Anime & Manga > Haikyu!!
Segui la storia  |       
Autore: Gaia Bessie    05/11/2020    1 recensioni
What if?:Asahi non è mai tornato in squadra.
[Epilogo: Quando si smussano gli scogli]
Io ti aspetto, te lo prometto.
[Long-fic di 15 capitoli | AsaNoya, Suga/Shimizu, accenni di KageHina | Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Seconda classificata al contest "Canon compliant? I think not!" indetto da Maiko_chan sul forum di EFP | Partecipa al "Gioco di scrittura" del Gruppo FB Caffé e Calderotti]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Slash | Personaggi: Asahi Azumane, Daichi Sawamura, Kiyoko Shimizu, Koushi Sugawara, Yuu Nishinoya
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
6. Istantanee di una mancanza


 
 
Al tempio c'è una poesia intitolata "la mancanza", incisa nella pietra.
Ci sono tre parole, ma il poeta le ha cancellate.
Non si può leggere la mancanza, solo avvertirla.
(Rob Marshal)

 
Perché la mancanza d’amore
è la mia pestilenza
(Alda Merini)
 
 
Camera di Asahi è piena di fotografie, nota Nishinoya con sorpresa, e sono tutte istantanee per cui non ricorda di aver posato, così come effettivamente non ricorda di aver mai visto Asahi con in mano una macchina fotografica.
Eppure, lui è lì su quel muro, insieme a Daichi, Suga e Tanaka, tutti sorridenti nel guardare un punto indefinito. Erano felici, loro cinque, e nemmeno se ne erano resi conto: e, adesso, Hinata gli ha scritto che Sugawara ha quasi pianto durante un allenamento, che Tanaka s’è trincerato in una nube di mutismo e, infine, lui sa che Asahi s’è incamminato su un sentiero impercorribile. Aveva già cominciato a esplorare i campi aridi della propria mente, in quelle foto, oppure era felice per davvero?
«Dimmi cosa posso fare» Noya stringe la maglia di Asahi tra le mani, non ha avuto la forza di ridargliela. Deve aggrapparsi a qualcosa, per non crollare sul pavimento. «Per tirarti via di qui».
Ma Asahi non ha parole per rispondergli: allo specchio, si guarda incantato, come se non conoscesse la mappa di segni rossastri che gli sfregia il busto, come se non l’avesse tracciata con le sue mani.
«Guardati» borbotta Yū, acido. «Perché è l’ultima volta che ti vedrai così, fosse l’ultima cosa che faccio».
«Noya» lo chiama Asahi, ed ha una linea di stanchezza che gli sega in due lo sguardo. «Lascia perdere».
«Io non ti lascio perdere» sibila il libero. «Mettitelo bene in testa».
Perché Suga aveva torto, pensa distrattamente: quando ami una persona fai di tutto per non lasciarla andare. Ma lui lo ama, Asahi?
Yū pensa alla sua infatuazione per Kiyoko – e a quanto si sia arrabbiato con Sugawara per avergliela portata via, senza dirgli una parola – e gli sembra una storia vecchia di secoli, così sterile e ingenua, un amore visto da una lente d’ingrandimento sfocata e smisurata. Ma lui lo ama, Asahi?
Pensa che ha paura. Che non è ancora pronto per dire di amare qualcuno per davvero e, soprattutto, non è pronto a perdere il suo migliore amico per l’ennesima infatuazione insensata che potrebbe voler sperimentare.
E Noya, più che per dire di amarlo, non è pronto a lasciar scivolare via Asahi in quella maniera; lo vuole rivedere sorridente, in una nuova istantanea, mentre costringe Suga a non scappare via dall’inquadratura e ride dell’espressione un po’ contrita di Daichi. E vuole esserci anche lui, in quella foto, a saltellare per essere alto quanto Asahi, almeno lì.
«Non puoi fare niente» mormora Azumane, dolcemente. «Se avessi potuto aiutarmi, te lo avrei detto».
Ma Nishinoya ne ha bisogno – come ha bisogno di aria, acqua o nutrimento – di sapere che Asahi tornerà a scattare foto, che saranno nuovamente vicini sotto le luci di Natale e che Suga continuerà a tentare di fuggire per non essere ripreso. Ed un pensiero che è aria, acqua e nutrimento: ha bisogno di Asahi.
«Posso» risponde Yū, forte e chiaro. «Io… dimmi solo di cosa hai bisogno: medicine, non dormire da solo, tutto quanto».
Azahi sorride: ha perso le parole, non riuscirebbe a pronunciare nemmeno il suo nome.
 
