Fanfic su artisti musicali > Demi Lovato
Segui la storia  |       
Autore: crazy lion    21/10/2020    1 recensioni
Attenzione! Questa storia si ricollega alla mia fanfiction Cuore di mamma. Leggete prima quella per evitarvi spoiler. C’è un accenno a qualcosa che accadrà nel prossimo capitolo e un altro, lieve, riferito a un fatto raccontato nel libro di Dianna De La Garza, Falling With Wings: A Mother’s Story, non ancora tradotto in italiano.
Le cose che accadono qui non sono tutte presenti nella mia long.
Il cane? È il miglior amico dell’uomo, o della donna, nel caso di Demi. Ne ha già avuti due, si chiamavano entrambi Buddy e avevano un cuor di leone che non dimenticherà mai. Adottare Batman, un tornado di due colori, l’ha aiutata ad affrontare il dolore. Sua figlia Mackenzie, di sei anni, con un passato turbolento ma costellato di speranze, è molto legata a lui. Come la mamma le ha insegnato, non rinuncia alla sua fantasia e ai propri sogni. Fra questi, un’avventura indimenticabile fatta di amicizia, coraggio e lealtà. Non solo la propria, ma anche quella di sette cuccioli fantasma.
Storia stilata con Emmastory.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione veritiera del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Genere: Avventura, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 2.

 

L’INIZIO DELL’AVVENTURA

 
Si ritrovò in un luogo sconosciuto. Si era immaginata di finire in uno di quei posti dei quali aveva sentito parlare in qualche film, in cui la persona arriva anche in un altro tempo e si sente trasportata in quel luogo, atterrando malamente. Nel suo caso, invece, non ci fu nessun atterraggio, né sentì dolore alle ossa. Tutto pareva essere accaduto nel giro di un attimo e, nonostante la sorpresa, la bambina non provò altro. Rimase per un istante senza respiro, ma subito dopo cercò di capire dove si trovava e di abituarsi a quel posto, e soprattutto all’oscurità che la circondava e la sovrastava. Tutto era nero, dalla notte forse perenne, dato che vicino e intorno a sé sentiva comunque il ronzio delle cicale che, normalmente, cantano di giorno, alle cortecce degli alberi, cosa che per qualche secondo le tolse il fiato dato che sembravano morti, al suolo, alle foglie, all’erba, agli aghi di pino caduti per terra, a ogni altra cosa che vedeva, persino alcuni insetti dei quali conosceva il colore, come vespe, farfalle o api, che di solito non sono nere. L’erba era bassa, si rese conto camminando, il che le fece tirare un sospiro di sollievo: Andrew e Demi, i suoi genitori adottivi, le avevano sempre detto che in quella alta di solito si annidano animali pericolosi come vipere o altri serpenti. Il prato in cui si trovava era grande, tanto che non riusciva a vederne la fine e gli alberi piantati su due lati, a destra e a sinistra di lei. Sembrava una specie di giardino con delle piante più che un vero e proprio bosco. Ma qualsiasi cosa fosse, doveva trovarne la fine per uscire, far sì che il sogno terminasse e ritornare alla realtà.
Prese a camminare piano, un passo dopo l’altro, a ritmo costante, facendo attenzione a dove metteva i piedi a causa del buio quasi totale. Per alcuni metri procedette con facilità, ma a un certo punto mise il piede su qualcosa – un sasso? – e scivolò, ruzzolando a terra. Aprì la bocca per gridare, ma non ci riuscì. Perché si rendeva conto che non poteva parlare solo quando aveva già fatto quel gesto? Si rialzò a fatica, pulendosi dalla polvere che le era finita sui pantaloni e massaggiandosi una caviglia, che però non doveva essersi slogata, e proseguì. Il sentiero si interruppe bruscamente per lasciare il posto a un altro, che partiva dalla sua destra e a un seguente, a sinistra. Dove andare? Non riusciva a capire quale fosse il più corto o il più pericoloso, per cui fece la conta e svoltò a destra. Come in quello che aveva appena lasciato, anche lì il terreno era coperto di sassi, foglie degli alberi e fatto di salite e discese, a volte piuttosto ripide. Quando rischiò di cadere da una di esse, forse un piccolo burrone, riuscì a urlare – a volte ne era capace – e tornò indietro con il cuore che le batteva all’impazzata e la gola secca. Una volta sul sentiero iniziale si sedette per riprendere fiato, e fu allora che si accorse che, sulle spalle, portava un piccolo zaino. Non sentiva acqua in lontananza e, sicura di non trovare un fiume o un ruscello, la sua unica speranza era lì dentro. Lo aprì con mani tremanti, tossendo più volte mentre la gola le bruciava per la sete, e dentro trovò una bottiglietta d’acqua. Bevve alcune sorsate, tenendo però la maggior parte per il futuro, non sapendo cosa le sarebbe accaduto, e una tavoletta di cioccolato alle nocciole e una al biscotto. Aprì la seconda e ne mangiò quattro quadratini. Sospirò di sollievo, almeno lo stomaco non avrebbe brontolato per un po’. Sarebbe stato meglio aspettare che venisse giorno. Chissà, magari allora in quella specie di labirinto avrebbe incontrato qualcuno, una persona che viveva lì, che le avrebbe dato una mano. Si addossò a un albero e disse qualche preghiera.
