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Autore: NPC_Stories    29/10/2019    2 recensioni
Collezione di oneshot fantasy a tema "fairy", come indicato nella lista di Inktober che io e la mia affezionata illustratrice Erika abbiamo scelto (no, non Erika la webmaster, un'altra Erika). Io scrivo, lei disegna... speriamo di tenere il passo!
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Alcune di queste storie saranno ambientate nel nostro mondo, alcune altre nell'ambientazione del fandom in cui sono più attiva, Forgotten Realms, e altre ancora saranno ambientate in mondi di mia creazione o di fantasy generico, o parodistico.
Alcune di queste storie vi faranno ridere (spero), altre vi faranno piangere (mh, forse sto esagerando), ma in ogni caso mi auguro che tutte vi piacciano.
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Che la vostra vita possa essere piena di momenti di piccola meraviglia!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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29. Invisible


Sotto-genere: dark fantasy
Ambientazione: Forgotten Realms
Nota: seguito di 12. Blind


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1324 DR, città sotterranea di Eryndlyn

C’erano molte fazioni invisibili nella città drow di Eryndlyn. La loro sopravvivenza dipendeva dal delicato equilibrio del restare nascoste, eppure avere una nomea abbastanza solida da incutere paura. Era un paradosso che gli elfi scuri, meglio di qualsiasi altra razza, sapevano apprezzare.
Nominalmente la città era divisa in tre quartieri, asserragliati sui tre plateau di roccia della grande caverna. Non era solo una separazione geografica, ma una vera e propria frattura culturale: i tre culti predominanti di Lolth, Ghaunadaur e Vhaeraun dominavano ciascuno una delle tre fazioni cittadine.
Accanto a questa struttura sociale, o meglio, parallelamente ad essa, diverse reti di complotti e alleanze si dipanavano collegando e intrecciando fra loro i drow più insospettabili. Persone di diverse estrazioni sociali, maghi, mercanti, nobili, perfino infiltrati di altre città e di altre razze, che sfruttavano o venivano sfruttati, affollavano le strade della città drow e giorno dopo giorno cercavano di portare avanti i loro schemi e sopravvivere.
C’era la piccola casata nobiliare degli Arkenrret, segretamente una cellula dell’organizzazione degli Jaezred Chaulssin, tesa alla distruzione del culto di Lolth. Ideologicamente vicini al culto di Vhaeraun, vantavano qualche alleato in quella parte della città, ma il loro obiettivo era avvicinarsi anche ai seguaci di Ghaunadaur e quindi dovevano muoversi con cautela: le due fazioni si odiavano quasi quanto i diavoli odiano i demoni.
C’era l’organizzazione mercantile l’Artiglio e la Piuma, commercianti di creature viventi, dagli animali rari agli schiavi. Loro avevano ogni interesse a fare in modo che le ostilità fra le tre fazioni continuassero, visto che le guerriglie foraggiavano la tratta da e verso la città. Avevano le mani in pasta in più di un attentato, specialmente contro templi e altre strutture istituzionali. Invece le Corporazioni degli Artigiani avrebbero voluto che quelle rivalità religiose cessassero, perché dover pagare dazi per importare beni da una parte all’altra della città era troppo dispendioso, e per risparmiare si doveva ricorrere al pericoloso mercato nero. Anche molti altri mercanti stranieri la pensavano come loro, e appoggiavano... chi i tentativi diplomatici, chi la fazione di Lolth sperando che il suo potere fosse sufficiente a soggiogare le altre due.
Poi c’erano i maghi. Le due cittadelle a stampo patriarcale, perché questo erano in realtà il quartiere di Vhaeraun e quello di Ghaunadaur, avevano ciascuna la sua scuola di magia che accoglieva accoliti di ambo i sessi. Nominalmente le due scuole di magia erano nemiche, anzi, lo erano davvero, ma alcuni dei Maestri appartenevano a un’alleanza, una vera e propria organizzazione segreta più lungimirante. Si facevano chiamare i Vuoti, ed era loro opinione che qualunque mago serio non avrebbe dovuto lasciarsi influenzare dalla religione, e che solo la loro abilità e intelligenza potesse guidare Eryndlyn verso il futuro. Alcuni di questi maghi avevano una famiglia, avevano una posizione privilegiata nella loro Casata, ma la loro prima lealtà andava ai Vuoti. Forse.
La gilda misteriosa manovrava di nascosto anche una compagnia mercenaria, che non si occupava di normali soldati a pagamento; era una situazione molto particolare, gestiva il “noleggio” di prestigiosi maghi senza legami ad alcune Casate del quartiere di Lolth. Non tutte le famiglie nobili seguaci di Lolth riuscivano a crescere ed educare un maschio per farne un mago passabile. Naturalmente il noleggio di un mago mercenario era per la vita. La sua, o quella della Casata.

