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Autore: ShanaStoryteller    21/05/2021    0 recensioni
[La Sirenetta]
La sirenetta è cresciuta.
Ma prendere il posto della strega del mare e diventare regina dettando le sue condizioni non era il modo in cui intendeva farlo.
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Tuyet era diventata la strega del mare da quasi un anno ormai e non era propriamente felice. Anzi, pensava di essere triste in quel dimenticato lembo di oceano, facendo cose orribili per persone orribili o, a volte, per persone buone, il che la addolorava ancora di più. Almeno aveva Cetus, ma era il suo unico compagno e non le parlava mai.

Non capiva perché un antico mostro marino fosse felice di stare al suo fianco a fare quello che gli chiedeva quando avrebbe potuto inghiottire il mare intero se solo l’avesse voluto. Ma non inghiottiva il mare, anzi. Spesso e volentieri era una piccola medusa che fluttuava vicino alla testa di Tuyet e la ragazza non voleva insistere sulla questione.

Senza di lui sarebbe rimasta completamente sola.

Era il plenilunio e cercava ossa di anca di balena. Se fosse riuscita a trovarle entrambe e a tritarle quella notte, la polvere che ne avrebbe ricavato sarebbe stata particolarmente potente. Forse abbastanza da sostituire il midollo osseo di bambino in un paio degli incantesimi che le venivano richiesti più spesso.

Almeno aveva quel pensiero a confortarla. Per quanto spossata e amareggiata e crudele temesse di diventare, almeno cercava di ridurre gli effetti collaterali dei suoi incantesimi, una cosa che Caligula non aveva mai fatto.

Era un conforto freddo, perfino per sé, ma nessun altro gliel’avrebbe mai rinfacciato.

Tutto questo significava che, quando sentì un leggero strattone alla base della spina dorsale - la sensazione familiare di qualcuno che la evocava -  quasi lo ignorò. Era occupata, ma sapeva che la stavano evocando in superficie, il che significava che si trattava di un umano. Gli umani non la evocavano a meno che non fossero disperati o stupidi e, se non altro, solitamente la questione si rivelava perlomeno interessante.

La notte era giovane, decise, e seguì quella sensazione fino al suo evocatore. Avrebbe avuto tempo a sufficienza per trovare l’osso d’anca dopo aver risolto quella faccenda.

Si trovava vicino alla riva, piuttosto che su una barca, il che le diede un attimo di difficoltà fino a quando non trovò uno scoglio abbastanza vicino alla spiaggia su cui issarsi, stendendosi sul fianco con la coda lungo la roccia.

“Chi mi chiama?” Domandò, voltando il capo per guardare l’umano, e sentì il suo cuore freddo sprofondarle nello stomaco.

Il principe Elias era inginocchiato nella sabbia, il sangue che gli colava dalla mano in una conchiglia e lacrime che gli rigavano il volto. “Sei- sei la strega del mare?”

Non gli era mai stata così vicina da quando gli aveva salvato la vita. Era ancora più bello di quanto ricordasse. Tentò di rispondergli, ma sentiva la bocca asciutta.

“Certo che lo sei. S-scusami. Ho,” il suo volto si contorse, “ti prego, ho bisogno del tuo aiuto. Sono- il mio regno è nel mezzo di una guerra e i miei genitori – loro – non posso salire al trono da solo e la situazione è già abbastanza difficile, non posso trovare alleati se non posso a parlare con i regni vicini in qualità di re e nessuno di loro si arrischia a inviarmi una sposa, non quando siamo così in pericolo, non dopo quello che è successo all’ultima, e il mio consiglio non mi permette di sposare una popolana e,” fece una pausa, prendendo un respiro irregolare, “ti prego. Aiutami. Siamo in guerra e ho bisogno di una regina per avere una possibilità di uscirne. Il mio popolo ha bisogno di una regina.”

In quel momento, la mente di Tuyet venne attraversata da una moltitudine di pensieri. Avrebbe potuto strisciare nell’oceano e fingere che non fosse successo niente. Avrebbe potuto concedere un passaggio sicuro a una principessa di sua scelta. Avrebbe potuto rovesciare i suoi nemici.

