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Autore: ShanaStoryteller    06/11/2020    0 recensioni
[La Sirenetta]
La sirenetta è cresciuta.
Ma prendere il posto della strega del mare e diventare regina dettando le sue condizioni non era il modo in cui intendeva farlo.
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Tuyet non aveva idea di quello che stava facendo.

“Non hai bisogno di loro.” Tentò. “Hai me. Quanta magia ti può dare in più una vita non nata a confronto di quello che ti posso dare io?”

Caligula ghignò. “Stupida ragazza, non l’hai ancora capito? Non si tratta del potere che possiedo.”

Tuyet la fissò a bocca aperta e tutti i suoi argomenti e le sue suppliche la abbandonarono. “Cosa? Tu ami il potere. Lo brami.” È per questo che vuoi me, ma non lo aggiunse.

“No,” disse lei, scivolandole vicino, “non mi hai ascoltata, bambina. Non si tratta del potere che posseggo. Ma del potere che prendo.”

Oh.

Caligula avrebbe potuto avere tutto il potere del mondo e non le sarebbe comunque bastato. Perché non si trattava di quello che possedeva. Si trattava di quello che riusciva a prendere e rubare dalle persone, non si trattava di quello che poteva guadagnare, ma di quello che faceva perdere agli altri. Non sarebbe mai stata soddisfatta fino a quando non avrebbe tolto tutto agli altri, fino a quando non ci sarebbe stato più nulla da prendere.

Tuyet sollevò una mano, concentrando la magia nel palmo. Caligula inclinò la testa all’indietro e rise: “Pensi di poterti scontrare con me? Conosci solo trucchetti da quattro soldi. Non c’è potere che possa rimediare alla tua mancanza di talento.”

Non era del tutto vero, ma valeva per lei. Poteva anche essere più forte di Caligula, con il suo sangue reale ricco di magia e il suo potenziale emerso grazie agli abusi della strega del mare, ma Caligula usava la magia da molto tempo e aveva combattuto numerose battaglie, uscendone vincitrice. Non esisteva un incantesimo abbastanza potente o veloce da poterla distruggere prima che Caligula la superasse in astuzia.

Ma non era quello che pensava di fare.

“Invenient.” Evocò, e si soffiò sulla mano, spargendo l’incantesimo di localizzazione inversa in ogni anfratto del mare.

Caligula non rideva più. “Che stai facendo?” Sibilò, e si avvicinò con fare minaccioso.

Tuyet cercò di arretrare, ma non sapeva dove andare. Trasalì quando Caligula la afferrò per i capelli, tirandola verso l’alto, avvicinandola al suo volto e costringendola così a stare dritta. “Mio padre seguirà quell’incantesimo e verrà qui. Hai ragione. Io non posso sconfiggerti. Ma lui sì.”

Suo padre non si era mai curato di Caligula prima di allora, si era limitato ad ammonire Tuyet e le sue sorelle di non andarle vicino e a dire loro che a chiunque cercasse la strega del mare capitava quello che meritava. Si sarebbe arrabbiato terribilmente con lei per essere una di quelle persone, per quello che aveva fatto, per le bugie e il suo tradimento e la sofferenza che aveva inferto alla sua gente. Ma era comunque meglio dell’alternativa che aveva.

Non avrebbe amato il suo principe se avesse abbandonato il suo popolo. Come poteva sperare che lui l’amasse se lei abbandonava il suo? Rimaneva una principessa, di sangue reale e con doveri reali. Doveva proteggere la sua gente.

“Stupida ragazza!” Urlò Caligula. “Ti rinchiuderà dopo quello che hai fatto, se sei fortunata, e non vedrai mai più il tuo principe! È questo che vuoi?”

“No.” Ripose lei. Piangere sottacqua era molto meglio, meno problematico, più dignitoso. C’era determinazione nel suo diniego, ma non dignità. Aveva il volto gonfio e doveva tenersi sollevata su quella nave, con le scaglie doloranti; nonostante tutto il potere nel suo sangue, non riusciva nemmeno a tenersi dritta. “Ma il prezzo per la mia felicità è troppo alto. Non posso pagarlo.”

