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Autore: A_Typing_Heart    17/10/2020    0 recensioni
«Sto cercando un libro sui vampiri... qualcosa che parli di loro, della loro psicologia... qualcosa che non sia solo letteratura.» disse con una certa delusione interiore: nella sua testa suonava molto meno ridicolo. «Esiste qualcosa del genere?»
«Ovviamente esiste.» rispose lui, con uno sguardo che sembrava brillare di eccitazione. «Posso chiederti come mai ti interessa un argomento così singolare o è una domanda troppo intima per il primo incontro?»
«Mi interessano perché non ne so niente e ne devo prendere uno.»
Qualsiasi altra persona a quella frase avrebbe riso o l'avrebbe preso per matto, ma non quell'uomo, che sorrise se possibile ancora di più.
«Stai cercando quell'assassino, il Vampiro di West End.»
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Krul Tepes, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
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O al Leprechaun hanno cambiato birra o io sto diventando vecchio.

Crowley riaprì il getto della doccia per lavarsi di dosso la schiuma e si sciacquò il viso con le mani per l’ennesima volta: aveva addosso una sensazione di stanchezza che associava al ricordo – invero confuso – di nottate molto più lunghe e molto più dissolute di quella tutto sommato piuttosto innocente appena superata.

Dio mio, sono a pezzi... per così poco? Forse sto per ammalarmi, o qualcosa del genere...

Chiuse l’acqua e attese qualche secondo, poi strizzò i lunghi capelli rossi con le mani.

Stanno diventando un po’ troppo lunghi... la settimana prossima farò un salto a farmeli accorciare.

Allungò la mano alla cieca fuori dalla doccia, senza trovare l’asciugamano. Si sporse di più, toccò il metallo freddo ed esplorò tutta la lunghezza, ma non c’era traccia del suo telo da bagno. Perplesso aprì completamente lo sportello paraschizzi e gli occhi gli confermarono quello che la mano già sapeva: non c’era. Non era scivolato a terra, né era stato appoggiato per distrazione sul lavabo, o sul termosifone a parete.

Non l’ho preso? Eppure ero convinto di averlo messo proprio qui...

Scrollò le spalle e scavalcò il bordo della vasca con più attenzione del solito, per non scivolare, e quando allungò la mano verso il gancio che normalmente reggeva il suo accappatoio si fermò come congelato per diversi secondi, al termine dei quali tese un sorriso che era divertito e irritato in egual misura.

Ma vedi tu quello stronzo di un nerd... vuoi la guerra, Ferid? Sono pronto, tu credo proprio di no.

Strizzò ancora un po’ i capelli oltre il bordo della vasca, poi se li gettò – ancora lontani dall’essere asciutti – sulla schiena e uscì dal bagno. La porta della camera da letto era aperta e non vedeva nessuno sul letto, ma non entrò a controllare: la televisione era accesa a basso volume in salotto e fu lì che andò.

Trovò Ferid seduto sul divano come di consueto con le gambe accavallate e un libro aperto sul ginocchio. Dato che sembrava ignorare la sua presenza, o quantomeno troppo assorto a leggere per notarla, Crowley diede un paio di colpi di tosse che gli fecero alzare la testa.

«Oh!»

Ferid alzò il libro e lo usò per coprirsi la faccia dagli occhi in giù, Crowley ne era certo, per celare un sorriso fin troppo compiaciuto.

«Detective Eusford, io ti avevo creduto quando mi hai detto di essere un bravo ragazzo irlandese! Non ti credevo un simile sfacciato!»

Non riuscì a reprimere quella specie di ghigno che gli affiorava alle labbra mentre incrociava le braccia e si appoggiava allo spigolo del muro.

Ho voglia di strozzarlo e di baciarlo allo stesso tempo. Non mi era mai successo.

«Ma chi può dire di conoscere davvero qualcuno? Prendi me, per esempio: credevo di conoscere i miei asciugamani, e invece ora scopro che se ne vanno a passeggio mentre io sono sotto la doccia.»

«Ma non mi dire! Sfacciati anche loro quanto te!»

«Non è che li hai visti passare, eh?»

«Oh, in effetti sì. Il tuo telo è uscito dalla finestra.»

E con un cenno della testa indicò la finestra del soggiorno, che era sollevata di poche dita per far entrare un filo di vento. Crowley la guardò, valutando che Ferid era troppo intelligente per aver davvero buttato i suoi asciugamani dalla finestra per uno scherzo, poi tornò a guardare lui: ora che aveva abbassato il libro lo vedeva chiaramente sorridere malizioso.

«Mh, e mica gli hai chiesto quando pensavano di tornare?»

«No, ma hanno detto di non aspettarli per cena.»

Crowley stava chiedendosi cosa fare come prossima mossa quando vide Ferid scavallare le gambe, sporgersi per riporre il libro e prendere la tazza di tè che stava sul tavolino: addocchiò subito un angolino di tessuto bianco proprio sotto la sua natica.

Ah, ora sei mio.

Si raddrizzò e marciò deciso verso il divano, lo raggiunse e tolse la tazza di mano a Ferid prima che riuscisse a chiedergli o a dirgli qualcosa. Non che ne fosse in grado: l’aveva preso così di sorpresa che non riuscì a fare altro che balbettare sillabe sconnesse mentre puntando il ginocchio sul divano lo spingeva giù contro i cuscini e gli andava sopra di peso.

«Wah, c-che… sei tutto bagnato!» protestò lui, mentre i suoi capelli rossi e zuppi gli sgocciolavano sulla faccia. «N-non è diverten- perché ridi?!»

«Perché è divertente!»

«Guarda che sei pesante, togliti!»

Dato che sapeva benissimo di non essersi appoggiato più di quanto necessario Crowley non badò alle sue proteste e ancora meno badò al suo fiacco tentativo di spostarlo spingendolo dalle spalle; era così bagnato che una delle mani di Ferid perse la presa come se avesse cercato di prendere una saponetta sotto la doccia e lui ne approfittò per affondare il viso tra la sua spalla e il suo collo.

Sapeva che i suoi capelli l’avrebbero inzuppato a dovere, ma non si aspettava che le resistenze di Ferid sarebbero cessate quasi all’istante.

