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Autore: SSnape    06/10/2020    1 recensioni
Harry incontra Piton mentre sta cercando la definizione di casa, e si ritrova coinvolto negli incarichi dell'uomo per l'Ordine. Lungo la strada, lui e Piton imparano personalmente nuove definizioni. No slash.
(Questa storia è una traduzione)
Genere: Fluff, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VI libro alternativo
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Capitolo 2, Good morning, Hell

Harry non ebbe bisogno del secchio durante la notte, ma la mattina successiva poté giurare che Piton gli avesse dato la peggior cura per il dopo sbornia mai conosciuta. Si era svegliato in una camera strana, devastato dal mal di testa e con una visione completamente nuova sul roteare giornaliero della terra. La testa di Harry la stava imitando perfettamente. I colpi di qualunque cosa fosse proprio sotto la camera non stavano aiutando affatto, ma Harry sospettava fortemente che Piton ne fosse consapevole.

Si trovava in un lettino singolo, e anche se al di sopra di questo c'era una coperta ruvida e rigida, le lenzuola interne e il piumone erano sorprendentemente confortevoli. Le pareti erano dipinte di una tonalità opaca di blu marino, che Harry trovava piuttosto piacevole. Un colore molto forte, ma non troppo acceso. Sulla parete vicino al guardaroba Harry poteva vedere uno stendardo sbiadito tenuto appeso da puntine da disegno, con sopra un vecchio stemma di Serpeverde che Harry riconobbe dalle fotografie degli studenti delle generazioni passate che si trovavano a scuola. C'era un piccola scrivania di legno vicino al letto, e Harry poteva vedere alcune scanalature sul bordo anteriore e macchie d'inchiostro sulla parte superiore. Il guardaroba era stato lasciato aperto, e Harry poteva vedere al suo interno alcuni indumenti neri appesi.

Sentì un rumore stridente provenire da qualche parte nel corridoio, ma lo ignorò, preferendo il conforto del letto. Si trascinò in una posizione seduta e improvvisamente riconobbe il letto e la stanza. Però questa volta non c'era nessun adolescente annoiato seduto sul letto e nessuna mosca veniva abbattuta. Invece ora la versione matura di Piton si trovava nell'entrata e indossava i suoi normali pantaloni e vestiti neri, ma non quelli da insegnante.

“Buongiorno, signor Potter”, annunciò Piton in tono freddo e divertito al tempo stesso. Le sue labbra si contrassero leggermente quando vide Harry trasalire.

“È una splendida mattinata estiva fuori. Il sole splende, gli uccellini cinguettano, come puoi vedere”, continuò Piton, agitando la bacchetta in modo da aprire le tendine e far entrare la luce del sole.

Harry gemette e si lasciò cadere di nuovo, tirando le coperte fin sopra la sua testa. Sperò, con pensieri poco coerenti, che Piton vaporizzasse alla luce del sole, ma Harry sapeva che questo non sarebbe successo. Ed ora era sicuro di sapere quale fosse la voce della morte. Quella di Piton.

“Fuori dal letto, Potter”, ringhiò Piton, avvicinandosi ad Harry.

Harry strinse forte le coperte che lo coprivano, e notò un odore familiare. Salvia, sempreverde e un altro ingrediente di una pozione forte che non riusciva ad identificare. La coperta venne tirata via e Harry chiuse gli occhi.

“Questa è la sua stanza, signore?”, biascicò, avvertendo troppo vicina la presenza di Piton per sentirsi a proprio agio.

“Alzati, Potter.”, ripeté Piton, ignorando la domanda di Harry. La bacchetta dell'uomo venne improvvisamente puntata contro il viso di Harry e ci fu un leggero sbuffo quando Harry per poco non si cavò un occhio saltando giù dal letto.

 

 

Dopo aver trascinato i piedi fino al bagno e aver passato alcuni minuti nel limbo chiedendosi se avrebbe svuotato ulteriormente lo stomaco o no, Harry scese con attenzione le scale. Si era ricambiato indossando i vestiti del giorno precedente, dal momento che non riusciva a trovare il suo zaino e non osava entrare nell'altra stanza del secondo piano.

Trovò Piton seduto al tavolo della piccola cucina, mentre leggeva la Gazzetta del Profeta e beveva il caffè. Ad aspettarlo c'era un piccolo piatto sul tavolo, con due fette di pane tostato, un uovo fritto e un bicchiere di succo. Harry scivolò sulla sedia, consapevole di essere seduto troppo vicino a Piton.

“Mangia”, ordinò l'uomo, indicando il cibo. “Direi che hai espulso abbastanza sostanze nutritive ieri notte”.