Avrebbe dovuto farlo prima, avrebbe dovuto farlo quando la principessa Felicity era morta, ma era disperata e una codarda. Se fosse stata più furba, l’avrebbe capito molto prima di quanto successo con Felicity e avrebbe chiamato suo padre per far rinchiudere Caligula mesi prima. E allora, Felicity sarebbe viva, si sarebbe sposata ed Elias e la sua isola sarebbero salvi.

Invece era tutto un caos, morte e paura perché era stata stupida, e si rifiutava di lasciare che continuasse a quel modo.

Caligula ringhiò. “Quell’incantesimo di localizzazione non funzionerà sul tuo cadavere, ragazza.”

Vide gli artigli di Caligula sfrecciare verso di lei e si coprì il volto, sapendo che non sarebbe servito a nulla, che Caligula poteva rubarle il respiro dai polmoni con una maledizione senza bisogno di toccarla, come aveva fatto con Felicity.

Poi, sentì delle gambe alle sue spalle, a sostenerla, e Caligula si fermò bruscamente.

“Ehi ehi.” Disse John, pacato. Tuyet inclinò la testa e vide il suo braccio teso e una pistola puntata tra gli occhi di Caligula.

Una pistola non avrebbe dovuto significare niente per lei, avrebbe dovuto essere un gioco da ragazzi, ma la strega del mare non rise. Si congelò sul posto e, per la prima, Tuyet la vide spaventata. “Dove l’ha presa quella?”

“Non ha importanza.” Disse lui, completamente rilassato, con un sorriso che aleggiava agli angoli della bocca, perfino in quel momento. “Se fai un altro passo verso questa signorina, sparo.”

Tuyet si voltò e vide che anche Ana e Maria lo guardavano sorprese; evidentemente era qualcosa che non avevano mai visto prima, qualcosa che non si aspettavano.

A quanto pareva, non si diventava un famigerato capitano pirata solo per avere due mogli temibili.

“Ti ucciderà.” Lo ammonì Caligula. “Tutto quello che le tue donne hanno fatto per salvarvi la vita, il bambino che hanno scambiato… Butteresti via la tua vita proprio di fronte a loro?”

Era un gioco mentale quello insito nelle parole di Caligula, un incantesimo che non lo era davvero. Tuyet tentò di aprire la bocca per avvertirlo, per dire qualcosa, ma non le uscì niente.

“Per proteggerle?” Le chiese, immobile, del tutto immune e intoccato dalla voce di Caligula. Tuyet non capiva come riuscisse a farlo. Era solo un umano. Non era forse così? “Certo che lo farei. Fai un solo movimento verso questa signorina o una delle mie mogli o me e premerò questo grilletto per assicurarmi che sia l’ultima cosa che farai.”

“Allora premere quel grilletto sarà l’ultima cosa che farai.” Disse Caligula, ma non lo disse come una minaccia.

Lui fece un’alzata di spalle, sollevandole e abbassandole sotto la sua bella giacca.

Si fissarono per un po’ e Tuyet non poté fare altro che aspettare, sperando che suo padre arrivasse prima che accadesse qualcosa di terribile.

Caligula ebbe un fremito.

Guardò l’oceano, aggrottando le sopracciglia e poi le sollevò di scatto. “Il mio tridente!” Urlò. “Stupida ragazza, l’hai portato dal mio tridente!”

Tuyet non riuscì a reagire perché Caligula si voltò e si tuffò nell’oceano, seminandoli.

John rinfoderò la pistola e si piegò per poggiarle una mano sulla spalla. “Tutto bene?”

“John.” Esordì Maria, ma non disse altro.

“Sonno arrabbiato con tutte e due.” Disse, ma non sembrava che lo fosse; la sua voce non era severa o cattiva né tantomeno alta. Lo disse con semplicità, come se la sua rabbia fosse qualcosa di semplice. “Non so in che guaio ti sia cacciata, ma Caligula non è la persona che te ne tirerà fuori. Non dovresti tornare da lei. Rimani qui.”