Mi dispiace, Ferid, ti tocca aspettare… come tocca a me, d’altronde… però…

Esitò e fu lì lì per desistere, poi alla fine diede un leggerissimo morso sul lato sinistro del collo. Non sentendolo protestare affondò i denti con appena più convinzione e saggiò la pelle con la punta della lingua. Aveva un sentore dolce, come lo era l’odore che gli riempiva il naso. Lo sentì sospirare quando con la mano scese lungo il fianco.

«Preso!»

Sollevò Ferid dal bacino quel tanto che bastava a sfilare il telo da bagno sotto di lui, poi si rimise seduto guardandolo trionfante mentre lo sventolava come una bandiera.

«Sei troppo facile da distrarre, Ferid, ho fatto più fatica a rubare il berretto a un bambino impegnato a guardare la televisione!»

Ferid, il cui ultimo pensiero sembrava essere il telo, non si era praticamente mosso e lo guardava deluso come un bambino a cui cade il gelato per terra.

«Tutto qui? Puoi distrarmi ancora un po’, se vuoi…»

«No, purtroppo non posso.»

«Accidenti.» fu l’unica, afflitta replica di Ferid.

Con un sospiro sconsolato si rimise seduto e si riappropriò della tazza portandola alle labbra. Crowley si avvolse il telo intorno al corpo prima di rimettersi seduto.

«Dalla tua mestizia deduco, con le mie affinate capacità da detective, che quello che hai visto non ha deluso le tue aspettative.»

«No, infatti.» rispose lui in tono decisamente avvilito. «Confermo il mio primo giudizio: il tuo corpo meriterebbe davvero l’eternità.»

«Non so quali siano i requisiti per meritare l’immortalità, ma so che il tuo non merita le fiamme dell’inferno, quindi lo salverò impedendoti di traviare un devoto figlio di Nostro Signore.»

«Sto cominciando che non sia poi un prezzo così esagerato… bruciare per te, intendo.»

«Ah, che dici? Nessun uomo può valere l’inferno, questo è certo… c’è del tè anche per me?»

Ferid annuì con aria assente e rimase silenzioso e assorto per tutto il tempo che Crowley ci mise a versarsi una tazza di tè e tornare a sedersi. I capelli bagnati avevano lasciato una macchia umida sullo schienale e se li spostò sulla spalla di modo che le punte sgocciolassero sul telo che gli copriva le gambe.

«Non è il caso di fare quella faccia, dai… e poi la cicatrice rovina un po’ tutto, no? Non è sconcertante?»

Ferid girò lo sguardo e lo puntò senza esitazione sulla cicatrice verticale tra i suoi pettorali: il ricordo indelebile della sua operazione a cuore aperto in quella notte di luglio.

«È solo una cicatrice, e neanche così terribile… tutti ne hanno almeno una, se non sono vissuti sotto una campana di vetro.»

«Tu non ne hai, non ne ho viste.»

«Non hai guardato bene.» ribatté lui seccato. «Come al solito puoi vedere una mosca bianca a seicento metri nella tundra e non vedi me qui davanti.»

«Ohi… dai, non la buttare giù così tragica. Dov'è questa cosa mastodontica che non ho visto?»

Ferid esitò un po’, poi tirò su la manica destra fino sopra al gomito. Lì, poco sotto la giuntura, c’era un segno riconducibile a una vecchia bruciatura molto lineare. Se Crowley non avesse saputo di dover cercare una cicatrice non l’avrebbe mai notata su una pelle così chiara.

Lui si indicò un punto nel costato, più in basso del pettorale e più a lato.

«Ne ho una anche qui. Me la sono fatta da bambino, con la punta di una lancia… di un’armatura ornamentale, ovviamente.»

«Oh, sai che anche Gesù fu ferito al costato con una lancia?»

«Crowley, ti prego, smettila di parlare di Dio ogni secondo

«Oh! Mi hai chiamato Crowley! Allora ti ho fatto arrabbiare, mi sa.»

«Sì che mi fai arrabbiare, non mi stai ascoltando…»

«Ah, anche io ne ho un’altra, guarda, guarda. Questa ha una storia vecchia.»

Crowley appoggiò la caviglia sul ginocchio per mostrargli la pianta del piede destro, dove aveva ancora due segni paralleli della ferita. Ferid fece una leggera smorfia quando li vide.

«Deve aver fatto proprio male quella…»

«Un male del diavolo! È stato quando ero bambino e stavo dai miei nonni, sai, hanno una fattoria in Virginia…»

«Un po’ lontano per il week end, eh?»

«Beh, forse, ma in realtà i miei all’epoca lavoravano tutti e due e io ho abitato lì da quando avevo… tipo tre anni o giù di lì, fino a quando non ho iniziato la scuola cattolica, e ci sono tornato tutte le estati fino a che non mi sono diplomato.» spiegò lui, con entusiasmo crescente. «È un gran bel posto, è una fattoria bella grande, mio nonno tiene le mucche, i maiali, i tacchini e i conigli, e ha un sacco di campi… beh, insomma! Mi aveva detto di pulire le gabbie dei conigli e dargli da mangiare, ma io e mio cugino Nathaniel ci eravamo messi a giocare e…»

«Hai anche un cugino?»

«Oh, sì, Nathaniel e sua sorella Charity, sono figli del fratello di mio padre, zio Frank. Vivevano nella fattoria vicina e li vedevo ogni giorno, e io e Nathan abbiamo la stessa età, quindi giocavamo insieme… ci eravamo messi a giocare anche quel giorno e mi sono dimenticato dei conigli, quindi quando è entrato mio nonno nel fienile gridando il mio nome ci siamo spaventati a morte! Siamo saltati giù da sopra le balle e io sono saltato sopra un rastrello coperto di paglia che non si vedeva, questo è il risultato.»

«Ahi.»

«Dovresti chiedere a mio nonno di raccontartelo, si piscia sotto di risate a raccontare di quel giorno!»

«Ma non fa ridere per niente.»

