Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: NPC_Stories    12/10/2019    3 recensioni
Collezione di oneshot fantasy a tema "fairy", come indicato nella lista di Inktober che io e la mia affezionata illustratrice Erika abbiamo scelto (no, non Erika la webmaster, un'altra Erika). Io scrivo, lei disegna... speriamo di tenere il passo!
.
Alcune di queste storie saranno ambientate nel nostro mondo, alcune altre nell'ambientazione del fandom in cui sono più attiva, Forgotten Realms, e altre ancora saranno ambientate in mondi di mia creazione o di fantasy generico, o parodistico.
Alcune di queste storie vi faranno ridere (spero), altre vi faranno piangere (mh, forse sto esagerando), ma in ogni caso mi auguro che tutte vi piacciano.
.
Che la vostra vita possa essere piena di momenti di piccola meraviglia!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

12. Blind


Sotto-genere: angst
Ambientazione: Forgotten Realms
Nota: sequel del capitolo 5. Eyes


Se non vedi l'immagine clicca qui



1324 DR, città sotterranea di Eryndlyn

“Non abusare dei tuoi poteri, Tek’ryn, o potresti perdere la vista.”
Questo era un consiglio, o magari una minaccia, che il drow aveva dovuto ascoltare per tutta l’infanzia come un eco infinito nelle gallerie.
Non aveva mai capito se sua madre volesse avvertirlo, per fare in modo che il suo potere non andasse sprecato e lui non diventasse un peso per la Casata, oppure se avesse paura della vera portata del suo potere.
È vero che la Vista non è di per sé una dote minacciosa… insomma, che paura, un tizio ha il potere di guardarti... ma nella società degli elfi scuri c’erano misteri che erano riservati solo alle sacerdotesse, e se Tek’ryn avesse cercato di spiare le pratiche proibite di sicuro avrebbe fatto adirare la loro dea, la Regina Ragno, attirando il disastro su se stesso e sulla sua Casa.
Per contro, finché conservava quella dote e l’allenava nei limiti del ragionevole, sua madre l'avrebbe considerato utile e quindi lui si sarebbe garantito la sopravvivenza. Più o meno. Se non avesse commesso errori nel frattempo.

Era una consapevolezza dolorosa per un bambino, ma Tek’ryn aveva sempre saputo che c’era qualcosa di sbagliato nella sua famiglia. Fin da quando era piccolissimo vedeva delle cose. Intorno ai suoi famigliari, o perfino dentro di loro, c’erano delle auree nere, di un nero più scuro e intenso della loro stessa pelle, c’erano bubboni invisibili alla vista normale, catene strette intorno alle loro caviglie o ai loro polsi... il marito di sua madre aveva un cappio di corda che gli pendeva dal collo, addirittura; le sue sorelle si lasciavano dietro una scia di disgustoso icore ovunque camminassero, e alcuni suoi parenti avevano il volto deturpato come in una maschera grottesca. Sua madre però era quella che gli faceva più paura di tutti. I suoi occhi erano completamente neri, e ogni volta che apriva bocca Tek’ryn poteva vedere che all’interno della drow c’era la stessa oscurità vuota che aveva nelle cavità oculari. Era come un nulla che fagocitava tutto, che esigeva in sacrificio qualsiasi sprazzo di luce.
Tutto questo, Tek’ryn lo vedeva solo con la sua vista magica. Guardandoli con occhi normali, i suoi parenti erano elfi scuri senza difetti. Tek'ryn era convinto che loro non conoscessero il loro vero aspetto; si comportavano come se andasse tutto bene, come se fossero del tutto inconsapevoli di quell’incubo in cui camminavano quotidianamente. Ma era davvero il loro vero aspetto, oppure erano solo illusioni dovute a una forma di pazzia?
Anche il ragazzino avrebbe tanto voluto non vedere. Peccato che per anni non fosse stato capace di ignorare quelle visioni, di spegnere quel potere divinatorio.

