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Autore: ShanaStoryteller    30/09/2020    0 recensioni
[La Sirenetta]
La sirenetta è cresciuta.
Ma prendere il posto della strega del mare e diventare regina dettando le sue condizioni non era il modo in cui intendeva farlo.
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ormai il tridente brillava d’argento per metà, mezzo pieno della magia di Tuyet. Era appoggiato in un angolo della caverna, in attesa di ogni goccia di magia che ci stava riversando dentro. La ruggine si sfaldava mentre lo inondava ulteriormente di magia e, ormai, il tridente non la smetteva di brillare.  Inizialmente, Tuyet aveva trovato quella luce confortante, ma ora le sembrava solo sinistra, un ricordo del suo debito con Caligula, della vita a cui aveva rinunciato per sempre solo per poter camminare sulla sabbia invece che trascinarcisi sopra.

Tuyet lo aggirò nuotando e si diresse verso l’imboccatura della caverna, allungando il suo percorso quanto poteva per evitarlo.

“Vai da qualche parte?” Le chiese pigramente Caligula, seduta nel bel mezzo della stanza. Fino a poco prima, lì non c’era. Non alzò lo sguardo dalle pergamene che stava leggendo.

Tuyet fece del suo meglio per non tremare. “Stavo- stavo solo andando-”

“Andando a vedere il tuo principe?” Terminò la strega del mare. “D’accordo. Ma ritorna prima del tramonto.”

Come avrebbe fatto a capire quando il sole sarebbe tramontato? Erano talmente in profondità che i raggi del sole non le raggiungevano, ma Tuyet sapeva che era meglio non discutere. “Va bene.”

Attese per vedere se Caligula avesse altro da dirle, se avesse tentato di fermarla, ma quando quella non si curò nemmeno di guardarla, sfrecciò fuori dalla grotta.

Da quando aveva causato accidentalmente uno tsunami e un terremoto, Caligula la teneva sotto stretta sorveglianza. O forse l’aveva sempre tenuta sotto stretta sorveglianza, se sapeva dei suoi frequenti viaggi per vedere il principe, ma ora non più, o forse sì, ma non le importava che Tuyet lo sapesse.

Ora che non aveva più un posto dove andare, era come se la stretta di Caligula su di lei si fosse rafforzata e allentata al tempo stesso. Decise di non pensarci, di non rimuginare su qualcosa per cui non poteva fare niente. Il tridente era quasi carico per metà, il che significava che era a metà strada verso la sua libertà, le sue gambe e il suo principe e la sua isola.

Era su quello che si doveva concentrare. Non sulla sua situazione attuale, non sulle sue sorelle e sua nonna e il regno che aveva perduto, ma su un futuro promettente.

Solo che, quando affiorò in superficie per sbirciare Elias durante la sua ronda settimanale, vide qualcosa che distrusse quel promettente futuro.

C’era una nuova nave diretta verso quella di Elias, circondata da quella che era praticamente un’armata. Erano navi straniere, ma non erano pirati perché non si erano lanciate all’attacco come le molte altre navi che si avvicinavano alle coste dell’isola.

Al timone della nave c’era una ragazza. Aveva la pelle chiara ed era bella, indossava un vestito delle stesse sfumature delle nuvole nel cielo, e i capelli, raccolti, erano di un rosso fulvo. Portava sui capelli una corona d’oro e gemme scintillanti.

Una principessa. Una principessa straniera, arrivata nella terra del suo principe.

Con il cuore che le martellava nel petto, si avvicinò, ma non era ancora abbastanza, quindi si aggrappò alla fiancata della nave, infilando le mani tra i cirripedi aguzzi, non badando a come le laceravano la pelle. Non era ancora abbastanza, poteva sentire il chiacchiericcio delle persone ma non riusciva a comprendere le parole. “Audite.” Sussurrò, e la magia nel suo sangue sispinse in avanti, fino a quando non riuscì ad ascoltare le chiacchiere dei marinai come se fossero di fianco a lei. Guidò la sua magia, dirigendola oltre le conversazioni sul tempo e sul lavoro e su quello che non le interessava, fino a quando non trovò quella che voleva.

“-sicuro che debba farlo.”

“Cos’altro dovrebbe fare? Abbiamo bisogno di un re, non di un principe. E poi, guarda, questa ragazza ha portato in dote una flotta.”