«Perché non è finito!» disse Crowley con un gran sorriso. «Sono saltato sul rastrello, un male del diavolo, porca miseria. Mio nonno è arrivato urlando e io son scappato via dal fienile praticamente su un piede solo! In realtà era preoccupato e voleva vedere se era una cosa grave, ma io lo sentivo urlare brandendo il forcone e pensavo volesse suonarmele, quindi ho continuato a scappare. Quando è riuscito a prendermi avevo superato di corsa tutto il campo e stavo scavalcando la recinzione dei campi del vicino…»

Alla fine il racconto riuscì a rompere l’aria abbattuta di Ferid, che suo malgrado sorrise.

«Mio nonno quando c’è un’annata di magra mi telefona e mi dice di andare a correre nel campo con un piede che sanguina, pare che non abbia mai avuto un raccolto tanto buono come quell’anno. In zona sembra sia diventato un buon auspicio quando un bambino si ferisce a un piede; sai come sono i contadini.»

Questo ulteriore aneddoto riuscì a strappare l’accenno di una risata a Ferid prima che prendesse un altro sorso di tè.

«Macabro e terribilmente ingiusto. Ora immagino vecchi contadini che costringono i nipoti a saltare sui chiodi per farli camminare nei campi.»

«Non credo arrivino a tanto… beh, speriamo.» fece il poliziotto, con una risata leggermente nervosa. «E tu? Le tue cicatrici hanno una storia divertente?»

«Divertente? No, niente del genere. Nessuna storia, in verità.»

«Ma va’, tutte le cicatrici hanno una storia!»

«Non proprio. Mi sono bruciato sul gomito sul tubo di un motore che scottava, niente di interessante da raccontare.»

«Beh, un bambino che si infilza il costato con una lancia non può essere una storia noiosa, ti pare?»

«Invece lo è, perché non è stato niente di che… la servitù le aveva tirate giù dalla parete per sostituire la carta da parati, le ha appoggiate su un tavolo con le punte sporgenti e io ci ho preso contro.»

«Ah, capisco…»

Avvicinò la tazza alle labbra per bere, ma si bloccò e gli lanciò uno sguardo costernato.

«C-cosa, hai detto servitù?»

L’espressione che passò negli occhi di Ferid era indiscutibilmente il terrore di chi si accorge di aver messo un piede in una tagliola.

«Hai detto che stavi in una casa di campagna, ma le case di campagna non hanno armi ornamentali sul muro!»

«La mia sì.»

«No, le ville di campagna le hanno… e i cavalli… l'anello!»

Crowley gli prese la mano e guardò l’anello come se potesse dargli ragione, sebbene l’avesse visto da vicino già altre volte. Ferid ritrasse la mano bruscamente.

«Smetti di fare il pazzo, per favore.»

«Ferid, che ne diresti di un pochino di onestà?»

«Non ho mai mentito, vivevo in campagna e mio padre collezionava cavalli. Non ho mai detto di essere nato povero o che altro.» ribatté lui, quasi ringhiandogli contro. «Non lo racconto a nessuno, perché nessuno vuole intorno persone interessate ai loro soldi! Sono più a mio agio ad avere un lavoro modesto e a tenere segreto il mio conto in banca… o per meglio dire, i miei conti in banca.»

«Ma io non lo sono, a me potevi dire la verità.»

«A tutti fanno gola i soldi facili… più sono, più persone ne restano ammaliate. Anche tu devi avere un prezzo, solo non sai quale sia.»

«Questo non è vero. Io non ho un prezzo.»

«Sì, ce l’hai.»

«No, non è vero.»

«Ce l’hai.» insistette Ferid, e lo fissò. «Pensa di poter avere così tanti soldi da fare tutto quello che vuoi. Tutto

«Non c’è niente che voglio al punto da vendere quello in cui credo.»

«No? Nemmeno curare tuo padre?»

Crowley, che stava per aggiungere altro, si interruppe. Non riusciva a capire dove stesse andando a parare quel discorso ma non gli piaceva; gli sembrava di essere sotto la lente d’ingrandimento di De Stasio.

«Con la pensione di agente di pattuglia probabilmente non può curare il suo diabete al meglio, non è vero? Pensa a tutte quelle persone in chiesa che hanno una malattia. Che forse non hanno accesso alle migliori cure possibili, ai trial più promettenti, alle strutture più avanzate… davvero non ti venderesti per un prezzo abbastanza alto da permetterti di aiutarli?»

Crowley non riuscì a guardarlo più a lungo e questo lo turbò ancora di più: era la prima volta che non riusciva a sostenere il suo sguardo. Lo posò invece sui resti abbandonati della sua Santa Brigida dentro uno svuotatasche, struggendosi al pensiero che potesse avere ragione.

Non si sarebbe venduto per diecimila dollari, o per cinquantamila, forse neanche per il doppio o il quadruplo; ma avrebbe potuto dire che non si sarebbe venduto per una cifra così assurdamente alta da permettergli di fare letteralmente qualsiasi cosa?

Qualsiasi cosa, come pagare le spese mediche di tutte quelle persone malate che conosceva, ristrutturare la casa andata a fuoco recentemente di una famiglia della sua parrocchia, finanziare in modo consistente un ospedale, una missione cattolica, costruire un pozzo dove non c’era acqua per chilometri, case sicure in città devastate da disastri naturali o afflitte dalla guerra, sostenere mogli e figli di colleghi di polizia che li avevano lasciati prematuramente...

Gli venivano in mente talmente tante cose che avrebbe potuto fare se avesse avuto tanti soldi da non poterli contare che si rese conto che, messo davanti alla concreta possibilità di averli, avrebbe considerato un egoismo rifiutarli per onore.

«Stai cercando di ferirmi?» domandò poi a Ferid, con la voce non del tutto ferma. «Perché è crudele cercare di farlo per ripicca.»

Crowley sentì un asciugamano posato delicatamente sulla testa, senza sapere da dove l’avesse ripescato, ma non gli importava.

«Non sto cercando di ferirti e non voglio svilirti. Solo, sei un uomo, e sei un uomo buono. Non sei arrogante abbastanza da non avere un prezzo, soprattutto se quel prezzo è in vite umane.»

Ferid si alzò dal divano.