Ma una parte di lei era ancora la sciocca e ignorante ragazza che aveva supplicato Caligula. Non poteva negare che una parte di lei fosse ancora egoista e troppo bramosa, a dispetto delle conseguenze.

“A cosa sei disposto a rinunciare?” Gli domandò.

“A tutto.” Rispose, e sembrò che gli uscisse dal profondo, schietto e disperato e primordiale. “A qualunque cosa. Ti prego. Non posso aiutare la mia gente così. Non gli servo a niente come principe.”

Evocare il tridente nella sua mano fu facile e scivolò nell’acqua, usando un po’ del terribile potere che conteneva. La sua coda si divise in due e mutò, trasformandosi in qualcos’altro e, quando camminò sulla spiaggia, completamente nuda, Elias continuò a guardarla negli occhi. Gli tese una mano e lo fece alzare, la sua mano era ruvida in quella di lei, e dovette costringersi a lasciarla andare.

“Una regina in cambio del tuo regno, dunque.” Disse, e si alzò in punta di piedi, premendosi contro di lui, ma si fermò appena in tempo, le labbra quasi sulle sue.

Doveva essere lui a scegliere. Non poteva prenderlo. Doveva essere lui a volerlo.

Sembrò che Elias lo avesse capito perché annullò i pochi centimetri che li separavano, cingendole le spalle, e la baciò, riversandoci tutta la sua disperazione. Tuyet lo baciò con passione e tagliò la sua lingua con i denti, bevendo quelle poche gocce di sangue.

Quel tipo di cose non potevano essere suggellate solo con un bacio, dopotutto. Il sangue era l’unica moneta che aveva valore.

***

Elias le diede la sua camicia per tornare a palazzo. La occhieggiava con diffidenza, com’era giusto che fosse, e parlò per la prima volta dopo il loro bacio quando stavano per lasciare la spiaggia e incamminarsi verso il palazzo. “Tu – non – mi aiuterai, non è vero?”

“Avresti dovuto assicurarti della salvezza del tuo popolo prima di suggellare il nostro patto.” Disse lei, ma si limitò a sorridere alla sua paura.

Non era sempre stata così. Ma la persona che era non sarebbe riuscita ad aiutarlo come poteva fare lei.

“Farò di te un re e salverò la tua isola.” Disse. “Mi prendo cura delle mie cose e ora la tua isola è mia.”

Sarebbe stata disposta a rinunciare alla sua libertà e alla sua felicità per la sua gente e ora anche gli abitanti di quell’isola lo erano.

Il loro patto era chiaro, dopotutto. Gli avrebbe dato una regina in cambio del regno. Sarebbe stata la sua regina se lui le avesse dato il suo regno.

Non sarebbe riuscita a tenerlo, certo, ma lui questo non poteva saperlo e lei non era intenzionata a dirglielo.

***

Si inventarono una storia e Tuyet intrecciò così tanto potere nelle sue parole che, quando la raccontò, la gente ci credette, le credette.

Era una principessa inviata da una delle isole meridionali, la più giovane di sette figlie. La speranza era quella di assicurare un’alleanza con l’isola, ma la sua nave era stata attaccata e distrutta dai pirati. Era a malapena riuscita a nuotare fino a riva su un relitto galleggiante.

Era una storia ridicola ma, perfino senza il suo incanto, Tuyet pensava che a loro non sarebbe importato. Era intenzionata a onorare le intenzioni della sua sedicente isola, a sposare il principe e farne un re e, dopotutto, beh, a loro serviva una principessa. Ne avevano bisogno per rendere il loro principe un re grazie a un matrimonio.

Avevano bisogno di una regina.

Se la occhieggiavano sospettosi, se il chiacchiericcio si azzittiva quando camminava per un corridoio, beh.

Avevano più diritto a diffidare di lei di quanto pensassero. Non avrebbe certo punito il loro buon istinto.

Il matrimonio venne fissato per il giorno seguente, visto che Elias che fremeva dalla voglia di diventare re, di fare qualcosa di concreto per la sua isola. Lo avrebbe trovato carino se non fosse stato così inutile.

