacciato i lanci letali degli Haltaki e le frecce velenose degli Aethalas, sogghignando maligno in direzione di Stelio e dello sparuto gruppo di capitribù nelle retrovie.
«Presto avremo di nuovo fame» sibilò glaciale, ritirandosi nella cappa nera e mimetizzandosi nell’oscurità.
Tutti i demoni sparirono, fagocitati dalla tenebra, abbandonando i loro servitori alla mercé degli avversari che, sino a un istante prima, erano sull’orlo del tracollo.
Eisen spronò il destriero, gridando ordini ai suoi, insensibile alla ferita aperta che gli slabbrava il bicipite destro. Alcuni Iohro risparmiarono con palese stizza l’avversario, riducendolo all’impotenza come aveva appena comandato il loro bailye. Tutti gli altri inflissero il colpo di grazia agli attaccanti senza battere ciglio.
«Rinforzate i fuochi!» gridò Niyla, rallentando il galoppo sfrenato e quasi alla cieca del proprio corsiero «Non lasciateli scappare!»
I Thaisa gettarono la legna tra le fiamme, abbassando le alabarde ricurve per ostacolare gli inutili tentativi di fuga degli Angeli, ormai abbandonati a loro stessi.
«Sarebbe meglio se bruciassimo i cadaveri, maestà» suggerì Ayonira, tormentandosi la treccia bruna e osservando con raccapriccio la distesa di corpi sparsi sulla sabbia «È un atto di misericordia per chi è caduto, di sicurezza per chi è ancora in vita.»
«Sì» convenne Stelio addolorato «Anche per i nostri. Ma accendete due pire diverse, non voglio che quegli esseri si mischino con chi ha difeso la nostra terra. Date la precedenza ai feriti, chiamate i guaritori.»
Smontò di sella e si diresse mesto alla zona che era stata teatro dell’infuriare più violento dello scontro. Avrebbe omaggiato di persona le spoglie degli elestoryani, assumendosi l’onere di quelle morti ingiuste.
«Non ho mai visto una scena simile» mormorò Varsya con la voce che tremava «Persino i miei arcieri faticano a sostenerla.»
Il sovrano si sentì rivoltare lo stomaco come gli Aethalas che stavano accertando le condizioni dei loro compagni esanimi, certo che non sarebbe stata l’ultima cui avrebbero assistito. Era imperativo raggiungere Erinna, la battaglia di quella notte li aveva stancati e rallentati. Sollevò lo sguardo al cielo scuro, domandandosi se anche sotto le mura della sua amata città sarebbero arsi i roghi dedicati ai defunti e se, tra le fiamme purificatrici, qualcuno dei suoi cari si sarebbe disperso in cenere. Il pensiero crudo e tragico gli punse il cuore.
«Abbiamo perso il prigioniero» commentò Zheule, guardando con raccapriccio le sbarre divelte della gabbia in cui era custodito Rona «Non siamo stati abbastanza accorti, quel dannato ha aspettato l’occasione giusta per affrancarsi.»
«Non sento tutta questa nostalgia» commentò Eisen, balzando giù da cavallo «Per contro abbiamo catturato alcuni Angeli e siamo pronti ad ascoltare quanto hanno da riferire. Magari risulteranno più loquaci del loro padrone.»
«Prima fatti medicare quella ferita!» borbottò Stelio «Stai buttando sangue come una fontana. L’interrogatorio può aspettare fino a domattina.»
«Non discuto» sospirò il bailye Iohro, che invece avrebbe torchiato all’istante gli Anskelisia che stavano sfilando a testa bassa sotto il suo sguardo severo.
«E poi troviamo la portavoce degli Haltaki. Dobbiamo ringraziare lei se siamo vivi» continuò Stelio, squadrando l’indegna processione.
«Altezza! Ho provveduto io per voi!»
Ilyon, con l’alabarda puntata a terra, stava conducendo il suo purosangue al passo e al suo fianco cavalcavano altre due persone sconosciute.