Signore, ti prego, fa’ che non mi succeda niente di brutto. Vorrei che questo sogno fosse un’avventura, ma divertente, non spaventosa, e poi tornare a casa dalla mia famiglia, essere lì quando mi sveglierò. Puoi aiutarmi?
Recitò le preghiere di rito e, dopo un finale Amen, si distese. Il terreno era soffice, ma la schiena le dolse fin da subito dato che non si trovava nel suo letto, e tutte le ossa parvero cominciare a scricchiolare. Sospirò, rilassata. Sarebbe andato tutto bene, ne era sicura, quella notte non avrebbe avuto nessuna brutta sorpresa. Chiuse gli occhi e la stanchezza ebbe presto la meglio su di lei, facendola scivolare in un sonno profondo.
Ma il giorno non arrivò. Mackenzie se ne rese conto quando, svegliatasi dopo alcune ore, vide che era ancora buio. Rimase ferma e aspettò, aspettò e attese ancora, ma più il tempo passava, più nulla cambiava. Sempre oscurità e un silenzio così profondo che, a volte, il suono del suo stesso respiro spaventava la bambina facendola sobbalzare appena, ogni tanto. Nessun uccellino rallegrava l’aria di quel luogo con il suo dolce canto, c’erano insetti colorati, ma li sentiva, non li vedeva, e non parevano esserci bei fiori da guardare, né anima viva a parte lei. Il pensiero di essere lì sola non era rassicurante, ma non aveva davvero paura e si domandò il perché. Forse la sua testa, che doveva sapere benissimo che stava sognando, la voleva far ragionare. I sogni sono frutto delle nostre esperienze, di ciò che sentiamo o che, a volte, non sappiamo nemmeno di provare, perciò forse, se l’avesse voluto davvero e con tutte le sue forze, qualcuno lì avrebbe potuto esserci. Ma chi? Pensò ai suoi genitori, ma non era convinta di volere proprio loro accanto in quel momento.
In questo sogno voglio vivere un’avventura. Magari con delle difficoltà, ma nulla di troppo pericoloso, se possibile.
Lo pensò più volte, annuendo con vigore, e si domandò quando sarebbe cambiato o successo qualcosa. Sorrise. Chissà chi avrebbe conosciuto.
Passarono diversi minuti, o forse pochissimo tempo, lì tutto sembrava durare un’eternità, quando una luce catturò la sua attenzione. Era lontana, debole, ma c’era. Oltre a quella, però, il nulla. Chissà cos’era. La bambina si alzò in piedi e le gambe le tremarono appena, fece qualche veloce passo, ma si fermò di botto. La mamma, e non solo Demi, anche la sua vera madre, le aveva sempre detto di non fidarsi degli sconosciuti, di non parlare con loro, perché non si poteva mai sapere se fossero persone buone o cattive. E se quella luce fosse stata della torcia di qualcuno che poi le avrebbe fatto del male? Non aveva idea di cosa sarebbe potuto accaderle, ma il solo pensiero che quel qualcuno avrebbe potuto scottarla con una sigaretta sul viso, passandola avanti e indietro, come aveva fatto l’uomo malvagio con lei e Hope dopo aver ucciso i suoi genitori – la bambina ne portava i segni, alcune lunghe cicatrici sulle guance –, la fece indietreggiare. Si sdraiò a terra con il cuore in tumulto. Respirava male, come se avesse avuto un macigno sul petto, e tremava da capo a piedi. Se avesse cercato di rialzarsi, ne era sicura, sarebbe caduta, ferendosi. Non avrebbe voluto ricordare, in quel momento. Non era come quando andava dalla psicologa. Lì, attraverso il gioco, il disegno e la scrittura, cercava anche di far tornare i ricordi. Catherine non l’aveva mai forzata a farlo, la lasciava parlare e seguiva i suoi ragionamenti, le chiedeva alcune cose… Era gentile, quella ragazza, sapeva come prendere i bambini che avevano qualche problema, come lei. Ma quei mesi di terapia non erano serviti a un granché, e Mackenzie si era stancata. Le aveva detto di non voler più provare a ricordare con tutta quell’insistenza, perché ciò la faceva sentire male, per cui per il momento si stavano concentrando su altro: la scuola, l’amicizia tra lei, Elizabeth e Katie, la situazione abbastanza serena a casa, il rapporto con gli altri compagni che, dopo il bullismo subito e qualche presa in giro che ancora accadeva, non era del tutto stabile e sereno. Mackenzie voleva ricordare, solo che non desiderava farsi venire ogni volta crisi o mal di testa per questo.