Beh, non era più inutile, suppose. Ora avevano lei. Si trasferì nella stanza accanto a quella di Elias e la mancanza di vestiario avrebbe potuto essere un problema, solo che, ovviamente, non lo era.

C’era un intero guardaroba ad attenderla, pieno di vestiti degni di una regina.

Tuyet si infilò uno dei vestiti della donna morta, sentendo la pelle pizzicare. Fingeva di essere umana, ma finiva lì, non avrebbe mentito su nient’altro. Non avrebbe indossato una pelle che non le apparteneva quando la sua le andava ancora bene.

“Ho bisogno di filo.” Disse alla guardia vicino alla porta, facendo capolino con la testa. La sua presenza era una precauzione inutile, ovviamente, perché lei era più forte di qualunque uomo mortale, ma nessuno avrebbe dovuto saperlo. “Molto filo. Un ago. Delle forbici, magari.”

Avrebbe potuto evocarle, solo che non poteva perché anche se nessuno le avesse chiesto da dove le aveva tirate fuori, non poteva più permettersi certe sciocchezze con la sua magia. Più la usava e più si accorciava il tempo a sua disposizione prima che l’incantesimo che aveva lanciato su di sé diventasse impossibile da mantenere.

Lui la fissò, immoto, e Tuyet emise un verso frustrato e gutturale, desiderando di poterlo folgorare fino a fargli sputare una risposta e poi andarsene.

Quel pensiero la sorprese così tanto che si fermò, aprì la bocca e la richiuse di nuovo.

Non era la prima volta che si trovava in un palazzo. Era cresciuta in uno molto più grande di quello, era stata cresciuta come una principessa di un regno molto più vasto, e non aveva mai voluto neanche una volta fare del male alla sua gente. Non voler fare del male alla sua gente era quello che l’aveva portata a diventare la seconda strega del mare, tanto per cominciare, quando avrebbe semplicemente potuto lasciare che Caligula distruggesse pezzo per pezzo lei e il suo regno.

Si era abituata troppo al tipo di persone che la cercava, che erano solo di due tipi. Persone orribili che volevano cose orribili o disperate e, proprio questo, molto più pericolose.

Ma quell’uomo non era niente del genere. Era la sua guardia, l’uomo che Elias aveva scelto personalmente per montare la guardia alla sua porta e proteggerla da ogni pericolo. O almeno, per dare l’impressione che dovesse proteggerla da ogni pericolo. Non che ne avesse bisogno, magia o meno.

“Qual è il tuo nome?” Gli domandò.

Quello si ostinò a non dire niente e Tuyet poteva già sentire il tremore dell’irritazione anche se cercava di contenerlo. Aveva molta più pazienza un tempo; se non per se stessa, almeno per gli altri. Ma, di recente, si era esaurita anche quella, come se l’avesse finita tutta mentre aspettava che Caligula le donasse delle gambe, e ora non ne fosse rimasta più.

“C’è una sarta a palazzo.” Disse la guardia, infine. “Vi potrà modificare i vestiti.”

“Non è quello che ho chiesto.” Disse, fin troppo tagliente, e, anche se l’uomo non fece niente di indecoroso come sussultare, Tuyet notò per la prima volta che era nervoso. Forse perfino spaventato. Di lei.

Non era altro che una fragile donna umana, da quanto ne poteva sapere. Di cosa poteva aver paura?

La guardia ritornò al silenzio e Tuyet si strinse il ponte del naso. “Senti, se ho fatto qualcosa che ti ha offeso, mi dispiace,” non proprio, “quindi ora potresti parlarmi per frasi intere?”

Gli occhi della guardia saettarono tutt’intorno, poi si fissarono dritti nello spazio vuoto oltre la spalla di Tuyet. “Non dovrei parlarvi e voi non dovreste parlarmi. Dovreste fingere che io non esista. Se qualcuno mi vedesse parlare, finirei nei guai.”

Per un attimo, Tuyet pensò che la stesse prendendo in giro, ma non percepì alcun tipo di raggiro da parte sua. “Ma non ha senso!”

La guardia si guardò nuovamente in giro.

Tuyet si stancò di quel giochetto. “Io sono Tuyet, principessa di sangue reale, tua futura regina, e ti ordino di parlarmi.”

