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Autore: New Moon Black    09/11/2020    0 recensioni
~{NoremmaMonth2020}~
[Tratto dal testo]
Il ragazzo non fece in tempo a completare la frase che, uno schiaffo ben sestato gli arrivò in piena faccia dalla sua interlocutrice, strattonandolo poi con forza dal colletto della sua camicia.
Faceva male.
Decisamente.
Ma quello che gli fece più male fu vedere le lacrime sul viso roseo della sua amata compagna d'avventure, intenta ad urlare ad alta voce tutta la sua rabbia, il suo dolore e la sua frustrazione.
Gli si spezzò il cuore.
Tutto questo era accaduto, solo, per colpa sua.
-"Tu non mi hai salvato da niente, Norman!
Ho vissuto, con questo dolore, ogni singolo giorno della mia vita e ti ho incolpato per aver anche solo pensato di sapere qual'era la cosa migliore per me... quando lo eri TU, stupido!"
---
Storia partecipante al contest "Norember" indetto da Standreamy!
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Emma, Norman
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
Capitoli:
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noremma contest 3.0

*Iniziativa: scritta per il Contest “Norember”, indetto da Standreamy sulla sua pagina instagram ispirandosi all’Inktober.
*Numero Parole: 3.399
*Prompt: Weakness
*Link al vostro blog/twitter/quel che volete:

Profilo EFP (
https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=224886
Profilo Wattpad (https://www.wattpad.com/user/artemiskarpusivargas)
Hashtag: #NoremmaMonth2020 #Norember              

 Icarus’s Weakness

 

-"Norman, vorrei parlarti di una cosa.”

Quella mattina i due ragazzini si trovavano nel cortile dell’orfanotrofio, stendendo le lenzuola bianche, immacolate come la neve,  nella struttura in legno aiutandosi con alcuni bastoni ricurvi per riporli anche nei piani più alti.
Il sole era alto nel cielo e le nuvole ne coprivano giusto una parte, in quello spazio azzurro e sconfinato, dando vita a varie forme astratte.
Per essere solo metà autunno, era davvero una bella giornata.

Tuttavia, c’era una strana tensione nell’aria.

Ray assottigliò gli occhi cangianti sul profilo dell’albino, che in quel frangente avevano preso una sfumatura più grigia, seguendolo con lo sguardo quanta concentrazione ci stesse mettendo per allineare le assi di legno alla giusta altezza e posizione affinché le lenzuola rimanessero simmetriche, da entrambi le parti.
Attese giusto un paio di secondi prima di ricevere la sua risposta, proprio quando diede un ultima occhiata allo stenditoio.

-“Riguarda ai preparativi della fuga?”

Il corvino si guardò circospetto tenendo ben saldo il bastone tra le mani.
Dal vasto giardino sempreverde di Grace Field, vedeva di schiena le figure di Don e Gilda che stavano accanto agli altri bambini, sotto lo sguardo vigile della loro allevatrice, Isabella; camminava al fianco delle piccole Yvette e Jemima, che nel mentre stringevano le sue mani con tanta enfasi, sorridendo e scherzando come solo le bambine sapevano fare.
Dal lato opposto invece, vedeva l’inconfondibile ciuffo rosso e ribelle di Emma che aiutava Phil e Shelly a creare delle deliziose composizioni floreali, utilizzando fiori semplici ma di bell’aspetto.

-“No, si tratta di te.”

A quelle parole, Norman inclinò il capo, decisamente confuso indicandosi poi con l’indice sinistro.
Ricevette come risposta una semplice scrollata di spalle, senza però lasciarsi scappare una risata muta tra le labbra.
Arcuò un sopraciglio.
Ora era decisamente curioso di saperne di più.
Intenzionato a ricevere ulteriori risposte, cercò con lo sguardo il viso di Ray, intento a stendere altre lenzuola, ma quei cespugli sempre spettinati e neri come il carbone  coprivano una buona parte la sua faccia, come se stesse indossando una maschera.
Sospirò, leggermente seccato da quella strana situazione, ma per sua fortuna, non dovette aspettare molto.

-“Ho scoperto un altro tuo punto debole.”

-“Mhm? Davvero?”