“E pensi che non ci sia niente sotto? Che vogliano in cambio solo un matrimonio e un trono per la principessa Felicity? Il loro regno inghiottirà la nostra isola in un boccone. Il principe Elias sarebbe un re solo di titolo se accettasse.”

L’altro uomo fece un verso di scherno. “Non vinceremo questa guerra. Lui non può vincere e loro sì. È questo quello che conta.”

“E che mi dici del dopo?” Lo sfidò.

Ci fu un momento di silenzio, teso, e poi: “Se la sposasse, almeno ci sarebbe un dopo. Se vincono i pirati non ci sarà più un’isola da proteggere quando avranno finito con noi.”

Tuyet aveva ascoltato abbastanza, aveva sentito più che abbastanza. Lasciò la presa e si rituffò in acqua, sentendo il suo corpo aumentare di dimensione, non per la pressione ma perché in quel modo avrebbe raggiunto più in fretta la sua destinazione.

Ritornò alle sue dimensioni quando vide la caverna ed entrò con irruenza, urlando: “Caligula, ti prego, ho bisogno delle mie gambe, adesso!”

“Cosa urli a fare?” Le chiese la strega del mare alle sue spalle, e Tuyet non ebbe le forze di andare in panico per la sua apparizione improvvisa. “Non c’è bisogno di fare l’isterica.”

“Ho bisogno delle mie gambe, adesso!” Ripeté, troppo disperata per provare paura.

Caligula inarcò un sopracciglio. “Termina di aggiustare il mio tridente e ti darò il più bel paio di gambe che il tuo principe abbia mai visto.”

Tuyet lanciò un’occhiata al tridente; le ci erano voluti mesi per arrivare anche solo a metà. Poteva anche essere più forte di quanto non fosse mai stata, avere più controllo sulla sua magia di quanto ne avesse mai avuto, ma era tutto relativo. Non poteva riportare il tridente a com’era prima in una volta sola. “Non posso, e non ha importanza, non se non avrò le mie gambe adesso. Sarà troppo tardi!”

Caligula non si arrabbiò né la ferì, cosa che Tuyet aveva imparato ad aspettarsi. Anzi, sembrava divertita, e la ragazza non sapeva se esserne felice. Preferiva la rabbia alla sua condiscendenza. “Niente tridente, niente gambe. Perché tutta questa fretta?”

“Si sta per sposare!” Disse, quasi scoppiando a quelle parole. “Con una- una qualche principessa che ha un sacco di navi e so che ne ha bisogno,” era egoista, così egoista a volere il principe per sé, a volere che la scegliesse anche se scegliere lei significava voltare le spalle alla sicurezza del suo paese, ma non poteva farne a meno, “ma lo voglio e se non farò niente la sposerà e io non avrò più alcuna possibilità.” Forse non aveva bisogno del principe: contava di tenersi le gambe anche se non l’avesse scelta, se non l’avesse amata. Ma voleva comunque quella possibilità, almeno.

“Fammi vedere.” Disse, e una scintilla di speranza prese a bruciare nel petto di Tuyet. Forse Caligula le avrebbe concesso una possibilità. Poteva tornare al mare di notte, certo, e allenarsi per riparare il tridente. Lo avrebbe fatto, lo avrebbe fatto davvero, e Caligula conosceva il tipo di magia che l’avrebbe costretta a mantenere la sua promessa. Avrebbe accettato di buon grado un incantesimo che l’avrebbe legata alla strega se avesse potuto stare vicino al suo principe.

Condusse Caligula alla nave. Probabilmente avevano usato una scialuppa o un ponte tra le navi quando se n’era andata perché ora la principessa Felicity dai capelli rossi si trovava sulla barca di Elias, in piedi sulla prua con le sue mani in quelle del principe, e nessuno dei due sorrideva.

Tra loro c’era un capitano e sulla nave del suo principe c’erano anche dei nobili. Non lo aveva notato prima, non pensava che il vestito bianco della principessa significasse qualcosa, ma a quanto pareva sì, con tutti quei nobili sulla nave e il capitano tra loro, tutti con vestiti fin troppo belli da indossare per la navigazione.