L’uomo esitò comunque, ripassando le parole nella sua mente, cercando palesemente di capire se gli avrebbero dato la colpa se li avessero visti.

“Per il becco del kraken,” imprecò, “preferisci forse entrare? Così potremmo parlare e non dovresti preoccuparti che qualcuno ti veda.”

Si voltò verso di lei facendo trasparire qualcosa di simile a genuina irritazione. “Vuole che entri nelle stanze della fidanzata del principe, non accompagnato, con suddetta fidanzata?”

“Non saprei come riuscirei a parlarti da stanze separate.” Rispose. Niente di tutto quello che era accaduto le sembrava complicato, ma la guardia si comportava come se gli avesse chiesto di spostare le montagne quando l’unica cosa che voleva era che le parlasse. “Il principe Elias è forse una persona crudele? Ti mozzerà le dita e darà fuoco alla tua lingua per aver parlato quando non dovevi?”

Sembrò che quello fosse riuscito a sconvolgerlo abbastanza da parlare. “No! Affatto!”

“Allora di cosa hai paura?” Gli domandò.

Riportò lo sguardo lontano da lei. “Avrebbero dovuto affidarvi a una donna, non a un uomo.”

Oh.

Non era spaventato, allora.

Tuyet sentì un’ondata di calore risalirle il collo. Era – quello – era la più giovane delle sue sorelle e una principessa e nessuno avrebbe mai osato dire che era bella nel mare, dove le orecchie di suo padre erano ovunque, e successivamente, in qualità di strega del mare, chiunque la trovasse bella voleva qualcosa da lei in primis e, in ogni caso, lei non si sarebbe prestata a qualcosa del genere.

“Non ha importanza chi mi sorveglia.” Dichiarò. “Il tuo principe ha scelto te e immagino che l’abbia fatto per un motivo. Mi aiuterai oppure no?”

Lui sospirò, come se la trovasse irritante, e quel gesto la irritò meno di quanto avrebbe fatto un momento prima. “Posso recuperare dalla sarta quello che chiedete quando finirà il mio turno.”

“Puoi dirmi dove si trova in modo che possa prendere tutto da sola? Magnifico! Fammi strada.” Indicò di fronte a lei.

Lui le rivolse un’occhiataccia. “Non mi ascoltate affatto.”

“Sono una principessa,” gli ricordò, “e la tua futura regina. Il tuo lavoro è quello di ascoltarmi e non il contrario.” Lui non si mosse e Tuyet alzò gli occhi al cielo. “Bene, allora cercherò fino a quando non troverò qualcuno in questo castello che mi sia utile.”

Era arrivata a metà corridoio quando la guardia la raggiunse di corsa con le sopracciglia aggrottate. “State andando dalla parte sbagliata.”

Tuyet piroettò sui talloni e si diresse nella direzione opposta. “Visto? Non era così difficile, no?” Lui si limitò a guardarla in cagnesco. “Mi dici il tuo nome o devo tirare a indovinare?”

Lui ebbe un attimo di esitazione, ma infine si arrese. “Darius. Vostra altezza.” Tuyet ne rimase quasi delusa, aveva pensato a molti nomi divertenti con cui chiamarlo.

Forse era per quello che si era arreso. Imparava in fretta.

“Grazie, Darius.” Disse, e le labbra di lui si sollevarono agli angoli.

La condusse all’ala della servitù ma, arrivato alla porta, esitò. “Se entrate, renderete nervosa molta gente.”

“Rendo sempre la gente nervosa a dispetto della loro posizione,” lo informò, “quindi faresti bene a portarmi dove dico.”

Lui alzò gli occhi al cielo – il che, pensò Tuyet, era un meraviglioso passo avanti – e le aprì la porta.

Una cameriera con in mano un servizio di porcellana la vide, cacciò uno strillo e lasciò subito cadere il suo carico per farle una reverenza. “Oh no!” Disse con occhi spalancati, accovacciandosi per raccogliere quel disastro. “Sono terribilmente spiacente, vostra altezza!” Si tagliò la mano con i cocci, paonazza in volto, e continuò a raccogliere i frammenti.

