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Autore: zorrorosso    07/10/2020    1 recensioni
la mia rivisitazione personale delle avventure di D’Artagnan in capitoli liberamente ispirati alle avventure dell’anime e alle novelle (e un po’ di tutto).
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aramis, Athos, Duca di Buckingam, Porthos
Note: Missing Moments, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 20

Dieu et mon Droit


Le campagne della Loira non avevano ancora visto fiorire i papaveri e le lucciole non illuminavano, romantiche, le notti di prima estate. 

 

Venti freddi e nuvole imprevedibili, destavano i sospetti di un inverno non ancora assopito e pronto a sferrare i suoi ultimi calci.

Sugli stessi venti selvaggi, cavalcavano spavalde le nuvole improvvise, rapide, vivaci, dai colori candidi della speranza, accesi del tramonto oppure scuri e grigi della tempesta. 

In una notte estiva e chiara, la luna avrebbe trovato conforto nella brezza, luce nelle stelle e le leggere nuvole dai riflessi argentei e i colori ultramarini, fluttuare delicate e nascondere di tanto in tanto la sua luce bianca. Peró una notte coperta dalla coltre grigia delle nubi pesanti, nascondeva qualsiasi stella e qualsiasi luna, la sua ombra avrebbe potuto nascondere ogni mistero, quando nessuna luce argentea avrebbe mai illuminato l’orizzonte.

 

Così come una celebre figura al galoppo, partita tempo prima da Parigi, trovava allora rifugio proprio tra le sue stesse mura. Il loro primo incontro di tanti anni prima rimaneva nella sua memoria come un semplice sussulto non visto dal grande pubblico di un Parlamento di Lords. Passi di qualcuno, o qualcosa, all’ombra di un bosco notturno.

 

“Non siete affatto curioso di sapere cosa si cela dietro i luoghi lontani e misteriosi descritti da Dekker, da Shakespeare?”- chiese lei, ma l’uomo era troppo intento sulla tavola per notarla. La sua prima risposta fu lo stridere del coltello sull'argento del piatto. Non era abbastanza, la donna sospiró e le sue dita martellarono lo stesso tavolo nervosamente, fino a che il loro rumore incalzante non costrinse il suo astante ad alzare lo sguardo ed incrociarlo con quello di lei, impaziente di risposte. Il giovane Marchese scosse la testa, inconsapevole dei suoi piani.

 

“In verità no. Non so neppure di chi state parlando”- rispose lui, a bocca piena, completamente distratto dalla sua pietanza, riempiendo un altro bicchiere di Cheverny. 

 

Una conversazione dai silenzi troppo lunghi e imbarazzanti per non sembrare soltanto un dovere da compiere e una patriottica cortesia, continuò a masticare e la osservò con vaghezza.

Come una farfalla bruciata in un attimo dalla fiamma della candela, così lo sguardo di Milady, dapprima sognante, ricadde oscurato nella delusione di uno sconosciuto completamente disinteressato ai suoi piani.

 

Tuttavia non si sarebbe arresa a quella risposta, non aveva ancora accettato quella richiesta, ma lo avrebbe fatto. Anche se non era vestito di seta bianca, era allo stesso modo bello come nei ritratti, aveva gli occhi grigi della tempesta, ricordo di qualcun altro, quell’amore perduto. Non poteva negarne una certa attraenza. 

Quello che più la interessava era il suo potere, seppure così volubile, di decidere con le sue alleanze il destino di una nazione. Durante quella notte arrivava dalla sponda sinistra della Senna, in una stretta uniforme francese, ambasciatore alla dimora del Salon delle Regine, un potere segreto che Richelieu non era riuscito ancora a domare. 

 

Eppure sedeva al parlamento inglese, lo conosceva di nome e di fama tramite le lamentele del marito. Il suo sposo da tempo lontano, Lord de Winter, era finalmente tornato utile a qualcosa.

 

Una volta di fronte a Milady, compagno della sua stessa tavola, George appariva tutt’altra persona rispetto alle descrizioni che aveva ricevuto in passato: con lui sarebbe dovuta partire da molto più lontano. 

 

Innanzitutto, la bestia selvaggia andava domata.

