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Autore: Star_Rover    14/11/2020    7 recensioni
Fronte Occidentale, 1917.
La guerra di logoramento ha consumato l’animo e lo spirito di molti ufficiali valorosi e coraggiosi.
Dopo anni di sacrifici e sofferenze anche il tenente Richard Green è ormai stanco e disilluso, ma nonostante tutto è ancora determinato a fare il suo dovere.
Inaspettatamente l’ufficiale ritrova speranza salvando la vita di un giovane soldato, con il quale instaura un profondo legame.
Al fronte però il conflitto prosegue inesorabilmente, trascinando chiunque nel suo vortice di morte e distruzione.
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Il Novecento, Guerre mondiali
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XXXVI. L’ultima battaglia

Parte II


L’ennesima esplosione scaraventò un cumulo di terra all’interno della buca, il tenente Foley mosse un altro passo e si chinò accanto al caporale. Un proiettile si era conficcato in profondità nella sua gamba, dall’ampia ferita sgorgava un fiume di sangue. L’uomo gemette dal dolore invocando il suo aiuto.
«Signore, per favore…non mi lasci qui…»
William provò un’intensa sensazione di ribrezzo, l’istinto gli avrebbe suggerito di lasciare quel miserabile a morire dissanguato in quella fossa. Non fu la pietà a fargli cambiare idea e nemmeno l’etica del dovere, piuttosto vide in quell’occasione la sua ultima possibilità per scoprire la verità.
L’ufficiale soccorse il ferito, fasciò l’arto con le bende del kit medico e aiutò il commilitone a rialzarsi, sorreggendolo a fatica.
«Laggiù c’è una casamatta, dobbiamo raggiungerla per metterci in salvo»
I due risalirono in superficie ritrovandosi nell’oscurità, il cielo della notte era illuminato soltanto dai razzi incandescenti e dai lampi delle esplosioni. Foley trasportò il caporale attraverso il campo bersagliato da schegge e granate. Per più volte il tenente fu costretto a cadere a terra per evitare di essere colpito, gettandosi addosso il peso del suo fardello.
Finalmente raggiunsero il rifugio in cemento, all’esterno trovarono solamente cadaveri. Decine di inglesi e tedeschi erano riversi nel fango, dallo stato di decomposizione dei loro corpi si poteva intuire che ormai da tempo quel luogo fosse abbandonato.
Foley trasportò il ferito all’interno, un intenso e nauseante odore di carne in putrefazione preannunciò la presenza di altre salme. Con una rapida ispezione William constatò che non c’era nessun’altra anima viva.
In ogni caso non avrebbero potuto far altro che attendere al riparo la fine di quel devastante bombardamento.
L’ufficiale condusse il ferito nei sotterranei e l’adagiò contro alla parete. Randall era ancora pallido e debole, Foley gli porse la sua borraccia, permettendogli di dissetarsi.
Il caporale bevve un lungo sorso poi riconsegnò l’oggetto metallico al suo superiore.
«Grazie signore»
Il tenente mantenne lo sguardo fisso su di lui, inevitabilmente ripensò alle parole di Albert.
“Randall è uno di quegli uomini a cui la guerra ha dato la possibilità di liberare il proprio lato più oscuro e violento, ha imparato a convivere con l’orrore, e ha scoperto di trarre soddisfazione da tutto questo”.
Aveva una questione in sospeso con quell’uomo ed ora che il destino li aveva fatti incontrare non aveva intenzione di sprecare quell’opportunità.
«Non ti ricordi di me, vero?»
L’altro sbatté le palpebre, osservando con più attenzione il viso del suo soccorritore nella penombra.
«No, temo di non riconoscerla»
«Sono il tenente William Foley, le nostre strade si sono incrociate più volte sul fronte di Ypres»
«Ricordo il suo nome, ma nulla di più»
L’ufficiale rimase impassibile.
«Probabilmente ti è più noto il nome del mio amico, il tenente Albert Green…»
Randall ebbe un lieve sussulto, ma non lasciò trasparire alcuna emozione.
Il tenente si rialzò in piedi.