“Io, uh...mi dispiace”, farfugliò Harry, dando un morso al pane secco. L'uovo sembrava leggermente unto, cosa che soddisfaceva il suo stomaco e, al tempo stesso, disgustava le sue papille gustative. O forse il contrario – no, il suo stomaco voleva certamente il grasso. La sua bocca invece minacciava la ribellione se solo Harry avesse osato mangiare qualcosa con quella consistenza dopo la sua sbronza. Oggi si sarebbe fatto andar bene solo il pane tostato, era la scommessa più sicura. Harry prese il suo tempo per ingoiare il pane tostato, bevendo il succo per aiutare la sua bocca secca. Fece vagare lo sguardo per la piccola stanza in cui si trovavano: un'area rettangolare aperta, la quale sembrava che fosse stata aggiunta alla casa originale molto tempo fa. Alla luce del giorno la cucina di Piton non sembrava affatto migliore rispetto alla notte precedente – era logora e sembrava avesse perso tutta la gioia almeno una decina d'anni prima. Sembrava che agli armadietti color crema servisse un buon lavaggio e Harry notò alcune ragnatele nell'angolo della finestra macchiata. E c'era – .

“Potter, cosa diavolo ti ha tanto affascinato della mia cucina?”

Harry deglutì e disse la prima cosa che gli venne in mente. “La maniglia di quel cassetto è rotta”.

“E allora?”, ringhiò l'uomo, avvicinandosi ad Harry e assottigliando gli occhi.

“Perché non l'ha ancora riparata? Lei è un perfezionista. E perché il resto della casa è così antiquato? È come se lei volesse tenere questo posto tetro e schifoso”.

Si portò la mano alla bocca, ma seppe subito che era troppo tardi per salvarsi dall'ira del suo professore. Stupida sbornia! Una mano scattò e all'improvviso Harrry provò dolore nella parte inferiore dell'orecchio, dove la presa delle dita di Piton era estremamente forte.

“Stai attento, Potter, hai già abusato della mia pazienza”.

“Ahia! Non intendevo dirlo, professore!”, Harry sussultò e girò la testa per cercare di diminuire un po' la pressione sul suo orecchio. Piton lo lasciò andare dopo un minuto e Harry si massaggiò con cautela l'orecchio.

“Risparmiami le tue bugie e tieni solo la bocca chiusa”. Piton ritornò al suo giornale e ignorò apertamente il ragazzo.

“Non si preoccupi, finisco questo e me ne vado”, rispose Harry, improvvisamente stanco e arrabbiato con Piton.

“Piantala di fare scenate”. Piton non alzò lo sguardo, perdendosi così l'occhiata furente che Harry gli stava lanciando.

“Il preside chiamerà attraverso il camino all'una e allora potrai spiegare il tuo brillante piano di attraversare metà Inghilterra e bere fino allo stordimento”.

Harry spostò l'avanzo dell'uovo sul suo piatto e si rifiutò di alzare lo sguardo. Fra tutti, doveva imbattersi proprio in Piton nel suo fine settimana libero. E, ad ogni modo, che diavolo ci faceva la casa di Piton così vicino a quella di sua mamma? Harry controllò l'orologio e si rese conto che mancavano quattro ore e mezza alla chiamata di Silente, quattro ore e mezza in cui sarebbe rimasto bloccato con Piton.

“Cosa farò fino ad allora, signore?”, chiese Harry incapace di tenere fuori dalla sua voce il sarcasmo. “I compiti?”.

“Oh no, Potter”. Piton aveva un sorrisetto stampato sul viso e lo stomaco di Hary si contorse. Quello sguardo non portava mai a niente di buono. “Dal momento che hai una così salda opinione sulla mia cucina, potrai trascorrere il tempo a pulire il piano di lavoro e le credenze. E ricorda che ti trovi nella mia casa, Potter. Nessun Grifondoro verrà a salvarti qui”.

Piton fece cadere un grosso libro sul tavolo della cucina prima di tornare a sedersi e parve sorridere mentre il suono riecheggiava nella sua testa come quello di un gong. L'eco era molto forte nella piccola cucina e Harry immaginò che Piton se ne stesse approfittando. Il ragazzo si guardò attorno e vide i vecchi banconi, le credenze consumate e la maniglia rotta del cassetto. Non c'era nessun microonde, tostapane o bollitore moderno, ma la cucina aveva un forno adatto. Harry suppose che quel forno si trovasse lì da quando Piton era piccolo, a giudicare dall'aspetto.

Non sarebbe stato difficile pulire la cucina, ma in effetti sarebbe stata una sfida vedere se Harry sarebbe riuscito a far sembrare il piano d lavoro un po' più splendente. Ma non era quello il punto.

“Non pulirò la sua cucina”. Harry incrociò le braccia e si risedette sulla sedia, lanciando un'occhiataccia al suo professore. Si chiese se fosse ancora un po' ubriaco dalla notte scorsa, visto che l'occhiata che Piton gli stava lanciando gli avrebbe normalmente fatto salire il cuore in gola.

“Oh, ma veramente?”. Piton spinse indietro con forza la sua sedia, i cui piedi grattarono il pavimento; Harry trattenne il respiro e sussultò.

La sua testa stava pulsando e sapeva che Piton stava pianificando di farlo soffrire. “Non credo che tu abbia una scelta, Potter. Hai quindici anni, sei scappato da casa, ti sei penosamente ubriacato, hai ignorato completamente la sicurezza che ti è stata garantita dal sacrificio dei tuoi genitori...”.