***
 
Suga non ha smesso di andare agli allenamenti: avrebbe voluto, ma Daichi non lo avrebbe permesso nemmeno se lo avesse supplicato. Così, ogni mattina si pizzica le guance, si sciacqua il viso e va a scuola e, quando le lezioni finalmente terminano, si trascina stancamente fino agli allenamenti.
Lì, c’è lei.
Shimizu lo osserva quasi come si aspettasse un miracolo, da parte sua, o un viaggio nel tempo: ma Suga le sorride appena, voltandosi per non farle vedere quanta disperazione sia nascosta, dietro quel sorriso. Ma, tutti gli altri, se ne accorgono.
Se ne accorge persino Hinata, che abbandona periodicamente Kageyama e le sue alzate perfette per chiedere a Suga di fare un po’ di pratica con lui. Forse comprende, nella sua maniera arzigogolata e poco convenzionale, che altrimenti l’alzatore si siederebbe a bordo campo e lì scoppierebbe in un pianto disperato senza riuscire più a frenarsi.
«Suga-san!» lo chiama, da un punto all’altro della palestra. «Facciamo qualche schiacciata!».
E Sugawara gli alza una palla dietro l’altra, finché non ansima e gli fanno male le braccia, ma non è mai il meglio che potrebbe dare; Hinata lo comprende perfettamente e, ogni suo sguardo, è di tiepido rimprovero.
«Un’altra!» urla, come se fosse solamente una sua esigenza. «Alzamene un’altra!».
Suga lo fa, ma la sua mente è altrove. È ancorata a una mancanza che dura per un istante infinito e gli asporta il cuore con un singolo graffio.
Perché, nonostante tutti i suoi sforzi per ignorare quella morsa che gli serra il petto, Shimizu è ancora lì. Che lo guarda, con un certo dispiacere che le macchia l’iride, un vento tiepido che riscalda un mare in tempesta. E lui è lì, in mezzo a quelle acque agitate e non ricorda bene come si faccia a rimanere a galla.
«Suga-san!» lo richiama Hinata, ma lui è come fosse cieco e sordo di fronte a tutta quella energia. «Le alzate!».
Ma Sugawara ha lo sguardo fisso su Kiyoko che si volta, verso qualcuno che non è lui e sorride incoraggiante. Lui la osserva, voltandosi per cercare di capire chi sia il destinatario di quel sorriso e domandandosi silenziosamente se non sia già arrivato il momento che temeva – quello in cui dovrà lasciarla andare via.
Perché se ami una persona, puoi accettare di perderla per il suo bene: così, Suga volta il capo per incontrare lo sguardo di Tanaka, che pare essere resuscitato dalla propria apatia.
«Suga-san» Kageyama si avvicina, con una palla in mano. «Credo di aver bisogno di una boccata d’aria, ti andrebbe di accompagnarmi?».
Suga annuisce e sente le proprie gambe muoversi per seguire il proprio compagno di squadra, ma la testa non si muove, rimane ancorata lì, a quella parte di palestra, a quel viso. Perché Shimizu non si è resa conto di essere osservata, così continua a osservare i corvi allenarsi, mentre si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sorride.
 