«In tutto questo tempo ho pensato molto a te e ho indagato a lungo in cerca della verità»
«Devo dedurre che le sue ricerche non siano andate a buon fine»
«Sai, in questi anni di guerra ho conosciuto altri come te. Siete lupi solitari, sul campo di battaglia andate in cerca di un nemico in più per divertirvi o per trovare un trofeo per poi vantarvi con i vostri compagni…credete di essere degli eroi, ma in realtà siete soltanto spietati assassini»
«Sono un soldato inglese, sono qui per uccidere i crucchi…è questo l’importante, giusto? A nessuno interessa del perché o in che modo faccio fuori quei bastardi!»
«Già, la differenza tra te e quegli altri carnefici è che nel tuo caso i tedeschi non sono abbastanza…»
Randall s’irrigidì: «le sue sono accuse molto gravi»
«Ho anche le mie ragioni per credere che siano vere»
«Non credo che lei voglia davvero conoscere la verità»
«Ho una promessa da mantenere»
«Quale promessa?»
«Tu non potresti capire, è una questione di onore e fiducia. Ho rinunciato al rancore e all’orgoglio in nome della mia amicizia con Albert. Ho promesso a suo fratello che avrei fatto tutto il possibile per scoprire la verità sulla sua morte»
«Il tenente Richard Green…davvero è disposto a fare tutto questo per l’assassino di suo fratello?»
William perse la pazienza, reagì sferrando un violento calcio nel fianco del caporale, il quale si piegò su se stesso e sputò a terra un grumo di sangue.
«Oh, tenente Foley…la guerra è stata crudele nei suoi confronti, lei deve aver perso il senno»
«La guerra mi ha insegnato molto, è stata una maestra spietata, ma efficace. In questo caso ho imparato che a volte la legge non è il metodo migliore per ottenere giustizia»
«Per quale motivo dovrei parlare di queste cose con lei?»
William mantenne il sangue freddo: «in questo momento la tua vita è nelle mie mani»
Randall sghignazzò.
Il tenente non esitò ad estrarre la pistola: «non credo che tu sia nelle condizioni di poter decidere le regole»
Randall accennò un ironico sorriso: «ha davvero intenzione di uccidermi?»
L’ufficiale sfiorò il grilletto: «potrei farlo senza alcun rimpianto»
Il caporale guardò il suo interlocutore negli occhi, nel suo sguardo riconobbe fredda determinazione.
«Non credo che le convenga davvero andare in fondo a questa storia se tiene alla sua carriera. Sono coinvolte persone importanti»
«Ormai non ho più nulla da perdere»
«Il tenente Green non avrebbe dovuto intromettersi in questa faccenda» commentò Randall con amarezza.
«Albert era un uomo onesto e leale, non si sarebbe mai fatto corrompere dal marciume dell’Esercito»
«Già…e per questo è morto»
Foley avvertì un’intensa fitta al petto nel sentire quelle parole.
«Albert era convinto del tuo coinvolgimento nell’omicidio del soldato Dermot Flannigan, il ragazzo che fu ritrovato nel fiume. Green aveva avuto il coraggio di denunciarti ed era riuscito a convincere il sergente Jackson a parlare. Eppure tutto questo non è stato sufficiente. Il processo si è concluso senza alcuna condanna»
«Devo ammettere di aver sottovalutato il tenente Green al tempo. Ero certo che non avrebbe osato opporsi alle decisioni dei suoi superiori»
«Dopo la sentenza Albert non aveva voluto arrendersi. È questo che mi ha fatto sempre dubitare a riguardo del suo possibile suicidio. Egli era rimasto sconvolto dall’esito del processo, ma questo non l’aveva fermato. Era davvero determinato a scoprire la verità, pur sapendo che si stava intromettendo in una storia pericolosa»
«Avrebbe dovuto fermare il suo amico finché era in tempo»
Il tenente Foley ringhiò tra i denti: «sei davvero un bastardo!»
«Lei mi ha chiesto la verità»
William esitò, si accorse che l’arma aveva iniziato a tremare tra le sue dita. Fu costretto a farsi coraggio per riprendere il controllo della situazione. Aveva intuito lo scopo di Randall e di certo non aveva intenzione di farsi coinvolgere nei suoi giochetti.