Tuyet la prese per il polso, facendola alzare. La cameriera teneva ancora il capo chino. Che problemi avevano tutti per non guardarla negli occhi? “Non farti del male, è stata colpa mia.” Disse, e sollevò la mano della ragazza. Il taglio era superficiale e desiderò di poterla guarire, ma anche se avesse avuto abbastanza energia per farlo, la sua vera natura era ancora un segreto. Prese l’orlo del suo vestito e ne strappò un lembo, cosa che forse non avrebbe dovuto avere la forza di fare con tanta facilità, ma fortunatamente la ragazza era troppo distratta per farglielo notare. “Tieni.”

“Mia signora!” Sussultò lei. “No, il vostro vestito- vado a chiamare mia madre, lei è sarta.” Disse, ed ebbe un fremito quando Tuyet le avvolse il tessuto sul palmo per fermare il sangue.

“Magnifico, proprio la persona che stavo cercando.” Disse, e si guardò dietro la spalla. La sua guardia le rivolse un sorrisino, e va bene, l’aveva avvertita, ma non serviva che ne andasse così fiero. “Darius, potresti sistemare tu mentre vado a parlare con la madre di questa ragazza?”

La cameriera squittì di nuovo. Darius si passò una mano sul volto. “Non dovreste usare il mio nome di fronte ad altri. Si faranno un’idea sbagliata.”

“Tipo quale? Che hai un nome?” Lanciò uno sguardo ai piatti in pezzi. “Sono certa che avrai risolto tutto al mio ritorno.” Passò un braccio intorno alla vita della ragazza e la guidò verso il corridoio.

“Uhm, mia signora,” sussurrò la ragazza, “è dall’altra parte.”

“Non una parola.” Ammonì Darius quando gli passarono di fianco, e l’uomo fece segno di sigillarsi la bocca. Un gesto che l’avrebbe rassicurata molto di più se non stesse ridendo.

La sarta, una donna dal naso delicato e la stazza di una montagna, le fornì gli oggetti che aveva richiesto limitandosi a inarcare un sopracciglio e non esitò a dirle il suo nome quando interpellata. Tuyet decise che Fiona era la sua nuova persona preferita anche se forse l’aveva assecondata perché era avvolta fino agli occhi in seta bianca. Il suo vestito da sposa, si rese conto Tuyet di soprassalto, e il suo pensiero venne confermato da Fiona, che le prese le misure prima che se ne andasse per evitare di rintracciarla quella sera. “Lo cucirai da zero?” Le chiese.

Fiona scosse il capo. “Non c’è tempo. Unirò due vestiti. Lavorerò tutta la notte.”

“Oh.” Si morse il labbro. “Non è necessario, posso sposarmi con un vestito qualunque, davvero.”

“Sarà anche un matrimonio politico, ma rimane pur sempre il matrimonio del nostro principe, vostra altezza.” Disse Fiona. “Non c’è motivo di trattarlo come una cosa da meno.”

“Ah, giusto.” Disse flebilmente. Si era dimenticata che anche Elias si sarebbe sposato e, per quanto ne poteva sapere il suo popolo, il loro matrimonio sarebbe durato per sempre.

Non era così. Lei sarebbe tornata nell’oceano e lui si sarebbe potuto risposare e scegliere per davvero una regina, senza la minaccia di una guerra incombente.

La figlia della sarta, Riley, si offrì di riaccompagnarla alle sue stanze e ora che era sicura che Tuyet non si sarebbe arrabbiata con lei, chiacchierava normalmente.

“È molto bello in estate qui.” Disse entusiasta. “Anche l’inverno è bellissimo, basta che nevichi un poco e sembra che tutto sia ricoperto di diamanti. Avete mai visto la neve? Venite dalle isole meridionali, non credo che nevichi lì.”

“No, infatti.” Rispose. Aveva già visto la neve perché aveva nuotato fino a entrambi i poli con le sue sorelle ma, ovviamente, non poteva dirlo. Un viaggio simile via nave richiedeva molti mesi, se si riusciva a compierlo.