Seldphyn Daevossz era uno di questi maghi mercenari. Il suo cognome di nascita non era Daevossz, ma aveva assunto il cognome della Casata quando ne era diventato il Maestro Arcano. Aveva da poco superato i duecento anni, cosa che faceva di lui un mago giovane per la posizione che occupava. Aveva sempre avuto un certo talento per le arti magiche, e la spregiudicatezza aveva fatto il resto. Molte volte aveva dovuto spianarsi la strada uccidendo e derubando altri maghi, anche più potenti di lui, attraverso l’inganno e ardite alleanze. Come risultato poteva vantare un’ottima biblioteca di testi di magia sottratti alle sue vittime.
Uno come Seldphyn non aveva la minima remora morale a distruggere qualsiasi ostacolo sul suo cammino, e si aspettava di tutto.
Tutto, tranne che un bambino riuscisse a penetrare nel suo laboratorio di magia, oltrepassando le sue difese.
Il mago stava incidendo alcuni simboli sperimentali su una lastra di rame quando il suo famiglio gli inviò mentalmente una sensazione di allarme.
Seldphyn si girò di scatto, con un incantesimo offensivo già sulla punta della lingua.
Quando vide che l’intruso era il rampollo più giovane di Casa Daevossz, rimase impietrito per lo stupore.
Cosa doveva pensare? Un bambino di neanche dieci anni era entrato nel suo sancta sanctorum. Come? Per mezzo di chi?
Perché?

“Maestro, vi prego di ascoltarmi prima di uccidermi. La Matrona sarebbe molto scontenta.” Annunciò lui, profondendosi in un inchino rispettoso.
Seldphyn vagliò mentalmente i diversi livelli di comunicazione in quel messaggio. Era un'implicita minaccia? Il tono non era arrogante… era soltanto una dimostrazione della paura del bambino? Fronteggiare un mago non doveva essere facile per lui, ma quindi perché era lì? Per di più, sembrava che fosse consapevole di essere importante per la Matrona… o almeno lo sperava, perché il mago mercenario si rendeva conto meglio di chiunque altro che tutti sono utili, nessuno è indispensabile.
Mise da parte quei dubbi, perché nessuna congettura poteva davvero aiutarlo a sviscerare quel groviglio di domande.
"Come sei riuscito ad entrare?" Scattò in tono aggressivo, cercando di spaventare il ragazzino. Voleva che capisse subito di dover stare al suo posto.
"Ho visto come facevate voi. Le mosse delle mani e le parole d'ordine."
"Impossibile!"
Il famiglio di Seldphyn, un topo nero come la notte, squittí e soffiò rispecchiando il tono di minaccia del suo padrone.
Tek'ryn Daevossz chinò ancora di più la testa. Aveva l'aria di qualcuno che voleva sparire, sprofondando nella roccia.
"Non so come ho fatto a vederlo. Io vedo le cose. Nel passato e nel futuro. C'è stato un giorno in cui avete scordato di proteggervi dalle divinazioni, prima di entrare qui. C'era un battente diverso alla porta, un serpente che si morde la coda. Io ho visto quello che avete fatto quel giorno."
Il mago s'irrigidí, pensando che il ragazzo lo stesse prendendo in giro. "Ho cambiato il battente sei anni fa!"
"Allora…" pigolò il bambino, tremando. "Posso consigliarvi di cambiare le misure di sicurezza… un po' più di frequente?"
Seldphyn rimase spiazzato. Avrebbe potuto vaporizzare il giovane nobile per la sua risposta sfrontata. E lui lo sapeva.
Quindi, se aveva risposto così, poteva significare solo due cose: o non aveva altra risposta, perché gli stava dicendo la verità… oppure era stato indotto ad agire così da qualcuno che gli faceva ancora più paura del Maestro Arcano.
La sua tattica di terrorizzare il bambino non lo stava aiutando. Non l'avrebbe portato oltre questo dilemma. Era il momento di cambiare strategia.