All’inizio era convinto che sua madre e le sue sorelle, e anche gli altri in misura minore, fossero malati. Era un pensiero terribile, perché se fossero morti lui sarebbe rimasto solo. Chi avrebbe difeso una Casata i cui nobili si erano estinti? Cosa ne sarebbe stato di lui, se un’altra famiglia avesse pensato di attaccarli? Sua madre era sempre stata chiarissima con lui, fin da quando era diventato abbastanza grande da intendere la lingua parlata: nella società drow non c’era posto per la pietà.
Tek’ryn aveva accettato quella lezione così come accettava tutto: la paura che la sua Casa venisse distrutta era solo l’ennesimo aspetto di un incubo quotidiano.
Quella era la sua vita, e non si faceva domande. Era l’unica vita che conosceva.
Poi un giorno aveva avuto una sorta di premonizione, ed era la prima volta in cui i suoi occhi gli mostravano il futuro, anziché un diverso aspetto invisibile del presente. Aveva visto una banda di esperti assassini penetrare oltre le difese della magione mascherati da comuni soldati, ed era corso a dirlo alla sua sorella più giovane che era incaricata della sua educazione. Lei all’inizio non gli aveva creduto e l’aveva punito, ma lui aveva insistito così tanto, e con tanta convinzione, che alla fine la sacerdotessa si era lasciata convincere e ne aveva parlato con la Matrona.
Due giorni dopo fu sventato un attentato proprio grazie alla premonizione di Tek’ryn, e divenne chiaro a tutti che il ragazzo non era soltanto uno spreco di spazio.
Da allora era cominciata l’infinita manfrina: “Non abusare dei tuoi poteri, Tek’ryn, o potresti perdere la vista.”

Tek’ryn aveva otto anni quando cominciò a sognare qualcosa che non fossero incubi.
Stava imparando a fare la reverie, anziché cadere nel sonno come le razze inferiori. La reverie portò con sé una maggiore capacità controllo sulla sua mente, essendo una forma di meditazione rilassante, e portò anche delle visioni molto strane.
La prima volta vide il fuoco. Una grande pozza di fiamme e lava, sul fianco di un vulcano. E lui ci stava dentro, ma il calore non lo bruciava. Il fondo della pozza era fatto di magma, però era morbido e tiepido sotto i suoi piedi. Nemmeno la luce gli dava fastidio, e in condizioni normali avrebbe dovuto accecarlo. Quella pozza era così calda da essere di un colore giallo brillante, quasi bianco, ma era casa.
Gli piaceva moltissimo, quel fuoco, non aveva paura. Per la prima volta in vita sua non aveva paura. Percepiva delle presenze intorno a sé, elementali del fuoco che però non volevano ucciderlo. In qualche modo, capì che erano suoi amici.
Quando si risvegliò dalla reverie rimase intontito per mezza giornata, subendo anche le percosse di sua sorella per la sua goffaggine e distrazione. Era vero, la sua mente era altrove. Stava contemplando una possibilità inesplorata, folle anche solo a pensarci: che potesse esistere un diverso stile di vita.
Non vedeva l’ora che fosse di nuovo l’ora di riposare, perché voleva sognare di nuovo quel fuoco.

La visione non tornò più, ma gli capitò di vedere altre cose: una caverna sotterranea, abitata da elementali della terra; una pozza d’acqua nelle profondità di un lago, dove la luce della Superficie arrivava a stento. Per ultimo, un geyser di aria calda in una terra fredda, una sorta di pozza in cui i vapori fluttuavano pigramente per la differenza di calore; ogni tanto un getto d’aria più forte esplodeva verso il cielo, con grande divertimento degli elementali dell’aria che vivevano lì dentro.
Ogni volta che aveva una di queste visioni elementali, lui sapeva di essere il signore di quei luoghi, e che le altre creature della natura obbedivano a lui. Era una sensazione nuova e strana, assaporare un tipo di potere che non prevedesse di schiacciare e terrorizzare gli altri. In quelle visioni i suoi compagni lo amavano, anche se gli erano inferiori.