Ma in quel momento, nel suo sogno, proprio non se la sentiva. I pensieri non si possono controllare, ma cercò di scacciare quelli più cupi, purtroppo senza risultato. La voce dell’uomo cattivo, però, le rimbombava nelle orecchie e quei due spari, colpi che avrebbero cambiato la sua vita e quella della sorella per sempre, distruggendo tutto ciò che avevano avuto e che l’avevano distrutta. Ricordò i suoi genitori che cadevano a terra con un colpo al petto a testa, immersi in poco tempo in un lago di sangue, e che erano morti poco dopo, ancora prima che arrivassero i vicini e chiamassero i soccorsi e la polizia. Loro, che erano sempre stati così forti, degli eroi, persone buonissime per come Mac li aveva sempre visti, erano stati uccisi. Eppure, nella sua fantasia di bambina, aveva sempre pensato che due come i suoi genitori potessero fare ed essere qualsiasi cosa, anche immortali. Le venne in mente Hope che piangeva disperata mentre Mackenzie, a fatica, la teneva in braccio, e fissava nel vuoto, scioccata. Si portò le mani alle guance, ricordando il dolore lancinante di quella sigaretta, e i pianti di Hope, così forti che aveva creduto sarebbe morta per quel bruciore che, almeno a lei, pareva aver sciolto pelle e ossa.
Calde lacrime presero a rotolarle lungo le guance. Non le asciugò, anzi, le lasciò scorrere, permettendo loro di bagnarle il collo e i vestiti. Aprì la bocca in un grido silenzioso, un urlo che avrebbe tanto voluto liberare. Inspirò e poi espirò forte, a bocca aperta, e quello stratagemma la fece sfogare almeno in parte. Gli occhi le bruciavano e le dolevano, e le pareva di trovarsi in parte lì, in parte nella sua vecchia casa. Ne rivedeva ogni dettaglio: l'open space piccolo, un minuscolo bagno lì accanto, i pochi scalini che conducevano a camere in cui si stava appena, tutto in legno. Una casa per gente povera com'era stata la sua famiglia, in un quartiere alla periferia di Los Angeles con un alto tasso di criminalità, Skid Row, in cui si aggiravano senzatetto, alcolizzati e drogati, soprattutto di notte. Le strade erano piene di scatole di cartone, immondizia, sporcizia di altro genere, ripari di fortuna e tante persone sporche e malate. I suoi genitori l’avevano tenuta in casa il più possibile, impedendole di giocare con gli altri bambini. Prima stavano in una bella casa, ma poi, Mac non aveva capito perché, se n’erano dovuti andare finendo lì, proprio quando la mamma era rimasta incinta.
Scosse la testa con tanta violenza che il collo scricchiolò appena. I ricordi la stavano annegando, soprattutto tutto quel sangue, le urla di Hope… Non voleva crollare com'era già successo, rivivere il trauma, come aveva detto la psicologa, non lì, non in quel momento almeno. Nei sogni non tutto doveva essere bello e facile, ne aveva appena avuto la prova, ma forse se avesse pensato a qualcosa, questo si sarebbe realizzato.
Vorrei stare meglio. Anche solo un po'.
Restò a terra ancora a lungo, e più il tempo passava, più la sua testa si svuotava di ogni pensiero. Contò infinite volte fino a dieci respirando profondamente, pensò che lei era lì, in quella strana realtà, ma non in quella casa, e che adesso stava meglio, nonostante il continuo dolore e lo shock che aveva subito. Già sapeva che il secondo anniversario della morte dei suoi genitori, il 21 febbraio dell'anno successivo, sarebbe stato un giorno più difficile degli altri. Perché anche se non lo diceva spesso, soffriva sempre per la loro scomparsa, ogni secondo, la sofferenza non la abbandonava nemmeno nei momenti felici e che le davano sollievo o la distraevano.
Doveva essersi addormentata di nuovo, perché aprì gli occhi, se li strofinò e si rese conto di sentirsi un po' più leggera. Il peso al petto era più sopportabile, le lacrime si erano asciugate, e anche se la sofferenza era presente, riusciva a gestirla senza perdere il contatto con la realtà, come qualche volta le accadeva dato che soffriva di disturbo post traumatico da stress, nei momenti in cui riviveva quanto accaduto. Si rialzò, mangiò un altro po' e notò ancora quella luce, ma stavolta qualcosa era cambiato. La sua mente era più lucida e la bambina non ne ebbe paura. Non sapeva perché, ma era convinta che in essa non ci fosse nulla di malvagio o pericoloso. Forse il suo sogno era cambiato e il suo desiderio era stato ascoltato da qualcuno più in alto di lei. Trasse un respiro profondo e, pian piano, si avvicinò a quella luce che aumentava d’intensità a mano a mano che la raggiungeva, e la cosa strana era che le veniva incontro. Com’era possibile che si muovesse da sola? Quando fu a qualche metro, la bambina osservò con attenzione. Davanti a lei c'erano sette cagnolini. Uno, in realtà, era una specie di serpentello con le orecchie da cucciolo, ma gli altri erano tutti cani, di diverse razze, due cocker, ma non riuscì a identificare gli altri. Ed erano… trasparenti? Ma che stava succedendo? Il primo a farsi avanti fu un cagnolino dal pelo bianco e le orecchie pendule, un cocker di sicuro, che fino a poco tempo prima se ne stava acciambellato a terra come se dormisse. Le annusò i piedi e, nonostante fosse trasparente, la bambina percepì il suo nasino sulla propria scarpa. Si accucciò con lentezza per non spaventarlo, e lo accarezzò pensando di non sentire niente, invece sfiorò il suo pelo meraviglioso e ben curato, anche se un po' sporco di erba e foglie che gli tolse subito. Gli altri cuccioli erano del suo stesso colore, tranne il serpentello, che comunque aveva il loro identico pelo, che aveva tre macchie viola sulla coda, sulla pancia e su un occhio. Un altro cagnolino, con il muso piatto e che scodinzolava sempre, le si avvicinò per giocare. La bambina lo inseguì per un po', senza spaventarlo, e poi lo prese in braccio quando lui tentò di saltarle addosso. Se lo strinse al petto e il calore del suo corpo e le leccate che il piccolo le diede la fecero sorridere. Gli altri, intanto, erano tutti intorno a lei e saltellavano, chi annusandola, chi mordicchiandole i pantaloni, anche quello che fino a poco prima se n'era rimasto sempre seduto, come se fosse stato triste, con le orecchie dei cocker e, cosa che colpì la bambina, gli occhi lucidi. Vedendola, però, sembrò rianimarsi e stare meglio. Ognuno cercava di attirare la sua attenzione.