“Non sono scappato!”, sputò Harry, rabbrividendo a causa del volume. In qualche modo gliela avrebbe fatta pagare a Dudley -il mal di testa non valeva assolutamente la gioia del bere di cui Dudley parlava sempre. “Zia Petunia sapeva che stavo venendo qui”.

“Certo che lo sapeva”. Un sopracciglio venne alzato e Harry fu trafitto dal sarcasmo. “E sapeva anche che non avevi un posto in cui stare una volta arrivato qui?”.

“Non le interessa”, brontolò Harry, cercando di concentrarsi unicamente su Piton.

Aveva difficoltà negli scontri verbali con Piton nel suo stato ottimale, figuriamoci adesso che si sentiva come se avesse vagato per un deserto tutta la notte mentre veniva inseguito da un ippogrifo.

Piton lo derise. “Potter, non fare lo stupido”.

Un secchio d'acqua calda e sapone apparve sul tavolo della cucina accanto a Harry, e lui lo ignorò volutamene.

“Non sono stupido. Mi ha dato il permesso per venire qui, Piton”. Harry si diresse verso il lavandino e prese il bicchiere che aveva usato la notte prima, riempendolo rabbiosamente d'acqua. Che vada a quel paese. Harry aveva sete.

“È professor Piton per te. E ti ha comprato anche la birra, non è vero?”, disse Piton con tono di scherno, spedendo il secchio sul bancone accanto al lavandino.

“No”. Harry rise aspramente. “L'ho comprata io”. Subito dopo sentì tutta la sua faccia arrossire. Aveva appena ammesso, davanti a Piton, di aver infranto la legge.

“Maledizione!”, imprecò Harry, rifiutandosi di voltarsi verso il lavandino.

“Esattamente. Ed è questo il motivo per cui devi pulire la cucina, Potter”, disse Piton in tono basso e pericoloso.

Un paio di guanti per le pulizie apparvero dal nulla e Piton li sbatté sul tavolo, facendo saltare Harry.

“Fantastico! Una cavolo di punizione durante l'estate”, mormorò Harry, rovesciando un po' d'acqua mentre afferrava il secchio. Indossò i guanti e allungò la mano dentro il secchio per prendere la spugna. La strizzò forte per far uscire l'acqua, fingendo che fosse Piton quello che stava strizzando fino alla morte. Harry spruzzò un po' d'acqua sul bancone e si mise a sfregare, mentre Piton faceva levitare fino al lavandino i pochi piatti che erano sul bancone. C'era un ampio mortaio di marmo e un pestello, e Harry lo guardò fluttuare nell'aria fino al tavolo. Ebbe l'immediato desiderio che la pesante ciotola di marmo si schiantasse a terra, preferibilmente sul piede di Piton, ma si sentì inspiegabilmente male per quel pensiero. Piton, dopotutto, l'aveva fatto restare la notte prima e gli aveva dato un posto caldo in cui smaltire la sua stupida ubriachezza. Per non parlare del fatto che l'uomo gli aveva salvato la vita più volte di quante Harry potesse contarne.

C'era silenzio nella stanza mentre Harry strofinava la superficie color crema, allontanando la secchezza della sua bocca. L'odore del sapone non stava aiutando la leggera nausea nello stomaco di Harry, ma era piacevolmente sorpreso di riconoscerlo; era il comune detergente Ajax, che aveva usato migliaia di volte dai Dursley.

Harry flesse le dita mentre lavorava, raccogliendo il vecchio telefono a disco e pulendo sotto di esso. Rimise giù il telefono e poi prese un piattino pieno di penny, falci e zellini. Nella scodella c'era anche una scatola di fiammiferi di un pub di Stockport; tra la ciotola e la parete era infilato un menù di pizza da asporto piegato. Harry fece un sorrisetto davanti a quello, chiedendosi che tipo di pizza disgustosa potrebbe piacere a Piton. Probabilmente qualcosa con acciughe e funghi o con olive e pesce.

Improvvisamente comparve nella sua testa l'immagine dei Mangiamorte che ordinavano un sacco di pizze per uno dei loro incontri e Harry iniziò a ridacchiare, immaginando un mucchio di uomini coperti da maschere discutere sul condimento da ordinare.

“Qualunque sia il pensiero depravato per cui stai ridendo, ti suggerisco di rimuoverlo dalla tua mente prima che lo faccia io”, disse una voce annoiata alle spalle di Harry, che si spaventò a morte.

Harry si accigliò e si mosse per iniziare a strofinare le credenze. “Non posso neanche ridere per qualcosa?”.

Piton prese il suo pesante atlante della Bretagna e guardò apertamente verso Harry prima di stendere le braccia a lato del tavolo e far cadere il libro. Sbatté intensamente sul pavimento, facendo saltare Harry e sibilare al suono. Imprecò e versò acqua su se stesso, qualcosa che Piton avrebbe potuto vedere quando si fosse girato rabbiosamente.