Tek'ryn non aveva alcuna conoscenza dei misteri arcani. Quel tipo di educazione non veniva elargita a tutti, anzi nella società di Eryndlyn lo studio della magia era una questione delicata. La città era divisa in tre piattaforme di pietra separate da corsi d’acqua, con un lago in centro. Con il tempo le tre fedi principali della città avevano conquistato quei piccoli altipiani come se la separazione geografica fosse la naturale conseguenza della separazione ideologica. La piattaforma a ovest, la più grande, era occupata dalle Casate che seguivano il culto della Regina Ragno, ed era lì che Tek’ryn viveva. I vhaerauniti avevano colonizzato la parte nordorientale della città, e l’angolo sudorientale era dimora dei seguaci di Ghaunadaur.
Nel contesto di una città che non era monopolizzata dal culto di Lolth, nella piattaforma occidentale era pericoloso dare troppo potere ai maschi, perché avrebbero potuto sviluppare ambizioni eccessive e unirsi ai traditori che seguivano falsi dèi come Vhaeraun e Ghaunadaur. Naturalmente non erano davvero falsi dèi, ma lo erano agli occhi delle sacerdotesse di Lolth.
Allo stesso tempo, era anche pericoloso non concedere ai maschi un po’ di potere, o avrebbero potuto ribellarsi e unirsi a una delle fazioni nemiche. Tutto doveva rispettare un particolare e delicato equilibrio. Solo i maschi drow più degni di fiducia potevano essere iniziati alle arti arcane.
Negli altri due quartieri questo problema non esisteva, ognuno aveva la sua piccola scuola di magia, ciascuna gelosa dei propri segreti. Le divisioni e le guerre interne fra le tre piattaforme rendevano Eryndlyn quasi tre città diverse. Il fatto che le fedi di Vhaeraun e Ghaunadaur fossero aperte al sacerdozio sia maschile che femminile faceva in modo che tutti i drow fossero molto coinvolti nella lotta religiosa, e questo impediva il crearsi di una fazione super-partes di maghi che potessero stringere alleanze per prendere il controllo della città, come accadeva invece nelle roccaforti matriarcali di Lolth.
Almeno, in teoria. Ma questa è una faccenda di cui molti erano all’oscuro, fra cui Tek’ryn, che era solo un bambino e l’unica cosa che sapeva per certo era che non avrebbe mai potuto studiare la magia. Era consentito a pochissimi maschi, scelti con cura, di comprovata lealtà. Non tutte le Casate avevano un proprio mago, e chi non l’aveva finiva per assumere un mago mercenario a tempo indeterminato, oppure un mago di un’altra città veniva adottato in una Casata o preso come marito da una Matrona. Ogni tanto qualche incantatore rinnegato arrivava a Eryndlyn da Ched Nasad o da Menzoberranzan, perché era risaputo che se avevi fatto arrabbiare la tua Matrona o il tuo Maestro in modo irrimediabile, a Eryndlyn potevi costruirti una nuova vita.

Avere un proprio mago, un nobile nato all’interno della Casata, era comunque un motivo di grande vanto nella zona occidentale della città. Significava avere potere, e la devozione di un maschio potente che era anche abbastanza saggio da anteporre il volere di Lolth al proprio ego.
Matrona Mayquarra Daevossz, la madre di Tek’ryn, aveva già dei progetti. All’insaputa del suo figliolo, che non osava neanche sperare un simile destino, si era fatta l’idea che Tek’ryn fosse dotato per le arti arcane. I suoi poteri di divinazione dovevano pur voler dire qualcosa, un ragazzino così speciale era sicuramente un dono di Lolth per premiare la sua fedeltà.
Se fosse stato una femmina, in teoria, sarebbe stato ancora meglio… ma all’atto pratico una futura sacerdotessa con simili poteri avrebbe rappresentato una minaccia per Mayquarra e per le sue figlie maggiori, mentre un maschio avrebbe portato prestigio a Casa Daevossz, diventando uno dei rari incantatori della cittadella di Lolth, senza mettere in pericolo la posizione delle sacerdotesse della Casata.
Sì, era certamente per il meglio. Il suo figlio primogenito non avrebbe dovuto preoccuparsi per la sua posizione di Maestro d’armi, e le sue quattro figlie avrebbero potuto continuare la loro lotta intestina per il potere senza tener conto dell’ultimo virgulto della famiglia.
Diversificare per massimizzare.
Matrona Daevossz si sentiva davvero astuta nel cullare questi pensieri. Era il momento di spingere l’educazione di Tek’ryn verso nuove vette di indottrinamento, perché solo un vero fanatico di Lolth poteva studiare la magia senza farsi venire in mente strane idee di indipendenza. Fin’ora aveva affidato il piccolo alle cure di Xusyne, la sua quarta figlia, ma la ragazza era invidiosa e poco lungimirante e poteva andare bene per un compito di scarsa importanza, non per una delicata e ossessiva opera di persuasione.
Avrebbe potuto affidare quella responsabilità a Ghiya, la secondogenita. Era devota anima e corpo a Lolth, sarebbe stata un buon esempio per il fratellino. Oppure alla terzogenita, Elerra. Avrebbe rallentato il ritmo dei suoi studi all’Accademia, ma non era un male; Elerra era troppo dotata e ambiziosa per il suo stesso bene, e per niente rispettosa della famiglia e del ruolo della Matrona. Si sarebbe fatta ammazzare se non si fosse mossa con più cautela.
Ma alla fine Mayquarra Daevossz decise di prendere la faccenda direttamente nelle proprie mani. Sapeva che i bambini dell’età di suo figlio avevano una mente elastica e plasmabile, ed erano ancora capaci di sviluppare fedeltà verso qualcun altro; lei voleva che la fedeltà di Tek’ryn fosse solo per la sua Matrona Madre, non per una delle sorelle. Non poteva mettere quell’arma in mano alle sue figlie, nemmeno a quelle di cui si fidava.