«Sei un poliziotto, no? Lo sai. Dovresti aver visto abbastanza da sapere che con la leva giusta si può far chinare la testa persino a un mostro… o macchiare le mani di sangue a un angelo.»

Ferid gli passò davanti e andò al ripiano della cucina; il leggero acciottolio di ceramica e del cucchiaino gli disse che si era versato un’altra tazza di tè. Subito dopo tornò a sedersi accanto a lui e ne fu sorpreso, perché credeva che si sarebbe allontanato per evitare di proseguire oltre la conversazione.

«Ne parli… con uno strano tono.» gli disse, cauto. «Sembra che tu abbia un’esperienza amara di questo… hai scoperto qual era il tuo prezzo?»

«Più di una volta.» ammise lui, contro ogni previsione niente affatto restio a parlarne.

Pensò subito a Claude Trobiano, quell’uomo così tanto più anziano di lui, e al fatto che se come aveva già detto era morto da dodici anni voleva dire che l’aveva sposato poco più che diciannovenne. Non riusciva a non pensare che fosse stato un matrimonio di convenienza, nonostante tutto l’amore che Ferid diceva fosse esistito tra loro: probabilmente il brutto effetto collaterale d’essere un poliziotto della omicidi era il fossilizzarsi di preconcetti quando venivano ripetutamente riscontrati nella realtà.

«Me lo racconti?»

Quasi non si era accorto di essere stato lui a fare quella domanda. Ferid lo guardò per un attimo, perse lo sguardo nella tazza del tè come volesse leggervi se fosse o no una buona idea, e alla fine tese un sorriso privo di allegria.

«Raccontarle tutte sarebbe lungo, ma tu… vuoi sapere di mio marito, non è vero?»

«Cosa te lo fa pensare?»

«Sei un poliziotto. Avrai visto decine di mogli giovanissime accanto a uomini anziani e avrai avuto sempre ragioni per dubitare di loro… dubiti anche di me, immagino. Lo hanno fatto tutti… un ragazzo così giovane e così bello che appare all’improvviso e inizia a vivere in casa con un anziano vedovo solo e ricco… hanno tutti pensato che lo avessi preso all’amo, lo so.»

«Ed è andata così?»

«Sì… e no.» rispose lui. «È una storia lunga. Sono disposto a raccontartela, se prometti di mantenere una mente aperta.»

«Io ho in piedi quella specie di circo a tre piste con Connor da cinque anni, è ovvio che ho una mente aperta.»

Non solo, ma per amor di decenza limitiamoci a quella.

«Per spiegarti come sono finito a sposare Claude devo ripartire da un po’ prima. Tuo padre ti ha già detto che sono stato alla Saint Matthew e ti ho detto che mi sono diplomato lì, la primavera prima di compiere i diciotto anni.»

Crowley annuì e bevve un sorso di tè meccanicamente.

«Dopo il diploma ero confuso, non avevo nessuna idea di che cosa fare della mia vita. Non mi sentivo forte abbastanza per cercare di costruirmi una carriera, quale che fosse, quindi ho deciso di rimandare il college a quanto avrei saputo che cosa fare… la prima cosa, mi sono detto, è trovare un posto dove vivere! Non potevo più rimanere a scuola, quindi ho trovato un lavoro in un posto che offriva un alloggio ai dipendenti, per prima cosa.»

«A Red Chapel, essendo un quartiere altamente turistico, è abbastanza facile. Molti lavoratori vengono in città per la bella stagione, quando gran parte degli alberghi e dei resort di Red Chapel sono sempre al completo.»

«Infatti è andata così. Mi hanno assunto in un centro termale vicino al lido, ho fatto una formazione di un mese con un dipendente che lavorava lì da qualche anno, e poi ho lavorato per tutta la stagione estiva. È stato duro ma anche divertente, ed è stato un sollievo scoprire che ero in grado di lavorare senza troppi problemi.»

«Hai incontrato lì Claude?»

«No, ma ho incontrato lì Holly. Era la proprietaria del centro, e di alcune altre attività sul litorale. Quando la stagione stava volgendo al termine mi sono reso conto che non sarei riuscito a mantenermi fino alla primavera successiva, gli affitti come forse sai a Red Chapel sono mostruosamente alti. Non è una zona per viverci, per i lavoratori part-time.»

Crowley annuì: il lussuoso distretto di Red Chapel attraeva ben altri turisti rispetto alle famigliole con bambini in t-shirt e berretto da baseball; con il suo lido alla moda, le boutique di grandi firme, gli alberghi a quattro e cinque stelle e i ristoranti di chef rinomati era una zona che in termini di prezzi faceva concorrenza diretta al distretto di Holden, con la sede della Borsa, il più grande centro commerciale del paese e gli uffici amministrativi e legali di svariate multinazionali collocati in grattacieli caratteristici ed edifici di design.

«Non sapevo come far fronte all’inverno, avevo paura di non trovare un altro lavoro, perché per più di un mese non avevo ricevuto alcuna risposta dalle persone alle quali mi ero proposto. Poi, un giorno, Holly mi ha telefonato.»

Fece tintinnare il cucchiaino mentre lo girava nel tè; sembrava immerso nella sua memoria.

«Mi ha detto che aveva un lavoro per me se lo volevo, uno che mi avrebbe permesso di non avere più problemi con l’affitto o le bollette. Ovviamente io sono andato dove mi aveva dato appuntamento, anche se erano le nove e mezzo di sera mi sono preparato e sono uscito subito.»

«Un appuntamento così urgente alle nove e mezzo di sera?»

«Non mi importava quanto fosse strano, e poi mi disse di trovarmi davanti a una discoteca, quindi non mi sembrò niente di sospetto. Ho creduto fosse uno dei suoi locali, che volesse mostrarmelo e darmi un lavoro lì.»

«Non era così?»

«Non proprio… l’ho trovata lì davanti, insieme ad Arthur, il ragazzo che mi aveva fatto la formazione alla spa. Fu allora che mi disse che la sua principale attività era la sua agenzia di rent boys, e che tutte le altre sue attività, dove effettivamente lavoravano solo ragazzi giovani, erano vetrine della sua mercanzia.»

«Che cosa?»