-“Già, è persino più divertente di quando, quella volta, hai cercato di aprire un barattolo di sottaceti ma non riuscivi a svitare il tappo. 
Fu Emma ad aiutarti per aprirlo… Ah, che bei tempi.”

Lanciò un’occhiata divertita al suo amico mentre l’albino, di rimando, bofonchiò infastidito qualcosa come quanto, in certe situazioni, fosse così invadente, antipatico e privo di tatto.
Ci provava proprio gusto a burlarsi di lui.
Proprio un gran bell’amico, pensò Norman.
Poggiando il bastone dal lato dello stenditoio, incrociò le braccia lanciandogli uno sguardo minatorio e che non ammetteva repliche, seppur il suo rossore alle gote lo tradì fino all’ultimo.

Dannazione.

-“Oh, curioso… è davvero curioso che tu mi dica una cosa del genere.
E sentiamo Watson, oltre alla mia indole ad ammalarmi facilmente e alla poca forza che possiedo nelle mani, quale sarebbe la mia ennesima debolezza?”

Non fece in tempo a domandargli cosa lo facesse tanto ridere da piegarsi in due che una risata allegra e ben familiare attirò la sua attenzione.
Seguendo la fonte di quel suono, spostò leggermente un lembo delle lenzuola bagnate e nel fare ciò, rimase immobile come una statua, ignorando così la presenza del suo amico.
Le iridi azzurre ammiravano una Emma intenta a sfiorare delicatamente la corona di fiori che indossava tra i ciuffi rossi, ciocca dopo ciocca e fiore dopo fiore; alcuni petali di margherite, rose e peonie solleticavano dolcemente il viso roseo e delicato che, lentamente, andava in forte contrasto con il crescente rossore alle guance.

Perse uno, due, forse tre battiti a quella visione così surreale.

Vedeva la testa mora di Phil che si agitava e alzava le braccia in aria, seguita dalla testa color pesca di Shelly a fare la medesima mossa ma con i piccoli pollici all’insù, facendo così arrossire ancora di più la più grande; a giudicare dal suo stato d’animo, forse la rossa aveva ricevuto un complimento dai bambini più piccoli.
Gli parve di vedere un sorriso timido sbocciare tra le labbra, seguito poi da un flebile “grazie”, dopo vari tentativi, falliti, a formulare una frase di senso compiuto.
Il cuore gli martellò così rumorosamente che minacciava di scoppiargli nel petto, arrossendo vistosamente fino alla punta delle sue orecchie.

Era troppo tenera.
Troppo preziosa.
Decisamente “troppo” per lui.

Si lasciò scappare un sospiro sognante, sfiorandosi con la mano sinistra il cuore pulsante e rombante che non accennava a calmarsi, incurante che il corvino fosse ancora lì, con lui.
Sono cresciuti insieme in quell’orfanotrofio da tutta una vita, ma questa era in assoluto la prima volta che vedeva Emma sotto un’altra luce; un lato di se’ stessa che faceva così fatica ad esporre le sue emozioni, se non con estremo imbarazzo.
Un lato di se stessa che non aveva mai conosciuto ma che, nel profondo, gli ricordava tremendamente se stesso.

Così timida.
Impacciata.
Riservata.

Gli venne in mente un vecchio aforisma, di cui al momento gli sfuggì di mente il nome dell’autore, che aveva letto in un libro di poesie tempo fa; parlava della bellezza di una persona nella sua semplicità e nella sua diversità, anche se agli occhi degli altri risultava troppo piccolo ed indifeso.

“Il fiore che sboccia nelle avversità è il più raro e il più bello di tutti.”

Gli faceva uno strano effetto vedere il suo viso diventare un tutt’uno con i suoi capelli e quel modo di fare, così inusuale quanto tenero, a toccarsi la corona di fiori con la paura di rovinare quell’intreccio intricato di foglie e fiori.

Si sentiva come se avesse toccato il cielo con un dito.

Aveva una voglia irrefrenabile di stringerla forte tra le sue braccia e dirle quanto fosse carina ed adorabile con quell’espressione così dolce e delicata e baciarle una ad una le sue gote rosse.
Sebbene l’albino fosse un po’ timido e goffo con le effusioni e il contatto fisico, quali baci e abbracci, ogni giorno sognava ad occhi aperti di poter starle accanto senza che si sentisse in imbarazzo.