Pochi giorno dopo, Tek’ryn stava pregando davanti alla statua di una grossa femmina di ragno dopo averla lucidata per bene. Non conosceva il vero significato della preghiera, ma erano parole che Xusyne gli aveva insegnato, e quando riusciva a ripeterle nell’ordine corretto sua sorella si mostrava soddisfatta e diventava meno velenosa. In caso contrario, di solito lo puniva in modi fantasiosi a seconda della gravità dei suoi errori. Di solito era solo qualche schiaffo o qualche forma di umiliazione, ma una volta era arrivata a prendergli la testa e sbatterla contro il basamento della statua. Tek’ryn era svenuto, Xusyne si era spaventata a morte e non l’aveva fatto mai più. La loro madre aveva proibito le punizioni troppo severe, come le frustate o le menomazioni permanenti. Se Tek’ryn fosse diventato stupido o pazzo a causa di un colpo alla testa, Xusyne avrebbe subito le peggiori ire della Matrona.
Tek’ryn sapeva che sua sorella lo detestava dal profondo del cuore. Era palese se la osservava con la sua seconda vista. Quando la femmina lo guardava, i suoi occhi bruciavano di odio e di desideri assassini, il suo volto si deformava, i denti diventavano enormi e appuntiti come quelli di un mastino ombra (la loro madre ne aveva uno ed era terrificante quasi quanto lei). Tek’ryn non capiva il motivo di tanto odio, perché nessuno gli aveva spiegato che in quanto maschio non avrebbe avuto diritto a tutti quei riguardi. Si rendeva conto, però, che da quando sua madre sapeva della sua seconda vista il suo tenore di vita era migliorato parecchio.
Quei pensieri strani lo stavano distraendo dalla preghiera, e per poco non sbagliò l’ordine delle parole. Si riprese in tempo, guadagnandosi solo un’occhiataccia da Xusyne. Pochi minuti dopo, un’altra fonte di distrazione spalancò la porta della cappella di famiglia. Era Ahlysaaria, la sua sorella più anziana. La giovane drow si profuse subito in una riverenza, perché la sorella aveva quasi due secoli più di lei ed era già una Somma Sacerdotessa, mentre Xusyne non aveva ancora iniziato a frequentare l’Accademia.
“La Matrona mi ha chiesto di prelevare il piccolo” spiegò, dando l’idea di non essersi neanche disturbata a imparare il nome di Tek’ryn. Ahlysaaria era estremamente snob con chi le era inferiore, ma molto cauta con chi le era superiore. “E sarai lieta di sapere che da oggi sei dispensata da questo dovere, giovane sorella.” Probabilmente non aveva mai memorizzato nemmeno il nome di Xusyne.