La donna superava di qualche anno la trentina: era attraente, aveva lunghi capelli castani sciolti sulla schiena, tenuti indietro dalla fascia rossa e oro di portavoce; l’abito carminio ne metteva in evidenza la carnagione abbronzata e attraverso gli spacchi tipici dell’abbigliamento elestoryano si scorgevano le gambe snelle, disegnate con alcuni tatuaggi bruni caratteristici di quella tribù. Alla sua vita, cinta da una sciarpa più chiara, era agganciato l’eftaster a quattro punte, protetto da una guaina di cuoio. Gli occhi neri luccicavano orgogliosi tra le folte ciglia. Accanto a lei c’era un adolescente armato e dall’aria altrettanto fiera.
«Mio signore» pronunciò, inginocchiandosi davanti al reggente «Sono Aylike, la nuova portavoce degli Haltaki. Non posso che scusarmi per non essermi presentata al vostro cospetto prima, come le buone maniere richiedono, e rammaricarmi per essere giunta tanto in ritardo.»
«Non dispiacetevi, bailye» ribatté Stelio cortese «Il deserto ha smesso di essere un luogo sicuro e le distanze sono divenute incolmabili. Il vostro intervento è stato provvidenziale. Ora che siete qui, le nostre forze sono al completo. Spero che il resto della vostra tribù sia al sicuro presso l’oasi di Ebi, lontano dal pericolo che avete toccato di persona.»
«Gli Haltaki sono tutti qui, maestà. Ciascun membro della mia gente nasce e muore da guerriero. Nessuno accetterebbe di restare indietro.»
«Capisco e rispetto la vostra scelta» mormorò Stelio, osservando gli uomini e le donne dell’ultima tribù, alcuni dei quali molto – troppo - giovani, unirsi ai presenti «Anche se avrei auspicato tempi e circostanze diversi da quelli in cui ci troviamo, dove non sarebbe necessario prendere decisioni tanto drastiche.»
«È quello che avremmo sperato tutti, altezza. Io per prima» concordò, facendo un cenno al ragazzino inginocchiato alla sua sinistra «Lui è mio figlio, Yazad. Ha appena terminato il primo addestramento e la battaglia di stanotte è stata la sua iniziazione. Ringrazio gli dei che l’hanno conservato.»
Zheule e Varsya si scambiarono uno sguardo intenerito e accusatorio: quello era poco più che un bambino ed esibiva sugli abiti color terra rosse macchie di sangue, sforzandosi di mantenere l’impassibilità. Conoscevano la ferrea tradizione degli Haltaki e i loro costumi particolari: chi sceglieva di essere un combattente, lo dimostrava da subito nei fatti e senza lamentarsi.
«Grazie per il tuo supporto, Yazad» sorrise il reggente «Non vedo alcun timore sul tuo giovane volto. Posso chiederti quanti anni hai?»
Il ragazzo sollevò gli occhi con l’impaccio dovuto all’emozione di trovarsi davanti al principe del Sud in persona. Le fiamme gli si riflessero sulla chioma corvina legata da lacci di cuoio e gli illuminarono le iridi blu scuro.
«Quindici, mio signore. L’età giusta per servire Elestorya.»
Stelio ammiccò divertito, ma non poté fare a meno di pensare che non era compito dei ragazzini combattere, a prescindere da quanto valorosi fossero. L’immagine lontana di Shion gli colmò il petto d’angoscia.
«Lo hai instradato bene, Aylike» sogghignò Eisen, affiancandosi al sovrano, bendato di tutto punto a discapito di ogni rimbrotto «Nemmeno mio figlio era tanto deciso da giovincello!»
«Se parli di Koi, ti farebbe vedere quanto è deciso adesso nell’udirti tanto pignolo!» rimandò il reggente, conoscendo il valore dell’erede Iohro «Detto questo, prendete pure congedo e riposatevi. Domani ci rimetteremo in viaggio per raggiungere Erinna quanto prima.»