“È troppo tardi.” Disse, e la disperazione la fece sentire pesante, come se l’unica cosa che potesse fare fosse sprofondare sul fondo dell’oceano e rimanere lì, aspettando che la sua pelle diventasse corallo e che i pesci facessero il nido tra le sue costole.

Caligula schioccò la lingua. “Beh, non possiamo lasciare che accada, non è vero?”

Tuyet non comprese. “Non c’è niente che-”

“Exanimis.” Pronunciò l’incantesimo come se non le importasse, come se non significasse niente per lei.

“No!” Urlò, ma era troppo tardi.

La principessa spalanco i suoi begli occhi, schiuse le labbra e cadde all’indietro in mare. Si sentirono delle urla e il principe si tuffò dietro alla sua futura sposa senza esitare.

Tuyet cercò di raggiungerla, sapeva che poteva raggiungerla più velocemente di qualunque umano, ma Caligula la afferrò per un braccio, affondando le unghie nel muscolo molle. Non sentì neanche il dolore e diede uno strattone, resistendole, aggravando ancora di più la sua ferita perfino quando il suo sangue colò denso e viscoso nell’acqua. “Non darti troppa pena, è già morta.”

Chiuse gli occhi a quelle parole perché sapeva che era vero. Exanimis rubava l’aria dai polmoni. Si usava per cacciare le balene.

Una minuta donna umana non aveva speranze contro quell’incantesimo. “Perché.” Esordì, e sentì la gola bloccata dai singhiozzi che aveva tentato di soffocare. Si tuffarono molti altri uomini per cercare Felicity, ma sapeva che era troppo tardi. Se non avevano già trovato il suo corpo, non ci sarebbero riusciti mai più; era già andato troppo a fondo perché potessero raggiungerlo a nuoto.

“Ora il tuo principe è celibe e tu hai il tempo per finire di riparare il mio tridente.” Ritrasse i suoi artigli dal braccio della ragazza. “Era quello che volevi, no?”

Non a quel prezzo. Mai. Perché quello che voleva andava sempre a finire male, contorto e doloroso e non all’altezza del prezzo che aveva pagato?

Caligula le passò un braccio attorno alle spalle e la strinse e forse Tuyet l’avrebbe trovato confortante se solo non si fosse sentita così istupidita. “Non fare tardi.”

“Va bene.” Disse, in mancanza di altro da fare. Rimase a guardar risalire coloro che si erano tuffati, e il principe fu l’ultimo, anzi, non si era affatto arreso. I suoi uomini dovettero trascinarlo fuori dall’acqua e issarlo su una barca, costringendolo a ritornare sulla nave a forza. Ci furono litigi e urla e per un momento Tuyet ebbe paura di star per assistere all’inizio di un’altra guerra, che il popolo della principessa avrebbe dichiarato guerra all’isola per vendicare la morte di Felicity.

Non sentiva quello che si dicevano e non ebbe la forza di usare la magia per comprendere. A volte, conoscere la verità può esser peggio dell’ignoranza.

La discussione andò avanti per ore e il sole aveva già iniziato a tramontare quando la flotta si ritirò, navigando verso qualunque fosse la terra da cui era salpata, e la barca del principe tornò verso casa.

Almeno non ci sarebbe stata una guerra. Ma quello che era accaduto non aiutava la guerra in cui si trovava ora il principe Elias, fatta da attacchi casuali da parte di quelli che sembravano essere ogni singolo pirata del mare.

Era ancora seduta lì quando la luna comparve in cielo, senza sapere dove andare. Doveva tornare alla grotta di Caligula, certo, ma non ci riusciva.

Non ancora.

Si immerse sotto le onde, nuotando sempre più a fondo, seguendo le correnti e attraversandole.

Il corpo della principessa Felicity non era sul fondo dell’oceano; il suo vestito si era impigliato in una roccia e lei galleggiava con i suoi capelli rossi che ondeggiavano intorno al suo volto e gli occhi verdi spalancati, le labbra bluastre aperte in un grido afono, un grido che non era riuscita a fare quando l’aria le era stata completamente rubata dai polmoni.

“Mi dispiace.” Sussurrò Tuyet. “Non volevo- non ho mai voluto che ti accadesse qualcosa. Se l’avessi saputo, non avrei detto niente. Se- se fosse rimasta aria nei tuoi polmoni, avrei potuto sostituirla con dell’acqua e ti avrei salvata da tutto questo, almeno. Ti avrei salvata. A qualunque costo.”