«Anche io ero stato tutta l’estate nella sua vetrina e tanti clienti dell’agenzia avevano chiesto di me, quindi aveva deciso di reclutarmi. Non avevo ancora compiuto diciotto anni, ma mi ha mandato a chiamare per affiancare Arthur una sera e… vedere che tipo di lavoro fosse.»

«Ma che diavolo… è fin troppo ovvio che tipo di lavoro era! L’avrai mandata ad affogarsi in un secchio, mi auguro!»

L’espressione o forse il suo tono lo fecero ridere di gusto.

«In un secchio, dici?»

«L’hai fatto, vero?»

«No, non l’ho fatto~» disse lui con un tono inspiegabilmente allegro. «Per fortuna non l’ho fatto.»

Crowley non ne colse il senso ma aspettò che bevesse il tè e si decidesse da solo a proseguire.

«Come mi ha chiesto lei, ho affiancato Arthur per alcune sue uscite. Essendo minorenne non facevo nient’altro che accompagnarlo a qualche festa, aspettarlo mentre faceva il suo lavoro e cercare di schivare gente ubriaca, in maggioranza uomini, che cercava di allungare una mano su di me. Oh, niente di particolarmente pericoloso o molesto, rilassati… qualcuno che mi appoggiava la mano sulle gambe, o sulle spalle, cose del genere.»

«Ma perché… voglio dire, davvero non ti faceva… paura? Un lavoro del genere ti espone a rischi di ogni tipo… le malattie e i maniaci e non per forza in quest’ordine; non ti spaventava?»

«Sì. Sì, mi spaventava, ma Arthur… beh, lui sembrava stare bene. Diceva sempre che Holly si prendeva cura dei suoi ragazzi, e sembrava vero… quindi ho continuato ad andare, e poi… ho compiuto diciotto anni.»

Crowley accostò la tazza alle labbra per nascondere un certo nervosismo, ma si accorse che era già vuota e la abbassò.

«Holly mi ha dato un altro nome per la sua agenzia e la sera del due novembre mi ha portato a casa di un suo cliente… niente feste per me. In un certo senso si è presa cura di me, mi ha scelto un cliente affidabile e molto tranquillo per il mio primo lavoro.»

«Vuoi dire che… quel… quel cliente era Claude Trobiano?»

«Sì, era cliente di Holly da molti anni… Claude non ne ha mai fatto mistero, aveva moltissimi uomini e ragazzi nella sua agenda. Io ero una novità assoluta, Holly l’ha chiamato per dirgli che aveva un ragazzo nuovo e ha combinato l’incontro. Ah, avevo paura, detective.» ammise lui con un accenno di sorriso, e si passò le mani nella coda di capelli argentei. «Ero spaventato a morte e a ogni passo che ho fatto fuori dalla macchina di Holly fino alla porta ho pensato di scappare… ma per andare dove, mi sono chiesto? Non avevo nessuno, non avevo un posto dove stare e nemmeno soldi, ormai.»

«Penso che avrei avuto paura anch’io, al tuo posto.»

«Molto diplomatico~» fece lui. «Ma era stato un po’ il terrorismo dei più grandi… pensano sempre che avranno meno lavoro se arrivano i più giovani, quindi provano a spaventarli. Mi raccontavano di uomini che ti obbligano a bere una bottiglia di tequila, di donne che ti picchiano con quello che capita e che ti spengono le sigarette addosso, di sere in cui da un cliente solo all’improvviso ne apparivano due, tre, quattro… e ti risparmierò gli scenari più volgari che mi prospettavano.»

«Sì, grazie, ho già la pelle d’oca.»

«Prova a vestirti, detective~»

Crowley sbuffò come unica risposta al suo consiglio.

«Vai avanti, dai.»

«Dicevo: ero spaventato a morte. Vedere Claude sulla porta e il suo aspetto gentile non mi calmò, perché mi aspettavo che sarebbe diventato un mostro poco dopo, o che non fosse l’unico in casa… ma lo era. Era solo, ed era un uomo gentile.» raccontò, con un tono che andava ammorbidendosi. «Mi offrì un bicchiere di vino pregiato, mi chiese di dirgli il mio vero nome… si scusò con me quando un suo collega gli telefonò interrompendomi mentre gli parlavo del mio diploma. Sembravo un suo gradito ospite, anziché una… bambola seduta sul divano.»

Crowley non sapeva che cosa pensare di Claude Trobiano. Aveva visto le fotografie a casa di Ferid e gli era sembrato un uomo normale, aveva un aspetto gentile e cordiale, ma sapere che aveva una passione tale per i giovani ragazzi gli faceva sentire qualcosa di avverso nei suoi confronti.

«Mentre parlava mi sono alzato e sono andato a guardare i libri sulla scaffalatura… sono ancora oggi nello stesso posto di allora, nel soggiorno, e anche i libri sono gli stessi. Ne ho preso uno, e…»

Ferid guardò davanti a sé, allungò la mano destra e ritrasse il dito medio, come se stesse sfilando un libro invisibile da una mensola di volumi allineati. Sembrava molto coinvolto in quel ricordo.

«Ho cominciato a leggerlo, e questo… ha cambiato la mia vita per sempre.»

«Il libro?»

«Claude era stato un insegnante di letteratura e di storia del teatro. Aveva una profonda dedizione all’insegnamento… amava l’idea di trasmettere l’amore per la conoscenza, di fare la sua parte nella trasformazione dei bambini in adulti di cultura, di talento… che contribuissero allo sviluppo dell’umanità.»

In quel momento Crowley comprese le parole pronunciate da Ferid nella sala video della centrale riguardo a una missione importante tanto per lui come lo fu per Claude.

«Nulla lo ammaliava più di una mente curiosa, e quando mi ha visto leggere quel libro lui ha capito che io avevo il dono che lui amava di più. Aveva comprato il mio corpo per tre ore, e le abbiamo passate sul divano a leggere insieme quel romanzo, bevendo lui vino e io tè, e poi ha chiamato Holly dicendo che avrebbe pagato il supplemento e che mi voleva fino a mattina.»

«Ma sul serio?»