“Troppo forte, Potter?”. Piton gli fece un sorriso beffardo e fece cadere un altro libro sul tavolo. “Non riesco a immaginare perché ti faccia male la testa in questo momento”.

Harry si voltò verso le credenze della cucina e le attaccò con rinnovato rigore.

“Onestamente credo che a lei piaccia provocare dolore alle persone”.

“Così dicono le voci”, replicò Piton tranquillamente. “Personalmente lo considero un bonus quando insegno una lezione”.

“Quale lezione?”, lo derise Harry. “È estate, signore”.

“Sì, beh, pur essendo restio a pensare che tu possa imparare qualcosa durante l'estate, dopo il tuo comportamento dell'ultima notte sembra che tu abbia bisogno di chiarimenti sul modo responsabile di bere, Potter”.

Piton aprì un altro atlante e iniziò a scrivere delle note.

“Quindi, sto pulendo la cucina perché l'ho insultata e perché ieri mi sono ubriacato”.

Harry si mosse verso gli armadietti più bassi, prendendo un panno pulito e fresco per loro.

“È anche una punizione per aver curiosato nel mio Pensatoio, poiché, come Merlino sa, non riceverò mai delle scuse per quello”. Piton lo guardò di traverso, richiamando per lui una scopa per il pavimento.

Harry era abbastanza intelligente da non commentare quella piccola disavventura o il fatto che quella volta Piton gli avesse lanciato un barattolo di scarafaggi in testa.

Harry asciugò l'acqua sporca delle ante dell'armadietto inferiore, pensando alla situazione in cui era finito. Ubriacarsi la notte prima non aveva sicuramente risolto niente e Harry non era completamente certo di quale fosse il motivo del bere in quel modo. Dudley si era vantato spesso di come lui e i suoi amici non potessero ricordarsi nulla dopo una notte di bevute, ma Harry ricordava la sua notte abbastanza bene.

Troppo bene, in realtà, e si maledisse mentre un rossore aumentava sul suo viso. Non solo Piton l'aveva visto ubriaco, ma l'uomo l'aveva anche visto rimettere l'anima, avere una doccia umiliante e svenire nel letto.

D'altra parte era stato Piton a farlo rimettere.

Almeno, comunque, stare intorno a Piton gli assicurava di ricevere risposte sincere. Nonostante tutto il suo sarcasmo e le sue osservazioni odiose nei confronti di Harry, Piton gli diceva le cose esattamente come stavano, nel modo più schietto possibile.

Harry si alzò per risciacquare le mani nel lavandino e dovette aggrapparsi rapidamente al bancone, visto che si era alzato troppo velocemente e sentiva di star per svenire. Continuò a dare le spalle al tavolo però, visto che era sicuro che Piton avrebbe commentato in modo sarcastico il suo viso pallido. Sentì una lieve risata comunque, e si rese conto che Piton se n'era accorto. Piton si accorgeva sempre di tutto.

“Ha intenzione di rimanere seduto là e rendere la mia mattinata il più orribile possibile?”, borbottò Harry, facendo scorrere l'acqua sulle mani e portandosele alla fronte.

Piton spostò la sua bacchetta verso i piatti sul lavandino, facendo sbattere fra loro i bicchieri e i piatti di ceramica, producendo così una cacofonia notevolmente fastidiosa.

“L'hai fatto tu stesso, Potter. Io sto solamente incrementando i suoi effetti”, replicò Piton, con le labbra alzate in un ghigno soddisfatto mentre Harry gemeva.

 

 

“Perché eri ubriaco ieri notte, signor Potter?”, chiese Piton mezz'ora dopo, sfogliando quella che ad Harry sembrava una guida turistica babbana sull'area di Londra.

Harry non rispose, ma spazzò con più vigore. Sul pavimento la sporcizia e la polvere si nascondevano negli angoli e nelle fughe delle piastrelle, contro le quali Harry stava ostinatamente combattendo per riuscire a spazzarle via. Gli andava bene pulire fino a quando Silente non avesse chiamato, a patto che non dovesse pensare troppo. Sfortunatamente, Piton sembrava dell'umore giusto per una conversazione unilaterale e Harry era il suo bersaglio.

“Avevi voglia di imitare Potter padre? Anche lui passava le sue estati ad ubriacarsi e a perdere tempo”. Piton aveva un sorriso beffardo sul viso, e Harry impiegò tutte le sue forze per non rispondere a tono.

“O forse volevi soltanto irritarmi ulteriormente?”.

Harry sbatté la scopa contro il bancone, ma non si voltò a guardare Piton.

“Non avevo idea che lei abitasse qui”, disse, mentre la sua testa pulsava per il mal di testa.

“Hai viaggiato per oltre centocinquantacinque miglia per arrivare qui, Potter. Non mentirmi”.

“Non sto mentendo! Credevo che lei restasse nei sotterranei tutto l'anno”, sputò Harry, non curandosi più di usare i titoli onorifici.

“Molto fantasioso”, replicò Piton con un tono canzonatorio.

