Hogwarts
Express
“Salve
a tutti! Mi
chiamo Nora Campbell, ho 11 anni, e questa è la mia storia.”
I miei genitori mi accompagnarono fino
all’incrocio dei binari nove e dieci.
Non avevano la più pallida idea di come avrei
dovuto accedere al binario nove e tre quarti, e in realtà non ce l’avevo
neanche io.
Fu una vera illuminazione quando vedemmo
qualche strano tipetto riuscire a passare attraverso
il grande pilastro che separava le insegne dei binari nove e dieci.
Allora mi affrettai ad abbracciare i miei,
preoccupatissimi per tutto quello che stava succedendo, perché in fondo stavano
solo abbandonando la loro figlioletta ad un mondo assurdo, sconosciuto e pieno
di pericoli, dove non avrebbero potuto fare assolutamente niente per aiutarla,
guidarla, darle supporto oltre quello emotivo, perché non ne sapevano
assolutamente nulla.
Guardando i loro volti sconsolati, gli feci
un sorriso e mi decisi a passare la barriera con il mio carrellino super
appesantito dal baule con tutto l’occorrente per iniziare al meglio questa
nuova avventura.
Dall’altra parte sbucai vicino ad un
meraviglioso treno molto all’antica, colorato di un rosso lucente con dettagli
neri e dorati, già acceso e impaziente di partire, visto il fumo; rimasi a
bocca aperta.
Mi decisi subito ad entrare per prendere
posto, temendo di non trovarne se avessi aspettato troppo. Sono una tipa molto
ansiosa.
Scelsi il vagone con meno gente possibile
avanti all’ingresso, e con molta fatica riuscii a far salire il baule su quei
gradini alti e stretti. Appena salita, tirai un sospiro di sollievo e mi
guardai intorno in cerca di un posto dove sistemarmi.
Vidi alla mia sinistra uno scompartimento, e
mi avviai per andare a controllare se era libero, ma dopo appena un paio di
passi… *SBAM*.
Mi ritrovai scaraventata a terra, col sedere
dolorante, e il mio baule rovesciato a mezzo metro da me.
Ed eccoci di nuovo… La rabbia iniziò a
salire. Odio quando succede, perché di solito faccio cose che non riesco a
controllare.
Ci misi qualche secondo per riaprire gli
occhi. Un ragazzo alto, biondo, con gli occhi azzurri, mi stava fissando con
aria altezzosa e di sfida, visibilmente soddisfatto per avermi colpito con una
spallata così violentemente da farmi fare un bel volo.
Il sorrisetto compiaciuto che aveva si
trasformò subito in una espressione di stupore, scommetto perché aveva visto i miei occhi.
Non ho mai capito per quale motivo, ma
praticamente da quando sono nata quando mi arrabbio i miei occhi diventano di
un color oro lucente, e poi succedono cose strane che solitamente mi fanno
tornare il buonumore.
Solo recentemente, quando il professor
Silente venne a far visita ai miei genitori per spiegargli che sono una strega
e che sarei dovuta andare ad una scuola di magia per imparare a controllare i
miei poteri, capii che in realtà ero io a
far accadere quelle cose strane.
Tornando al treno, quelli che a questo punto
credo di poter definire “i miei poteri” fecero
fluttuare nell’aria il mio baule per rimetterlo a posto sul carrellino. Il
ragazzo biondo continuava a guardarmi con quella espressione di stupore che man
mano si trasformava in paura.
Mi alzai frettolosamente, e i miei occhi si
spensero gradualmente, come succede ai fiammiferi quando ci soffi sopra.
Afferrai il carrellino e mi incamminai verso lo scompartimento che avevo
adocchiato poco prima, impegnandomi ad ignorare il ragazzo che ancora mi
fissava.
Per fortuna c’era un posto libero; chiesi ai
ragazzi che occupavano gli altri posti se potevo sedermi, e loro, molto
cortesemente mi dissero che potevo occupare il posto libero. Avevo lasciato il
biondino alle mie spalle chiudendo la porta dello scompartimento. Mi sedetti.
Avanti a me c’erano due ragazzi praticamente
identici, che dopo la loro presentazione capii che erano gemelli: si chiamavano
Fred e George Weasley, erano molto alti e magri,
capelli rossi e un sacco di lentiggini sul naso.
Di fianco a me sedeva un ragazzino molto più
basso di loro, si chiamava Lee Jordan, aveva la pelle scura e i capelli rasta.