Norman sognava di poter essere quel “qualcuno” per la rossa.

Ma sapeva bene che non era il momento “adatto” a fantasticare su come poteva conquistare il suo cuore, seppur l’idea era molto allentante.
Strinse così forte il tessuto delle lenzuola che le nocche gli si sbiancarono di colpo, diventando un tutt’uno con la divisa.
Dovevano affrontare i nemici sia dentro e fuori le mura della “Fattoria” Grace Field House, trovare un modo per scappare con tutta la loro famiglia una volta evasi e, ovviamente, sopravvivere.
E per farlo, non poteva assolutamente commettere altri passi falsi.
Temeva di perdere il controllo delle sue emozioni e di lasciarsi andare in un pozzo senza fondo, così che la disperazione lo facesse impazzire allo stato puro.

Ma aveva la fortuna di avere al suo fianco due persone speciali e che, senza di loro, Norman non avrebbe retto a lungo il peso di quell’amara e crudele verità.

Era determinato ad affrontare quell’impresa pericolosa quanto impossibile, sapeva bene dei rischi che correva e il solo pensarci gli tremavano le mani, ma per proteggere le persone che amava, specialmente il suo sorriso, avrebbe messo da parte le sue paure più oscure e fronteggiare persino con il Demonio in persona.
Tuttavia, non era preparato per l’imprevedibile e quando se ne accorse fu troppo tardi.
Aveva tirato così forte le lenzuola bagnate che, nel fare ciò, un lembo gli cadde in faccia, inumidendogli il viso, i capelli e una buona parte il suo maglioncino bianco panna.
Incespicando e dimenandosi come un uccello chiuso in una gabbia, non poté vedere la faccia divertita del suo migliore amico sganasciarsi dalle risate alle sue spalle.

-”Ahahaha, certo che tu sei davvero imbranato.”

-“Chiudi il becco, Ray.”

Ci mise un po’ di tempo a liberarsi da quel groviglio di stoffa ma in un modo e in un altro, ce l’aveva fatta.
Borbottava qualcosa riguardo alla brutta figura, pregando mentalmente al Signore che lei non abbia visto nulla, gli tremavano così tanto le labbra e le mani, complici i brividi dell’umidità e la vergogna subita, da lasciarsi scappare varie imprecazioni silenziose.
Arrossì imbarazzato sotto lo sguardo incredulo del corvino.

Accidenti, tutto questo solo perché si era distratto a vedere il sorriso solare  della ragazza di cui provava un amore profondo e sincero e che darebbe qualunque cosa pur di poterle stare al suo fianco e vederla sorridere tutti i giorni.

La voce del suo amico gli arrivò dritto nelle orecchie, bloccandolo sul posto mentre cercava di scrollarsi di dosso le lenzuola bagnate.

 -“Emma.”

-“Come?”

-“Emma è la tua più grande debolezza.
Considerando quanto tu sia cotto perso di lei, perdi completamente la calma e il sangue freddo, ti assicuri che non faccia delle scelte troppo sconsiderate e vai  nel panico quando si tratta della sua incolumità.
Non è così, Norman?”

Sgranò gli occhi sorpreso.
Ci fu un lungo silenzio di tomba.

I due ragazzi si guardarono dritti negli occhi, scavando a fondo nel loro animo, quasi come se stessero attuando uno scontro mentale: chi batteva ciglio, perdeva.
Solo che in  quella “battaglia” non dovevano muovere i loro corpi, se non i loro  sguardi taglienti, tanto affilati quanto pericolosi come la lama dei coltelli, carichi di pura adrenalina.
Le iridi cangianti del corvino scrutavano attentamente quelli azzurro cielo dell’albino, pronto per captare qualsiasi sua reazione o emozione che potesse tradirlo in un istante.
Sospirò.

-“Sono così prevedibile?”

-“Oh, amico mio, quando c’è Emma nel tuo raggio d’azione, cambi  espressione in una più rilassata e serena… peccato che ti fanno sembrare più scemo.”

L’albino si lasciò andare ad una risata nervosa e spontanea, sfiorandosi una guancia con l’indice sinistro accompagnato dalla sua immancabile timidezza e nervosismo a fior di pelle quando si trattava di parlare della ragazza che le piaceva da, ormai, tutta la sua infanzia.
Colpito ed affondato.