«Sì… abbiamo letto tutto il libro, e poi me lo ha regalato. Ha scritto una lettera per Holly e me l’ha data prima di lasciarmi uscire, la mattina dopo.»

«Che cosa gli ha scritto?»

«Che avrebbe pagato per l’esclusiva. Che mi voleva soltanto per lui. Holly non mi ha più preso altri appuntamenti se non con lui, ne abbiamo avuti tanti… in dicembre ero a casa sua quasi ogni giorno, e in tutto quel tempo mi ha toccato soltanto per accarezzarmi i capelli.» spiegò lui, con un tono amorevole mai sentito prima. «Era pazzo di me dal primo giorno, e io… non avevo mai avuto nessuno che mi stesse così vicino… che mi chiedesse di continuo che cosa volevo, che cosa pensavo di ogni cosa, e che mi facesse così tanti complimenti.»

Guardarlo attorcigliarsi l’indice in una ciocca di capelli e contemplare un angolo vuoto del suo salotto con così tanta dolcezza e nostalgia gli fece provare un bizzarro solletico allo stomaco. Sospettando di avere assunto un’aria cupa che non si sapeva spiegare usò l’asciugamano sulla testa per celare il proprio sguardo.

«Non avevo mai avuto qualcuno che mi amasse a trecentosessanta gradi, come faceva lui. Era sempre gentile, e generoso… si preoccupava della mia salute… mi preparava il tè ogni mattina, mi comprava nuovi libri, mi portava a teatro e a fare spese… mi seppelliva di regali senza un’occasione particolare… cercava di farmi ridere il più possibile… faceva tutto quello che poteva per compiacermi e per farmi stare bene… come adesso fai tu.»

Crowley, che a stare lì fermo ad ascoltare iniziava a sentirsi imparagonabile a un uomo devoto a quei livelli, fu preso in contropiede da quel commento e di riflesso smise di strofinarsi l’asciugamano sui capelli.

«Sono qui con te da pochi giorni… ma sto davvero bene. Mi sento come se avessi riavuto mio marito.»

Imbarazzante. Un po’.

«Non proprio, però, vero?»

«Per il sesso? Non preoccuparti di quello, io e mio marito non l’abbiamo mai fatto.»

«Cosa? Ma… ma non avevi detto che dopo sposati l’avevate fatto?»

«No, ho detto che eravamo sposati quando abbiamo deciso che era il momento di farlo… ma mio marito era già malato e non ha fatto altro che peggiorare negli ultimi mesi. In totale sincerità, io volevo farlo comunque, prima che se ne andasse… quando ci siamo sposati continuava a dire che mi avrebbe avuto soltanto quando sarebbe stato degno di me, ma non ha mai pensato di esserlo e io volevo che… se ne andasse sapendo che lo era. Ma non è proprio stato possibile, non sarebbe mai riuscito ad avere un rapporto. Non aveva quasi neanche la forza di parlare.»

Crowley non sapeva come si sentiva esattamente ascoltando quelle storie sul defunto marito di Ferid: in piccola parte gli pareva di essere geloso di un rapporto breve ma tanto profondo, era confuso dalla particolarità di quella relazione e incredulo che fosse tanto platonica, ma non dubitava che fosse vero. Lo sguardo di Ferid era pieno di una dolcezza tale che non lasciava dubbio che parlasse di qualcosa a cui teneva davvero.

Intrappolò le ciocche mosse dei suoi capelli rossi nell’asciugamano, e solo quando capì che Ferid non intendeva continuare decise di fare quella domanda che fra tutte ronzava più forte.

«Che cosa… intendeva dire con degno di te? Era pronto a prenderti pagandoti a moneta sonante o sbaglio?»

«Sì, ma questo era prima.»

«Prima di cosa?»

«Prima che si innamorasse di me. Te l’ho detto, lui vedeva delle meraviglie in me… vedeva solo cose belle, talenti che ammirava, doti che mi riconosceva… si era convinto che essendo anche molto più vecchio di me avesse molto da dimostrare prima di potersi proporre.» spiegò con un sorriso che tradiva un velo opaco sulla conclusione di quella storia. «Ma Claude era davvero un uomo straordinario… con una cultura enorme che non era limitata a letteratura, storia, musica e teatro. Era spiritoso, indulgente, e… in verità non so trovargli un difetto, se non l’essere stato oltremodo severo con se stesso incolpandosi della condotta del figlio più piccolo.»

Crowley riuscì a produrre un sorriso, ma fu incredibilmente difficile.

«Non scherzavi quando dicevi che eravate stati felici insieme.»

«No, non mentivo… anche se dopo tanti anni ho fatto l’abitudine a stare senza di lui, ora che abito di nuovo con qualcuno mi rendo conto di quanto mi è mancato.»

Ferid si abbarbicò sul divano a gambe incrociate e dondolò la tazza con un sorriso dipinto sulla faccia che confermava che il tempo doveva ormai aver trasformato il dolore in nostalgia; quel suo sorriso e quella dolcezza nel suo sguardo rievocava l’amore che quell’uomo gli aveva dimostrato, la felicità di quel periodo e il lungo, travagliato periodo di dolore che era alla fine maturato in una sorta di nostalgica serenità.

Crowley, con una vita costellata di relazioni brevi e per lo più superficiali basate sul sesso e su uscite divertenti e poco altro, non aveva la minima comprensione reale di un rapporto tanto profondo. Sceglieva i suoi partner in modo casuale, secondo ispirazione per così dire, tra le persone che conosceva e con le quali si trovava bene a lavorare o a parlare. Non aveva mai cercato negli altri qualcosa che gli mancava, né gli era capitato di accorgersi di averla trovata per caso.

Colse in quel momento l’abissale differenza di vissuto che li separava.

«Ferid… tu… che cosa cerchi?»

«Mh?»

«Quando vedi un uomo… o una donna, anche… che cosa ti fa pensare che lo vuoi? Perché uno anziché un altro?»

«Da dove ti viene una domanda del genere, adesso?»

«Hai trovato una relazione molto profonda con tuo marito… qualcosa che, in totale onestà, io posso immaginare a fatica. Mi chiedevo se in un uomo tu… cercassi un’altra relazione come questa, o se puntassi a qualcosa di diverso, ora.»

