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Autore: evelyn80    21/10/2020    2 recensioni
Raccolta di shot sui compleanni dei membri fondatori dei Chicago. Trattasi di AU in cui Terry Kath e Laudir de Oliveira sono ancora vivi e vegeti.
L'ultimo capitolo, "Bonus Track: Laudir de Oliveira", partecipa al contest "Countdown" indetto da Soul_Shine sul forum di EFP
Genere: Comico, Demenziale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Altri
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Make me smile'
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Lee Loughnane

 

 

Los Angeles, 21 ottobre 2020

 

Lee aspettava, impettito davanti all'uscio dello “Spago” di Beverly Hills, l'arrivo dei suoi invitati. Non appena li vide scendere dall'auto, il trombettista si fece loro incontro, accogliendoli con strette di mano. *1
«Benvenuti! Sono proprio contento che siate riusciti a venire».
«Lee, siamo noi... Jimmy e Wally. Non fare tanto lo snob, per favore. Quando ti comporti così ha ragione Terry a prenderti per il culo!», ribatté il trombonista alzando la voce.
Lee lasciò cadere le spalle. «Nemmeno con voi mi riesce fare bella figura?», chiese, per poi scrollare il capo. «Andiamo, su», riprese, facendo strada agli altri due verso il ristorante, «la nostra cena ci attende».
«Ma come?», domandò Walter, stupito. «Non aspettiamo gli altri?».
Lee si voltò a guardarlo inarcando le sopracciglia. «Gli altri?! Non crederai forse che abbia invitato anche quello zotico di Terry, vero? Per farmi cacciare via come un pezzente? Non se ne parla proprio!».
Gli altri due si lanciarono un'occhiata colpevole. Non appena Lee li aveva chiamati per invitarli al suo compleanno, loro avevano immediatamente esteso l'invito a tutto il resto della band.
«Okay, Terrence non è il massimo dell'eleganza», ammise poi James con una risatina, dando un colpetto con la mano al quadernino nascosto in profondità nel suo borsello, con le pagine ormai piene dei nomi dei ristoranti da cui erano stati bannati, «ma perché non hai invitato almeno gli altri ragazzi?».
«Se avessi invitato Danny avrei dovuto per forza invitare anche Terry», replicò Lee, incrociando le braccia sul petto. «Quei due sono culo e camicia. Laudir è troppo dozzinale per i miei gusti...».
«È il nostro percussionista ed è un grand'uomo!», replicò Walter, ma il trombettista continuò come se non lo avesse nemmeno sentito.
«E Robert e Peter sono così... sciatti. No, ho preferito invitare solo voi due, per riunire la Hole in the Ass Gang come ai vecchi tempi!». *2
James e Walter si lanciarono una seconda occhiata eloquente mentre seguivano il compagno di band all'interno del lussuosissimo ristorante.
«Forse sarebbe stato meglio se, prima di invitare gli altri a sua insaputa, glielo avessimo chiesto», sussurrò il trombonista, storcendo la bocca per non farsi sentire.
«Ma scusa», replicò il sassofonista, borbottando a sua volta, «io l'ho dato per scontato che avrebbe invitato tutti. E sarebbe stato anche logico! Bastava che scegliesse un altro ristorante, invece di invitarci in un posto dove non si può nemmeno aprire la bocca per mangiare!».
James trattenne a stento una risata. «E se non si può aprire la bocca, come faremo?».
«Boh... magari ci infileremo la roba su per il naso».
«O su per il culo», suggerì il trombonista, cercando di sghignazzare il più silenziosamente possibile.
Un cameriere vestito come un pinguino, talmente rigido che pareva avesse un bastone infilato nel didietro, aveva appena consegnato loro tre menu rilegati in cuoio marocchino quando i pesanti battenti del ristorante si aprirono di nuovo, e un coro di voci sguaiate – che fece alzare il capo a Lee, allarmato – spezzò il silenzio rigoroso del locale.
Il maître di sala si fece incontro ai nuovi arrivati. «Buonasera signori, avete prenotato?», chiese, in un sussurro appena udibile e facendo loro un inchino.
«Hai perso qualcosa?», chiese l'omone in testa al gruppo appena entrato, chinandosi come il maître e fissando attentamente a terra.
«No signore».
«Ecco, allora datti una raddrizzata e parla più forte. Siamo mezzi sordi e non ti abbiamo sentito!». *3
«Ho chiesto se avete prenotato, signori», chiese di nuovo l'addetto del ristorante, alzando un poco la voce.
«Noi no, ma siamo insieme a quel tipo», rispose l'omone, indicando Lee che si era alzato da tavola talmente in fretta da rischiare di rovesciare la sedia.
«Terry!», sibilò il trombettista, fissando i nuovi arrivati. «Peter... Danny! Ci siete tutti?».
«Perché, speravi che mancasse qualcuno, buco del culo?», replicò candidamente il chitarrista, avvicinandosi al tavolo e battendogli due vigorose pacche sulla spalla.
«Chi vi ha detto che eravamo a cena qui?», chiese di nuovo Lee, non appena ebbe ripreso fiato.
«Glielo abbiamo detto noi», rispose Walter, incrociando le braccia sull'ampio petto. «Non immaginavamo certo che non avresti voluto invitarli!».