Mentre li accarezzava, non faceva mancare le coccole a nessuno e nel frattempo ascoltava il loro dolce abbaiare, verso che le faceva sciogliere il cuore per la tenerezza. Si era sempre immaginata i fantasmi come trasparenti e forse lo erano davvero, anche se molte persone dicevano che non esistevano. Lei non aveva idea di cosa credere, certo era che i cagnolini non potevano essere altro, anche se lei riusciva a toccarli. Ma se erano trasparenti, allora… Come aveva fatto a non arrivarci prima? Era proprio stupida. Si diede una manata in fronte, spaventando un paio di cuccioli che si allontanarono, ma poco dopo le furono di nuovo accanto.
Scusate pensò, aprendo la bocca per far finta di dirlo.
I cagnolini sembrarono capire, perché le leccarono le mani.
Mackenzie lasciò ricadere le braccia lungo il corpo e guardò verso terra. I piccoli, probabilmente notando la sua tristezza, cominciarono a piangere, ma anche se le fecero pena lei non si mosse per consolarli. Non riusciva a farlo nemmeno con se stessa, in quel momento, quindi non sarebbe stata capace di aiutare qualcun altro. Erano fantasmi, perciò non erano vivi. Non trovava giusto che fossero morti, qualunque cosa fosse accaduta. Le lacrime scendevano copiose, una pioggia salata che le scavava le guance, mentre una stilettata di dolore le entrava in profondità, un coltello che affondava sempre più facendo sanguinare quella ferita. Cos’avrebbe provato quando si sarebbe svegliata? Una volta aveva avuto un incubo così brutto che era scattata in piedi, sudata, in lacrime, con il respiro corto, e non ricordando più nulla. Sarebbe accaduto questo? Oppure il dolore non avrebbe fatto altro che aumentare? Non sapeva cosa augurarsi.
Si sedette e sospirò. Quei cuccioli erano morti, e forse anche la loro mamma. Nella realtà i cani lì presenti non dovevano esistere, dato che quello era un sogno. Perché, quando le accadeva una cosa bella, subito dopo ce n'era un'altra brutta che rovinava tutto? Cavolo, almeno nei sogni avrebbe desiderato essere felice! Aveva chiesto di stare meglio, non peggio. Pensò a chi fa male agli animali maltrattandoli, o a chi li abbandona. Mamma Demi le aveva insegnato il rispetto verso i cani, i gatti e le altre specie, e anche se sapeva che c'era chi non li amava, ma non avrebbe fatto loro nulla, non capiva le persone che li trattavano male. Che senso aveva? Ai suoi occhi, nessuno. Ma lì non c'erano persone, a quel che ne sapeva, quindi o quei cuccioli erano morti per fame e sete dato che erano stati abbandonati - l'abbandono era una delle altre cose che non avrebbe mai compreso -, o non sapeva che spiegazione darsi. L’idea che potessero aver perso la vita in quel modo, passando giorni e giorni di agonia, le fece sfuggire un singhiozzo. Doveva essere una delle morti più orribili. Che cosa poteva fare per loro? Forse trovare la mamma, ma non desiderava che continuassero ad essere morti. A volte aveva pensato che, se ne avesse avuto il potere, avrebbe volentieri riportato indietro alla mamma Buddy, il suo cane, che era morto molti anni prima, quando ancora non le aveva adottate, ucciso da un coiote che era entrato nel giardino mentre lei non c'era. Anche se aveva Batman, e da poco anche Danny, un gattino, Mac sapeva che sua madre soffriva per quella perdita e che non l'aveva mai accettata del tutto. Ma non aveva questo potere, nemmeno Dio, nel quale tutta la famiglia credeva, poteva riportare in vita i morti, e lei non desiderava acquisire una capacità del genere nel suo sogno. Le sarebbe sembrato di mancare di rispetto a Dio, di mettersi al suo posto, e non l'avrebbe mai fatto.