***
 
«Dimmi qualcosa» Asahi giocherella pigramente con uno yo-yo di plastica rosa, disteso sul letto. «Raccontami qualcosa, non farmi pensare».
Perché i pensieri sono dolorosi quanto quelle fotografie appese sulla parete, dove Asahi fatica a riconoscersi. Ma c’è comunque un filo comune che le unisce tutte quante – Daichi con il sorriso più forzato del mondo, Suga che fugge dall’obiettivo, Tanaka che ride come se fare fotografie fosse la cosa più divertente del mondo – ed è rosso come un pezzo di cuore: lui e Noya sono sempre vicini, in ogni istantanea scattata. Sente quella vicinanza anche nelle fotografie dove lui è assente.
«Cosa vorresti raccontato?» domanda Yū, seduto sul pavimento a gambe incrociate. «Conosci tutto, della mia vita».
Asahi pensa che non è vero, sono arrivati a un punto della situazione in cui non si conoscono più, perché tutto è ridotto a una mappa di cicatrici che si è inciso sopra la pelle. E come potrebbe capire, Noya, cosa si prova a sentire il sangue che ribolle sotto la pelle, pregando di farlo uscire?
E cosa ne sa, lui, di Noya? Perché la mancanza raffredda, toglie, e non ha fotografie di quel periodo in cui ha smesso di essere martedì.
«Quello che vuoi» risponde, invece. «Tu… a cosa pensi, come passi le giornate? Tutto quanto».
Nishinoya ci riflette, grattandosi il mento con aria concentrata, poi osserva il calendario sopra la testiera del libro e sorride. «Oggi è il martedì» commenta, ridendo. «Ed è il giorno in cui ti dico che…».
Che mi piaci e vorrei stare con te. Ma, questo, non riesce nemmeno a pensarlo negli angoli più oscuri della propria mente.
«Che vi manco e vorreste che tornassi in squadra» lo anticipa Azumane, calmo. «Got it! Ma non posso tornare e penso che tu lo sappia».
Nishinoya annuisce: non finché è così ferito da sé stesso, ma lui continuerà a sperare che Asahi, un passo alla volta, riesca a tirarsi fuori dal quel luogo buio e oscuro in cui è precipitato. Che torni a scattare fotografie, questa volta anche a Hinata, Kageyama e gli altri del primo anno, e siano sempre le istantanee scattate dal punto più alto possibile.
«Dovrò trovare un altro scopo al martedì, allora» osserva Yū, pensieroso. «Quale potrebbe essere?».
«Dovrebbe essere qualcosa che vuoi dirmi» risponde Asahi, guardandolo negli occhi. «Davvero non c’è nient’altro che vorresti potermi dire ogni martedì?».
Che mi piaci e vorrei stare con te. Vorrebbe quasi dirglielo per davvero, ma non gli vengono le parole e, anche se ne possedesse abbastanza da potersi spiegare, come potrebbe sopravvivere a un suo rifiuto? Se si sfilacciasse, quel filo color sangue che li unisce, cosa farebbe?
Non ci sarebbero più istantanee incollate con lo scotch sulla parete, né sorrisi forzati o fughe dall’obbiettivo. Vi sarebbe qualcosa di istantaneo, quello sì, ma sarebbe solamente l’ennesima inutile mancanza.
«Tu non vorresti dirmi niente?» domanda, senza convinzione. «Aspetti sempre che sia io a dire qualcosa».
Asahi lo guarda e gli si blocca il fiato in gola – che mi piaci e vorrei stare con te – così si limita a scuotere il capo, incerto.
«Tu sai tutto, di me» risponde, parafrasando Noya. «Cosa vorresti che ti dicessi, di nuovo?».
Yū lo guarda, soffermandosi su quei graffi che pericolosamente sporgono dalle maniche della maglietta di Asahi. «Niente» risponde, piano. «Credo di non sapere più niente di te, Asahi-san».
 