“Vi piacerà moltissimo,” disse Riley calorosamente, “e il mercato è bellissimo e i nostri artigiani sono molto abili, vedrete!”

Tuyet sbatté le palpebre. “Non sono- sono qui. Domani sposerò il principe Elias e lui diventerà re. Non devi vendermi il tuo paese.”

Riley arrossì e chinò il capo, arricciando una ciocca di capelli attorno al dito. “È solo che – non vorrei che rimpiangeste di essere venuta qui. Avete perso molto con il fatto che avete lasciato la vostra isola e poi avete perso il vostro seguito e ora siete qui, sola, e – l’avete fatto principalmente per noi. Sono certa che il principe aiuterà la vostra isola in ogni modo possibile, ma ora come ora, con tutti gli attacchi dei pirati, è un po’ a senso unico, capite. Avete perso tutto per diventare la nostra regina e non ne ottenete niente in cambio.”

Quelle parole la colpirono con forza. Perché era tutto vero, no? Aveva perso il suo regno nella sua brama per Elias, il suo titolo di principessa e la sua casa e ora era lì, più lontana da tutto di quanto lo fosse mai stata.

“Sarò regina.” Disse con gentilezza, ignorando quei pensieri.

Riley si torse le mani. “Se i pirati vincono, sarete regina del nulla.”

Tuyet si fermò e Riley dovette fare dietro front. “Ascolta,” disse Tuyet con fermezza, “i pirati non vinceranno. Non ho attraversato l’oceano per diventare regina di un regno conquistato, dunque non accadrà. Mi hai capita?”

Quella ragazza non aveva motivo di crederle, di pensare che potesse fare qualcosa oltre a sedersi al fianco di Elias mentre tutto bruciava. Riley, però, le rivolse un sorriso piccolo, ma onesto, e le apparve una fossetta sulla guancia sinistra. “Sì, vostra altezza.”

La rabbia e l’amarezza che le erano state fedeli compagne sembravano così lontane in quel momento, con Riley che le sorrideva, che credeva in lei.

Non erano scomparse, lo sapeva. Sarebbero tornate quando si sarebbe sentita irritata o spaventata o arrabbiata. Ma in quel preciso istante, si sentì quasi come prima di nuotare alla ricerca della grotta di Caligula.

“Principessa Tuyet.” Disse Darius da troppo vicino. Non si era resa conto che l’aveva aspettata davanti all’ingresso dell’ala della servitù. Le rivolse una strana occhiata, ma tutto quello che le chiese fu: “Avete preso ciò che cercavate?”

“Sì.” Disse, e strinse la mano di Railey per poi incamminarsi con Darius verso le sue stanze con il cesto contenente i suoi oggetti al fianco. “Grazie per aver ripulito i piatti.”

Lui sollevò un sopracciglio e lanciò un’occhiata in giro per poi sussurrare: “Siete sicura di essere una principessa?” Lei assottigliò lo sguardo, prese uno degli aghi che le aveva prestato Fiona e lo punse nel fianco. “Ow!”

“Cosa dicevi a proposito della servitù che si vede ma non si sente?” Gli domandò con voce melensa. Darius alzò gli occhi al cielo e le prese il cesto dalle mani, portandolo fino alle sue stanze. Sarebbe stato un bel gesto se solo Tuyet non fosse stata sicura al cento per cento che l’aveva fatto per tenere gli aghi fuori dalla sua portata.

Riprese il carico quando arrivarono alla porta. “Rimarrai qui in piedi per tutta la notte, dunque?”

“Fino a quando non arriverà Louis.” Disse. “Vi prego di non provare a parlargli. Gli verrebbe un infarto e morirebbe sul colpo a tanta indecenza.”

“Sembra divertente.” Disse allegra, poi si chiuse la porta alle spalle. Ci appoggiò l’orecchio e non riuscì a trattenere un sorriso quando lo sentì ridere.

Non appena si voltò, si accorse di non essere sola. Un piccolo uccellino si era posato sulla sua finestra, con le ali d’argento nel chiarore della luna. Il cesto le cadde dalle mani e corse verso di lui, crollando in ginocchio di fronte alla finestra. “Cetus!” Sussurrò. “Mi hai seguita!”