La principessa, ovviamente, non rispose. Non importava se Tuyet avesse detto o meno la verità. Non importava se Felicity le avrebbe creduto o meno. Non c’era niente che la rendesse meno morta.

Tuyet le chiuse delicatamente le palpebre ed esitò, non sapendo cosa fare a quel punto. L’aveva trovata. E ora che cos’avrebbe fatto con il suo corpo? Se l’avesse lasciata lì sarebbe stata divorata o si sarebbe decomposta in un modo che Tuyet non avrebbe propriamente definito dignitoso. Il corpo degli umani non si tramutava in corallo o in caverne o niente del genere. Marciva e basta. E poteva essere una buona cosa sulla terraferma, nel terreno, ma lì non era altro che cibo. Avrebbe potuto riportare il corpo a riva e sperare che qualcuno lo trovasse prima che diventasse cibo o che si decomponesse oltre il limite della decenza, ma non sapeva se avrebbe funzionato. E cosa ne avrebbero fatto, poi, del corpo in decomposizione di una principessa straniera?

Tuyet si passò i denti sul labbro inferiore e nuotò vicina abbastanza da poter incorniciare il volto di Felicity con le mani, accarezzando le guance fredde con i pollici. “Mi dispiace.” Disse di nuovo, come se avesse potuto giovare alla ragazza. “Mi dispiace tanto. Spero che tu possa trovare la pace nella morte e felicità ovunque sia la tua anima.” Disse, e le parole le sembrarono strane nella sua bocca.

La sua gente non usava celebrare riti funebri, aveva solo canzoni per il lutto, e l’unica designata per essere cantata da una persona sola era il Pianto della Vedova e cantarla avrebbe significato più un insulto che un tributo. Si sforzò di trovare qualcos’altro da dire, altre parole che gli umani dicevano ai loro morti, ma non le venne in mente niente.

Sospirò e premette la fronte contro quella della principessa morta, concentrando la magia del suo sangue di fronte a lei, e sussurrò: “Calamochnus.”

Il corpo di Felicity si dissolse tra le sue mani, separandosi e galleggiando verso la superficie dell’oceano. Aveva trasformato il su corpo in schiuma di mare e rimase a guardare fino a quando anche l’ultima parte della principessa non fu portata via dalla corrente.

Il vestito bianco si liberò dalla roccia e galleggiò lontano, ma la corona che era poggiata sul capo di Felicity ora giaceva mezza sepolta dalla sabbia. Tuyet avrebbe potuto lasciarla lì, lasciare che diventasse un tesoro sommerso; avrebbe potuto riportarla sulle spiagge del principe o perfino tentare di raggiungere la flotta della principessa perché potessero riportare a casa almeno quella piccola parte di lei.

Invece la raccolse e lasciò che la magia le scorresse nelle dita. La corona non perse neanche un po’ della sua lucentezza, nessuna delle sue pietre preziose, ma divenne più piccola e flessibile al tempo stesso.

Tuyet si assicurò la corona intorno al collo come una collana, accoccolata sulla sua pelle e impossibile da ignorare, da dimenticare.

Non avrebbe lasciato che una cosa simile accadesse ancora.

Prima lo tsunami che doveva aver colpito la sua gente, poi quella principessa, la cui morte non aveva colpito solo la povera ragazza, ma anche il suo principe e la sua isola. Non si sarebbe lasciata usare di nuovo a quel modo. A qualunque costo. E se significava stringersi un nodo intorno al collo per ricordarsi di stare in riga…

Che così fosse.

***

Caligula non disse niente a proposito della collana che indossava come un choker, ma non si aspettava che lo facesse. I metalli preziosi e le gemme non le interessavano, come nemmeno le perle né niente di fisico che teoricamente aveva un qualche valore.

La strega del mare si curava solo del valore del potere e del potere soltanto.

Le cose si placarono e Tuyet arrivò quasi a domandarsi se la sua reazione fosse stata esagerata, se Caligula fosse davvero il mostro in cui la distorceva la sua memoria.

Si sbagliava, ovviamente, ed era colpa sua per essersene dimenticata.