Tek'ryn rimase immobile a sudare freddo, con gli occhi sgranati per la paura. Non voleva alzare lo sguardo sul mago. Non voleva vedere le esternazioni della sua anima nera. Il dono della Vista era una maledizione, e quando aveva paura non riusciva a controllarlo. Quando in passato gli era capitato di vedere di sfuggita il Maestro Arcano, ai suoi occhi il drow aveva sempre assunto un aspetto orribile: dita lunghe e artigliate, che indicavano la sua bramosia di ghermire i segreti altrui. Occhi brillanti come braci, pieni di cupidigia. Denti affilati. Oh, questo non era strano. Tutti, nelle sue visioni, avevano denti affilati.
Il Maestro Arcano non era neanche la persona più terrificante della casa, ma Tek'ryn non era ansioso di parlarci comunque.
Eppure doveva. E quando l’adulto gli fece cenno di accomodarsi, seppe che sarebbe riuscito a farsi ascoltare.
Cominciò a spifferare i piani di sua madre per quanto riguardava il suo futuro e la sua carriera.

“Sei venuto qui” Seldphyn si massaggiò le tempie con le mani, ma senza distogliere lo sguardo dal ragazzino seduto dall’altra parte della scrivania “per dirmi che rappresenti la mia morte?”
“Nelle intenzioni della Matrona” sussurrò il bambino, e il mago ringraziò di avere un udito eccellente perché l’altro aveva mosso a malapena le labbra. “Non nelle mie.”
“Non dire eresie!” Lo rimbrottò velocemente. “I desideri della Matrona sono i desideri di tutta la Casata. Se vuoi sopravvivere, non farti sentire a mettere in dubbio i suoi propositi.”
“Se voglio sopravvivere?” soffiò il bambino, incredulo. “Non state per uccidermi?”
“Uccidere il favorito della Matrona Madre, che al momento non rappresenta una minaccia… per ora.” Ricapitolò Seldphyn, con un sorriso pigro. “Proprio mentre si trova nel mio studio, forse per ordine della Matrona stessa? Sembra la ricetta per un suicidio.”
“La Matrona non vuole dispensarvi così presto. Anche pensando che mi abbia protetto con molti incantesimi, per tendervi una trappola… perché dovrebbe mandarmi lei? Perché ora?”
Il mago si massaggiò il mento, riflettendo su quell’obiezione sensata. “Una delle tue sorelle? Odiano il mio potere, magari una di loro ha un giocattolino che vuole mettere al mio posto. Se ora ti uccidessi la Matrona vorrebbe la mia pelle.”
Questo pensiero aveva già molto più senso. Le quattro figlie di Matrona Mayquarra Daevossz non vedevano l’ora di consolidare il proprio potere, e quale modo migliore che innestare un mago di fiducia al posto del fin troppo indipendente Seldphyn? E se lui avesse ucciso il fratellino, poco male: le quattro sacerdotesse odiavano il fatto che un giovane maschio avesse il favore della Matrona e forse perfino della dea.
Era la spiegazione migliore, e in qualche modo rendeva il piccolo Tek’ryn intoccabile. Almeno al momento.
“Non sono qui per farmi uccidere” affermò il ragazzino, riuscendo a trovare un po’ di fermezza e ad alzare un poco il volume della voce. “Sono qui per darvi un avvertimento. Se io vivo, voi morirete. Non adesso, ma fra… qualche decennio? La Matrona non vorrà solo licenziarvi. Sapete troppe cose della Casata.”
“Lo so benissimo” scattò il mago, irritato dall’arroganza del moccioso.
Era impressionato, anche se non l’avrebbe ammesso: il ragazzino parlava quasi come un adulto, e dimostrava una spiccata intelligenza grezza, nonostante la sua età. Ma ancora non padroneggiava la sottile arte della negoziazione fra drow.
“E allora questo è il momento giusto per liberarvi di me. Quando è troppo presto perché io sia una minaccia. Nessuno può immaginare che voi lo sappiate già, la Matrona ha parlato dei suoi piani solo a me, e io sarei stato un pazzo a venirvelo a dire, no? Quindi, se io sparissi ora, nessuno potrebbe sospettare di voi.”
Seldphyn Daevossz rimase sbalordito davanti a questa proposta, cercando di capirne le implicazioni recondite. Il più giovane figlio della Matrona aveva detto di non voler morire, eppure ora gli stava proponendo… cosa, esattamente?