La donna si inchinò e poi si accomiatò, seguita dal figlio.
Il riverbero dei falò s’innalzò nell’oscurità, unito a quello più distante dei roghi funerari.
«Dovreste riposare anche voi, maestà» suggerì Ayonira «Sembrate molto stanco.»
«Lo sono pur non avendone il diritto. Ma adesso non è il momento. Verrà il giorno in cui tutti potremo ristorarci e non saremo più costretti a mandare in guerra i nostri figli. Esso dipende da noi e dalla nostra virtù.»
«Quel ragazzino mi rammenta qualcuno» mormorò Eisen meditabondo.
«Ah, ecco. Stavo pensando la stessa cosa» ammise Stelio.
«Non assomiglia alla madre.»
«Non essere inopportuno, Eisen!» borbottò Zheule, tranciando i pettegolezzi.
«Assomiglierà al padre» concluse Ilyon con fare innocente.
Il portavoce dei Thaisa lo fulminò con una delle sue occhiatacce truci.
 
 
Reshkigal attraversò il vestibolo marmoreo del suo palazzo con una fretta lontana dalle sue abitudini, trascinando dietro sé in un fruscio lo strascico nero della tunica bordata d’oro. C’era preoccupazione negli occhi del colore dell’argento, convalidata dallo stringersi tenace della destra sul bordo anteriore del lungo mantello, leggero e impalpabile come fumo.
«Amathira!» chiamò con inconsueta enfasi.
La dea del Cielo comparve sulla soglia della balconata esterna, decorata con i delicati fiori a campanella che le ornavano anche i capelli biondi.
«Resh?» mormorò, avvertendo con subitaneo turbamento l’agitazione di lui.
Il dio della Morte trasse un sospiro di sollievo, ma incedette con immutata urgenza.
«Amathira, suppongo tu abbia assistito agli eventi ultimi. Nulla è andato come avevi programmato, eppure non hai deciso di porre fine allo scempio che hai procurato. Che cosa stai aspettando?»
«Il momento non è giunto» rispose lei, schivando il quesito che le imputava senza perifrasi la responsabilità dell’apocalisse in fieri.
«Assurdità» insistette Reshkigal, avvicinandosi a sfiorarla con la mano «La Profezia è andata in pezzi! Irkalla si è rivelato! È tutto sprofondato in un caos che – spero - tu non avessi previsto! Qual è il segno aggiuntivo di cui avverti il bisogno?»
«Io non capisco come sia accaduto. Non sono sicura…»
«Non è importante come, Amathira. Irkalla ha scelto. È finita. Combatterà, ma non contro la donna predestinata a ucciderlo come avresti voluto. Rassegnati, placa il tuo illegittimo astio.»
La dea scosse la testa con un’evidente punta di irritazione.
«Mi domando dove ho sbagliato! Perché il Distruttore sta agendo così?»
Il dio della Morte fu sul punto di perdere la pazienza, ma si contenne, sfociando in un pesante sospiro. Le prese il volto tra le mani, costringendola a guardarlo negli occhi.
«Per rispondere alla tua prima questione: dall’inizio. Hai commesso l’errore fatale nel momento stesso in cui ti sei lasciata irretire dalle fandonie messe in campo da tuo fratello e non hai dato a Irkalla la possibilità di provare il contrario. Sei persistita nei millenni e non hai rivisto la tua posizione. Ecco il tuo principale sbaglio.»
Nelle iridi turchesi di Amathira passò un’ombra di risentimento, subito sostituita da una drammatica consapevolezza. Non osò ribattere a ragioni tanto evidenti.
«Secondo» continuò Reshkigal, stringendole le dita nelle sue «Perché quella donna lo ama e lui la ricambia con pari intensità.»