Le ci volle un momento per capire che John stava parlando con lei e non con le sue mogli.

“No.” Disse, infine, e fu la prima volta che si sentiva la bocca secca. “No, non posso. Devo tornare in acqua.”

“No che non devi.” Riprese John, ma Tuyet non rimase ad ascoltarlo ed evocò un’onda che si infranse sulla nave. Non per rovesciarla o ferire qualcuno, ma per farsi trascinare nell’oceano.

Avrebbe voluto rimanere, o almeno non andarsene, ma in che posto poteva andare dove suo padre non l’avrebbe trovata? Prima, sarebbe scappata sulla terraferma, dove la sua famiglia non avrebbe potuto seguirla anche se avessero voluto, ma ora era diverso.

Aveva fatto la cosa gusta, ma le era costato tutto quello che aveva sempre voluto con così tanta intensità. Non avrebbe mai seppellito i piedi nella sabbia calda e asciutta. Non avrebbe mai camminato per un mercato. Non avrebbe più avuto la possibilità di rivedere il suo principe.

Ma la sua gente era al sicuro da Caligula. Suo padre avrebbe imprigionato la strega del mare, e anche lei probabilmente, per essere scappata, per tutto. Forse, se era particolarmente arrabbiato, avrebbe fatto condividere loro la cella in modo che Caligula continuasse a torturarla e, quando suo padre l’avrebbe fatta uscire, le ossa di Elias sarebbero state polvere.

Non la stupiva che la gente scegliesse di rado di fare la cosa giusta se faceva sempre così male.

Forse si sarebbe potuta nascondere da suo padre per un po’, l’oceano era vasto. Ma gli sarebbe bastato soffiare una volta nella conchiglia e ogni creatura marina l’avrebbe cercata e non c’era luogo in cui potesse stare completamente sola, dove nessuna creatura vivente avrebbe potuto trovarla. Quindi, non aveva molto senso. Nascondersi non l’avrebbe salvata, avrebbe solo reso suo padre più furioso e la sua punizione peggiore di quello che già era.

Dunque, non si nascose e non scappò.

Ritornò alla grotta di Caligula per affrontare le conseguenze, usando la sua magia come propellente per attraversare l’oceano. Era meglio incontrare suo padre nella grotta piuttosto che a palazzo. Almeno a quel modo sarebbe esploso lì e le avrebbe urlato di tutto senza che altri lo vedessero.

L’odore fu quello che la colpì prima di ogni altra cosa, un che di marcio e turpe e bruciato, acre perfino. Non c’era fumo nell’oceano, ma poteva sentirne il sapore nell’acqua che la circondava. Si avvicinò lentamente alla grotta, cauta. Era certa che Caligula non fosse così stupida da opporre resistenza al re del mare. Era potente, certo, ma lui era re Proteus, nato da Pallas. Caligula era molte cose, ma non stupida.

“Abscondium.” Sussurrò, aspettando che l’ondata di magia la coprisse, celandola alla vista. Poi, si addentrò nella caverna, aggrappandosi alle pareti per non andare addosso a qualcosa per sbaglio, allertandoli così della sua presenza.

Non si aspettava quello che vide.

Suo padre era furioso, più arrabbiato di quanto lo avesse mai visto, e la sua furia sembrava renderlo più grande, anche se non poteva ingrandirsi molto nello spazio angusto di quella grotta. I suoi occhi blu elettrico erano freddi e duri e i suoi capelli scuri, striati d’argento, gli turbinavano attorno al capo, mentre la conchiglia appesa al suo fianco dondolava e la fine della sua coda, di un argento scuro, si muoveva avanti e indietro per l’agitazione.

Caligula era aggrappata al suo tridente riparato per metà, rimpicciolita su se stessa. Era la prima volta ad essere lei la più piccola. “Ti prego, no- non è quello che sembra-”

“Mia figlia,” tuonò, “per il tuo tridente? Cos’avevi in mente?”