La faccia del trombettista divenne paonazza e, se avesse potuto, avrebbe ricoperto tutti di insulti. Ma per evitare di fare altre figure di cacca e di essere cacciato in malo modo, si trattenne e fece buon viso a cattivo gioco.
«Sì, sono miei ospiti», disse quindi in un sibilo secco rivolto al maître, che protestò.
«Ma, signori, questo è un tavolo per tre persone. Non possono prendervi posto otto commensali!».
«Non preoccuparti, pinguino, basta strizzarsi un po'», rispose Terry stringendosi nelle enormi spalle e prendendo una sedia libera da uno dei tavoli vicini senza neanche chiedere il permesso. Gli altri membri dei Chicago lo imitarono e tutti si strinsero al tavolo che, per fortuna, trattandosi di un ristorante di lusso era abbastanza ampio.
Dopo che Laudir ebbe colpito ben bene più volte il cranio di Lee col suo bastone per fargli gli auguri, Danny strappò il menù dalle mani del trombettista e iniziò a sfogliarlo.
«Allora, che si mangia di buono, qui?».
«Io spero che le porzioni siano generose», aggiunse Robert. «A pranzo non ho mangiato un cazzo, perché Peter ha bruciato lo sformato di zucchine, e adesso ho una fame da lupi».
«Non è necessario che tu lo spiattelli ai quattro venti!», replicò piccato il bassista, per essere messo subito a tacere da un bacio del suo compagno. Alcuni degli occupanti degli altri tavoli storsero il naso a quella manifestazione d'affetto troppo vistosa tra due uomini anziani.
«Beh? Che c'è, non avete mai visto due persone che si baciano?», sbottò Terry rivolto a nessuno in particolare, facendo vagare lo sguardo nell'ampia sala.
Lee si coprì la faccia con le mani. «Vi prego, non fatemi cacciare dal ristorante. Ve lo chiedo per pietà!».
Mentre i Chicago sceglievano le portate dal ristretto menù il silenzio scese di nuovo nel salone. Gli avventori dello “Spago” erano talmente educati e snob che non si sentiva neppure il rumore delle posate che sbattevano nei piatti.
Laudir si guardò attorno per un po', le labbra arricciate. «Che mortorio», sbottò infine, iniziando a suonare le proprie stoviglie – appena recapitate da uno dei tanti camerieri/pinguino – con coltello e forchetta.
Lee gli lanciò un'occhiataccia e il brasiliano posò le posate con uno sbuffo seccato. «Que aborrecido», borbottò nella sua lingua natìa. *4
Quando le portate vennero recapitate, i timori di Robert – e anche quelli di Terry, in verità – furono confermati. Gli spaghetti al nero di seppia del tastierista erano composti da cinque fili di pasta di numero, avvolti stretti stretti nel centro del piatto; e lo stesso valeva per il risotto ai funghi di Danny: un misero mucchietto di chicchi ancora perlati posizionati con il coppapasta per dargli una forma perfettamente circolare. *5
Il batterista fissò il piatto con occhio critico, raccolse tutto il contenuto con una sola forchettata e se lo ficcò in bocca, deglutendo senza nemmeno masticare e rischiando di strozzarsi.
«Non te l'ha mai detto la mamma che la masticazione è molto importante? È la prima fase della digestione!», gli ricordò Terry, battendogli vigorosamente tra le scapole.
«Lo so benissimo», replicò Danny una volta ripresosi. «Ma era talmente crudo che, se lo avessi masticato, mi sarebbe rimasto tutto appiccicato alla dentiera e sarei dovuto andare dal dentista a farmela ripulire!».
Peter si mise involontariamente una mano davanti alla bocca. «Non farmi pensare al dentista, per carità! Anch'io devo andare a farmi sbiancare i denti, e non ne ho nessuna voglia». *6
E mentre Robert risucchiava rumorosamente gli spaghetti, James masticava gli agnolotti a bocca aperta e Walter cercava di togliersi una foglia di prezzemolo rimasta incastrata tra i denti usando l'unghia del mignolo, Lee si sbatté di nuovo le mani sulla faccia.
«Vi prego, vi scongiuro... comportatevi civilmente...», ansimò.
«Sta' calmo, buco del culo. Non abbiamo mica ancora combinato nulla», rispose Terry col sorriso equino che gli si andava espandendo in faccia.
«Appunto...», borbottò il trombettista. «Non avete ancora fatto nulla e già vi guardano tutti!».
I secondi piatti furono miracolosamente consumati con relativa educazione, ma quando arrivò il momento del dolce la situazione precipitò drasticamente; in special modo quando Laudir, per vincere la noia e – soprattutto – per vendicarsi del trombettista che non lo aveva ufficialmente invitato al suo compleanno, iniziò a lanciare a destra e a manca i lamponi del suo dessert, cercando di centrare i bicchieri dei suoi compagni di band.