Quello cinguettò, e Tuyet tese una mano. L’uccellino ci si posò sopra, arruffò un poco le piume e si accoccolò nel palmo.

“Grazie.” Sussurrò lei. Cetus non aveva lasciato la crosta terrestre per migliaia di anni prima che lei lo chiamasse e ora era lì, all’aria aperta che tanto odiava, solo per seguirla. “Scusa se non ti ho detto nulla, è successo tutto così in fretta.”

Cetus starnutì, poi mutò forma, sciogliendosi in una lucida e argentea serpe del grano, grande abbastanza da potersi avvinghiare attorno al suo polso come un bracciale.

“Capito,” gli disse dolcemente, “non ti lascerò più.”

Cetus rimase in quella posizione, accoccolato contro il suo battito, e Tuyet tirò fuori dall’armadio tutti i vestiti della regina deceduta, mettendosi al lavoro.

Fiona avrà anche potuto farle il vestito che avrebbe indossato l’indomani, ma doveva pur far qualcosa per quelli che avrebbe indossato per i giorni che le rimanevano.

***

Tuyet venne svegliata fin troppo presto da un bussare alla porta.

“Entra pure.” Mugugnò, e si tirò su a sedere. Si rese conto che uno dei motivi per cui si sentiva così poco riposata era che si era addormentata sul pavimento con ancora indosso gli abiti del giorno prima.

“Vostra altezza!” Disse Riley, chiudendo la porta alle spalle e poggiando le mani sui fianchi. “Mia madre mi ha chiesto di prepararvi. Non può vestirvi in questo stato!”

“Nemmeno io ne sono entusiasta.” Ammise, torcendo la schiena e facendo una smorfia alla sensazione dei muscoli che tiravano. Aveva finito di modificare una mezza dozzina di abiti, il che era fantastico, ma forse avrebbe dovuto fermarsi prima di addormentarsi con l’ago in mano.

Riley schioccò la lingua e sembrò quasi la nonna di Tuyet; il pensiero di comparare quella ragazza umana alla sua veneranda nonna, la regina madre del mare, era talmente assurdo che non poté fare a meno di fare una risatina.

“Forza.” Disse Riley sbrigativa, afferrando Tuyet per il braccio e tirandola in piedi. “Andiamo, dobbiamo lavarvi.”

“Lavarmi?” Domandò. “Non ho le mie spazzole.”

“Per i capelli? Non vi preoccupate, non li laveremo. Così sarà più facile che mantengano l’acconciatura.” Tuyet era preoccupata, però, perché non sarebbe riuscita a sfregarsi per bene il corpo senza una spazzola. Riley la trascinò in una stanza attigua collegata alla sua con dentro un ampio catino. Aprì il rubinetto, facendo scendere l’acqua e riempiendolo in fretta.

Un piccolo oceano in miniatura, proprio lì nella sua stanza. Ma certo. Gli umani si lavavano con acqua dolce, non con le spazzole. Dovette resistere all’impulso di interrompere l’incantesimo anche solo per un momento e mettere a mollo la sua coda. Un'altra volta, forse.

Riley le tirò leggermente il vestito e Tuyet alzò gli occhi al cielo per poi spogliarsi. Riley la aiutò a lavarsi e, fortunatamente, sembrava che non si aspettasse che facesse altro che rilassarsi e lasciarle fare il suo lavoro perché Tuyet non avrebbe saputo da che parte cominciare con tutte quelle lozioni e creme da spalmare sul corpo. “Non preoccupatevi.” Disse Riley. La sensazione delle sue unghie corte sulla sua testa mentre le raccoglieva i capelli in una coda frettolosa per non bagnarli era una delizia. “Il principe Elias è molto gentile, quindi sono sicura che stanotte andrà, um, tutto bene.”

“Va bene.” Disse, dopo un momento di silenzio imbarazzato, con la sensazione di essersi persa qualcosa. “Uh, grazie.”

Riley non aggiunse altro e incitò Tuyet ad alzarsi, avvolgendola in un asciugamano. “Forza, se mi sbrigo riesco ad acconciarvi i capelli prima che arrivi mia madre.”