“Gliel'ho detto la notte scorsa, volevo vedere la casa di mia mamma”. Harry si tolse i guanti e li lanciò nel lavandino, lanciando un'occhiataccia all'uomo.

“È da molto tempo che non vivono più in quella casa”, replicò Piton, con una punta di amarezza nella voce. Era in piedi ora, e si stava avvicinando a Harry.

“Lo so”, Harry estrasse la sua bacchetta e la puntò verso la maniglia del cassetto che l'aveva tormentato tutta la mattina. “Reparo! Volevo solo vedere che tipo di casa fosse”.

“Potter”, ringhiò Piton, mentre Harry si girava in direzione della porta. “Hai qualche riguardo per il Decreto sulla restrizione delle Arti Magiche tra i minorenni?”.

Harry scosse rabbiosamente la testa mentre camminava con passo pesante attraverso la libreria verso le scale. Piton diede un colpetto con la bacchetta e chiuse con forza la porta della libreria, lasciando Harry frustato e irrequieto.

“Questa è casa mia, Potter. Non puoi andare via, infuriato, ogni volta che hai uno scatto d'ira”.

Harry non si girò; invece, iniziò a contare nella sua testa, cercando di controllarsi. Silente avrebbe chiamato fra un'ora, e allora Harry sarebbe fuggito dalla casa del suo odioso professore.

“Mi scusi, signore”, disse Harry alla fine, voltandosi. “Vuole che rompa di nuovo la maniglia per lei?”

“Puoi pure pensare di essere divertente, signor Potter”, iniziò Piton, avanzando verso il ragazzo e facendogli desiderare di potersi rimangiare quello che aveva detto. “ma mi rifiuto di tollerare il tuo atteggiamento durante la mia estate”.

Piton afferrò il braccio di Harry e lo condusse verso le scale, spalancando la porta. Lo spinse di sopra, indicò la camera e attese fino a quando Harry non vi entrò.

“Rimani nella stanza, non fare rumore e non toccare niente”.

Girò su se stesso e si diresse verso le scale prima che Harry potesse rispondere.

Dopo essere entrato nella stanza Harry si sedette sul letto e vide che Piton aveva riportato il suo zaino nella stanza durante la mattinata. Prese il suo album di fotografie e le guardò attentamente. Stava osservando gli sfondi, cercando di capire se ci fosse qualche posto che sembrasse Stockport. Tre di queste, quelle del matrimonio di sua mamma e di suo papà, erano state scattate di fronte ad una piccola casa di mattoni rossi: era una versione più nuova di quella che aveva visto il giorno prima. Quindi avevano vissuto qui almeno fino a quando i suoi genitori si erano sposati. Anche Piton aveva vissuto qui allora?

Cinque minuti dopo Harry venne spaventato da un piatto di tramezzini e da un bicchiere di succo d'arancia improvvisamente apparsi sulla scrivania. Harry afferrò il piatto, provando un misto di senso di colpa e piacere quando notò che i tramezzini erano al prosciutto glassato: i suoi preferiti. Ma come faceva Piton a saperlo? E da dove venivano i tramezzini? Era quasi al cento per cento sicuro che non ci fossero elfi domestici lì. Comunque era leggermente affamato e il succo avrebbe calmato il suo stomaco un po' più a lungo.

Harry si alzò e camminò lentamente per la stanza, indossando le calze per non fare troppo rumore sul legno duro. Si sentiva subdolo e sporco a camminare furtivamente per la camera da letto d'infanzia di Piton, ma l'uomo gli aveva ordinato di rimanere là, quindi Harry immaginava che non avesse niente da nascondere lì dentro.

Aprendo il guardaroba, Harry trovò alcune camicie da notte uguali a quella che aveva indossato la notte prima, tutte di una differente tonalità di grigio. Erano appese anche alcune camicie color crema e bianche. Nell'angolo era appeso un vecchio set di abiti scolastici, tra i quali c'era la cravatta fuori moda di Serpeverde, che pendeva liberamente dalla gruccia.

Harry spinse di lato i vestiti, trovando diverse paia di pantaloni eleganti nell'ultimo cassetto del guardaroba e uno strano orologio che sembrava essere stato lanciato all'interno dell'armadio.

Sopra la sua testa, su uno dei ripiani, Harry trovò alcuni maglioni fatti a mano di diversi colori neutri, più alcuni blu e verde tenue. Ce n'era anche uno rosso, e Harry notò che si trovava in fondo alla pila. Si mosse verso la scrivania, chiedendosi se avrebbe trovato qualcosa di strano lì dentro o alcuni indizi che Piton avesse conosciuto sua madre.

Il primo cassetto conteneva vecchi pezzi di pergamena pieni di piccoli schizzi di animali che Harry riconobbe essere quelli di Animali fantastici e dove trovarli. Harry era leggermente colpito; non si era mai immaginato che Piton avesse molto talento artistico. Il secondo cassetto era pieno di penne rotte, di vecchio inchiostro e di carta assorbente macchiata.