Una nave pirata passò vicino all’isola del suo principe, ma non attaccò, non sembrava voler far altro che girare intorno ai suoi estremi per poi navigare verso l’orizzonte.

Era strano solo perché era normale e le cose erano state decisamente anormali in quegli ultimi tempi. Una famosa ciurma pirata e il suo capitano non avevano motivo di creare scompiglio attaccando un regno-isola, che poteva anche essere prospero per le sue dimensioni, ma che non aveva grandi riserve d’oro o di preziosi. Soprattutto un regno che aveva la lunga tradizione di chiudere un occhio quando le navi pirata ormeggiavano nei suoi porti, fintantoché non causavano danni.

 Ma avevano causato danni per mesi e Tuyet non capiva. Forse, se fosse stata umana, l’avrebbe capito; se avesse potuto camminare per il mercato e ascoltare i pettegolezzi e le risate avrebbe capito, avrebbe saputo perché i pirati ora cambiavano rotta per attaccare un’isola che era sempre stata per loro come un faro nella tempesta.

A parte quella nave, a quanto pareva, dato che continuava a navigare come se non avesse alcuna intenzione di ingaggiare battaglia.

Ovviamente, Tuyet la seguì.

Era curiosa.

Vide la ciurma sul ponte e un uomo che vestiva una giacca dai colori sgargianti e un cappello con una piuma, in piedi vicino al timone. Ma sembrava che non stesse facendo granché: era rilassato e rideva e parlava con la sua ciurma, il che non coincideva affatto con quello che Tuyet aveva visto fare ad altri capitani.

Calò la notte e il silenzio sulla nave, e fu allora che si issò strisciando, scalando la fiancata della nave fino a quando non riuscì a sbirciare oltre il parapetto. Il capitano sedeva sul bordo della nave, mentre il resto della ciurma, tranne coloro strettamente necessari, dormivano nelle loro cuccette.

E quei tre. Il capitano con due marinai che, a un’occhiata più attenta, erano chiaramente due donne. Sembravano meno sofisticate del loro capitano e vestivano vestiti più semplici e pratici piuttosto che belli. Una aveva i capelli rosso fuoco, come quelli di Felicity, e l’altra aveva la pelle più scura perfino di quella del suo principe; sedevano ai lati del loro capitano. Lui rideva e sorridevae ma loro no, anche se non sembravano scontente della sua compagnia.

Le sembrarono familiari, come se li avesse già visti, ma non poteva essere. Giusto? Si arrischiava molto di rado vicino agli umani per osservarli, se ne sarebbe sicuramente ricordata.

“Audite.” Evocò, perché non voleva scegliere tra il guardare o il sentire, voleva entrambi.

“-fino a Creta, ne sei sicura? È lontana.”

“Devi andare da qualche parte?” Gli chiese la donna dalla pelle scura, dandogli un colpetto al fianco.

Lui alzò gli occhi al cielo. “Penso solo che non ne valga la pena per una taglia simile, Maria.”

L’espressione della rossa non cambiò. “Io penso di sì.”

“Sì, cara, lo so.” Disse ironico, scuotendo la testa. “Vi ricordate entrambe che sono io il capitano, vero?”

“Sì, caro.” Risposero le donne all’unisono, e finalmente un tono scherzoso trapelò dalle loro maschere prive di emozioni.

“Ho sentito uno degli uomini scherzare sul fatto che almeno non avresti sbagliato a chiamarci per nome a letto.” Disse Maria, affondando le dita nei capelli del suo capitano.

“Maria e Ana non sono lo stesso nome,” disse, seguendo il suo tocco, “e ho detto alla ciurma che chiamarvi entrambe Ana Maria sarebbe stato un suicidio, quindi sono stati coraggiosi. Sono ancora vivi? Di solito non siete molto gentili con le persone che sparlano di voi.”

Lei alzò gli occhi al cielo. “Di solito non sono molto gentile con le persone che sparlano di te.”

Ci fu una risata e la conversazione continuò più piano, ma Tuyet non stava più prestando attenzione a loro. Le due donne erano Ana Darling e Maria Freeman e questo significava che…

…che quell’uomo era il capitano John Darling.

Tuyet li aveva già visti prima.

Ne aveva sentito parlare, certo, aveva sentito che John se l’era filata con la moglie di un altro, che John era il capitano ma che era Ana quella da cui ci si doveva guardare, che non prendeva prigionieri e non aveva pietà per nessuno.