"Farò quel che posso per loro" si disse. I cuccioli continuavano a giocare intorno a lei, saltellando felici. "Come faccio a trovare la vostra mamma?" si chiese la bimba.
In quel momento un fortissimo rombo riempì l’aria, come di un tuono ma dieci volte più potente, un fragore che sembrò spaccare in due il cielo. I cuccioli non scapparono via, come Mackenzie si era aspettata, bensì si immobilizzarono. A lei saltò un battito, ma subito dopo il tuono, tutto fu silenzio per qualche attimo. Poi, una voce.
"Maaaaac."
Risuonò per tutto quell'intricato labirinto e sembrò provenire da ogni parte e, allo stesso tempo, da nessuna. La bambina fece un salto, ma non corse via. La voce era stata potente ma gentile.
"Maaaaac!"
Eccola di nuovo, più forte questa volta.
C-chi sei? scrisse, con mano tremante.
"Siamo gli spiriti di tutti gli alberi che vedi." Gli spiriti? Ma sembrava una voce sola. "Non vogliamo farti del male, tranquilla. Fino a ora sei stata molto brava. In questo sogno hai affrontato le tue paure, sei andata oltre, almeno qui. E vuoi aiutare questi cuccioli, ma sei rimasta umile. Questi sono segni di coraggio e bontà. Significa che sei una brava bambina, ma adesso ti attende un'ultima prova, alla quale hai già pensato." La voce le penetrava nelle orecchie e nella testa, ma era come se provenisse da dentro di lei. Mackenzie sapeva che non era così. "Noi non siamo il Dio in cui credi, ma controlliamo questo giardino, perciò faremo qualcosa di molto bello per te e i cuccioli, sperando che porterai a termine la missione con successo. Fatti forza, confidiamo in te."
Le piante, perlomeno fin dove la bambina riuscì a vedere, si accesero. Sulle loro chiome arse una fiamma intensa, che tuttavia non le fece andare a fuoco, una luce che si puntò negli occhi della bambina facendole quasi male, come se tutti gli alberi volessero guardarla, leggerle dentro, capire se sarebbe stata in grado di portare i piccoli dalla mamma. Non avrebbe mai scoperto perché dovesse essere lei a farlo, del resto quello era un sogno, e nei sogni non tutto dev'essere chiaro, ma non le importava. La luce si puntò sui cuccioli, ancora immobili, e si fece ancora più forte. Di colpo svanì. Ci fu qualche attimo di silenzio assoluto, poi tutti i cuccioli, ora non più trasparenti ma in carne e ossa, saltarono addosso a Mackenzie facendola quasi cadere.
Siete vivi, siete vivi! E state bene!trillò nella sua mente la bambina, alzando le braccia in aria e con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. Si inginocchiò e tornò seria. Grazie, alberi parlanti aggiunse.
Farlo le pareva il minimo, dopo ciò che era appena accaduto.
“Prego. Ora comincia la tua missione, coraggio! Puoi farcela, in te c’è una grande forza, l’hai già dimostrato nella realtà” le risposero, sempre in un’unica voce forte, poi tutto tacque, tranne gli abbai dei cagnolini.
Ora non erano più di razze diverse, ma tutti cocker con il pelo marrone o bianco, anche quello che sembrava un serpentello si era trasformato in un vero cagnolino e le macchie viola non esistevano più e anche un altro, che prima aveva il corpo quasi interamente dello stesso colore delle macchie del fratello, ora era marrone. I cuccioli presero a saltare e a rincorrersi l’un l’altro. Ogni tanto si mordicchiavano, sempre per gioco, e Mackenzie non si unì e non li interruppe, era troppo bello vederli divertirsi fra loro. Erano fortunati ad avere l’uno la compagnia degli altri, come lei che aveva accanto Hope. Essere figlia unica sarebbe stato molto triste. Le si avvicinò un cagnolino un po’ più piccolo degli altri, che l’aveva fatta ridere fin dall’inizio a causa della lingua sempre fuori dalla bocca.
Che c’è, cucciolo?
Lui si mise a piangere e i fratelli lo imitarono.
Ma cos’hanno? Stavano bene un momento fa.
Dato che continuavano a lamentarsi e mordicchiavano l’erba e i suoi pantaloni ma senza apparente voglia di giocare, la bambina credette di capire. Sperando di fare la cosa giusta, controllò nello zaino e tirò fuori un pacchettino di biscotti uguali a quelli che dava a Batman, Ne aveva degli altri, perciò spezzettò quelli che teneva in mano e li mise a terra. In teoria, ce ne sarebbe stato per tutti e sette. I piccoli si avventarono sul cibo come se non mangiassero da almeno un giorno – Mackenzie sperò con tutta se stessa che non fosse così e che avessero solo molta fame come capita ai cuccioli –, e finirono i biscotti nel giro di un paio di minuti. La piccola li rassicurò: più tardi ne avrebbe dati ancora a tutti. Le sarebbe piaciuto farlo subito, ma non sapeva quanto sarebbero rimasti insieme e preferiva risparmiare il cibo. Il ronzio degli insetti si era in gran parte calmato, un silenzio quasi assoluto la circondava, se non per qualche grillo e il verso dei cuccioli. A pochi secondi dal pasto, questi ultimi ripresero a piangere, stavolta se possibile ancora più forte, guardando verso il buio. Di sicuro volevano la mamma. Sperando che gli alberi avessero fatto tornare in vita anche lei, la bambina si decise: sarebbero andati a cercarla, anche se non aveva idea di quanto ci avrebbero messo. Ma non importava, non avrebbe permesso che a quei piccoli accadesse qualcosa di male, già il fatto che si fossero persi o allontanati, chissà, li aveva spaventati abbastanza.