***
 
Fuori dalla palestra, ogni respiro inizia a pesare, divenendo l’ennesima tempesta di sabbia in grado di perforargli i polmoni. Suga non piange, ma ha così tanta sabbia in volto che gli lacrimano gli occhi.
Kageyama lo guarda e pare comprendere, perché ha sul viso una tale compassione da risultare fastidioso.
«Non guardarmi così» sibila, strofinandosi gli occhi con il dorso della mano. «Soffro di pressione bassa, dammi qualche secondo e mi sentirò meglio».
Kageyama sorride leggermente, ma non lo contraddice. «Immagino che non ti interessi un mio consiglio» comincia, cauto. «Ma… forse dovresti semplicemente parlarle».
«Hai ragione» sbotta Suga, acido. «Non ho bisogno di consigli, da parte di nessuno. Io… devo semplicemente permetterle di andare via».
Non posso tenerla con me, pensa silenziosamente, se lei non mi vuole più.
Tobio non coglie l’occasione di cominciare una discussione: al pari degli altri compagni di quadra, è semplicemente turbato di fronte a quel nuovo Sugawara, che s’è affilato su una delle ripiegature della vita divenendo l’ennesima stalattite pronta a bucare e a ferire.
«Se vuoi lasciare andare qualcuno» borbotta Kageyama, reprimendo un moto di fastidio nei confronti del compagno di squadra. «Lascialo andare per davvero».
Suga non lo ammetterà mai, nemmeno con sé stesso, ma lui non potrà mai lasciarla andare. Ci sarà sempre un modo, almeno tra le grotte buie e taglienti della sua mente, di tenere Kiyoko con sé. Nella sua fantasia sciocca e turbata, non potrà mai permetterle di svanire come l’ennesimo ricordo imperfetto. E, allora, come può dire che la lascerà andare?
Lei forse s’innamorerà di nuovo – ma non di Tanaka – forse smetterà di guardarlo, di sorridergli, forse persino di salutarlo. Forse. Ma, nella mente di Sugawara, Kiyoko rimarrà sempre congelata nell’ennesima e dolorosa istantanea.
«Dovrei» mormora Suga, scuotendo il capo. «Ma come puoi fare sempre ciò che devi?».
Kageyama sorride, a labbra tirate, guardando pensieroso l’orizzonte. «Non puoi» dice, scrollando le spalle. «Ma, allo stesso tempo, devi».
Anche se significasse lasciarla a Tanaka, pensa Sugawara con rimpianto, e lui non è pronto – basta illusioni: semplicemente non lo è – a vederla andar via. Pensava che sarebbe arrivato tra mesi – no, da anni – il momento in cui avrebbe semplicemente dovuto dirle addio e divenire l’ennesimo estraneo. Ma, quando Shimizu sorride e inclina il capo, Suga sente distintamente il proprio cuore incrinarsi nella medesima forma e misura di quel sorriso.
«E lo sai perché?» biascica, divertito. «Per esperienza personale, forse?»
Non pronuncia quel nome, ma sorride ironicamente e, per un momento, sembra ritornare il sé stesso di pochi giorni prima. Kageyama scuote il capo, irritato, trattenendosi dal domandargli perché dovesse ritornare in sé in quella maniera così fastidiosa.
«Non siamo tutti feriti» risponde, invece, atono. «Non comportarti come se ognuno di noi avesse chissà che dolore da nascondere».
Sugawara ride, pensando a quanto Kageyama si stia sbagliando: certo che sono tutti feriti ed è perché la vita ti buca e ti squarcia a ogni respiro. E, in qualche modo che fatica ad ammettere, persino Tobio deve essere rimasto ferito da qualcosa. O qualcuno.
«Certo che lo siamo» mormora Sugawara, osservando il cielo sfumarsi d’arancio. «Non sarebbe vita, se non si divertisse a ferirci».
Tobio sorride ma, controluce, è solamente l’ennesimo gesto forzato e innaturale. Sembra quasi che voglia spaccarsi il viso in due metà diseguali.
 
***
 
Asahi mangia sempre di meno, nota Noya con orrore: gioca con il cibo che ha nel piatto ma non lo mangia mai, pilucca solamente. E non è una sensazione, uno scherzo delle luci e delle ombre della sua mente, Asahi s’è davvero fatto più stanco e più sottile con ogni giorno che ha ceduto la propria resa al seguente.
«Dovresti mangiare di più» lo rimprovera, burbero, mentre lo guarda rimestare la propria ciotola di curry con aria svagata. «Stai dimagrendo a vista d’occhio».
Lo sguardo di Azumane è di una freddezza che inquieta. «Importa per davvero?» domanda, atono.
Yū sospira, esausto, perché il problema è esattamente quello. Che ad Asahi non importa più niente, di sé stesso: solamente lui sembra essere stanco di vederlo camminare spedito verso un’autodistruzione insensata e inutilmente dolorosa.
«A me importa» ammette, infine. «Io… vorrei aiutarti, lo sai. Vorrei vederti mangiare perché adori farlo e…».
Sorridere ancora, pensa, ma questo non riesce a dirlo. In quante fotografie sul muro Asahi ha sorriso, senza sapere che un giorno avrebbe semplicemente smesso di farlo?
«Che tornassi a fare foto» dice, invece, Yū. «Hai un buco nel muro, da quando hai lasciato la squadra».
Ma, probabilmente, la verità è che Azumane il buco lo ha dentro di sé: una voragine immensa che s’affaccia nel vuoto, nutrendosi di ogni sua emozione. Forse, è per questo che Asahi vorrebbe semplicemente sparire, lasciandosi risucchiare da quel buco nero che ospita nel suo petto.
«Non penso di sapere più come si fa» commenta Asahi, atono. «Sono passati dei mesi, Noya, non sono più abituato a…».
Alle persone, a scattare fotografie, ad andare in giro sulle mie gambe. Potrebbe fare un elenco infinito delle cose cui non è più abituato ma, di fronte allo sguardo speranzoso di Noya, non riesce a dire niente di tutto questo.
«Provaci» mormora il libero. «Torna a scuola, fai foto a tutti e… un passo alla volta…».
Starai bene. Non lo dice ad alta voce, perché è speranza tiepida in una cucina che è piena di gelo, ma Asahi potrebbe benissimo leggerlo sul fondo delle sue iridi castane.
«Un passo alla volta» mormora Azumane, incerto. «Aspetta un attimo».
Noya lo sente attraversare le viscere della casa, salire e scendere le scale e ritornare nella cucina. Quando Asahi rientra nel suo campo visivo, sorride.
Tra le mani, regge con orgoglio una vecchia macchina fotografica. Flash.
Forse, quel giorno diventerà solamente una dolorosa istantanea da attaccare con lo scotch su un muro troppo bianco.
 