Che era anche il motivo per il quale John era riuscito a far entrare la temuta Maria Freeman nella sua ciurma. Tuyet e le sue sorelle avevano visto quella battaglia, avevano visto la ciurma di John scontrarsi con quella di Maria, avevano visto Ana sollevare il mento di Maria con la spada e avevano visto la donna arrendersi. La nave di John era stata gravemente danneggiata, quindi l’avevano affondata e avevano preso quella di Maria; e Tuyet e le sue sorelle avevano guardato e aspettato, ma né il corpo di Maria né i cadaveri della sua ciurma erano sprofondati nell’oceano.

Dopo quel fatto, le chiacchiere erano dilagate così tanto che le avevano sentite anche loro, perfino sul fondo del mare. O forse le aveva sentite solo lei perché era sempre smaniosa e interessata alla vita degli umani e quella storia la affascinava come nient’altro.

Se prima John e Ana Darling sembravano appartenere a una favola, se Maria Freeman sembrava temibile e potente da sola, non fu niente rispetto a quando si unirono tutti e tre. Sembrava che regnassero sul mare, come se potessero sfruttare a loro vantaggio ogni sua parte.

Ma aveva sentito anche un’altra cosa.

Aveva sentito che erano stati catturati, che li avevano impiccati tutti e tre per i loro crimini e che avevano lasciato i loro corpi a penzolare all’entrata della baia come monito.

Tuyet li aveva visti, aveva visto i loro cadaveri ondeggiare al vento, solo che ora erano lì, proprio di fronte ai suoi occhi. Non potevano essere fantasmi, no? Poteva toccare quella nave, li vedeva, li sentiva, non le sembravano traslucidi né bloccati in un loop temporale. Erano corporei, reali, vivi.

Non capiva e dunque rimase e osservò. Ana non toccò John, ma Maria sì; piccoli momenti di pelle su pelle che potevano significare molto o niente. Da come parlavano prima… stavano insieme? Ana non sembrava disturbata dalle mani dell’altra donna su suo marito e Tuyet non riusciva a immaginarsi Ana come una che avrebbe messo da parte l’orgoglio o la rabbia se le avesse dato fastidio, non se si basava su quello che aveva sentito su di lei.

Gli uomini della ciurma sorridevano a John, ma giravano al largo dalle donne. O John era completamente rilassato o molto bravo a fingere, e perché non dovrebbe? Erano soli nel bel mezzo dal mare e anche se fossero pirati in fuga con tutte le navi del mondo alle calcagna, erano soli nel bel mezzo di un oceano calmo e potevano guardarsi intorno per miglia. Avrebbero dovuto essere tutti rilassati. Avrebbe avuto senso per loro. John era rilassato.

Maria e Ana invece no.

Maria fingeva bene, ma più Tuyet li guardava e meno le piccole carezze di Maria le sembravano maliziose, quanto più ansiose, come se dovesse toccare John per rassicurare se stessa della sua presenza. Ana continuava a scandagliare il mare, come a cercare qualcosa. Che avessero distanziato qualcuno da poco?

“Andiamo a letto, cara?” Le chiese John, muovendosi infine per carezzare con un dito la guancia di Ana. Tuyet si rese conto che Darling nella loro lingua era sia un vezzeggiativo che un modo di chiamarla, dato che era un cognome che condividevano.

Ana sorrise, ma i suoi occhi no. “Voi andate. Monto io di guardia.”

“Siamo al sicuro qui.” Disse John e, per come era voltato, non vide il modo in cui Maria sussultò. “Vieni a letto.”

Ana fece saettare lo sguardo su di lui e si sporse abbastanza da premere la sua fronte contro quella di lui per poi ritirarsi. “Non stanotte, caro.”

John sospirò, ma si mise in piedi, stiracchiandosi volutamente la schiena dando le spalle alla balaustra.

Maria inarcò un sopracciglio. Ana sussurrò, talmente piano che Tuyet riuscì a sentirla solo grazie al suo incantesimo: “Ho la sensazione che qualcuno ci stia osservando.”