D’accordo, pensò, andiamo a cercare la vostra mamma.
I piccoli presero a zampettarle al fianco e davanti, guardando verso il buio più profondo di quel giardino pieno di alberi e annusando per terra. Non sapendo dove andare, Mackenzie li seguiva e si fidava del loro olfatto. Nessun cane abbaiava, ma si disse che forse i piccoli percepivano qualche suono che lei non udiva. Lo sperava in cuor suo, perché non aveva la più pallida idea di come aiutarli. Poteva solo seguirli, stare loro accanto, nutrirli e, se avessero avuto bisogno, giocare con loro o coccolarli. Si sentiva inutile, in parte.
“Smettila di pensare sempre che non sei abbastanza” le sussurrò una voce dentro di lei.
Aveva ragione, ma non era facile. Fin dalla morte dei suoi genitori aveva sempre pensato che non era abbastanza brava, se non ricordava, che non era stata abbastanza forte, quella notte, se non era riuscita a salvarli e ad aiutare la sorella e lei stessa a fuggire da quell’uomo, e nonostante stesse lavorando in terapia e parlasse, a volte, con i genitori di questi sensi di colpa, e anche se tutti le dicevano che aveva fatto il massimo, che non doveva sentirsi in colpa, questo non la aiutava e non la consolava. Stava così e, forse, non sarebbe mai stata meglio.
Con un sospiro tremante, si impose la calma e si sforzò di concentrarsi sul suo obiettivo. Respirò regolarmente e mise un piede davanti all’altro, contando i propri passi. Il terreno era sconnesso, vedeva solo alberi, nulla cambiava. I cuccioli andavano dritti, poi giravano a destra o a sinistra prendendo altri sentieri e faticando sulle salite e le discese, era sicura che stessero seguendo una traccia e pregò che non si stancassero troppo e che presto avrebbero potuto riunirsi alla madre. Doveva mancare loro moltissimo.
Aveva pregato Dio perché quello fosse un sogno e non un incubo, e a quanto pareva il suo desiderio era stato realizzato. Attorno a lei c’era ancora buio, ma grazie al cielo le luci prodotte da piante e altri animali lo rischiaravano lentamente e alcuni fiori, che riconobbe come margherite, sembrarono addirittura fosforescenti. Incuriosita, si avvicinò seguita da tre dei sette cuccioli. Annusando con rinnovato interesse, uno di loro starnutì facendo volar via alcuni petali, che in quel luogo o mondo, non sapeva come chiamarlo, si dissolsero in tante piccole sfere di luce, seguite da una sorta di stranissimo polline luminoso. La bambina abbassò lo sguardo verso il cagnolino, un piccolo mascalzone dal pelo marrone, tranne sul petto che era di colore bianco.
Che sciocco, pensò, eppure sta solo giocando.
Quasi riuscendo a leggerle nel pensiero, il cagnetto alzò lo sguardo per incrociarlo al suo, e con una sorta di sorriso stampato sul muso, si gettò a terra mostrando la pancia. Mackenzie si inginocchiò per grattargliela. Quel cucciolo era diverso dagli altri. Se tutti avevano le orecchie pendule o a punta, lui le aveva in entrambi gli stili, una dritta, l’altra floscia.
Sembri un pupazzetto, sai? scherzò, trattenendo a stento una piccola risata.
Sempre attento ai suoi pensieri, il cagnolino parve sorriderle ancora, poi, distratto da qualcosa che Mackenzie non vide, probabilmente uno dei fratelli o forse un’ombra nel buio, si voltò fino a darle le spalle e partì in avanscoperta, velocissimo. Mackenzie fu vicina a stropicciarsi gli occhi per l’incredulità, e per poco non lo fece sul serio, limitandosi invece a osservare qualcosa di luminoso proprio ai suoi piedi. Si chinò. Impronte. Meglio, sarebbe riuscita a seguirlo senza sforzare troppo la vista, o almeno così credeva. Accelerò il passo fino a raggiungerlo, trovandolo vicino a uno dei fratelli, impegnato come lui in una sorta di inchino. Intenerita, la bambina decise di non interferire, almeno finché entrambi non si voltarono verso di lei, mantenendo quella posizione e abbaiando festosi. Mackenzie tentennò sul posto.
Va bene, arrivo.