«Figuriamoci! Il Distruttore non è in grado di provare tali sentimenti! E adesso che la ragazza ha scoperto la sua identità, fuggirà da lui e tutto andrà come ho decretato, seppur con un percorso non previsto!»
«Non puoi dirlo! Devo presumere che sei tu a non saper riconoscere l’amore puro?» proruppe il dio della Morte, innervosito «O mantieni un infantile puntiglio perché Irkalla non lo ha dimostrato a te?»
Sul volto bellissimo della celeste transitò un’espressione ferita, ma la trincerò dietro l’orgoglio irragionevole che la contraddistingueva.
«No? Sono io che ho rifiutato la sua proposta di matrimonio. Dovresti dichiarartene felice. Se fossi divenuta sua moglie, ora non sarei con te!»
«Così mi stai solo dando ragione» considerò il Custode delle anime, implacabile nella sua saggezza «Irkalla ti avrebbe donato il suo cuore, ma tu l’hai respinto. Chi di voi è stato freddo e spietato, Amathira? Chi non è stato sincero? Chi ha sfruttato l’occasione per salvare la faccia davanti al pantheon a discapito dell’altro? Non credi sia ora di smetterla con questa immaturità emotiva?»
«Questo non te lo lascio dire! Non mi lascio accusare tanto impunemente, neppure da te! Basta con le considerazioni infondate!»
«Credi che io sia qui per esprimerti il mio mero biasimo?» ribatté lui, mantenendo a stento la propria innata quiete «Il mio scopo è quello di privarti del filtro dell’arroganza e del puntiglio. Perché non si tratta d’altro… o forse devo pensare di sì? Che cosa mi lasci vedere di te attraverso questo scorretto non agire? Un capriccio? Una vendetta illegittima?»
La dea del Cielo spalancò gli occhi, colpita dal rimprovero espresso con affetto immutato. Se il suo compagno non avesse posseduto un’assennatezza e una pacatezza fuori dall’ordinario, non l’avrebbe né accolta dopo la sua sprezzante ritirata né incitata a mutare proposito ogni giorno né amata con un’intensità tale da farle generare Yasha.
«Lo sai che ti amo, Resh. Mi fa male sentirti parlare così.»
«Nessun dubbio. In base a questo non posso mentirti su ciò che penso. Ogni scusa viene a mancare quando si prova amore. Vale anche per te. Non puoi arroccarti sull’iniqua dissoluzione di un creato da vendicare, Amathira: non te l’ho mai chiesto da quando sei signora della mia dimora, ma è giunto il momento di rivelare cos’è accaduto in passato. Ho sempre sperato che lo facessi tua sponte.»
La dea del Cielo lo fissò, frastornata da una sconfortante consapevolezza.
«Mi hai ospitata al Palazzo delle Anime per scoprire la verità?!»
«All’inizio l’intenzione è stata quella» sospirò Reshkigal con una vena di amarezza «Ho pensato che ti saresti fidata del mio riserbo o che ti saresti ammorbidita in mia compagnia, ma questo non è avvenuto. Piuttosto i miei sentimenti per te si sono trasformati, sono divenuti forti, ho sentito il tuo cuore battere per me e il mio desiderio di chiarezza è passato in secondo piano. L’essere innamorato di te mi ha reso troppo indulgente, Amathira, ma detesto il pensiero di perderti. Perché sai che accadrà, se non porrai termine a questa follia. La punta gelida che avverto nell’animo è qualcosa che non ho mai sperimentato. Pertanto non indugiare o le conseguenze della tua puerile ripicca si rifletteranno anche su nostro figlio.»
Il volto niveo di lei espresse un’ansia improvvisa al pensiero di Yasha.
«Dunque tu, il dio più equilibrato e atarassico del pantheon, ti sei schierato dalla parte del Distruttore? Perché, Resh? Perché me lo hai tenuto nascosto?»