-“Ad ogni modo, rientriamo dentro… ti devi cambiare.”

-“Eh? Adesso?”

-“No guarda, domani.
Certo che si, sapientone, così posso stendere i tuoi vestiti e no, non guardarmi in quel modo… mi fai solo innervosire.”

-“Ma dai, che esagerazione. Non rischio niente se mi espongo un po’ di più al sole!”

-“Norman, ti conosco quanto il palmo della mia mano e sappiamo entrambi quanto tu sia debole fisicamente: potrebbe portarti un brutto raffreddore se rimani con quei vestiti addosso.”

L’albino era sul punto di replicare ma dovette tacere all’istante visto come lo stesse fulminando con lo sguardo e come imbracciava il bastone di legno a mo’ di mazza, pronto per suonargliene di santa ragione.
Non voleva ammetterlo, ma i vestiti gli si erano appiccicati così fastidiosamente che sentì già i primi brividi di freddo percorrere su tutte le braccia.
Non aveva tutti i torti quel gran impertinente di Ray.

Esasperato, si arrese all’evidenza, sorridendogli di circostanza.

-“Si, mammina.”

Finirono in fretta di sistemare lo stenditoio e, posando gli strumenti appositi nel cortile interno, entrarono dentro l’orfanotrofio.
Ray avrebbe cercato delle stampelle per appendere i suoi vestiti bagnati mentre lui doveva assolutamente trovare il cambio pulito, visto che non ci teneva ad ammalarsi gravemente.
Salendo le scale di legno a passo svelto e svoltando alcuni corridoi, arrivarono finalmente alla loro stanza che condividevano con il resto dei loro fratelli e sorelle.
Norman andò dritto all’armadio, cercando tra i cassetti e gli scaffali, i soliti vestiti bianchi che davano in dotazione la struttura; ci mise giusto un paio di minuti a trovare i vestiti della sua taglia e fu facile trovarli solo grazie al numero in codice.

22194.

Le stesse cinque cifre che portava al collo.
Come Ray.
Emma.
Il resto della loro famiglia.
Voleva credere che fosse solo uno scherzo di cattivo gusto, eppure dopo aver conosciuto la verità che si celava dietro all’orfanotrofio, gli venne spontaneo pensare che quei codici, marchiati sulla loro pelle, li rendeva degli animali da macello.

Gli veniva il voltastomaco il solo pensarci.
Sospirò.

Il tempo di poggiare il cambio pulito sul suo letto e sbottonarsi il maglione e la camicia che il corvino fece il suo ritorno, con le mani occupate.
Sfilandosi i vestiti bagnati di dosso, compreso la biancheria, poteva sentire il sollievo della sua pelle nivea, leggermente rossa sull’altezza delle spalle e delle ginocchia, al contatto con la stoffa morbida del maglione.

-“Hai mai sentito parlare del mito di Icaro?”

Si accingeva a rivestirsi in fretta, ma come la voce del suo amico gli arrivò alle sue orecchie, si fermò dopo aver abbottonato il terzultimo bottone della camicia, lasciando scoperto un lembo di pelle e i muscoli del collo.

-“Oh, ricordo qualcosa a riguardo…
Se la mia memoria non m’inganna, lui e suo padre Dedalo rimasero richiusi nel labirinto di Minosse, a Creta, per via della morte di Talo, ucciso perché l’inventore era geloso del talento di suo nipote.
Successivamente, sia lui che Icaro trovano un  modo per fuggire dal labirinto: infatti costruiscono delle ali, fatti interamente di cera, e altri piccoli dettagli come il cuoio. Come cala la notte, lui e suo padre spiccano il volo e fuggono, il più lontano possibile dalla loro prigione.”

Gli diede i suoi vestiti, ormai umidi, e vide come il corvino li ripose accuratamente nelle stampelle.

-“Dedalo raccomandò al figlio di non spingersi troppo in alto e di volare dritto sempre ad Ovest: se l’avesse fatto il Sole avrebbe sciolto la cera e lui avrebbe incontrato solo la morte in faccia; il ragazzo era talmente felice di poter assaporare la libertà che gli avevano sottratto… da ignorare completamente i suoi preziosi consigli.
Il mattino arrivò presto e il Dio Elios fece sfrecciare uno dei suoi raggi solari infuocati verso il cielo, tuttavia colpì una delle ali di Icaro…
Sai come va a finire, no?”