 

George, Marchese di Villiers non era che qualcun altro da farsi amico e il loro pasto a Beaugency fu accettato con fin troppo piacere, segno di come davvero non fosse proprio il benvenuto a Corte. Qualsiasi Corte: una posizione di potere, ma scomoda, quello di Lady de Winter non era per lui che un sontuoso invito da accettare senza pensarci troppo, dopo una spiacevole dipartita. 

Coincideva perfettamente con l’abbandono Parigi ed un ambíto ritorno alla destra del suo tanto adorato sovrano. 

 

In qualche modo coincideva anche con i suoi, di piani, ma aveva bisogno di più scuse. Milady era riuscita a raggiungere la Francia ed aveva bisogno di supporto e finanze. In quel momento aveva bisogno di nuovi fondi e materiali per i suoi viaggi. Aveva bisogno di strumenti, non di menti ingegnose. Di conseguenza di uomini di potere, aristocratici, inglesi e francesi, pronti a soddisfare i suoi voleri.

 

Proprio come l’unicorno, essere magico e imprevedibile, anche lui sembrava avere un piano difficile da interpretare. Ambasciatore francese? Eppure di ritorno in Inghilterra? Confidente segreto della Regina e amante di Re James nell’oscurità: passioni e carriera coincidevano in un famigerato percorso. Tratteneva i suoi piedi in troppe staffe per non non esserle d’aiuto in qualche modo!

 

George abbassò gli occhi sulla sua ampia scollatura per un istante, il suo sguardo scomodamente appoggiato sui respiri della donna, ma lo riportò immediatamente in alto, verso il suo, una volta notato.

 

“Certo... Sciocchezze!”- la donna forzò un nuovo sorriso sulle sue labbra, annuí con dispiacere alla sua completa ignoranza.

 

Lo scopo del suo stesso viaggio, la ragione per la quale aveva abbandonato tutto, un’illuminazione improvvisa e l’idea che ritrovare e costruire quella macchina antica sarebbe stata la sua ragione di vita: vendicarsi di qualcuno, un torto commesso in un lontano passato. Sciocchezze. 

 

Come avrebbe mai potuto mantenere quella faccia per un altro secondo? 

Dubitò nel pensiero che, se fosse stata davvero destinata alle fiamme dell’inferno, era in buona e fitta compagnia.

 

“Avete mai sognato di poter volare?”- chiese Milady, facendo scivolare le sue dita sulle labbra, in un atteggiamento pensoso e sensuale.

 

“Proprio come un falco, puntare e catturare la sua preda dall’alto”- continuò.

 

Come per incanto, lo sguardo di George finalmente cambiò. L’uomo deglutì il boccone e annuì con un sorriso insinuante. Dopo tanti tentativi, qualche cosa che risuonava attraente alle sue orecchie.

 

“Dieu et mon Droit!”- George le porse il bicchiere in un brindisi.

“Dieu et mon Droit”- ripose lei con un falso entusiasmo. 

 

Il suo corpo si bloccò in un gesto ferreo. Detestava quel motto allo stesso modo in cui ripudiava la sua patria nativa e traditrice e ne fuggiva alla prima occasione. Dov’era mai stata quella nazione, quel Regno che tanto si considerava giusto, che tanto desiderava protezione, in un tempo in cui lei stessa nella sua innocenza, era stata ingiustamente giudicata e condannata?

Un Regno e un Re, un parlamento, che tanto avevano da lei preteso, strappato, e nulla avevano mai restituito?

 

Una patria come quella, non poteva essere rappresentata da ambasciatore più adatto.

 

Nessun altro regno avrebbe mai potuto cogitare un motto tanto infame: Dio, la mia destra e il mio diritto. Il diritto e l’audacia di beffare il suo nemico per eccellenza, nella sua stessa lingua e così proclamare una vittoria meschina, temporanea. 

Il leone e l’unicorno incatenato, ma mai veramente addomesticato: politiche macchinose che l’avevano temprata alla vendetta, regni ancora in guerra da centinaia di anni. 