Aveva una buona mira, e riuscì a fare centro con tutti. Allora Terry, tanto per rendere le cose più avvincenti, lo sfidò a centrare il bicchiere dei commensali sistemati al tavolo accanto a loro.
Il brasiliano non si lasciò pregare e accettò subito la sfida.
«Laudir, ti prego, no...», sibilò Lee, ma il percussionista fece orecchie da mercante: chiuse l'occhio sinistro per prendere meglio la mira e calcolare le distanze, poi lanciò il lampone.
Il suo fu un centro perfetto, peccato però che il bicchiere che aveva mirato fosse pieno di vino. Il liquido giallo paglierino schizzò sulla tovaglia, cogliendo la sua proprietaria di sorpresa. La signora si lasciò sfuggire un gridolino, e subito il suo accompagnatore si alzò da tavola per accertarsi delle sue condizioni. Non appena vide il piccolo frutto rosso che languiva sul fondo del bicchiere lanciò uno sguardo bieco verso il tavolo dei Chicago.
Terry e Laudir fecero un cenno di saluto con la mano, mentre Lee avrebbe voluto sprofondare sotto il pavimento.
Quello che non si aspettavano, però, era che il distinto signore avrebbe risposto al fuoco. Con aria truce afferrò il bicchiere della sua consorte e ne lanciò il contenuto in direzione dei due anziani musicisti seduti accanto, che furono lesti a scansarsi l'uno da un lato e l'altro dall'altro. Il vino attraversò la breccia lasciata aperta dalle loro teste e andò a schiantarsi sulla tovaglia e sulla giacca del completo buono di Lee, che lanciò un grido stizzito.
Terry guardò il vicino di tavolo con ammirazione e poi, senza dire né ai né bai, afferrò il proprio soufflé al cioccolato fondente e glielo tirò, come fanno a volte le scimmie in gabbia allo zoo con la propria popò. L'uomo schivò e il dessert si spiaccicò sulla schiena della sua signora, che iniziò a urlare come una bertuccia. *7
In pochi minuti si scatenò una battaglia di proporzioni epiche: sette dei Chicago lanciavano praticamente qualsiasi cosa in direzione del tavolo accanto al loro, mentre il signore rispondeva a due mani, accompagnato dalle grida isteriche della moglie. I camerieri cercarono di intervenire, ma furono sopraffatti dal lancio di cibarie.
Lee, ormai definitivamente rassegnato, si alzò con le spalle chine, mise mano al portafogli e si diresse alla cassa, per pagare il salatissimo conto. Dopodiché lasciò il locale senza nemmeno avvertire gli altri e si mise seduto sul marciapiede lì davanti, la testa tra le mani e un'espressione sconsolata stampata in faccia.
Dopo pochi minuti venne raggiunto dai suoi compagni di band: i camerieri si erano coalizzati tutti insieme ed erano infine riusciti a cacciare sia i Chicago, sia gli occupanti del tavolo vicino. Subito dopo di loro, infatti, marito e moglie avevano lasciato il locale tra sguardi inferociti e minacce neanche troppo velate.
«E così ce l'avete fatta... siete riusciti a farmi cacciare dal mio ristorante preferito», sospirò il trombettista quando tutti gli altri si furono accomodati per terra accanto a lui, le gambe incrociate come un clan di Sioux.
«Andiamo, non te la prendere Lee», disse Terry, abbracciandolo e sporcandolo di crema pasticcera. «In fondo questo ristorante era troppo chic anche per te».
«Ma sì, dai», aggiunse Danny, dandogli un buffetto scherzoso. «Ci sono un sacco di ristoranti alla moda qui a Los Angeles. Non sarà mica la morte di nessuno se non potrai tornare proprio in questo».
«E poi», continuò James, «ti sei comportato da vero gentiluomo. Sei andato a pagare senza battere ciglio e ci hai lasciato come dei salami a combattere a suon di dolciumi con quell'altro tizio!».
«E cosa avrei dovuto fare, secondo te?!», ribatté Lee, alzando il capo di scatto. «Mettermi a bersagliare anch'io quel tipo lanciandogli la mia uva?».
«E perché no?», rispose Laudir con una risata. «Sarebbe stata una bella idea».
Il trombettista scosse di nuovo il capo, poi si alzò in piedi e fissò i suoi compagni di band dall'alto in basso.
«Sapete che vi dico? Forse avete ragione: dovrei proprio prendere di mira qualcuno...».
Si ficcò le mani in tasca e le trasse piene di caramelle, che aveva preso da una ciotola posta vicino alla cassa prima di uscire dal ristorante. Si allontanò di un paio di passi e iniziò a tirarle, con tutta la forza che aveva, contro i suoi fratelli. Quelli scoppiarono a ridere, gioiosi, coprendosi la testa con le braccia per ripararsi dai colpi mentre Laudir, già pronto all'azione, si mise in piedi e cominciò a respingere le caramelle col bastone.