«Non è così. Ho evitato che tu pensassi a me come a un nemico o a un carceriere. Non sarebbe stato ciò che avrei voluto esprimere nei tuoi confronti. Ho preferito essere una forza positiva per te, restarti vicino e non ho nulla di cui pentirmi.»
Amathira lo guardò, commossa dall’immancabile sincerità: erano state la sua purezza, la sua facoltà di discernimento, la sua ponderazione ad abbagliarla tanto da relegare in secondo piano se stessa per dare attenzione a lui. Come non era mai accaduto con alcuno. Al fianco di Reshkigal la giovanissima e lunatica divinità celeste aveva raggiunto la sua pienezza di immortale. La stava incitando a dimostrarlo nei fatti e non esisteva prova più grande di ciò che sentiva per lei.
«Non ti ho mai mentito» continuò il dio della Morte «Amare te non significa odiare di riflesso Irkalla o viceversa. Quanto allo schierarmi, vedila come vuoi: è un discorso personale che non affronterò con te, a meno che tu non scelga di fidarti di me.»
«Sei intervenuto sul destino?!»
«Prima che fosse scritto. Prima che tutto si avviasse.»
«Che hai fatto, Resh!?»
“Prima la verità, Amathira» rimandò lui, rifiutando la diatriba.
I fiori azzurri a forma di campanula piegarono le corolle, appassendo all’improvviso. Il dio della Morte non era mai una minaccia, era portatore di quiete e ristoro. Un punto fermo e trasparente di riferimento. Vederlo trattenere a stento i suoi immani poteri, scosso dall’impellenza e dal disappunto, era un evento più unico che raro.
La dea del Cielo osservò sconcertata lo spettacolo terrificante, poi tornò a fissare il compagno. Le sue iridi d’argento splendevano irremovibili ma sincere. Abbassò il capo, tormentandosi le perle che le decoravano la folta treccia del colore del grano.
«Non mi vorrai più vedere» gemette affranta «Quando avrò finito di raccontarti com’è andata, tu avrai smesso di ritenermi degna di te.»
Reshkigal inarcò un sopracciglio, sorpreso. Poi sorrise lieve, comprendendo il reale motivo del suo ostinato tacere. Si piegò e le sfiorò le labbra con le proprie, attirandola nel suo abbraccio.
«Lascia che sia io a decider. Non credere che non abbia avuto chiaro sin dall’inizio di essermi preso in casa un problema.»
Amathira si appoggiò alla sua spalla, lasciandosi stringere, confortata dall’accento tenero e inscalfibile di quelle parole.
«Provo vergogna» mormorò, afferrando la seta bruna dei suoi abiti.
«È un inizio.»
«Io… io ho scommesso con Ishkur» esalò lei, affondata nel suo mantello.
Reshkigal non commentò, ma la dea avvertì il vigoroso sussulto che lo attraversò alla disonorevole rivelazione.
«Quando ho ricevuto l’invito al banchetto per i natali del divino Kalemi e ho saputo che Irkalla sarebbe stato presente in quanto suo tutore, ho iniziato a tempestare mio fratello di domande. Ero così curiosa, a differenza sua non l’avevo mai incontrato. Me l’ha descritto come un essere misterioso, attraente e molto pericoloso, che non compariva quasi mai al cospetto del pantheon, che conduceva un’esistenza ritirata, arrogantemente isolato dagli altri Superiori, pago e fiero dei propri infiniti poteri.»
«Vedo che Ishkur ha iniziato a mentirti sin da subito» considerò contrariato il Custode delle anime.
Amathira sospirò, presa dal ricordo avvilente della propria ingenua vanità.
«Sono rimasta affascinata. Ho espresso il desiderio di avvicinare Irkalla durante il convito. Tutti i timori, provocati dall’accurato ritratto effettuato da mio fratello, sono svaniti quando mi ha riferito che il Distruttore era bellissimo e che tutte le dee speravano invano che si concedesse a una di loro la sua orgogliosa attenzione.»