Nel terzo cassetto, trovò uno schizzo del parco in cui era finito la notte precedente. Alcuni alberi apparivano più giovani, ma si trattava senza dubbio dello stesso parco, e sullo stesso albero cavo si concentrava il disegno. In fondo alla schizzo si trovava una firma molto familiare e il titolo dello schizzo: la Casa di Lily.

Harry si sentì ribaltare lo stomaco e lasciò cadere il foglio sulla scrivania. Aveva un senso; Piton aveva conosciuto il padre e i Malandrini, e sua mamma aveva difeso Piton quando sua padre l'aveva preso di mira.

Si concentrò di nuovo sullo schizzo e notò quanto sforzo era stato messo nel disegno per renderlo il più realistico possibile. Era come se Piton fosse stato molte volte in quel nascondiglio nella sua giovinezza, come se avesse – un momento, era il nome di Piton quello che era stato intagliato sotto quello di sua madre? Il nome era stato grattato via con forza, ma Harry credeva di aver visto una S al suo inizio. E Piton era stato capace di trovare Harry la notte scorsa, anche se era ben nascosto nel parco. Forse c'era qualcosa che lo aveva avvertito che qualcuno si trovava nel piccolo nascondiglio.

Harry prese di nuovo il foglio e ricordò l'immagine dei genitori di Piton che discutevano in questa stessa casa. La cavità dell'albero era un nascondiglio. Harry ricordava abbastanza bene la definizione. Casa, un luogo d'origine o un rifugio.

Venne improvvisamente riportato alla realtà da un rumore al piano di sotto: il ruggito del fuoco che ardeva nel focolare della libreria. Ripose con attenzione lo schizzo tra le pagine del suo album di fotografie e lo infilò nello zaino. Poi prese lo zaino e si infilò le scarpe. Avanzò lentamente per le scale, trasalendo a causa degli scricchiolii del vecchio legno. Harry aveva riconosciuto la Polvere Volante all'interno di un vecchio sacchetto polveroso sopra il mantello, e quando Silente non stava guardando, aveva pianificato di volare verso il luogo dal quale stava chiamando. Harry sperava che la polvere funzionasse in quel modo, non aveva mai sentito di qualcuno che fosse saltato attraverso il fuoco durante una chiamata.

La porta per la libreria era parzialmente chiusa, così Harry attese fuori, cercando di trattenere il respiro il più possibile. Piton stava parlando con Silente e Harry si ritrovò improvvisamente incuriosito dal tema della conversazione.

 

 

“Ho fissato per te un appuntamento con Amy Benson per il prossimo martedì. Confido che tu abbia letto il suo profilo?”.

Piton sembrò sospettoso quando rispose, esitante. “Sì, certamente”.

“Si aspetta che tu la interroghi, e dall'esperienza passata so per certo che sarà riluttante a discutere quello che è successo tanto tempo fa. Sfortunatamente, non possiamo usare la magia attorno a lei”.

Silente stava sorseggiando la sua bibita ed era seduto sopra il divano, e i suoi vestiti color malva stonavano con il materiale dell'ampio sedile.

“A causa di un qualche tipo di incantesimo di monitoraggio?”. Piton aveva il suo caffè che si stava lentamente raffreddando.

“Ritengo di sì. Non sono sicuro di quanto spesso lo controlli, comunque, dal momento che sembra pensare che i suoi piani siano troppo grandiosi per essere svelati da altri”.

Piton guardò il suo mentore con un sopracciglio interrogativo. “Non ha idea che lei sia a conoscenza dell'incidente?”.

“È probabile che il suo subconscio sia consapevole di questa possibilità, tuttavia entrambi possiamo essere d'accordo sul fatto che Voldemort abbia smesso di ascoltarlo molti anni fa”. Silente offrì un sorriso e prese un altro sorso.

“Touché”, mormorò Piton, fissando il fuoco. Distrattamente prese a massaggiarsi il braccio sinistro. “Hai parlato con Amy Benson prima d'ora?”.

“Ah, sì. Oserei dire che fosse leggermente sorpresa per il mio aspetto e turbata di vedermi. Potrei offrire un suggerimento?”. Silente si sedette più in alto contro il divano e i suoi occhi scintillarono.

Piton incrociò lentamente le braccia: i suggerimenti del preside non si risolvevano mai in suo favore.

“Oggi la tua cucina sembra più luminosa, Severus. Ho sempre creduto che un po' di olio di gomito avrebbe riportato la casa ai tuoi standard”. Silente cambiò sensibilmente argomento, ma Piton era ormai esperto in questo, perciò attese semplicemente. Difatti, dopo che l'anziano uomo ebbe esaminato la cucina da dove era seduto, il suggerimento arrivò.

“La signora Benson è stata molto esitante nello scambiare qualunque tipo di informazione. Ha vari nipotini, e come ad alcuni babbani piace dire, la verità esce sempre dalla bocca degli ubriachi e dei bambini. Forse se ti portassi dietro un tuo bimbo...”.