«Entrambe le cose, detective Eusford. Ho avuto una bella vita con Claude e vorrei qualcosa di uguale, ma vorrei anche qualcosa di diverso… vorrei qualcosa di più… completo. Quell’amore che è scritto dei romanzi, che resiste a tutto, che supera il tempo, persino il confine della vita… ah, so che è una leggenda, un sogno non diverso da quello della vita eterna… ma è questo che mi affascina davvero della letteratura sui vampiri.»

L'espressione perplessa di Crowley doveva essere molto chiara, perché Ferid ridacchiò.

«Troppo veloce? Proverò a spiegarmi meglio.» disse lui, sorridendo. «Il fascino dei vampiri… si può dire che sia nel loro stesso mistero, nella dannazione dell’anima che congela un corpo nella sua forma, nella loro eternità o nella paura della notte e dell’ignoto che rappresentano. La loro eternità, in particolare, li rende il desiderio di perdizione dell’uomo…»

Dall’inizio di quella discussione Crowley riuscì a sostenere di nuovo lo sguardo degli occhi celesti.

«Vivono nel sogno segreto dell’uomo di soggiogare la morte, di sfuggire al decadimento del corpo, di conquistare una vita senza fine e con essa l’immunità di fronte a Dio per la lussuria, l’egoismo e tutti i peccati possibili… ma per me… i vampiri sono il sogno di una vita senza fine… una vita senza malattia e senza separazione… il sogno di trovare la mia persona e vivere un amore veramente eterno.»

Crowley guardò il sorriso di Ferid per un tempo che gli sembrò dilatarsi veramente all'infinito.

«Ma va’.» disse alla fine, sentendosi spiazzato. «Chi lo pensava che fossi un uomo così romantico?»

«Ehh?! Vuol dire che non si era già capito?!»

«Ma proprio per niente!»

«Come sarebbe, con tutte le rose che ti ho mandato! Vuoi spezzarmi il cuore o che cosa?»

«Quelle non valgono, volevi solo portarmi a letto, lo so

«Ah, quanto sei crudele! Ecco perché ti piantano tutti, sei veramente mostruoso!»

«Sai, se lo dicessi senza ridere saresti più credibile.»

Ferid lo guardò di nuovo ed emise un curioso risolino a labbra serrate in un largo sorriso.

«Credibile, dare del mostro a te? Non farmi ridere, Crowley~»

«Oh, questo va molto meglio.»

«Questo?»

Crowley allungò la mano sfiorò il mento di Ferid. Lui non solo non si ritrasse, ma si sporse un po’ verso di lui.

«Dillo di nuovo.»

«Crowley~»

«Ancora?»

«Crow~ley~»

«Come suona bene…»

Se in qualche modo era riuscito a resistere la sera prima alla voglia di dargli un bacio prima di uscire di casa, in quel momento non riuscì nemmeno a pensare che sarebbe stato meglio evitarlo: era già vicinissimo alle sue labbra, quasi quanto la volta in cui Krul li aveva interrotti nel negozio, quando il suo telefono squillò sul tavolino facendolo sussultare e interruppe l’ennesima occasione.

«Scusa… è De Stasio, devo rispondere.»

Non aveva mai avuto meno voglia di rispondere a una telefonata di lavoro, ma prese lo stesso il cellulare e si accorse che quella in entrata era una chiamata video e non una normale. Si accigliò, visto che non ne capiva lo scopo, ma rispose comunque. Dopo un attimo di schermo nero apparve De Stasio, seduto a quella che sembrava la scrivania di un ufficio in disuso; dietro di lui erano stipate scatole e scatole di rapporti vecchie che non avevano trovato spazio nell’archivio.

«De Stasio, che succede? Perché questa novità?»

«Volevo vedere se eri presentabile, sto per aggiungere Skuld, Alford e McCray per un aggiornamento veloce.»

«Non sono presentabile.»

«Lo vedo, quindi vestiti almeno. Dov’è Ferid? È meglio se c’è anche lui.»

«Ah, eccolo, è qui.»

Crowley l’indicò con il pollice, senza pensare che De Stasio non potesse vederlo se non avesse girato l’inquadratura: non era affatto abituato alle videochiamate né a fare video in diretta social o alcuna di tali stravaganze moderne.

Si girò a guardare Ferid, dato che non aveva risposto all’appello pur avendolo sentito in vivavoce, e un momento dopo se lo trovò incollato alla bocca. Per quanto scientificamente impossibile sentì quasi rizzarglisi i capelli in testa e rimase senza fiato anche se il bacio era stato breve e castigato come quello di una ragazzina.

Ma cosa… ma che diavolo… ma è fuori di testa!

«Fe… Ferid! Sono in videochiamata, idiota!»

«Ma che vuoi che sia, non ci ho nemmeno messo la lingua!»

«Ma tu sei fuori, ma ti sembra il momento?!»

«Oh, quanto la fai lunga. È Dante, no? Che problema c’è? È un uomo di mondo, sa come vanno queste cose.»

«Sì, ma lui…!»

Dovette lottare per trattenersi e non andare oltre.

Lui non sa che vado anche con gli uomini, che diamine!

«Crowley, guarda che lo so.» disse De Stasio al telefono.

«C-che… che cosa sai?»

Il sorrisetto sulla faccia del suo collega non faceva presagire nulla di buono e Crowley si sentì stringere la gola leggermente.

«Lo so che vai con gli uomini. Anche con gli uomini.» si corresse lui. «E lo so da molto prima che tu incontrassi Ferid. Onestamente non so perché tu ci tenessi tanto a non dirmelo, ti ho detto più volte che non ti giudico da chi ti porti a letto se non ha meno di diciotto anni, e te l’ho detto perché è assolutamente vero.»

Non che si vergognasse di quello che faceva, perché non l’aveva mai fatto, ma per qualche motivo il giudizio di De Stasio, suo amico e suo mentore agli inizi della carriera, valeva più di quello di tutti gli altri. Forse perché era il suo mentore, forse perché era un uomo che ammirava e che voleva quasi emulare almeno professionalmente, la sua disapprovazione sarebbe stata dolorosa da sopportare.