Caligula stava forse cercando di usarla come moneta di scambio? Che suo padre pensasse che era prigioniera o rinchiusa da qualche parte? Aprì la bocca, preparandosi a dire qualcosa, per far sapere a suo padre che Caligula non l’aveva catturata e che quindi non aveva il coltello dalla parte del manico.

Ma non ne ebbe l’occasione.

Proteus aprì i pugni e una dozzina di lumache marine galleggiarono fuori dalle sue mani. Tuyet spalancò gli occhi.

Da piccole, sua nonna acconciava loro i capelli con le lumache di mare. Tuyet le trovava bellissime e non capiva che erano una protezione, come gli antichi squali goblin che le accompagnavano costantemente. In quanto reali, erano immuni al veleno delle lumache di mare.

Ma Caligula non lo era.

Le barbe le affondarono nella pelle prima ancora che avesse la possibilità di urlare, sufficienti a uccidere più volte un capodoglio, ma forse non sarebbe bastato contro Caligula perché lei non era nata con la magia nel sangue ma se ne era iniettata abbastanza nelle vene, trasformandosi completamente per controllare la magia come sapeva fare. Forse, questo l’avrebbe salvata.

Ma quello non era un attacco magico e non ebbe il tempo di innalzare nessun tipo di difesa prima che il veleno la uccidesse. Il suo corpo cadde a terra e le lumache galleggiarono verso la volta della grotta.

Tuyet era talmente sorpresa che si dimenticò di respirare. Proteus guardò il corpo di Caligula, immobile come lui, poi si abbassò, afferrò il tridente da terra e glielo conficcò nel petto con una forza tale da spezzarle le costole e trafiggerle il cuore. Il sangue fluì attorno al tridente, rivestendolo e asciugandosi più velocemente del normale, per poi staccarsi, lasciando l’arma lucente e argentata.

Era ritornato al suo potere originario.

“Ne è valsa la pena?” Le chiese Proteus, e la sua voce era insopportabilmente alta nell’immobilità della grotta. “Prima il terremoto e poi questo? Pensavi che ti avrei perdonata?”

Tuyet ebbe un fremito e si appiattì contro la parete, incassando la testa fin quando le spalle non toccarono le orecchie.

Il terremoto non era colpa della strega.

Suo padre fece per prendere il tridente, ma si bloccò. Corrugò le sopracciglia e fece per prenderlo nuovamente ma si fermò ed emise un verso disgustato e gutturale. Quell’oggetto era potente, Tuyet lo sapeva, ma sua padre doveva odiarlo così tanto da non volerne reclamare il potere o perlomeno sottrarlo alle mani di qualcun altro e chiuderlo nella sala del tesoro. Uscì dalla grotta e Tuyet lo osservò mentre si allontanava, senza dire nulla. Se non aveva percepito la sua presenza, se l’incantesimo di tracciamento l’aveva condotto alla magia che aveva infuso nel tridente invece che a lei, se si era adirato per il terremoto a tal punto da uccidere Caligula, allora non aveva motivo di rivelarsi a lui.

Forse quella era la giusta soluzione. Suo padre non sapeva come trovarla, forse non la stava neanche cercando, forse quella era la cosa più simile alla libertà di cui avrebbe mai potuto godere. Non avrebbe ottenuto le gambe, non sarebbe mai stata veramente libera né avrebbe mai vagato per i mercati né avrebbe vissuto tra gli umani. Ma non era stata esiliata né imprigionata nel palazzo, né costretta a rimanere in una cella per anni a guardare il mondo che le scorreva davanti.

Sciolse l’incantesimo di invisibilità e nuotò fino al cadavere di Caligula, sedendosi a terra vicino a lei, osservando i suoi occhi spalancati e il suo corpo che sanguinava ancora, col sangue che le si dissipava attorno. Tese una mano e le lumache di mare atterrarono dolcemente sul suo palmo, piccole e belle; non sembravano affatto mortali. Fece come usava fare sua nonna e se le acconciò nei capelli, per precauzione.