“Assolutamente no”. L'occhiataccia che Piton aveva lanciato a Silente era una delle migliori fra quelle del suo repertorio, usata quando uno dei suoi colleghi Mangiamorte dava un suggerimento eccezionalmente stupido durante un incontro. Silente non sussultò nemmeno.

“Devi andare travestito da babbano, Severus, e considerando il suo ambente, sarebbe più facile per te conoscerla meglio se avessi un figlio di sei anni”. Gli occhi di Silente scintillarono completamente, ma Piton lo notò appena mentre afferrava con presa mortale la sua poltrona.

“Se è stato avvelenato, Preside, devo insistere perché mi informi immediatamente, così che io possa preparare un antidoto contro le allucinazioni di cui sta soffrendo”, disse Piton, imperturbabile, lanciando a Silente uno sguardo che diceva di lasciar subito perdere quella stupida idea.

Silente rise appena sotto i baffi e prese un'altra bibita. Piton combatté il desiderio di ringhiare.

“Parlando del ragazzo, sembra che i parenti del signor Potter abbiano preso una vacanza per un paio di giorni”. Piton era seduto dritto sulla sedia, attento alla reazione di Silente. Notò svogliatamente che anche se Silente era arrivato da dieci minuti, non aveva ancora chiesto niente di Harry.

“Davvero? Di solito Petunia lo lascia da Arabella quando vanno fuori”. Silente sembrava essere sovrappensiero. Piton accolse l'informazione, ma non chiese ulteriormente quale fosse il motivo di ciò.

“Questa volta Petunia l'ha lasciato senza una chiave per accedere alla casa, almeno fino a lunedì. Un malinteso, di sicuro”. Normalmente Piton teneva il suo sarcasmo sotto controllo quando parlava con il preside, ma oggi era un bel giorno e stava fluidamente rotolando fuori dalla sua lingua.

“Certo, solo un incidente. Ma ti ringrazio per averlo accolto per la notte, Severus. Sono sicuro che potrai riportarlo a Privet Drive lunedì sulla tua via per l'aeroporto”. Silente finì la sua bibita e sembrava che stesse per alzarsi.

“Preside? Non potrebbe andare alla Tana per il resto del fine settimana?”. Piton cercò di mantenere la calma, ma il suo fine settimana non era proprio iniziato con il piede giusto.

“Non ho tempo per i Dursley al momento, Severus. E i Weasley non possono prendere Harry ora”. Silente sembrava stanco.

“Grimmauld Place?”, chiese Piton, esalando un sospiro.

“Non c'è nessuno là. Prima o poi Harry potrà andare alla Tana, ma non ora. È troppo pericoloso per i Weasley”. Silente prese un biscotto al cioccolato da una delle sue tasche.

“Prendilo solo per il fine settimana, Severus. È una situazione temporanea, starà bene qui”.

Piton osservò il preside per un momento, guardandolo mentre controllava una sorta di lista che aveva tirato fuori dalla sua tasca. La sua rabbia si sgonfiò mentre rifletteva sui commenti del preside. Neanche il moccioso, che stava origliando dall'ingresso, poteva leggere quelle parole in qualche altro modo.

“Se continua a sbarazzarsi del ragazzo, un giorno non starà più al suo gioco”. Piton parlò piano, ma la sua voce si diffuse in tutta la stanza.

Fuori nell'ingresso, Harry sprofondò e si sedette sull'ultimo gradino delle scale. Sapeva che non avrebbe dovuto origliare, era infatti probabile che sentisse qualcosa che non avrebbe voluto sentire. E anche se non voleva, provò la bizzarra sensazione di chiusura dolorosa nell'origliare il preside mentre cercava di trascinarlo da una parte all'altra come se fosse un pezzo degli scacchi. Sembrava che nonostante Silente sapesse che Piton e la sua famiglia lo odiavano, Harry fosse comunque costretto a restare con loro.

Come un peso.

“Nessuno mi vuole”, sussurrò Harry a se stesso. In qualche modo si sentì un po' più libero, sebbene più solo, dopo averlo ammesso a se stesso. Ora sapeva che posto occupava per i suoi amici e il preside. Gli volevano bene, ma era troppo pericoloso averlo attorno. Il Bambino che è Sopravvissuto non poteva negarlo. E Piton...Piton non aveva mai nascosto il suo disprezzo.

Piton udì uno scricchiolio rivelatore proveniente dall'angolo della stanza vicino alla porta e immaginò che fosse giunto il momento di far entrare il ragazzo. Si sedette sulla sua sedia e con la bacchetta aprì la porta delle scale. “Potter! Entra!”.

Harry entrò con un rossore sul viso, rimanendo vicino alla finestra della cucina. Salutò educatamente il preside, ma si rifiutò di alzare lo sguardo.

“Signor Potter, ti dispiacerebbe informare il preside della tua piccola avventura della scorsa notte?”, Piton sembrava arrabbiato, ma per una volta Harry non era sicuro che la rabbia fosse diretta esclusivamente a lui.