 

Spazio autrice:

AUGURI LEE!
E siamo arrivati, alla fine, all'ultimo compleanno. Avrei voluto andarci giù più pesante, con lui, ma poi ho seguito l'ispirazione e ho scritto ciò che avete appena letto, con un finale forse un po' fluffoso, con il trombettista che si vendica dei suoi amici, ma volevo far capire che in fondo, nonostante tutto, i Chicago si vogliono bene per quello che sono.
Comunque, Lee avrebbe voluto mangiare da solo con gli altri “fiati”, ma Jimmy e Wally hanno spiattellato a tutti in quale ristorante sarebbero andati, quindi l'obiettivo del nostro trombettista non è stato raggiunto.
Mi dispiace lasciare Laudir senza un compleanno, ma non voglio nemmeno aspettare il 6 gennaio, quindi prima o poi (prima della fine dell'anno) arriverà un capitolo bonus anche per lui.
Spero di aver fatto sorridere, e vi lascio alle note numerate.
*1 - Lo “Spago” è uno dei ristoranti più famosi e chic di Beverly Hills. Ho preso spunto dal menù del ristorante per scegliere quali pietanze far mangiare ai Chicago.
*2 – Come già detto più volte, “Hole in the Ass Gang” era il nomignolo che si erano auto affibbiati i fiati dei Chicago.
*3 – Questo scambio di battute è un rimaneggiamento di quello che si trova nel film “Non c'è due senza quattro” con Bud Spencer e Terence Hill. Terence, che interpreta insieme al collega il sosia di un miliardario brasiliano, la rivolge agli autisti che si inchinano davanti a loro quando vanno a prenderli all'aeroporto, dicendo: “Vi siete persi qualcosa?”, e quando gli autisti rispondono di no, Bud aggiunge: “Allora datevi una raddrizzata e prendete il bagaglio”. Anche nel mio caso, è un certo Terrence (anche se con due “r”) a pronunciare la battuta.
*4 – “Que aborrecido” significa, in portoghese, “che noia”.
*5 – Il riferimento al riso ancora perlato prende spunto da una cosa che mi è accaduta parecchi anni fa. In un ristorante chic di Firenze mi servirono un risotto talmente crudo che i chicchi erano ancora perlati. Premetto che a me il riso piace quando ormai è diventato colla per i manifesti XD.
*6 – Piccolo riferimento alla mia flash “Vincere le proprie paure”, in cui si parla appunto della paura di Peter di andare dal dentista.
*7 – Anche questo è un riferimento a un fatto realmente accaduto. Quando ero in quarta elementare ci portarono in gita allo zoo di Pistoia, e una delle scimmie lanciò la sua popò alla maestra XD.

  
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