Reshkigal aggrottò la fronte, immaginando con poche incertezze dove sarebbe andato a parare il racconto. Si passò le dita nella chioma color platino, addolorato.
«L’ho presa come una sfida, soprattutto quando Ishkur mi ha lasciato intendere che neppure io, che ho sempre riscosso un enorme successo per la mia avvenenza, il mio rango e le mie doti, sarei riuscita a conquistarlo. Mi sono indispettita per la sua sgradevole osservazione e ho iniziato a sostenere il contrario, finché…»
«Finché lui non ti ha proposto quell’ignominiosa scommessa.»
«Mi sono sentita punta nell’orgoglio femminile e ho accettato» bisbigliò Amathira, contrita nel rievocare la bassezza di quell’atto
«Una strategia ineccepibile. Eppure tuo fratello non era né ammesso al palazzo di Almaktti né benvoluto da alcuno di noi. Presentarti il Distruttore, evitando di farti apparire ai suoi occhi come la solita ragazzina frivola che prende l’iniziativa, era la scusa perfetta per accedere alla dimora del sovrano celeste. Perché la cosa non ti ha messa in allerta?»
«Perché Ishkur era sconfortato e triste, si tormentava a causa del disprezzo mostrato nei suoi confronti dal divino Almaktti e da tanti dei Superiori, non c’era istante in cui non soffrisse disperatamente. Ho creduto che fosse l’occasione perfetta affinché il pantheon intero mutasse opinione su di lui. Volevo che si riscattasse, che smettesse di bruciare nello sconforto! Amo mio fratello, lo conosco, non è affatto come viene descritto dagli altri per invidia o per ingiusta discriminazione!»
«Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensi adesso che si è fatto possedere da deamhan per annientarci!» sbottò Reshkigal, irritato dalla stima da lei espressa per il sedicente dio del Nulla «Ma prima voglio ascoltare il seguito.»
La dea del Cielo tornò ad appoggiarsi al suo petto in cerca di incentivo, convinta che il gemello non avrebbe osato commettere un atto tanto crudele.
«La dea madre, Threna, era così felice per la nascita del suo ultimogenito, che non ha rifiutato il permesso di essere accompagnata da Ishkur. Ha detto che Almaktti non se ne sarebbe neppure accorto e, in caso contrario, avrebbe pensato lei a evitare episodi spiacevoli. Così è stato.»
Il dio della Morte tenne per sé un’esclamazione poco forbita in merito a tanta dabbenaggine, consolandosi con il fatto che la svagata ex regina degli dei avesse seguito il marito nell’esilio comminato dal principe Kalemi, al quale andava tutta la sua più profonda stima. Nonostante il controllo interiore che esercitava su di sé dalla genesi, i fiori appassiti divennero secchi e volteggiarono al suolo, prosciugati da ogni vigore.
«Quando ho incontrato Irkalla, ho dovuto ammettere che era addirittura più affascinante di come mi era stato riportato e ne sono rimasta colpita. Sembrava annoiato o come si sentisse fuori posto, così ho colto l’occorrenza per intrattenermi con lui. Al termine del banchetto gli ho chiesto se ci saremmo potuti rivedere in un contesto meno formale, che avrebbe eliminato dalla nostra conoscenza la curiosità altrui e i modi artefatti richiesti dalla circostanza ufficiale. Lui ha accettato.»
»Il Distruttore ha sempre detestato le occasioni mondane per via dell’ipocrisia che vi ha scorto» asserì Reshkigal «Non avresti potuto usare termini più convincenti. Mi ricordo il vostro congedo: quando ti ha riservato quel baciamano tanto spudorato, nessuno è rimasto indifferente a un atto così aperto da parte sua. Presuppongo che la scommessa non si sia conclusa così.»
«No, infatti. Io avrei dovuto sedurlo e…»
«Ci sei riuscita alla perfezione. Amathira, nell’ignobile giochetto rimane un punto che non comprendo. Irkalla si è innamorato di te, tanto da chiederti in sposa, ma tu?»