Tuyet si abbassò, anche se non l’avevano ancora notata ed era quasi impossibile che accadesse, e non avrebbero potuto fare niente anche se l’avessero scoperta. Sentì qualcosa simile a colpevolezza strizzarle il basso ventre e si arrischiò a dare un’altra occhiata. Ana teneva le braccia incrociate e lanciava occhiate dappertutto intorno a lei, mentre Maria e John si stavano incamminando sottocoperta insieme.

Aveva spiato abbastanza per quella notte, anche se ora aveva più domande che risposte, e si immerse sotto le onde diretta verso la grotta di Caligula.

Solo che, nel momento in cui entrò nella grotta, sentì che qualcosa non andava. Caligula aveva gli occhi spalancati e selvaggi come non lo erano mai stati in settimane e Tuyet sentì la paura annidarsi alla base della schiena prima ancora che potesse capire cosa stava succedendo. Caligula la afferrò per i capelli a la tirò a sé, passandole il naso lungo il collo, inspirando profondamente. “Dove sei stata?”

“Ho- ho fatto tardi?” Le chiese, tremante. “Mi dispiace, non volevo.”

“Taci e rispondi alla domanda.” Sbottò la strega del mare.

“Stavo, uhm, stavo solo guardando degli umani, su una barca.” Disse, e voleva staccarsi da lei ma sapeva bene che avrebbe solo peggiorato la situazione se avesse opposto resistenza.

Caligula le strinse i capelli con più forza, a tal punto che Tuyet sentì le sue unghie pungerle il capo. Non l’aveva fatto volutamente, quindi non disse nulla per non far sì che diventasse intenzionale. “Che nave era?”

“Grande?” Tentò lei, e deglutì quando Caligula assottigliò lo sguardo. “Non lo so, non ho guardato, scusami.”

“Non importa.” Finalmente la lasciò andare e Tuyet resistette all’impulso di sentire se aveva del sangue appiccicoso tra i capelli. “Portami lì.”

“È solo una nave degli umani.” Protestò lei.

Caligula ghignò e le andò vicino, viso a viso, così insopportabilmente vicino che le avrebbe fatto meno paura essere intrappolata tra le sue grinfie. “Te l’ho forse chiesto? Non sono arrabbiata con te, ragazzina, ma continua così e lo sarò.”

Tuyet si irrigidì. Gran parte della crudeltà della strega del mare era insensata, casuale, qualcosa che faceva senza pensare. La sua ira era spaventosa in modi che la metteva a disagio immaginare. “Va bene.”

Guidò Caligula fino alla nave. Si aspettava che sarebbe stata una perdita di tempo, che Caligula avrebbe visto che non era niente più che l’ennesima di molte navi pirata che solcavano il loro mare e che poi se ne sarebbero andate. Caligula forse ne sarebbe stata frustrata, ma entrambe non ne sarebbero uscite peggio di quando tutto era iniziato.

Non fu quello che successe.

“Finalmente.” Esalò Caligula e, prima che Tuyet potesse avere modo di farle una domanda, l’acqua che circondava la strega del mare la depositò sul ponte e, nel ritirarsi, lasciò la donna perfettamente asciutta, con i suoi capelli bianchissimi che le incorniciavano dolcemente il volto. Il suo vestito di reti da pesca, però, continuava a coprirla come se si trovasse ancora in mare.

La ciurma urlò, alcuni di loro corsero sottocoperta e altri si buttarono addirittura fuoribordo; Tuyet pensò che non fosse un gran piano. Erano distanti dalla terraferma, non sarebbero riusciti a nuotare verso la salvezza. Avrebbero almeno potuto prendere una scialuppa.

Ana non si alzò in piedi, era ancora seduta, ma non riuscì a nascondere del tutto la sua reazione. Era diventata pallida in modo innaturale, un colorito che nessuno che passa molto tempo sotto il sole avrebbe. Maria e John uscirono in fretta da sottocoperta e si fecero strada tra la gente che cercava di nascondersi dentro la nave; si erano palesemente vestiti in tutta fretta.

“Strega del mare.” Latrò John, spingendo Maria dietro di lui, e si parò di fronte a sua moglie. “Lascia la nostra nave, non hai motivo per essere qui. Non ti dobbiamo niente.”

Ana si mise in piedi e toccò la spalla di John, tirandolo indietro. Disse piano: “Non è vero, non del tutto.”