Tek’ryn venne portato davanti a sua madre, e per una volta fu lieto di dover tenere gli occhi sul pavimento in segno di sottomissione. La Matrona era sempre uno spettacolo rivoltante e spaventoso.
Il discorso che aveva da fargli non era meno orribile.
Di primo acchito l’idea di poter diventare un mago non gli dispiaceva, perché avrebbe potuto fare ricerche sui suoi strani sogni sugli elementali… ma anche se il piccolo drow non aveva i mezzi per capire le implicazioni del diventare un mago consacrato a Lolth, le parole di sua madre innescarono una visione angosciosa e indipendente dalla sua volontà.

Vide se stesso sdraiato su un altare di pietra nera, mentre sua madre preparava un pigmento bianco latteo con polvere di diamanti e di perle e altre sostanze oleose, e poi recuperava un grosso spillone d’argento. Nella visione aveva paura, ma non del dolore o della morte. Aveva paura perché stare su un altare era qualcosa che gli innescava un terrore viscerale, innato, come se gli fosse già successo in passato e fosse stato traumatico, ma in realtà non gli era mai successo. Il panico gli annebbiava la mente, impedendogli di capire cosa stesse per accadere. Poi sua madre tornava di nuovo nel suo campo visivo, con l’ago e il pigmento, e cominciava a lavorare sul suo smilzo torace nudo. Tek’ryn era immobilizzato, non legato ma proprio bloccato con un incantesimo, non gli era permesso nemmeno il minimo movimento per non rovinare il lavoro della Matrona… un tatuaggio.
Gli stava tatuando un grosso ragno bianco, proprio sul cuore. Sembrava un ragno fantasma, stilizzato; emergevano solo i contorni e qualche dettaglio interno, come se fosse trasparente.
Matrona Mayquarra terminò la sua opera senza mai smettere di cantilenare sottovoce, poi pulì lo spillo con un panno di seta e lo ripose con cura in uno scrigno.
Tornò accanto al figlio che avrebbe voluto urlare, piangere, per il dolore e per la paura, e lei sicuramente lo sapeva. Sorrise come se fosse molto fiera di lui, ma era solo orgogliosa della sua arte. L’assenza delle sue figlie suggeriva che quel rituale dovesse essere segreto, uno dei Misteri rivelati solo alle Matrone Madri di Eryndlyn, o addirittura solo a quelle di Casa Daevossz.
La Somma Sacerdotessa ricominciò a pregare, spinse la voce verso nuovi acuti innalzando il suo canto quasi in un grido, che riverberò nella cupola a base ottagonale creando strati di echi sempre più stranianti e caotici.
Il ragno tatuato cominciò a muoversi, tirando la sua pelle a cui era ancora ancorato. Poi Tek’ryn avvertì come uno strappo e il ragno affondò dentro il suo corpo, lasciando sul suo torace solo una vaga ombra del disegno, come una cicatrice.
Solo allora capì che quell’ospite a malapena tangibile nel suo corpo era l’assicurazione di sua madre per accertarsi che restasse sempre fedele.

Tek’ryn tornò al presente e sussultò nell’accorgersi che sua madre si era avvicinata e si era chinata su di lui.
“I tuoi occhi avevano assunto un colore… fra il marrone e l’ocra” considerò lei, guardandolo con sospetto. “Che cosa stavi vedendo?”
Lui si trovò a pochi pollici dagli occhi della Matrona che gli apparivano come buchi neri, e per poco non svenne dalla paura. Lei era sospettosa. Non poteva permettersi di andare nel panico, doveva risponderle qualcosa.
Come prima mossa, abbassò di nuovo lo sguardo a terra, da bravo bambino ubbidiente.
“Non… non lo so” mormorò lui. “Io non capisco sempre quello che vedo. Vedere le cose non basta, se non so cosa vogliono dire, e…”
“Ed è proprio per questo che voglio che diventi un mago” sua madre gli sorrise, una smorfia dolce e velenosa. “Mio caro bambino. Tu sarai molto utile alla nostra causa.”
Tek’ryn rabbrividì, rendendosi conto che la Matrona l’avrebbe usato come uno strumento e che lui avrebbe passato la vita a doversi dimostrare affidabile per non essere sacrificato a Lolth.

Forse avrebbe fatto meglio a non seguire l’avvertimento costante di sua madre; forse abusare del suo potere e diventare cieco sarebbe stato il male minore.
O forse no, perché a quel punto l’avrebbero ucciso. Nessuna Casa aveva spazio per i figli inutili.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: NPC_Stories