“Va bene.” Disse, e chissà perché sentì nostalgia delle sue lumache marine. Aveva dovuto lasciarle nell’oceano, ovviamente, ma pulita e avvolta com’era in quel bell’asciugamano morbido ebbe la sensazione che una difesa in più non avrebbe guastato.

Riley le raccolse i capelli in uno chignon alto, infilandovi bastoncini impreziositi di perle; poi, prese un piccolo bastoncino dalla tasca e lo usò per truccarle gli occhi di nero. Sembrava che i suoi occhi fossero ancora più marroni. Aveva appena finito quando Fiona entrò con foga nella stanza con delle occhiaie scure sotto gli occhi e un vestito bianco sottobraccio.

“Spogliatevi.” Le ordinò, e Tuyet lasciò cadere il suo asciugamano con un sopracciglio inarcato. Fiona sbuffò, ma Tuyet pensò che quello all’angolo della sua bocca fosse un sorriso.

Dovettero sollevare il vestito in due per farglielo indossare e per chiudere il retro, stringendo i lacci fino a quando Tuyet riuscì a malapena a respirare. “È pesante.” Esalò mentre Riley le infilava un velo di pizzo finemente lavorato sui capelli in modo che le cadesse oltre le spalle fino a terra.

“Già.” Disse Fiona senza particolare enfasi e fece qualche passo indietro, guardandola con occhio critico. Tuyet si voltò per guardarsi allo specchio e, beh, aveva sicuramente l’aspetto di una sposa. Il corpetto era riccamente decorato di perle e l’abito non aveva le spalline in modo che la sua collana, la corona da lei modificata della defunta principessa Felicity, fosse bene in mostra. La gonna era di seta bianchissima tenuta in forma da quelli che sembravano essere centinaia di strati di chiffon e sarebbe stata più lunga di qualche centimetro se non fosse stato per i tacchi mostruosi che le fecero indossare. Il velo di pizzo completava il tutto, aggiungendo struttura all’abito in modo che non risultasse solo un mare di bianco .

Era bellissima, ma il vestito era pesante e costrittivo. Non sarebbe riuscita a correre neanche se avesse voluto e si chiese se fosse quello l’intento che stava dietro a quel design. “Hai fatto un magnifico lavoro, è stupendo.”

“Può andare.” Disse Fiona fuori dai denti, e Tuyet sentì una fitta di rimorso per non essersi mostrata più entusiasta, per non averle detto che lo adorava, quando la sarta ci aveva impiegato così tanto tempo e fatica per cucirlo.

“Ci sarai anche tu?” Le chiese.

Riley rise e Fiona le fece un sorriso. “Ci saranno tutti, vostra altezza.”

Che cosa? Avrebbe voluto domandare loro di più, ma qualcuno bussò alla porta. “Entrate!”

Darius aprì la porta. “È quasi l’ora, dobbiamo andare se-” Si bloccò, fissandola con occhi sgranati.

Tuyet poggiò le mai sui fianchi e si accigliò. “Se cosa?”

“Uh.” Si schiarì la gola e, chissà perché, Riley fece un risolino. “Se non vogliamo fare tardi, vostra altezza.”

“Ebbene.” Mosse qualche passo in avanti, barcollando sulle scarpe, e Riley la seguì per reggerle il velo. Sembrava che Darius stesse trattenendo una risata al suo incedere vacillante, ma le porse il braccio, dunque Tuyet decise di non ammonirlo. Si tenne a lui, cercando di non mettere troppa forza nella stretta per non fargli del male, e drizzò la schiena nonostante quelle ridicole scarpe ai piedi. “Fammi strada.”

Dopo il matrimonio, dopo che sarebbe diventata regina; sarebbe iniziato allora il suo vero lavoro.


 

Note dell’autrice: Devo partire per prendere un volo tra quattro ore.

Note della traduttrice [DanceLikeAnHippogriff]: Pensavate che avessimo abbandonato questo progetto, eh? E invece, eccovi il quarto capitolo dopo un'attesa biblica...! Speriamo che sia stata una piacevole lettura <3

Grazie millissime a Nereisi per l'ottimo servizio di betatura <3

   
 
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