«Fino a pochi giorni fa ero quasi convinto che Albert si fosse suicidato, probabilmente volevo crederlo per cercare di allontanare altra sofferenza, ma quando mi sono reso conto che in questo modo non avrei mai potuto avere pace ho deciso di eliminare ogni preconcetto dalla mia versione. E sai una cosa? Mi sono ricordato di un particolare interessante, qualcosa che la mia memoria aveva deciso di rimuovere, forse per proteggere me stesso da un’eventualità troppo dolorosa da affrontare. La giubba di Albert era aperta, sarebbe stato piuttosto strano che nelle Fiandre un ufficiale si aggirasse di notte per le trincee in quelle condizioni»
«La sua è una giusta constatazione»
«Era come se qualcuno avesse cercato nelle sue tasche. Che cosa era così importante da valere più della vita di un uomo?»
«Bene tenente, direi che siamo giunti al punto»
William si chinò bruscamente afferrando il caporale per la giacca.
«Adesso basta! Albert aveva scoperto qualcosa di importante, di che si trattava?»
«Il tenente Green non era riuscito a trovare le prove necessarie per incriminarmi al processo, di certo non ho apprezzato la sua denuncia, ma non avevo nulla da temere da lui. Il problema era il soldato Lowden»
«Ricordo quel nome, era uno dei testimoni interrogati da Green durante le sue indagini, doveva parlare il giorno del processo, ma all’ultimo momento si è rifiutato»
«In qualche modo dopo il processo il tenente era riuscito a convincere il ragazzo a parlare, quel piccolo bastardo aveva rivelato tutto»
«Green aveva raccolto la sua deposizione ed era intenzionato a riaprire il caso, così sarebbe riuscito finalmente ad ottenere giustizia. Con una simile prova i suoi superiori non avrebbero più avuto alcun dubbio»
«Come può immaginare non avevo altro modo per fermarlo»
Foley ricordò tristemente gli avvenimenti di quella notte, nella sua mente ricomparve il corpo inerme del suo migliore amico disteso in una pozza di sangue.
«Che ne è stato del soldato Lowden?» domandò con voce tremante.
«È caduto con onore sul campo di battaglia»
«Hai ucciso anche lui?»
Randall rimase in silenzio. Foley non ebbe bisogno di un’altra confessione per comprendere ciò che era davvero accaduto.
Era convinto che il colonnello Harrison avesse sempre saputo la verità e che probabilmente avesse avuto sospetti anche sul finto suicidio di Green. Ovviamente aveva ben pensato di insabbiare quella vicenda per evitare qualsiasi scandalo.
William avvertì gli occhi umidi di lacrime, a stento riuscì a trattenere la rabbia. Non poteva credere che l’Esercito britannico a cui aveva sempre giurato fedeltà fosse talmente corrotto da garantire protezione a dei criminali.
Foley osservò Randall con uno sguardo colmo di odio, in lui vide soltanto l’assassino di Albert. Un solo pensiero iniziò a vagare nella sua mente: in quelle circostanze avrebbe potuto ucciderlo con una fredda esecuzione senza testimoni.  
«Se in questo momento decidesse di premere il grilletto diventerebbe anche lei un assassino e dimostrerebbe di non essere affatto diverso da me»
William mantenne la pistola puntata, stringendo saldamente l’arma tra le dita. Guardò il caporale dritto negli occhi, un brivido gli percorse la schiena. Ormai aveva preso la sua decisione.
 
***

Hugh si ritrovò a vagare nell’oscurità, intorno a lui echeggiavano i rumori della battaglia. Il botto delle esplosioni era seguito dalle rapide scariche delle mitragliatrici e dalle grida dei feriti.
Un’intensa nube di fumo avvolgeva l’intera area, la quale era soggetta a un violento tiro. Il cielo era illuminato dai colori accesi dei razzi. Hugh pensò che gli aviatori sorvolando quella collina potessero osservare un interessante gioco di luci, mentre a terra gli uomini erano impegnati in una cruenta lotta.
Il soldato si inoltrò tra gli arbusti bruciati di una foresta devastata dalle bombe e dalle granate. Il tenente Green gli aveva affidato l’incarico di messaggero, doveva raggiungere le truppe neozelandesi appostate sul lato est della collina per fornire informazioni e coordinare l’azione.