“Professor Silente”, salutò Harry, osservando Piton cautamente. Il suo zaino si trovava proprio davanti alla porta, e Harry capì che non sarebbe stato capace di saltare nel caminetto, visto che in realtà il preside era entrato e si era seduto nella stanza. In ogni caso non voleva più andarsene. Voleva solo salire al piano di sopra, nella stanza che non era sua, e rifugiarsi nelle coperte che non erano ugualmente sue.

“Buon pomeriggio, Harry!”. Il preside sembrava allegro, ma Harry vide fatica negli anziani occhi blu. “Professor Piton mi dice che hai deciso di passare un fine settimana fuori?”. Stava sorridendo felicemente, come se cercasse di convincere Harry che tutto andava bene.

“Si potrebbe dire così, signore”, replicò Harry in un tono uniforme, ignorando lo sbuffo di Piton.

“E i Dursley sapevano che stavi venendo qui, Harry?”. Silente appoggiò il bicchiere sul tavolo e Piton lo allontanò nella cucina.

“Non nella casa del professor Piton, no. Ma zia Petunia mi ha dato il permesso di passare il fine settimana fuori”. Harry spostò leggermente i piedi. Non era proprio una bugia.

“Immagino che sarebbe sorpresa se le dicessi che sei venuto qui”. Silente gli fece l'occhiolino.

“Meno di quanto lo fossi io”, borbottò Harry.

“Potter”. Era una parola di avvertimento; Harry diede un'occhiata all'uomo e notò quanto il maestro di pozioni fosse irritato con lui in quel momento. Non così male, Harry aveva senza dubbio visto di peggio.

“Comunque professore, sono solo un po' confuso. Professor Piton è stato molto gentile ad ospitarmi per la notte. Tornerò a casa questa sera”.

Se Silente non sembrava sospettoso del tono disponibile di Harry, Piton al contrario lo era eccome. I suoi occhi neri rimasero puntati su Harry, mentre guardava le dita del ragazzo sbattere leggermente sul lato dei suoi jeans.

Piton sapeva che stava mentendo su qualcosa, e Harry sperava solo che non dicesse niente. Preferiva non dover discutere i suoi sentimenti con Silente; l'uomo l'aveva fatto patire tanto l'ultimo anno, si era anche allontanato da Harry e l'aveva lasciato a cavarsela da solo. Era riluttante a fidarsi improvvisamente di Silente di nuovo, anche dopo la loro conversazione devastante nell'ufficio del preside.

“Come il professor Silente ha detto, Potter, e sono sicuro che l'hai sentito attraverso la porta, tornerai lunedì”. Le parole erano state pronunciate con tono uniforme, ma Harry sentì anche quelle non dette. Piton non l'avrebbe fatto tornare a casa da solo. Indipendentemente dal suo odio per Harry, Piton avrebbe fatto quello che Silente aveva ordinato.

Ancora una volta, qualcuno era stato costretto ad accoglierlo. Guardando tra Silente e Piton, Harry infine annuì.

“Sì, signore”.

Silente batté le mani e si alzò per dirigersi verso il caminetto.

“Mi fa piacere sentire che sei in accordo. Se hai qualche problema dai Dursley, Severus, potresti considerare l'altra opzione”.

“Che tipo di problema?”, chiese Piton, guardando fra Harry e Silente: Harry sembrava imbarazzato, Silente ignorò la domanda.

“Non ti sei dimenticato di come fosse Petunia, non è vero, Severus?”, Silente sorrise e Harry lo guardò cautamente.

“Non ho dimenticato, e non c'è nessun'altra opzione”. Piton si alzò, raccolse il sacchetto di Polvere Volante dal mantello e lo porse a Silente.

“Meglio così, ragazzo mio. Porterò la pozione domenica, quando chiamerò di nuovo”, disse Silente, stringendo un po' della Polvere. Gli occhi di Harry scattarono verso l'alto, mai in tutta la sua vita avrebbe immaginato qualcuno chiamare Piton 'ragazzo mio'.

“Non è necessario, preside. Non servirà!” disse Piton veementemente, e Harry pensò che la pozione dovesse essere qualcosa riguardante il bimbo per il compito di Piton.

Silente sorrise appena e lanciò un po' di polvere dentro il caminetto. Harry poteva ancora vedere un pizzico di divertimento negli occhi dell'anziano uomo mentre quest'ultimo entrava nel camino. Nel frattempo, Piton si era straordinariamente irrigidito e Harry pensò che nemmeno lui era mai riuscito a causare una tale reazione nell'uomo.

“Mi limiterò a...”, iniziò Harry, ma chiuse la bocca di scatto davanti all'occhiata che ricevette.

“La cena sarà alle cinque. Rimani nella tua stanza fino ad allora”. Piton uscì infuriato dalla libreria, sbattendo la porta dietro di lui.

Harry si riempì un altro bicchiere d'acqua dalla cucina, grato di poter salire al piano di sopra e di potersi riposare. Mentre camminava attraverso la libreria diretto alle scale, sorrise al lapsus di Piton. Doveva andare nella sua stanza.

L'uomo doveva essere matto.

   
 
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