La dea del Cielo sollevò gli occhi turchesi a chiedere mercede. Quella era la domanda alla quale più di tutte non avrebbe voluto replicare. Quella che la spaventava per via delle possibili conseguenze nel loro rapporto. Quella che avrebbe potuto cancellare i sentimenti che Resh nutriva per lei.
«Non mi commuovi» dichiarò il dio della Morte, impassibile alle sue moine.
«No» bisbigliò lei, trovando in quello sguardo argentato tutto il coraggio che non aveva mai posseduto «Irkalla mi piaceva per ciò che rappresentava. Per l’ammirazione che derivava dal camminare al suo fianco, per essere riuscita a realizzare un’impresa impossibile, per essere l’amante della divinità più potente di tutte, perché lui era difficile ed enigmatico, adulto e terribile. Aveva un che di sublime, che mi attirava e mi regalava brividi che non avevo mai sperimentato. Ma quanto all’amarlo…»
Reshkigal la afferrò per le spalle e la allontanò da sé, scrutandola con severità. Il colorito chiaro del suo viso virile era ancora più diafano e il suo respiro era accelerato. Quelle parole erano riuscite a ferirlo. Amathira ne ebbe la certezza quando vide con sgomento le lacrime formarsi agli angoli dei suoi occhi lucenti, che mai mostravano dolore.
«Vai avanti» le intimò lui, cercando di mantenere ferma la voce.
«Non potevo legarmi al Distruttore in eterno e non sapevo come dirgli che per me era stato un piacevole interludio, ma che non avevo più ragione di continuare la nostra pur piacevole relazione. Tantomeno rivelargli il motivo per cui avevo accettato di essere la sua donna. Ho avuto paura e vergogna e…»
«E hai permesso a tuo fratello di portare a compimento il suo diabolico piano. Tu volevi che Irkalla fosse la divinità spietata e intransigente che Ishkur ti ha rappresentato con puntuale meticolosità. Volevi che fosse un essere senza cuore e privo di ravvedimento, volevi che non ti accontentasse, che non ti ascoltasse, che agisse secondo il suo ruolo per poter affermare “Ecco, il Distruttore non è in grado di provare alcuna emozione”! Bramavi un pretesto per dividerti da lui salvando le apparenze! Uscirne pulita e vincitrice, passare come vittima e non come colpevole!»
La dea del Cielo scoppiò in lacrime e nascose il volto tra le mani.
«Mi dispiace… mi dispiace davvero! È come tu affermi, sono la creatura abietta che hai descritto con troppa bontà!» singhiozzò «Ma a Ishkur ho creduto, non ho mai dubitato di lui, ho pensato che mi volesse aiutare, salvaguardare! Non ho mai sospettato che mi stesse ingannando! Te lo giuro su nostro figlio!»
«Lascia fuori Yasha da questo strazio!» esclamò il dio della Morte «Amathira, guardami!»
Attese che lei sollevasse il mento. Le sue labbra rosate tremavano e il suo tardivo pentimento appariva sincero. Ma non gli era sufficiente.
«Io… io l’ho reso spietato e vendicativo con l’umiliazione che gli ho inflitto. La colpa è mia! È stato l’ultimo capriccio, quando ho visto che non tornava sulle sue decisioni, dopo aver distrutto il mondo in cui l’ho reincarnato come mortale. Anche se avevo deciso di lasciarlo e avevo compreso che non mi sarei mai innamorata di lui, quando mi ha opposto quel rifiuto deciso mi sono sentita sminuita. C’era qualcosa di lui che non ero riuscita ad avvincere, ad ammaliare e rendere completamente mia.»
«Lo hai maledetto per quello e non perché lo hai ritenuto responsabile di aver eliminato il genere umano!?»