***
 
«Si può sapere cosa ti è saltato in mente?» Tanaka è arrabbiato, quando finalmente riesce a parlargli. «Sei impazzito o cosa?».
Suga lo guarda, senza scomporsi. Ha il viso che sembra scolpito nel ghiaccio, con la bocca deformata da un sorriso che non gli riesce di metter su, così che sembra solamente una smorfia e lui rimane solamente stanco e ferito.
«Tanaka» lo saluta, atono. «Non capisco di cosa tu stia parlando. E, anche se lo capissi, sto andando a casa e sono troppo stanco per parlare».
«Soffri ancora di pressione bassa?» risponde lo schiacciatore, ironicamente. «Io lo so bene, come si chiama la tua pressione bassa, Suga».
Lui sorride, questa volta per davvero, e sembra che gli si sia aperto uno squarcio sul viso, gemello di quello che ha sul cuore e ha la forma del sorriso di Shimizu.
«Cosa sei venuto a dirmi, Tanaka?» domanda, stancamente. «Io non ho voglia di sapere niente, di voi due, quindi…».
Tanaka lo guarda e freme, stringendo i pugni. «Come hai potuto?» sibila. «Lasciarla».
Sugawara ride, così forte che potrebbe rompersi una costola. «E me lo chiedi tu?» domanda, ironicamente. «Se ami una persona, devi anche essere disposto a lasciarla andare».
«Che cazzata è mai questa?» grida Tanaka, indignato. «Suga, ma ti senti?» domanda, riprendendo il controllo. «Non… torna da lei».
Suga lo guarda, disorientato. Si era preparato a litigare, a difendere il proprio diritto di amare Shimizu a distanza, silenziosamente e discretamente. Si era preparato a cedere, a dirgli che il suo sarebbe rimasto un amore muto e sordo, non corrisposto – ma Tanaka lo guarda, ed è sinceramente preoccupato.
«Cosa?» biascica Sugawara, incerto. «Lei… tu… cosa stai dicendo?».
Tanaka lo guarda e si sta evidentemente sforzando per non fargli vedere la sofferenza che quelle parole celano. «Torna da lei» ripete. «Io… inizialmente non pensavo che avresti potuto renderla felice, non più di quanto avrei potuto fare io. Ma lo fai, è evidente che lo fai, e allora… torna da lei».
Suga lo guarda e sente distintamente, quella mancanza gemella che tormenta i cuori di entrambi: è solamente l’ennesima fotografia venuta male, sfocata in rosso sullo sfondo di un cielo troppo blu, troppo nitido.
Come potrebbe tornare indietro, vorrebbe chiedergli, ma Tanaka sospira e, voltandogli le spalle, si allontana orgogliosamente e a grandi passi. Suga si ritrova così ad ascoltare il proprio silenzio, senza sapere bene come colmarlo.
Ha capito – non può lasciarla scivolare via, se davvero la ama – ma, quando lei gli sfila accanto in silenzio, gli mancano le parole. Perché è ferito, tutti loro lo sono in qualche modo, al pari del sole che tramonta a fatica, tingendo il cielo con il proprio sangue.
Suga lo guarda, domandandosi cosa abbia di tanto speciale, un tramonto: è solamente l’ennesimo flash di un’istantanea sfocata.


 
Sono di volata, devo andare a fingere di lavorare: prossimo aggiornamento 9 novembre.
Grazie per avermi letta.

Gaia
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: Gaia Bessie