Il suo futuro non le era mai sembrato così incerto e sentiva di avere bisogno di tutta la protezione possibile.

Il tridente brillava d’argento perfino nella luce fioca della grotta; Tuyet aveva versato il suo sangue per lui, aveva imparato la magia per quel tridente e non si rese conto di essersi sporta per prenderlo fino a quando non lo ebbe in mano.

Era freddo e pesante. Pensava che sarebbe stato diverso ora che era completo, pensava che sarebbe stato elettrico, vivo, ma ovviamente non era così.

Il tridente non era una persona. Era un oggetto. Suo padre poteva anche non essere riuscito a prenderlo, ma a quanto pareva lei non aveva lo stesso problema. Forse il tempo che aveva passato con Caligula l’aveva corrotta più di quanto pensava se aveva fatto con così tanta noncuranza qualcosa che suo padre non avrebbe fatto.

“Um, mi scusi.” Chiese piano una vocina, e Tuyet si voltò, posizionando il tridente davanti a lei con fare difensivo, ma si trattava solo di un tritone che sbriciava dentro la grotta. “È lei la strega del mare?”

Dalla sua prospettiva non poteva vedere il cadavere insanguinato a terra.

Guardò a terra e lanciò silenziosamente lo stesso incantesimo che aveva fatto al corpo di Felicity, in modo che Caligula si trasformasse in niente più che schiuma di mare. Nel caso di Felicity, l’aveva fatto per gentilezza, ma in quel momento era solo per liberarsi del cadavere. Non riusciva neanche a sentirsi in colpa. Tanto nessuno avrebbe mai cantato a lutto per lei.

Era quella la risposta, dunque? Cos’altro avrebbe potuto fare con quella flebile libertà? Conosceva la magia. Non tanto quanto Caligula, ma abbastanza, e ora che poteva leggere le sue pergamene forse avrebbe imparato anche di più, diventando qualcuno con quel suo potere, usandolo per sé.

Avrebbe potuto prendere il posto di Caligula e forse l’avrebbe fatto anche meglio, in modo diverso.

“Sì.” Rispose, stringendo la presa sul tridente. “Sono io. Cosa vuoi?”

Il tritone le rivolse un ghigno e nuotò più vicino, sicuro di sé. “Ho bisogno di aiuto per uccidere mia madre. Non mi lascia fare niente, continua a dirmi di migliorare e non sprecare i suoi soldi, che vivrà per sempre e si terrà tutto il denaro per sé per ripicca, potresti-”

Le ci volle più tempo del dovuto per collegare il tridente che vibrò nella sua mano, la rabbia che montava come bile nella sua gola e il tritone rannicchiato e terrorizzato contro la parete della grotta con delle brutte bruciature ad arco sul petto.

Avrebbe potuto guarirlo. Non lo fece.

“Vattene.” Disse, guardandolo con occhi placidi mentre saettava lontano da lei.

Forse no.

***

Tuyet si domandò se Caligula fosse già malvagia, se fosse sempre stata orribile e fosse incappata in quella vita e nella magia perché malvagia o se fosse stata la vita a renderla così.

La gente le chiedeva cose orribili. Morte, in molti modi e varianti, e raramente le sembrava anche solo lontanamente giustificabile. Il punto era che far morire qualcuno era facile, torturare era facile, così tante cose orribili erano facili da fare, erano magie semplici.

Dopo due settimane a studiare tutte le pergamene che non aveva avuto il permesso di toccare, comprese perché Caligula non faceva mai niente per niente.

Il costo per gli altri tipi di magia era veramente alto. Non era un prezzo calcolabile economicamente, altrimenti sarebbe stato facile perché aveva ancora la fortuna in perle che aveva rubato dal tesoro reale. A meno che non avesse tentato di ricreare lo stile di vita lussuoso che le era garantito a palazzo, non avrebbe dovuto preoccuparsi di niente per lungo tempo.