Tutto il gruppo le corse incontro, saltandole addosso come per salutarla e farle le feste. Solleticata dal loro continuo leccarle il viso, la piccola scoppiò a ridere, e memore delle lezioni di Victoria e degli episodi del suo programma che lei e mamma Demi avevano visto, scelse di provare a fare una cosa. Seria, si erse quasi sulle punte guardando ognuno dei cani e, stringendo un biscotto già spezzettato, se lo portò agli occhi. Come sotto ipnosi, ogni cucciolo si fermò a guardarla e tutti e sette si sedettero insieme in cerchio, calmi come mai li aveva visti. Tanto camminare doveva averli spossati e, proprio come la fata Kaleia, la protagonista della saga che leggeva con la mamma, anche Victoria operava una magia tutta sua. Poco dopo, guardando dritto di fronte a sé, Mackenzie scorse un oggetto abbandonato in mezzo a un sentiero. Indagando per lei uno dei piccoli, lo stesso che aveva starnutito a causa dei fiori, le portò quella sorta di bottino. Si trattava di un bastoncino, un ramo spezzato appartenente a uno dei tanti alberi del posto, ma stringendosi nelle spalle, lei decise di non badarci. In fin dei conti, importava davvero da dove provenisse? No, o almeno non a lei. Alla vista di quel fuscello, i sette cagnolini si agitarono di nuovo, ma richiamati uno per volta, si avvicinarono senza litigare.
Perfetto, iniziano a imparare.
A soli due mesi, l’età ideale secondo più di uno studio, un cagnolino arrivava a capire chi in un gruppo familiare stesse al gradino più alto di una sorta di piramide, e orgogliosa, Mackenzie si batté il petto. Sorridendo, permise al primo cucciolo, quello che prima era un serpentello, di mordere il bastoncino per un po' e, agitandolo, lo lanciò più lontano che poté.
Vai! gridò mentalmente, sicura che riuscisse a capirla.
Il piccolo non se lo fece ripetere e, zampettando fino a ritrovare il giocattolo sulla terra scura, lo riportò subito indietro sgambettando e rischiando di scivolare.
Bravo, bello si complimentò lei, mostrando una mano perché glielo rendesse e accarezzandolo sul corpo, felice di vederlo muovere oltre che la coda, anche il posteriore.
Strano ma adorabile, nonché tipico dei cagnetti di quell’età, ancora del tutto ignari di sé e di come esprimere al meglio le emozioni. Tante volte in famiglia aveva visto il suo Batman correre e saltare, facendo piccole acrobazie sul pavimento di casa per mille motivi, primo fra tutti la sola vista del guinzaglio. Allietata da quel ricordo, la bambina non riuscì a non sorridere ancora. Venne riportata alla realtà – o a quella in cui ora viveva – dal cagnolino, che restituito il giocattolo, ora la guardava.
“Tocca a me? Tocca a me? Dai, quando tocca a me?” sembrò chiederle, eccitato dal gioco.
Non ora, Max. Hai appena provato, fa’ divertire anche gli altri gli spiegò in silenzio, lasciando che a parlare fossero i suoi pensieri.
“Oh, e va bene!” rispose il diretto interessato, affidando quelle metaforiche parole a qualcosa di molto simile a un brontolio.
Bene così. Jet, vieni.
Si rivolse stavolta al cagnetto che scherzando definiva amante della botanica.
Pronto, il cucciolo drizzò le orecchie, e camminando verso di lei, fissò gli occhi sul fuscello che la padroncina aveva in mano.
Prendi! gli ordinò, lanciandolo ancora e ridendo di cuore nel vedere che capiva.
Veloce, il piccolo Jet sembrò onorare il suo nome sparendo nel buio, ma tradito dalle sue stesse impronte luminose tornò presto da Mackenzie, bastoncino in bocca, petto in fuori e coda in alto.
Grazie, Jet. Bella, qui. È il tuo turno, dai decise mentalmente, le parole sempre perfettamente comprensibili ai cagnolini.
Timida, la poverina dal pelo bianco si avvicinò piano e con la coda inizialmente fra le zampe, ma notando il sorriso di Mackenzie, si riprese all’istante. Mentre si muoveva, la medaglietta che aveva attaccata al collare tintinnò lievemente. Spinta dalla curiosità, la bambina si abbassò a controllarla, scoprendo solo allora che non aveva alcun indirizzo inciso sopra, e che anzi era solo un dischetto di metallo. Sospirò e impedì ad alcune lacrime di scivolarle sul viso. Tornando a giocare, lanciò ancora una volta il bastone. Osservando i fratelli, Bella sembrava aver rubato loro il mestiere con gli occhi, e a riprova di ciò, fu l’unica ad afferrarlo prima che toccasse terra, spiccando un balzo e atterrando senza farsi alcun male. A quella vista, Mackenzie diede vita a un piccolo applauso, e quando la cagnolina tornò da lei le controllò tutte e quattro le zampe. Fino ad allora non avevano avuto problemi, ed era vero, ma quel tetro giardino era pieno di insetti, camminando si era ritrovata a dover evitare più di una radice che sporgeva dal terreno e voleva assicurarsi che la cucciola non avesse nulla. Dato il suo stato di fantasma, anche se corporeo, probabilmente non avrebbe sentito nulla, ma come papà Andrew le aveva insegnato, la prudenza non è mai troppa. Per fortuna, niente ferite né nulla di rotto e, a giudicare anche dal modo in cui camminava, nessun problema. Volendo rassicurare la nuova piccola amica, Bella sfilò davanti a lei con tutta la grazia di cui era capace, alzando gli occhi al cielo e scodinzolando appena, onorando così il suo nome proprio come Jet, ora seduto e impaziente di inseguire ancora quel bastone.