Erano tutti e tre molto gentili e simpatici,
e quando gli dissi che era la prima volta per me ad Hogwarts,
cominciarono a raccontarmi un sacco di cose. Ad esempio, mi dissero che c’erano
quattro case, che la loro era Grifondoro e che quella
di Serpeverde era la peggiore. Mi raccontarono dei
loro scherzi agli altri studenti, e mi raccomandarono di stare attenta perché
prima o poi ne avrebbero fatto qualcuno anche a me.
Passammo tutto il tempo del viaggio a ridere
e scherzare.
Poco prima dell’arrivo, mi suggerirono di
andare ad indossare la divisa; rimasero tutti e tre a bocca aperta quando i
miei occhi iniziarono di nuovo ad illuminarsi d’oro e come per magia i miei vestiti erano
diventati la divisa.
I gemelli in coro mi chiesero come avessi
fatto, ed io gli spiegai che non ne avevo idea, sapevo farlo praticamente da
sempre. Lee cominciò a parlare come una macchinetta, e mi spiegò che non era normale
(certo, come se tutto il resto di quello che
stava accadendo lo fosse), e che la stragrande maggioranza dei maghi ha bisogno
di studiare anni e anni per imparare a fare quello che faccio io semplicemente
desiderandolo.
Non ne rimasi molto stupita, ma semplicemente
perché oramai ero pronta a tutto, non mi meravigliava più niente.
E adesso erano loro a riempirmi di domande,
volevano sapere di tutte le mie disavventure passate a causa di questi poteri
particolari, ed io li accontentai raccontandogli di quante volte i bulli a
scuola si erano ritrovati appesi da qualche parte a testa in giù, o di quella
volta che mia zia si ritrovò pelata dopo aver cercato di farmi mangiare le
verdure. Insomma, ne avevo di storie da raccontare, e loro ne furono così
compiaciuti che mi chiesero di entrare a far parte del loro gruppo di
combina-guai. Ovviamente accettai, per me era un onore.
Quando il treno si fermò era buio, e fui
costretta a malincuore a separarmi dai miei nuovi amici, per seguire il signor Hagrid insieme agli altri ragazzi del primo anno.
Ci portò per un lungo sentiero nei boschi, e
ci fece salire su delle barche che ci portarono alla scuola. Era uno spettacolo
a dir poco meraviglioso vedere il castello di Hogwarts
con tutte le finestre illuminate fino alla punta delle torri.
Dopo aver varcato il grande portone che
portava all’ingresso, la professoressa McGonagall,
una strega dall’aspetto molto severo, ma che ispirava fiducia, ci spiegò alcune
regole e poi ci invitò a seguirla in sala grande per essere smistati nelle
varie case dal cappello parlante.
Vidi molti ragazzi essere assegnati a Grifondoro, Serpeverde, Tassofrasso e Corvonero.
Quando arrivò il mio turno, mi tornarono alla
mente i consigli di Fred, George e Lee, ma non ne ebbi bisogno perché quando la
professoressa poggiò il cappello sulla mia testa, i miei occhi ripresero ad
illuminarsi, ma questa volta senza motivo perché non desideravo accadesse
niente.
Anche il cappello si stava illuminando, era
diventato un lanternino dorato. La sua voce disse ad alta voce che mi stavo
sbagliando, che in realtà ero io a volerlo,
e lo stavo costringendo a inserirmi
in una determinata casa. Ah beh, se lo dice lui probabilmente è così.
Ovviamente fui inserita nei Grifondoro.
Sembrò quasi sollevato quando la
professoressa McGonagall lo rimosse dalla mia testa
per metterlo su quella di qualcun altro, e io trotterellai allegra a sedermi al
tavolo dei Grifondoro proprio in mezzo a Fred e
George, che erano contenti quasi quanto me.
Ripresero subito le chiacchere sugli scherzi,
quando incrociai avanti a me, a due tavoli di distanza, lo sguardo del ragazzo
biondo del treno. Mi fissava insistentemente.
Non so perché, ma sentii un brivido lungo la
schiena, e non riuscivo a smettere di fissarlo.
Sussurrai a Fred chiedendogli chi fosse,
indicandolo con un gesto del capo, e lui si fece subito serio.
Mi rispose che si chiamava Draco Malfoy, era un Serpeverde, e soprattutto che era meglio non avere niente a
che fare con lui.
Fissai negli occhi Fred, che mi stava ancora
guardando preoccupato, gli feci un piccolo sorriso e arrossii. Allora mi sorrise
anche lui e riprendemmo a chiacchierare di altro.
Insomma, avevo bisogno di sapere tutto su
quella scuola e di come avrei dovuto comportarmi nei giorni successivi, e avevo
trovato le guide perfette.