Annuì.
Si sedette nel letto, stringendo i pugni ed abbassando la testa fino a vedere le sue ginocchia, come in segno di lutto.
Un sorriso triste e malinconico fece tremare il labbro inferiore.
Rimasero in silenzio per alcuni secondi ma l’albino riprese la parola, senza però smettere ti torturarsi i pollici.

-“La cera si sciolse e alcune piume si staccarono, fino a quando non precipitò nel vuoto… andando incontro al suo tragico destino.
Dedalo assistite alla scena, ma non poté fare nulla per salvarlo… maledì solo la Morte per avergli sottratto la sua unica famiglia.”

-“Davvero una brutta tragedia… non credi?
Se solo Icaro avesse ascoltato suo padre, si sarebbe potuto salvare.”

Sentì lo sguardo indagatore dell’amico su di sé e come alzò la testa per guardarlo dritto negli occhi, per poco non si prese un brutto spavento visto la distanza azzerarsi tra di loro e un senso di oppressione schiacciargli il petto.
Raddrizzò le spalle.

Inspira.
Espira.
Resta calmo, pensò lui.

-“Dove vorresti arrivare con questo, Ray?”

-“Sai benissimo di cosa sto parlando, Norman.”

Si morse l’interno guancia, nervoso.
Si alzò lentamente in piedi, sistemandosi i polsi del maglione alla stessa altezza della camicia, abbastanza seccato dalla brutta piega che stava avvenendo la loro conversazione.
Assottigliò le iridi azzurre in due fessure, come un avvoltoio che aspettava di attaccare al momento giusto il suo avversario, lanciando vari segnali al corvino che qualunque cosa avrebbe detto, non avrebbe cambiato idea tanto facilmente.
Quest’ultimo non reagì molto bene, infatti, in meno di pochi secondi Norman venne strattonato dal colletto della camicia, facendo così cadere a terra i vestiti semi umidi, e poté vedere chiaramente i suoi occhi scuri luccicare di una furia omicida, scoprendo i denti in una smorfia infastidita.
Pensava davvero di avere la meglio contro di lui?
Sorrise sardonico, arcuando le sopraciglia in un espressione più decisa e ferma.

-“Davvero una bella storia, ma sappi che non ho ancora rinunciato all’idea di far fuggire tutti da questa Fattoria.”

-“Sei  davvero un gran idiota!
Se ti lasci trasportare dai sentimenti, farai la stessa fine di Icaro: avvicinandoti troppo al Sole, cadrai e morirai soffocandoti con le tue stesse ali bruciate.
Questa tua debolezza ti porterà a delle conseguenze e non lascerò che tu sostenga quel peso insostenibile!”

Ray era sicuro che confessandogli a mente fredda il suo pensiero, il suo migliore amico avrebbe ragionato più a fondo a non seguire appieno i desideri di Emma, ovvero quello di portare tutta la “famiglia” fuori dalle mura di Grace Field, in un territorio ostile e sconosciuto, ai loro occhi da ragazzini.
Se partivano solo loro tre nella grande fuga, con le loro doti, avevano più possibilità di sopravvivere nel mondo esterno.
Tuttavia, quello che non si aspettava affatto nei suoi calcoli, era la risposta sagace dell’albino, immobilizzandolo sul posto come se i suoi piedi si fossero sprofondati nella terra.

-“Sarò pronto a sopportarne il peso.
E ti assicuro che non finirà come in una tragedia greca.
Dopotutto, è di me che stiamo parlando, no?”

Allentò poco a poco la presa ferrea del colletto della sua camicia aprendo la bocca come per urlargli contro, senza però a far uscire una parola o un suono; come se non bastasse gli prudevano fastidiosamente le mani e non trovò alcun conforto sfregando tra di loro i polpastrelli.

-“T-Tu… sei davvero disposto a fare tutto questo, per lei!?”

-“Si.”

Fu una doccia fredda per il corvino.