Curare malattie era quasi impossibile e, ovviamente, non venivano da lei con ossa rotte o ferite da taglio, che avrebbe potuto risolvere con una ciocca di capelli o una manciata di scaglie. Nessuno era così disperato da chiamare una strega del mare per cose simili. Venivano da lei per malattie interne, ossa in putrefazione e cuori che non battevano come dovrebbero.

Sulle pergamene si diceva che erano richiesti l’ultimo respiro di un ragazzo, i cuori ancora pulsanti di svariate dozzine di delfini e primogeniti.

La vera magia, quella che poteva fare quel tipo di cose, veniva a caro prezzo.

Non le ci volle molto per trovare l’incantesimo che le avrebbe donato le gambe, un tentativo verso la libertà, e scoprì che Caligula non le aveva detto tutta la verità, tralasciando la parte più importante.

Era una sirena con un freddo cuore marino e non sarebbe sopravvissuta in superficie, non per sempre. Per un po’, forse, ma poi il suo cuore di ghiaccio si sarebbe sciolto, uccidendola. L’unico modo per evitarlo, per mantenere le sue gambe e stare sotto la luce del sole, era di sostituire il suo cuore con quello di un umano, un cuore donatole spontaneamente.

Anche se fosse riuscita a raggiungere il suo principe, se il principe Elias si fosse innamorato di lei, avrebbe dovuto convincerlo a uccidersi oppure lasciarlo perché il tipo di magia che le avrebbe concesso di tenere la sua felicità era un tipo di magia che non poteva permettersi.

Poteva distruggere e incanalare la sua magia nella terra fino a squarciarla, spezzare il mondo in due, e non avrebbe dovuto pagare molto. Ma guarire un cuore spezzato veniva a un prezzo troppo caro – otto vergini dalle lacrime prosciugate – e non riusciva a immaginarsi qualcuno che potesse farlo.

Quindi, decise di fare quello che poteva.

A coloro dal cuore spezzato e in lutto cancellava i ricordi dei cari perduti, in modo che non soffrissero più. Per i malati, doveva arrangiarsi con quello che aveva. Poteva sostituire un fegato malfunzionante se ne aveva un altro disponibile e fin troppi cari venivano da lei, supplicandola di passare la malattia su di loro per lasciar vivere coloro a cui tenevano, anche se significava morte certa per loro.

Quando, per la prima volta, venne da lei una donna con gli occhi arrossati, stringendo un fagotto immobile, le si spezzò il cuore.

“Non posso riportare in vita i morti.” Disse. Negli ultimi tempi non era molto gentile perché la gente scambiava spesso la sua gentilezza per debolezza.

“Ti prego,” disse piano, “ti prego, non riesco a nasconderlo e sua madre tornerà presto.”

Tuyet gelò.

“È che mi sono arrabbiata così tanto.” Disse, e girò il fagotto. Tuyet sentì lo stomaco rivoltarsi alla vista del volto tumefatto del bambino, al modo in cui il suo collo era piegato in un angolo strano. “Puoi aggiustarlo? Di solito non si rompono così.”

“Di solito?” Ripeté, intorpidita.

La donna annuì, storcendo la bocca. “Fanno così tanto rumore e io voglio che stiano tranquilli. Si zittiscono sempre prima o poi e allora dico che si sono girati nel sonno o che erano malati. Ma con questo qui non posso. Puoi aggiustargli il collo?”

Non voleva che Tuyet riportasse in vita il bambino. Voleva che la aiutasse a insabbiare un omicidio, uno dei tanti che sembrava aver commesso.

“Sì.” Disse, e stese la mano in modo che il tridente galleggiasse verso il suo palmo. “Sì, posso farlo.”

L’incantesimo per aggiustare il collo e guarire i lividi era facile, anche se lo si eseguiva su un cadavere. Fu più difficile evocare quello per cancellare i ricordi della donna, ma le venne facile dopo aver sacrificato un braccio della donna e un quarto della sua coda per l’incantesimo. Ci vollero entrambi gli occhi e la lingua della donna per far funzionare quello per accelerare i battiti del cuore e riuscì a completare il tutto strizzando il sangue dal suo cuore.