Lui si zittì, poi si voltò verso di lei. C’era paura e orrore nella sua voce, ma non rabbia, quando le domandò: “Che cosa avete fatto?”

“Ti hanno salvato la vita, ovviamente,” miagolò Caligula, strisciando verso di loro, “e la loro. Ma ad un prezzo. Non faccio niente per niente.”

“Caligula.” Disse Maria, fredda, e Tuyet non riuscì a nascondere la sua sorpresa. Gli umani che la conoscevano ne avevano troppa paura per chiamarla per nome, solo per paura di poterla invocare, solo per paura che la strega potesse sentirne il sussurro anche quando era sola nella sua grotta sul fondo dell’oceano. “Abbiamo pagato il prezzo che hai chiesto. Un bambino hai chiesto e un bambino Ana ha perso. Ora vattene.”

Per la prima volta, il volto di John divenne impassibile e freddo. Lanciò un’occhiata a Ana, alle sue spalle, ma lei non lo guardò, non distolse lo sguardo da Caligula.

“Dovevano essere gemelli,” sibilò lei, “mi avevate promesso dei gemelli. Mi dovete dei gemelli. Però,” concesse loro, “le mie circostanze sono cambiate dall’ultima volta che abbiamo parlato. Immagino di potermi ritenere soddisfatta anche solo con un altro bambino.”

Il respiro di Tuyet le si impigliò in gola. Sapeva che cos’era successo, che cosa doveva essere successo.

Il potenziale di una vita prima della sua nascita era qualcosa di potente. Ancora di più se si trattava di gemelli. Caligula doveva aver prosciugato quella vita dal corpo di Ana prima che il bambino nascesse, l’aveva imbottigliata e conservata o forse aveva provato e fallito a usarla per riparare il suo tridente.

“Non abbiamo più bambini.” Disse Ana, e suonava sicura, ma dovette aver fatto trapelare qualcosa perché John e Maria la guardarono, la preoccupazione visibile nelle loro sopracciglia aggrottate.

Caligula sorrise e i suoi denti aguzzi sembrarono ancora più innaturali fuori dall’acqua. “Tu no. Ma lei sì.”

Ci volle un momento prima che capissero che stava guardando Maria.

“No.” Disse John, e Maria si premette le mani sullo stomaco con occhi spalancati. Ana sembrava nauseata.

Non sapevano nemmeno che fosse incinta, fino a quel momento.

La corona di Felicity era pesante e stretta intorno alla sua gola e Tuyet non poteva restare a guardare, non poteva rimanere in silenzio, complice di tutto quello. Una principessa morta era abbastanza, era troppo. Si era fatta una promessa e se mantenerla le sarebbe costata la vita, allora che così fosse.

“Basta!” Urlò Tuyet, e l’acqua si sollevò depositandola sulla nave, frapponendola tra i pirati e Caligula. Solo che lei non aveva delle gambe, quindi fu costretta a sedersi sulle assi, sollevandosi quanto poteva e ignorando il dolore delle scaglie che grattavano contro il legno della nave.

Maria e Ana fecero un passo indietro, sorprese, ma John non sembrò molto impressionato dalla sua entrata in scena e ancora meno dalla sua esistenza. Probabilmente non era la prima sirena che vedeva.

Caligula inarcò un sopracciglio, la guardò e poi distolse lo sguardo, sminuendo la sua presenza in meno di un secondo. “Vattene. Non mi servi più.”

“No.” Disse lei, e si dovette sforzare per non farsi piccola sotto lo sguardo gelato che le lanciò la strega. “No, non me ne andrò e non lascerò che tu gli faccia del male o che gli prenda nient’altro.”


 

Note dell’autrice: Spero che vi sia piaciuto!

Ana, Maria e John sono forse un palese prestito delle figure storiche di Anne Bonney, Mary Read e Jack Rackham? Sì. Certo che lo sono.

Note della traduttrice [DanceLikeAnHippogriff]: Mi rendo conto che la pubblicazione dei capitoli per questa storia sia finita un po' nel dimenticatoio, ma pian piano conto di caricare il materiale che ho a disposizione anche e soprattutto grazie a Nereisi, che mi fa da super beta <3

Speriamo che questo secondo capitolo vi abbia lasciato con la voglia di continuare la lettura! Alla prossima!

   
 
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