«Adesso che lo sai legati i capelli e mettiti qualcosa addosso, che devo aggiungere gli altri alla conversazione. Dobbiamo parlare dei glifi e decidere se prenderli come qualcosa di sensato e indagarci sopra.»

«I glifi… oh, ti hanno fatto sapere cosa significano?»

«Beh… sì… ieri.» rispose lui, sorpreso. «Ferid, non gliel’hai detto?»

«Oh, dev’essermi passato di mente… sai, stavamo facendo un discorso estremamente importante poco fa~»

«Tu… tu hai saputo il significato dei glifi e ti sei messo a nascondere asciugamani, sul serio?»

«Ma quei glifi non hanno un senso, parlarne è inutile!»

«Ferid! Io sono un poliziotto, te lo ricordi, vero?! Non sei qui perché siamo sposati, sei qui perché da qualche parte qualcuno cerca di ucciderti e io cerco di salvarti, ti ricorda qualcosa? Raccontami queste cose prima delle altre cazzate!»

Se solo non fosse stato così offuscato dalla sua stessa insensata rabbia avrebbe notato quella che crebbe in Ferid a seguito di quelle ultime parole nei secondi in cui non se le rimangiò.

«Sei tu che mi hai chiesto di raccontarti le mie cazzate!»

Ferid trattenne il fiato e si coprì la bocca, esattamente come aveva fatto la volta precedente in cui gli era sfuggita una parolaccia davanti a lui.

«Sei veramente… impossibile!» sbottò poi, e sparì in camera da letto.

«Ferid… Ferid! Non scappare come al tuo solito, vieni qui!»

«Per la miseria, Crowley, litigate come due liceali.» commentò De Stasio. «Non l’aggredire, a che serve? In parte ha ragione, non sembrano avere un qualche senso logico, quelle parole. In ogni caso ti avrei aggiornato io, o McCray, al tuo prossimo turno.»

«Non sta a lui decidere cosa devo o non devo sapere su un caso che seguo!»

«Crowley. Sappiamo entrambi, anzi, tutti e tre che ti sei arrabbiato solo perché ti ha messo in imbarazzo. Ora molla qui il telefono così non vi sentirò, scusati decentemente e tornate tutti e due. Skuld non ha tutto il giorno per aspettare noi.»

Si sentì vagamente in colpa per aver esagerato il tono con Ferid, ma continuava a pensare che avrebbe dovuto dirgli dei glifi subito, per prima cosa.

Per quanto gli sembri di avere di nuovo suo marito, non lo sono. Per quanto io gli voglia bene, il mio lavoro è proteggerlo prendendo il Vampiro di West End, innanzitutto. Il resto può aspettare... deve aspettare.

Aveva appena appoggiato il telefono e si era alzato dal divano quando Ferid tornò dalla camera, con l’espressione ancora irritata, porgendogli degli abiti. Non rispose al suo incerto ringraziamento e si rimise sul divano, di nuovo a gambe incrociate. Fu in quel momento, mentre si vestiva in un angolo fuori dal campo visivo della telecamera, che pensò di non averglielo mai visto fare prima: era ben impresso nella sua memoria in molteplici occasioni con le gambe accavallate in modo elegante.

«Non ti avevo mai visto con le gambe incrociate.» gli disse, incerto se avrebbe ricevuto una qualche risposta.

«Mh? Oh, beh, a casa ci sto spesso. Quando non mi vede nessuno, a casa dei miei era una cosa da zoticoni, quindi… penso sia sempre una cosa da non fare in pubblico.»

Beh… ho avuto quello che ho chiesto. Sta mollando tutte le maschere e le inibizioni… ma ora mi chiedo se lo saprò gestire…

Crowley infilò per ultima la maglia e tirò su le maniche com’era abituato a fare, prima di risedersi sul divano di traverso, di modo che Ferid potesse vedere lo schermo da sopra la sua spalla. De Stasio annunciò che avrebbe aggiunto McCray, Alford e Horn alla chiamata e Crowley attese, chiedendosi se non fosse rimasto l’ultimo poliziotto a Satbury così arretrato sull’uso di un cellulare. Si rabbuiò all’istante quando si sentì toccare i capelli e fissò Ferid nel quadretto della telecamera.

«Smettila, per favore.»

«…Volevo solo legarti i capelli…»

«Non importa, non li vede nessuno.»

Sembrava che Ferid volesse dirgli qualcosa, ma poi rinunciò e il suo sguardo si abbassò verso un punto imprecisato del tavolino o del pavimento. Si rese conto subito di essere pericolosamente alterato e che avrebbe finito con il ferirlo seriamente se non si fosse dato una calmata, così chiuse gli occhi e si pizzicò l’attaccatura del naso.

Non è successo niente, no? Stavi per baciarlo tu prima che squillasse il telefono, non serve negare che lo volevi. Dante se l’aspettava da settimane ormai… forse fin dal primo giorno in cui gli hai parlato di lui. Ora dacci un taglio. Gli hai detto che gli avresti insegnato a fidarsi. Prenderlo moralmente a sberle non è il modo per farlo, perciò dacci un sacrosanto taglio.

Sospirò e riaprì gli occhi, vedendo lo schermo diviso in più riquadri con visi familiari: il più nitido era quello di Horn, con i capelli biondi impeccabili seduta a una scrivania di vetro che non apparteneva al loro distretto. Hank si aggiustò al volo la cravatta e Alford sistemò l’inquadratura, centrando il proprio viso con il telefono appoggiato da qualche parte sulla scrivania.

«Ferid.» disse piano Crowley, voltando appena la testa. «Fammi un favore, ti prego.»

«Che cosa?»

«Legami i capelli. Non sono abituato a tenerli così e mi stanno dando fastidio.»

Ferid sorrise e gli passò le mani tra i capelli rossi per districarli prima di mettersi a intrecciarli, mentre Crowley osservava Alford mentre presentava brevemente McCray a Horn, che evidentemente non si erano ancora incontrati data l’improvvisa partenza di lei per certi affari importanti a Quantico.

Quel suo istinto irlandese gli diceva che stava per succedere qualcosa di grosso.

   
 
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