“Eppure dici di non voler morire” tirò le fila, sperando che l’altro si scucisse. Aveva la sensazione che stessero arrivando al punto.
“Voglio scappare” confessò finalmente il giovane nobile.
“Anche questa è un’eresia” lo fermò Seldphyn, lapidario.
“Ecco perché sapete che non mi manda la Matrona o una delle mie sorelle. Se venissi scoperto sarei ucciso peggio di voi.” Ritorse lui, e in effetti era una logica inoppugnabile.
“Mi proponi di correre un rischio e farti scappare, perché ora sei troppo giovane per essere una minaccia e quindi non sospetterebbero di me… forse… e che cosa me ne verrebbe?”
“Liberarsi di me non è abbastanza?”
“No. Potrei ucciderti di nascosto negli anni a venire. Se ti farò scappare, potresti essere ritrovato e a quel punto ti farebbero parlare. Il mio coinvolgimento verrebbe scoperto.”
Tek’ryn ci pensò per un lungo momento. Non vedeva la risposta del mago come una chiusura totale. Non l’aveva ancora cacciato dal suo studio.
“Sono molto giovane, e i miei desideri non sono uguali ai vostri quindi non so cosa potrei offrirvi. Quello a cui io do valore più di ogni cosa è una vita sicura. Non m’importa del potere, e non saprei come farvi ottenere potere. Non so niente di magia. Però so come aiutarvi a diminuire le minacce contro la vostra vita.” Il ragazzino lo fissò dritto in faccia, e quei suoi occhi che a detta di tutti erano magici cominciarono a mutare di colore. Divennero di un giallo caldo come ambra, poi di nuovo rossi, ma non come le normali iridi drow; più come due tizzoni ardenti, cangianti fra il rosso e l’arancione, quasi brillanti. Quando parlò, perfino la sua voce aveva un accento diverso.
“Mia sorella Ghiya è la vostra vera nemica.” Seldphyn riconobbe il nome della secondogenita e sobbalzò. Era una sacerdotessa devota, ma sempre molto discreta. Non aveva mai manifestato interesse né odio per il mago. “Xusyne è troppo stupida, Ahlysaaria è la primogenita ed è sicura di sé, invece Elerra…”
“La Terzogenita è pericolosa” lo interruppe il mago. “Mi piacerebbe tanto sapere come mai ai tuoi occhi non lo è.” Concluse in tono di sfida.
“Elerra è pericolosa” ammise Tek’ryn “ma soprattutto per le sue sorelle maggiori. Le sue ambizioni sono clericali. Non guarda a voi, non ancora, anzi potrebbe cercare un’alleanza con il mago della Casata…”
“E quindi è lei che devo far cadere” il mago sorrise, una smorfia affilata come una spada.
Tek’ryn, di nuovo con i suoi occhi normali, lo guardò con un’espressione di genuina sorpresa.
Seldphyn continuò a sorridere, senza sbilanciarsi e senza spiegarsi.
Prima di tutto, stava già pianificando di usare la scomparsa di Tek’ryn per incolpare una delle sue sorelle del suo omicidio. Non era necessario uccidere il ragazzino, anzi sarebbe stato troppo pericoloso… ma avendo il tempo di pianificare la cosa avrebbe potuto produrre un falso cadavere. Elerra non godeva delle simpatie della Matrona, sarebbe stato relativamente facile farla cadere dalla grazia, molto più facile che con la pia e devota Ghiya, la sua vera nemica. Ma tolta dai giochi la brillante Terzogenita, che rappresentava un pericolo per le due sorelle maggiori, Ahlysaaria e Ghiya avrebbero riversato tutta la loro attenzione e il loro acume l’una contro l’altra. Il Maestro Arcano invece ne sarebbe uscito pulito, insospettabile in quanto era quello che più aveva da perdere dalla morte di Elerra, una sacerdotessa che non lo avversava.
Sì, era perfetto.
Forse Tek’ryn non aveva intenzione di rendersi complice nell’assassinio politico di una delle sorelle, forse pensava di ripagarlo solo con quelle informazioni… ma dopotutto la sua partecipazione non era richiesta oltre.
Sarebbe bastato che sparisse dalla scena.
“Potrei essere interessato ad aiutarti a fuggire” propose il drow adulto, avvicinando le mani fino a far toccare i polpastrelli. Un sorriso maligno minacciava di affiorare sfuggendo al suo autocontrollo.