«Sì… sì!» gridò lei, devastata dalla verità occultata per intere ere cosmiche «Anche se Ishkur mi ha persuasa dell’infamia dell’azione drastica del Distruttore, quello che mi ha convinta è stato percepirmi infima davanti a lui! Irkalla era… è…»
«Irkalla è troppo per te» mormorò stanco il Custode delle anime.
Amathira sbarrò gli occhi, annientata dall’ultima affermazione.
«Resh… Resh, anche tu sei troppo per me. Altrettanto potente e affascinante, saggio, nobile, irreprensibile. Eppure io ti amo. Non ho mai finto, è accaduto davvero, sono disposta a qualunque cosa affinché tu mi creda. Se non ti ho rivelato nulla di quanto occorso è perché ho avuto paura che tu mi allontanassi, che tu mi guardassi per come sono: una sciocca, vanesia, meschina, immatura divinità, degna della tua compassione e non del tuo amore sincero! Io non posso stare senza di te! Per questa ammissione deprecabile non esisteva un momento giusto!»
Il dio della Morte trasse il fiato. La verità era ostica, più perversa di quanto avesse immaginato. Cercò di calmare il proprio tumulto interiore. Avrebbe dovuto insistere molto prima con lei, venirne a capo con qualunque sistema, esigere una spiegazione a prescindere. Si incolpò di eccessiva bonarietà, pur sapendo che era inutile recriminare sul trascorso.
«Ti credo» sospirò dopo un lungo silenzio «Ma non basta. Devi annullare la maledizione. Non l’hai ritirata per evitare che tutta la vicenda venisse a galla. È stata una decisione riprovevole, ma da allora sei cresciuta, Amathira. Ne sono certo. Come divinità e come essenza spirituale, non puoi consentire che tutto precipiti, affidando le sorti di quel mondo ad altri per restare immacolata. È una tua precisa responsabilità. Irkalla deve riprendere il posto che gli spetta e il tuo folle fratello va fermato a ogni costo. Compiuto ciò, auspicando che non sia troppo tardi, sei tenuta a presentarti al cospetto del celeste Kalemi. Sarà lui a decidere le eventuali conseguenze e tu dovrai accettarle.»
«Ishkur è arrabbiato da eoni e ha sbagliato, lo ammetto, ma se io gli parlerò tutto si sistemerà! Mi ascolterà! Non è malvagio, sono le entità deamhan che lo possiedono a farlo sragionare! Non compirebbe mai tutte quelle atrocità che…!»
«Lo sta già facendo, invece!” tranciò Reshkigal «Ma con lui ce la vedremo dopo. L’anatema è la priorità. Annullalo immediatamente!»
La dea del Cielo lo fissò in preda all’angoscia per il passato, il presente e il futuro. Che ne sarebbe stato di lei? Di sicuro il nuovo sovrano non avrebbe tergiversato, tanto più che Irkalla era il suo tutore e che per lui nutriva un’ammirazione assoluta. L’avrebbe punita. Avrebbe perso tutto: l’uomo che amava, suo figlio, suo fratello e la stima di ogni Superiore.
«Ti attenderò» affermò il Custode, intuendone i pensieri «Non importa se e quanto resteremo separati. Ti aspetterò e con me ci sarà Yasha. Lo giuro. Ora smetti di pensare a te stessa e guarda Ishkur per ciò che è. Condanno con forza la tua passata risoluzione e le tue egoistiche motivazioni, Amathira, ma questo non mi impedisce di perdonarti, di amarti. Renditene meritevole.»
«Resh…»
Si scambiarono un bacio intenso, profondo, appassionato. Poi lui abbassò le braccia e fece un passo indietro. La dea del Cielo si asciugò le lacrime e innalzò le mani, attingendo ai propri poteri. Gli abiti indaco si sollevarono in un fruscio delicato. La mezzaluna dorata sulla sua fronte iniziò a brillare viva tra le ciocche bionde.
   
 
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