 

A quel dramma che tanto la coinvolgeva, Milady aveva una soluzione tutta sua: avrebbe trovato consiglio nelle ingegnerie militari antiche, in scienze politiche dimenticate, combattenti che avrebbero usato macchine, non persone, per affrontare le loro guerre, in mappe e stratagemmi obsoleti, lontani e segreti, che avrebbe preso tra le sue mani e posseduto di persona.

Li avrebbe letti, li avrebbe applicati e adattati per il suo tempo.

Avrebbe vinto la sua guerra personale con armi e stratagemmi sconosciuti e segreti.

 

Sarebbe partita per Amboise ed avrebbe trovato le carte lei stessa, prima di tutti. 

George, ed il suo intelletto, l’avrebbero sicuramente lasciata fare e non sarebbero mai stati d’intralcio. 

 

Alle volte però, si sentiva sola con se stessa. Incapace di spiegare completamente tutte le sue conoscenze e scoperte in dettaglio. Consapevole di non essere veramente capita, oppure il timore di essere di nuovo scoperta, accusata, condannata da un tribunale insensibile. 

Idee che non poteva confidare a nessuno in grado di capirla veramente.

 

All’improvviso, come nuvole bianche trasportate dal vento, così arrivò l’estate al castello di Amboise. Fortunate coincidenze, fiori su cui api laboriose e farfalle variegate potevano finalmente rifocillarsi, terre fertili e acque fresche, donarono i loro primi frutti e calmarono la sete. 

 

Notti illuminate dalla luna argentea e le lucciole dei campi di grano, così la sua mente e la sua voce trovarono orecchie capaci finalmente di ascoltarla, menti curiose e intelligenti, al pari della sua, braccia pronte ad aiutarla nel suo intento.

Aveva finalmente trovato quella musica che suonava solo per lei, il vero amore.

 

Comunque suoi erano altri piani, allora Milady non era il leone sovrano o un selvaggio unicorno incatenato...

_________________________

 

Nessun tramonto proiettava l'orizzonte sul fiume: ad oscurare il sole e portare la penombra, non erano nuvole, ma arbusti intrecciati in una sorta di travi e ceste. 

Simili alle vele di un mulino.

 

Alla vista che si presentava al loro orizzonte, Aramis annuì in una strana soddisfazione. 

 

I suoi occhi brillarono di nuovo, tese le labbra in un mezzo sorriso, tra sconcerto ed euforia, unì le mani in un applauso silenzioso. Un gesto che non provocò alcuna attenzione delle persone vicine, anche loro accorse per osservare quell’oggetto, mentre Porthos gli fece segno di stare indietro. Il giovane rispose a quel gesto con un’alzata di spalle, una leggera spinta del gomito e una risata, lo superò di alcuni passi e continuò a camminare.

Notando che l’amico era rimasto ancora immobile, emise un breve fischio e fece cenno di seguirlo.

 

L’altro moschettiere si impettì e prese fiato dalle narici, come se la sua mente avesse bisogno di più aria per pensare alla prossima mossa. 

 

Gli occhi preoccupati di Porthos non presentavano la stessa soddisfazione dell’amico, erano puntati da tutt’altra parte. La loro attenzione travolta dalla stessa cosa, ma vista con occhi differenti. Per ogni passo verso l’oggetto misterioso, i loro pensieri e i loro ricordi, cominciarono ad assumere un’armonia inspiegabile a chiunque altro.

 

Entrambi sapevano esattamente cosa stavano osservando e mentre parte di loro gioì con ritrovato entusiasmo, il timore di scoprire cosa avevano davvero davanti, si innalzò in un alternarsi di risate, applausi ed esclamazioni di orrore.

 

I due potevano già notare la creatura toccare terra all’orizzonte di un campo dorato, circondato da arbusti e cespugli, senza ancora distinguerne completamente i dettagli, ma poco importava. Sembrava come se quei dettagli mancanti fossero di poco valore o che la loro conoscenza fosse comunque già prevista.

 

“Che ve ne pare?”- chiese Aramis rivolto verso Porthos.

 

“Non me lo aspettavo. Sembrava troppo pesante per poter alzarsi da terra!”- rispose lui.

 

“L’elica si avvale dello stesso concetto dei disegni, ma voltata verso il suo orizzonte o del tutto capovolta fa in modo che il meccanismo possa salire e discendere da terra, all’apparenza proprio come un volatile...”