Il sorriso di Norman gli fece raggelare il sangue, confermando così che, in quel momento, non stesse scherzando o mentendo; era completamente certo di voler attuare il suo folle piano di seguire i desideri di quella ragazzina sfrontata e dallo spirito libero che, nei peggiori dei casi, li avrebbe portati sicuramente in una morte lenta e dolorosa.
Non fece nemmeno in tempo a stringergli nuovamente il colletto della camicia e sbraitargli contro che l’amico strinse forte il suo polso, facendolo desistere nel commettere un possibile omicidio.
Magari se avesse potuto dargli un bel pugno in faccia; giusto per farlo rinsavire e fargli capire, una buona volta, quanto fosse un incosciente senza il minimo senso del pericolo a buttarsi in un impresa rischiosa quanto mortale.

-“Non hai tutti i torti quando hai detto che lei è la mia debolezza… ora come ora, sono come Icaro: cerco di volare lontano dalla mia prigione, verso mete sconosciute, con le mie ali di cera… ma come vengo accecato dalla luce abbagliante del Sole, perdo quota, fino ad andare incontro al mio tragico destino.”

-“Aha, ora che lo so mi sento più tranquillo!
Non prendermi in giro, idiota!”

-“Ray, tu pensi che questa mia debolezza mi porterà a delle conseguenze.
Ma devi sapere una cosa: lei… lei non è solo questo.”

-“Cosa intendi dire?”

Strinse così forte il polso dell’amico che riuscì a liberarsi dalla morsa ferrea al colletto, grato di poter respirare l’aria a pieni polmoni, sorprendendosi di tale gesto.
Ripensò ai vari avvenimenti trascorsi tra le mura di Grace Field: di come aveva trascorso un infanzia gioiosa, divertente e piena di sorprese, a come voleva un gran bene ai bambini dell’orfanotrofio e ai suoi cari amici,  e ovviamente, al sorriso radioso e puro di Emma che gli stringeva il mignolo promettendosi a vicenda che avrebbe le rivelato quel segreto che custodiva tanto gelosamente e che, al giorno del suo undicesimo compleanno, non aveva voluto svelare.

Non poteva assolutamente perdere.
La posta in gioco era alta e se volevano uscirne vivi da quella prigione, dovevano agire con discrezione.
Sorrise.        

-“Sarà anche la mia debolezza, ma Emma rappresenta anche la mia forza.
Mi ha sempre dato la forza nel poter andare avanti e affrontare le avversità, a testa alta e lo sta facendo tuttora, nonostante l’ho vista crollare giù dalla paura.
È vero che non sono forte abbastanza per proteggerla, ma vorrei almeno tentare di trovare la via più sicura per tutti noi, con le mie stesse mani.
Lei significa molto per me e non permetterò che le succeda qualcosa.”

-“Tu sei completamente pazzo… ha parlato il folle innamorato del Sole.”

-“L’amor che move il sole e l’altre stelle”… dici che se Dante Alighieri fosse esistito ancora per qualche altro secolo, ci sarebbe stato d’aiuto per la fuga?”

Ray rimase vari minuti in silenzio, sconvolto quanto turbato dall’improvviso cambio di persona dell’albino, intento con un lunghissimo sproloquio di come un poeta italiano, deceduto da vari secoli, poteva dargli una mano a risolvere non solo la sua situazione sentimentale con una stupida ragazzina dai folti capelli rossi, ma anche trovare un idea ingegnosa per poterla sfruttare per la grande evasione dalla Fattoria.

Si trattenne una risata.
Merda, che situazione assurda.






Angolo dell'autor*!

Sono decisamente troppo in ritardo per l'aggiornamento, ma come vedete non ho nessuna intenzione di mollare all'iniziativa di Standreamy-
Non ho molto da dirvi visto che sono pochi i lettori a seguire la raccolta e il contest, perciò ritorno a spaccarmi la schiena come mio solito...
Intanto, vi auguro buona lettura!
Con affetto,

Artemìs

P.s: no ok, qualcosa vorrei dirla: avete visto quant'é carino quel Cinnamon roll ch'è il nostro Einstein preferito, specialmente quando fa l'imbranato per Emma?
Norman è un angelo sceso in terra and nobody can change my mind when he speak and sobbing all his love for the Sunflower Queen ;-;
Dannazione se questi due mi faranno morire prima del tempo-

 

 

 

 

   
 
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