Il ragazzino si rilassò appena appena, ma l’occhio attento del Maestro Arcano colse ogni suo movimento. Com’era giovane, ancora incapace di trattenere le emozioni e pianificare omicidi. Dopotutto il Secondogenito, per il momento, non era davvero un pericolo. Non era nemmeno un vero drow, non era completo.
“Sei venuto qui nella speranza che io tiri fuori qualche trucco magico per farti fuggire, o…”
“Ho bisogno di raggiungere il drow con le treccine” lo interruppe il marmocchio, lapidario come un colpo di scure.
Seldphyn raggelò sul posto.

Il drow con le treccine, come lo aveva definito il ragazzo, era uno degli esponenti più importanti dell’organizzazione segreta dei Vuoti. Era uno dei tre luogotenenti del Supremo Arcanista, e siccome i Vuoti tiravano i cordoni della compagnia mercenaria dei maghi, il drow con le treccine era tecnicamente un superiore di Seldphyn.
Quanto ne sapeva, il bambino? Quanto era pericoloso, solo per quelle sue conoscenze che sembravano venire dal nulla?
“Non so di chi stai parlando” tentò, ma solo per vedere come avrebbe risposto il ragazzino.
Lui non rispose affatto. Sostenne il suo sguardo in un silenzio sempre più pesante, come se non avesse più paura di lui.
“Ho paura di voi” il giovane principe sconfessò quell’idea, come se gli avesse letto nel pensiero. “Ma ho molta più paura del mio futuro qui. Non c’è limite a quello che farei pur di andarmene. Tranne morire. Ma qualsiasi altra cosa sì. Sapete quanto è pericolosa una persona disperata? Se non mi aiuterete adesso, dedicherò ogni istante della mia vita a cercare di rovinarvi. Io so del precedente mago e del rituale che ha fallito, e che ha quasi distrutto la Casata. So come quell’errore fatale è finito dipinto sul suo libro di incantesimi. E so anche un sacco di altre cose.”
“Insomma vuoi proprio che cominci a pianificare come ammazzarti, ragazzino?” La smorfia di Seldphyn era praticamente una promessa di morte.
“Ho scritto queste informazioni dove la Matrona potrà trovarle, compreso un messaggio che vi accusa del mio assassinio. Se morirò, affonderete con me.”
Seldphyn Daevossz fece due rapidi calcoli mentali. Questo bambino avrà avuto nove anni o qualcosa del genere, ma già ragionava come un adulto. Per di più, vedeva cose del passato e forse anche del futuro, e aveva il pieno appoggio della Matrona Madre.
Forse il mago era il primo a doverlo volere fuori dai piedi.
“Il drow con le treccine” ricapitolò, arrendendosi. Si trattava della scelta migliore, che andava a vantaggio di entrambi.
“Tra sei mesi la Matrona riceverà una convocazione da parte del Consiglio della cittadella. Si tratta di una convocazione generale quindi vorrà fare sfoggio del potere della Casata. Chiederà alle mie due sorelle maggiori di accompagnarla, ma forse vorrà anche voi, che siete il nostro mago. Richiamerà la Terzogenita dall’Accademia per non lasciare la magione senza protezione, e resterà anche il Maestro d’Armi. E anch’io. Penso che sarà il giorno giusto per organizzare la mia… morte… quando voi avrete un alibi. Uno che non potevate prevedere.”
“Ma tu puoi” sottolineò l’incantatore.
Il giovane principe si strinse nelle spalle.
Sì, era decisamente meglio mandarlo il più lontano possibile.
“Vedrò cosa posso fare” promise Seldphyn. “Ma per rendere credibile la tua morte, dovrò produrre un cadavere che anche ad un esame magico risulti tuo. Non sarà sufficiente un incantesimo di metamorfosi su un altro cadavere o su un oggetto. Dovrà avere… la tua impronta, per così dire.”
Gli occhi del bambino si illuminarono nuovamente di quel rosso splendente, innaturale anche per un drow. L’effetto durò solo un attimo, poi tornarono normali. La sua espressione non era cambiata: una maschera di finta indifferenza che faticava a nascondere un terrore senza fondo.
“Sì. Vi serve un pezzetto del mio corpo.”
Il mago s’irrigidì, sconvolto che i suoi segreti arcani fossero così facilmente svelati.
“Come lo sai? È un incantesimo troppo complicato perché tu possa capire…”
Il ragazzino sfilò un piede da uno stivale, con gesti lenti e misurati.
“Vi consiglio di prendere un dito del mio piede. Siete un mago, non un sacerdote, quindi non potete farmi ricrescere la carne che mi taglierete. È meglio toglierla da un posto dove non si vede.”
Seldphyn era impressionato dalla calma con cui l’aveva proposto. Per la prima volta si scoprì a desiderare che il giovane nobile fosse suo figlio. Era abbastanza intelligente da esserlo, per lui sarebbe stato un vanto. Purtroppo, pensandoci un attimo, si accorse che non ricordava che la Matrona l’avesse chiamato nelle sue stanze in quel periodo. Le loro frequentazioni erano terminate qualche anno prima di quell’ultima gravidanza…
“Buona idea” sorrise il mago, un tantino troppo entusiasta. Sfilò uno stiletto dalla manica. “Ora lancerò un incantesimo che ti farà svenire. Non vorrei mai che la Matrona si accorgesse di qualcosa. Quando ti risveglierai, sentirai dolore.”
Tek’ryn annuì seccamente. Se lo aspettava.