Ovviamente, il trasferimento dell’anima era la parte più difficile, soprattutto con il poco tempo che aveva a disposizione. Dovette usare un incantesimo per separare la carne della donna dalle sue ossa, riducendo queste ultime in polvere e inserendo quanto ottenuto nei polmoni del bambino, calcificandoli centimetro per centimetro, e un incanto che le bruciò le labbra mentre lo recitava.

Non ci mise molto e le venne più facile di quello che credeva, ma le sembrò di averci messo un niente a ridurre la donna a un mucchio di carne sanguinolenta e ottenere un incuriosito bambino vivo tra le sue braccia.

Non poteva riportare indietro il bambino che la donna aveva ucciso. Ma, fortunatamente, a quell’età la maggior parte dei bambini si assomigliava.

“Mi auguro che la tua malvagità fosse un’abitudine perversa e non qualcosa di inevitabile.” Disse al bambino, all’anima della donna costretta in quella forma. “Sarebbe un peccato se tua madre crescesse un mostro.”

Poi le si presentò il problema di come restituirlo. Era sufficiente un incantesimo di localizzazione per trovare la madre, ma non poteva arrivare a nuoto nel bel mezzo di una città.

Fino a quel momento non era mai stata riconosciuta, nessuno aveva mai avuto motivo di riconoscerla dato che lei e la sua famiglia trascorrevano la maggior parte del tempo in fondo all’oceano, al contrario dei suoi sudditi. Le voci su una nuova strega del mare si erano diffuse in fretta e, se suo padre le aveva sentite non ci aveva badato per non causare problemi sottolineando che era stato lui a uccidere la prima. Avrebbe reso nervosa la loro gente sapere che il loro re se ne andava in giro a uccidere i suoi sudditi, anche se si trattava di quelli che tutti sapevano essere malvagi. Forse soprattutto quelli, dato che Tuyet aveva scoperto che molta della sua gente lo era.

Non poteva entrare in città, non per quel motivo, non ne valeva la pena. Ma se non fosse riuscita a restituir il bambino a sua madre, si sarebbe data tutta quella pena per creare qualcosa di simile a un figlio per niente.

La conchiglia con la quale poteva dominare le creature che la circondavano era appesa al fianco di suo padre. Ma questo non significava che non poteva chiedere loro un favore.

Significava, però, che se si fosse trovata un aiutante, avrebbe fatto meglio a essere qualcuno che suo padre non poteva comandare. Il che implicava tutti gli esseri marini. Dunque, aveva bisogno di qualcuno che non appartenesse al mare.

Fischiò e il suono lasciò le sue labbra, trasportato oltre la grotta, fin nelle profondità dell’oceano. Sperò che suo padre non lo sentisse. Non avrebbe capito che era lei, certo, non era qualcosa che le aveva insegnato; ma avrebbe capito cosa stava facendo e poteva essere sufficiente a incuriosirlo abbastanza sulla nuova strega del mare. E, ovviamente, non era quello che Tuyet voleva.

Per alcuni lunghi minuti non accadde niente e lei lo interpretò per un no. Si disse che avrebbe dovuto trovare un’altra soluzione, magari avrebbe potuto costruire una culla e incantarla in modo che arrivasse in citta. Solo che avrebbe reso il bambino vulnerabile, avrebbe potuto essere mangiato o peggio. Il che, come già detto, mandava a monte tutti i suoi sforzi.

Il terreno tremò e, inizialmente, Tuyet pensò che si trattasse di un altro terremoto, a differenza che quello non era opera sua. Solo che si faceva sempre più intenso e vicino e la ragazza sorrise, uscendo dalla caverna con il bambino contro il petto.

La gigantesca testa di un serpente marino emerse dal terreno morbido, e questi scivolò nell’acqua, circondandola con il suo corpo immenso, guardandola dall’alto.

Cetus viveva nella terra, era stato creato dalle mani di Oceano prima che ci fosse un oceano e, anche se viveva nel mare, non ricadeva nel dominio di suo padre; era un qualcosa di diverso che viveva nelle profondità del mare e che suo padre e sua nonna le avevano sempre detto di non cercare.