Vanitosa pensò Mackenzie, divertendosi alle sue spalle mentre la cagnetta non guardava.
Non era carino ma allo stesso tempo, e data anche la situazione, del tutto inevitabile. Dandole manforte, Max e Jet agitarono la coda e si coprirono ognuno il muso con la zampa, come a volersi scambiare segreti e pettegolezzi sul conto della cagnolina. Lasciandoli fare, la piccola continuò quel gioco. Ben presto anche i quattro restanti conobbero il divertimento sotto forma di riporto, ricevendo oltre al bastone anche qualche biscotto e un’identità. Quarta componente del gruppo, con le orecchie lunghe, un folto pelo marrone e una passione per i pisolini, Lady continuò a dormire, partecipando al gioco quasi svogliatamente, Angel, uguale a lei per colore, fu più lenta e tremò e se il bianco Pirate – chiamato così per via di una macchia nera attorno all’occhio che ricordava tanto la benda di un corsaro – scappò via stringendolo fra i denti come se avesse trovato chissà che prezioso manufatto, ultimo ma non per importanza, Ghost quasi non si mosse, facendo uso di uno dei suoi poteri speciali per teletrasportarsi verso l’obiettivo, tornando dalla bambina con lo stesso stratagemma.
Eh? Ma come hai fatto? non poté evitare di chiedere allora Mackenzie, stranita.
Quel batuffolo bianco l’aveva colta di sorpresa. Anche altri possedevano poteri del genere? Per sua sfortuna, non ricevette risposta. Quello era un sogno e fino ad allora le sue preghiere erano state ascoltate, quindi chi poteva dirlo? Forse li avrebbe scoperti più tardi. Divertita al solo pensiero, sorrise a se stessa. Inginocchiandosi si batté piano una gamba, richiamando a sé ognuno dei cuccioli. Ancora impegnati a giocare, stavolta fra di loro, quasi non la udirono, ma non dandosi per vinta riprovò più volte, fino a vederli voltarsi e prepararsi a seguirla. Tronfia e sorridente, per un attimo si sentì proprio come Victoria, che nella sigla iniziale del programma veniva mostrata con un branco di cani, cuccioli o adulti, dipendeva dalla puntata, tutti attorno a sé, seduti a guardarla negli occhi.
Zampe in spalla, ragazzi. Verso la vostra mamma e oltre! dichiarò nella sua mente.
Alla faccia dei bulli come James e Ivan, che le davano della stupida perché non riusciva a parlare. Quel sogno era suo, e sue anche le regole. Andò per la propria strada seguita dai sette amici a quattro zampe, rilassandosi nell’udire i tic tic tic prodotti proprio da queste ultime sul terreno. Camminava quasi guardinga e con lei anche quei piccoli terremoti, che di tanto in tanto lottavano, giocando, per mettersi in testa alla marcia.
 
 
 
NOTA:
ho letto un articolo intitolato Sopravvivere a Skid Row sul sito www.insideover.com già tempo fa, per documentarmi su cose che ho scritto in Cuore di mamma. E sono rimasta scioccata facendo ricerche sui quartieri più poveri di Los Angeles, in particolare su quello. Ho immaginato che i genitori di Mackenzie avessero perso la casa a causa di uno sfratto per non aver pagato affitti su affitti dato che uno aveva perso il lavoro e l’altra ne aveva uno che bastava appena per mantenere la famiglia e che i genitori fossero andati ad abitare lì in una casa popolare. Skid Row è un quartiere poverissimo, con almeno duemila senzatetto a quanto dice l’articolo, grande un chilometro quadrato, con strade piene di ripari di fortuna fatti con il cartone, tanta, tanta sporcizia e, ovviamente, malattie che girano, oltre alla droga e all’alcol. Le donne senzatetto dormono tutte insieme per paura di assalti sessuali e non tutte le persone trovano riparo nel centro d’accoglienza. Il governo sta cercando di migliorare la situazione costruendo più case popolari possibili, ma come dice l’articolo questo non risolverà il problema alla radice.
Un posto orribile in cui crescere due bambine, ovviamente, ma a quel tempo i genitori di Mackenzie non potevano fare altro. Non ho trovato informazioni su sussidi per la povertà, a parte un aiuto da un’organizzazione che dà una mano alle persone a rischio sfratto, ma che ha iniziato le attività quest’anno, troppo tardi rispetto a quando Mac era più piccola, per cui non sono riuscita a immaginare qualcosa di diverso per questa situazione.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Demi Lovato / Vai alla pagina dell'autore: crazy lion