Passarono sei mesi. Pochi giorni dopo il colloquio con il mago, Tek’ryn era passato sotto le cure amorevoli di sua madre, che ogni giorno passava un’oretta a indottrinarlo sulla grandezza della Regina Ragno e sull’importanza centrale che aveva avuto nella storia dei drow. Quelle lezioni erano quasi sempre noiose e ripetitive. Forse dopotutto non c’era così tanto da dire, sulla Regina Ragno. O forse molte delle cose che si sarebbero potute dire erano soggette a censura. Tek’ryn stava molto attento a non chiederselo, a non formulare pensieri eretici. Sua madre poteva essere in grado di leggergli nella mente. Stava sempre attento anche a non pensare al suo finto cadavere, che da qualche parte, nello studio privato del mago, galleggiava sospeso in un incantesimo di preservazione.
Un altro problema di cui si era accorto subito, non appena la ferita era guarita e aveva smesso di fare male, era che non riusciva più a camminare bene come prima. Non è che fosse diventato zoppo, ma la mancanza del dito trillice del piede sinistro aveva leggermente compromesso il suo equilibrio. Stava sempre molto attento a come camminava in presenza della Matrona o di qualunque altro adulto.
Ma, comunque, in qualche modo passarono sei mesi. Tek’ryn cercava di contenere l’ansia, l’agitazione e il senso di aspettativa. Nessuno di quei sentimenti gli avrebbe garantito la sopravvivenza, ed era come se nel suo cervello ci fosse una voce adulta e matura che era in grado di prendere le redini e tenere sotto controllo le emozioni. I suoi strani sogni, in cui lui era una creatura elementale fatta di fuoco, o di aria, o di acqua o di terra, stavano continuando e si erano fatti più frequenti. Erano senza dubbio una prospettiva migliore rispetto agli incubi e in qualche modo contribuivano a tenere a bada la paura.
Un giorno, finalmente, sua madre ricevette la convocazione. Tek’ryn non era sicuro di che cosa riguardasse; le sue visioni erano precise, ma al piccolo drow mancavano le conoscenze base di etichetta e di gerarchie sociali, quindi non riusciva sempre a dare un senso alle cose che vedeva. L’unica cosa importante era che la sua finta morte sarebbe stata messa in scena, e che il mago l’avrebbe fatto scappare.

L'indomani, mentre si preparava a partire, la Matrona entrò nella cappella di famiglia per prendere alcuni unguenti sacri e vide il suo figliolo più giovane intento a pregare. Non diede molto peso alla cosa, limitandosi a un cenno di approvazione.
Se il dubbio avesse anche solo sfiorato la sua mente - ma perché avrebbe dovuto? - forse avrebbe potuto accorgersi che si trattava di una complicata illusione.
Quella fu l’ultima volta in cui Matrona Mayquarra Daevossz vide, o credette di vedere, suo figlio Tek’ryn. Al suo ritorno avrebbe trovato solo il suo cadavere. O meglio, avrebbe trovato un cadavere che assomigliava in tutto e per tutto a suo figlio, ma a differenza del ragazzino vero, non aveva i crimini del Maestro Arcano scritti sulle braccia con inchiostro appena visibile. Tek'ryn sapeva che sua madre avrebbe analizzato con cura il suo corpo per trovare la causa della morte e quindi aveva preso le sue precauzioni in caso di tradimento.
Ma quella manovra non sarebbe servita, perché Seldphyn era stato ai patti: il vero Tek’ryn in quel momento era già fuori dalle mura del palazzo, e presto sarebbe stato fuori dalla città. Libero. Lontano. Invisibile. La convinzione che fosse morto avrebbe fatto in modo che nessuno lo cercasse.

   
 
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