Ma non aveva cercato nessuno. Era stato Cetus a venire da lei.

“Ho bisogno che tu restituisca questo.” Disse, porgendogli il bambino.

Cetus si avvicinò, crescendo di stazza fino a che i suoi occhi non furono grandi quanto lei, fino a quando Tuyet non poté vedere distintamente che l’argento del suo occhio e niente più. Poi, ebbe un tremito e rimpicciolì, prendendo la forma di un polipo argento scuro. Poi, pese il bambino dalle sue mani con i suoi tentacoli.

“Grazie.” Disse lei, e un tentacolo scivolò lungo il suo volto prima che Cetus si lanciasse verso la città.

Pensava che sarebbe finita lì, che gli avesse chiesto un favore che lui aveva esaudito e che poi se ne sarebbe tornato a fare qualunque cosa facessero nel loro tempo libero i mostri marini più vecchi dell’oceano in cui abitavano.

Solo che il giorno dopo un serpente dalle belle scaglie argentate scivolò vicino all’entrata della grotta e la spiegazione poteva essere solo una. “Ciao,” disse lei, “posso aiutarti?”

Cetus non disse nulla, anche se era sicura che avrebbe voluto. Tuyet poteva parlare con molte creature marine, ma lui era molto di più; era sicura che avrebbe potuto trasformarsi in qualunque forma avesse voluto se avesse sentito il bisogno di parlarle direttamente. Strisciò intorno al tridente, e Tuyet un po’ si aspettava che ci si sarebbe avvinghiato, ma non lo toccò, e scelse di attorcigliarsi attorno alla sua coda, poco prima della pinna.

“Rimani quanto vuoi.” Disse, perché non avrebbe potuto impedirglielo in ogni caso. Era la strega del mare ora, una principessa e figlia di re Proteus, ma non una sciocca. Non più, almeno. Se Cetus avesse voluto mangiarla, inghiottendola in un boccone, l’avrebbe fatto e nessun tipo di magia o protezione che Tuyet aveva a disposizione avrebbe potuto fermarlo.

La sua presenza era una buona cosa. La aiutava a sentirsi meno sola, le dava qualcosa su cui concentrarsi che non fosse la sua stessa rabbia, tristezza o dolore. Aiutava, ma non guariva, e se qualcosa dentro di lei non si era spezzato prima, ora era sicura di essere a pezzi.

La donna che aveva ucciso il bambino era stata la prima persona che aveva ucciso con le sue stesse mani. Felicity l’aveva uccisa con la sua stupidità e non si era mai fatta troppe domande su come qualcuno della gente disperata che veniva da lei si fosse procurato gli ingredienti che richiedeva. Ma era sempre riuscita a dominare la sua rabbia e il suo disgusto, a smussare gli impulsi violenti che non ricordava di avere mai avuto prima. Non con quella donna, non quella volta.

Che fosse sempre stata così, nel profondo? Non pensava. E non credeva neanche che fosse opera della magia. I pensieri e i sentimenti che provava erano i suoi. Non erano altro che il risultato di aver visto il peggio delle persone, ancora e ancora, o forse il meglio, a volte, ma nel peggiore dei modi. Era stata ingenua. Non lo era più e le mancava, in un certo modo astratto. Nessuno si sarebbe mai sognato di approfittare di lei ora, né di farle del male. Ma le mancava la ragazza che era prima di aver raccolto il tridente e il titolo di Caligula, la ragazza che non sapeva di cosa fosse capace la gente, nel bene e nel male.

Si era trasformata nel tipo di persona che uccideva una donna e non ci dava peso. Certo, si era trattato di un’assassina, un’infanticida seriale. Ma rimaneva il tipo di persona che lavorava l’anima di un’assassina in una forma che poteva adattarsi al corpo di un infante e non era certa di quale delle due trasgressioni fosse la peggiore.

Qualunque cosa fosse diventata, non era la persona che era prima, quello che era prima, e non capiva se era una buona cosa.

   
 
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