 

Aramis stinse lo sguardo, studiò ad una delle ali, per notare l’ingranaggio che la sosteneva: rappresentazione perfetta di quei disegni che aveva letto sulla strada del ritorno in Francia, qualche anno prima, e ancora ricordava incredulo.

 

“Aria, acqua e vapore, masse fluide e scroscianti. I venti si comportano proprio come un liquido nel quale navigare. In fondo non siamo come pesci, sommersi da un fluido più leggero dell’acqua e della terra?”- quelle parole provocarono in Aramis un sorriso ancora più ampio e onesto. Annuì con ancora più fervore.

 

“Forse è questo, ciò che più stimo veramente in voi!”- disse rivolto verso Porthos.

 

Seppure non troppo lunga, la camminata tra campi e arbusti sembrava aver preso molte delle energie dei due amici. Aramis fermò il passo e portò una mano sui fianchi, distese la schiena ed entrambi aspettarono in un momento di riposo, ancora troppo lontani per notare chi si celasse alla guida di quello strumento. 

 

“Sapreste guidare un arnese del genere?”- chiese il giovane.

 

“Che domande fate? Certo che sì! E voi sapreste fare lo stesso... Siete un pazzo, non uno stupido!”

 

“Vi... Ringrazio per quello che avete appena detto”- rispose Aramis distogliendo lo sguardo.

 

Al completo passaggio dell’ombra e alla luce ritrovata, il cavallo ramato rallentò il passo, per notare i due uomini a piedi nei campi. 

D’Artagnan non riuscì veramente ad osservare ciò che avanzava dietro di lui, proprio sopra la sua testa, era come un’ombra che copriva tutto, batteva le ali e si muoveva, vivida e barcollante, navigava verso l’orizzonte e gli trasmetteva un senso di precario orrore. Odore dell’olio di lanterna e il calore di un fuoco.

 

L’essere prendeva il vento come un pipistrello, ronzava come un calabrone e grande come un elefante. Girava il suo collo allo stesso modo di una strana proboscide, che terminava con una testa dai grandi occhi e una specie di becco, le sue ali si muovevano e si bloccavano senza un battito o un ritmo tipico di quello di un animale.

  

La creatura sconosciuta lo oltrepassò rapidamente, l’aria che ne veniva emessa era come un vento, la brezza generata, ma che allo stesso tempo lo faceva muovere e solo una volta lontana, D’Artagnan potè percepirne la forma, dal lungo collo, come un cigno o un drago e le grandi ali, fatte di legno e di tela.

 

L’oggetto di fronte a lui era enorme, altissimo, apparentemente inarrivabile. I suoi movimenti e odori innaturali stridevano con quelli descritti dalle creature delle leggende.


Un tempo D’Artagnan credeva che quella cosa fosse viva, ma adesso non ne era più del tutto sicuro.

__________________________

 

Quando l’estate ruggente sarebbe tornata, con i suoi caldi raggi, con i suoi cieli illuminati da un nuovo sole e le sue notti accese dalle luci degli insetti, chi avrebbe mai ascoltato con lei quella musica mundana?

 

Gli occhi verdi di Milady si colmarono nuovamente di lacrime. Aveva perso tanto durante quella lunga e grigia primavera, che ancora non aveva dato frutti. Come un agricoltore esperto, sapeva di aver arato e curato sapientemente il suo terreno, ma sapeva anche di come alcune stagioni possano essere avverse e povere nei loro raccolti. 

 

Allo stesso tempo venti avversi, stormi affamati e tristi destini non le avevano lasciato nulla, neppure la sete di vendetta, l’attesa o la speranza.  

 

Come in una notte di tanti anni prima, così quella notte portava di nuovo una figura nell’ombra.

 

“Sempre insieme, io e voi, proprio come il leone e l’unicorno...”

 

“Il mio leone non accompagna unicorni, mio caro”- sussurró lei, fissando i suoi occhi grigi.

 

Essendo adunque un Principe necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di quella pigliare la volpe e il lione; perchè il lione non si defende da' lacci, la volpe non si defende da' lupi. Bisogna adunque essere volpe a cognoscere i lacci, e lione a sbigottire i lupi.

  
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