Hugh avanzò cautamente tra i ceppi carbonizzati, strinse saldamente il fucile tra le dita, l’arma gli donava ancora una vana illusione di sicurezza. Avvertiva il sangue pulsare nelle vene, aveva i nervi tesi e il cuore batteva all’impazzata nel suo petto. Quella foresta era un luogo oscuro e inquietante.
Hugh mostrava evidenti segnali di irrequietezza e nervosismo, il fruscio del vento era sufficiente ad allarmarlo, ad ogni passo temeva di cadere nelle mani del nemico. Proseguì il cammino seguendo il sentiero, avvertendo un’atmosfera sempre più tetra e cupa. Quel bosco aveva un aspetto spettrale, in un momento di intensa suggestione ebbe la sensazione che gli spiriti dei soldati caduti stessero ancora vagando nella foschia e nell’oscurità.
Hugh tentò di eliminare certi pensieri dalla sua mente, non poteva permettersi alcun genere di distrazione. Doveva portare a termine la sua missione nel minor tempo possibile, le vite dei suoi compagni dipendevano da lui. Il soldato cercò di orientarsi con le indicazioni fornite dal suo superiore.
Tra i cespugli si innalzavano intense nubi tossiche, i vapori dei gas erano rimasti intrappolati tra la fitta vegetazione. Hugh accelerò il passo per allontanarsi da quel luogo pericoloso.
Sbucò in una piccola radura, cautamente avanzò nella nebbia, era certo di aver scorto qualcosa. Avvicinandosi scoprì con orrore di essersi imbattuto in alcuni cadaveri, tristemente riconobbe le uniformi britanniche. Con le lacrime agli occhi si chinò su quei corpi inermi, gli sventurati giacevano in ampie pozze di sangue, i loro volti terribilmente deturpati erano ormai irriconoscibili. 
Uno di loro era riverso sulla schiena, gli occhi chiari erano sbarrati dal terrore, il suo sguardo era rivolto verso l’alto. Probabilmente l’ultima cosa che aveva visto era stata la nube di fumo e cenere che aveva annerito il cielo durante l’uragano di bombe e proiettili.
Hugh stava per allontanarsi da quelle macabre salme quando ad un tratto notò qualcosa. Un oggetto era riverso nel fango, probabilmente era fuoriuscito dal taschino di un soldato durante la caduta.
Incuriosito il giovane si chinò per raccogliere quello che a prima vista era sembrato un pezzo di carta, pensando che forse avrebbe potuto trattarsi di un messaggio importante. Quando si ritrovò con l’oggetto tra le mani si accorse che in realtà non era un foglio, ma una fotografia. Era rovinata, macchiata di fango e sangue. Hugh soffiò via la polvere e cercò di pulire l’immagine con le dita.
Il soldato rimase immobile, stringendo la fotografia tra le mani tremanti. Avvertì un groppo in gola e gli occhi lucidi. Il ritratto raffigurava una bella famiglia in posa per lo scatto, le espressioni erano tutte serene e sorridenti. Il due coniugi erano giovani e innamorati, la donna stringeva tra le braccia un neonato avvolto in fasce, mentre il marito teneva per mano un bimbo di quattro o cinque anni. I volti di quegli sconosciuti presero le sembianze dei suoi cari. Quella visione riportò Hugh lontano dalle trincee, in un tempo passato, quando ancora esistevano la pace e l’innocenza. Inevitabilmente ripensò alla sua famiglia, a tutto ciò che aveva abbandonato e a cui aveva rinunciato per quella guerra. Per lui era sempre più difficile non cedere alla malinconia, soprattutto dopo la sua ultima licenza. Conservava sempre i preziosi ricordi di quei momenti, non voleva dimenticare le sensazioni provate nello stringere sua moglie tra le braccia o nell’ascoltare le dolci risate dei suoi bambini.
Avrebbe desiderato essere un marito e un padre presente, ma la guerra l’aveva costretto a restare lontano dalla sua famiglia. Era consapevole di dover compiere il suo dovere al fronte, sapeva di dover combattere anche per proteggere le persone che amava, per garantire un futuro di pace ai suoi figli.
Hugh tornò ad osservare la fotografia, la sua mente lo riportò a Dawber e al suo passato. Faticava ad immaginare il suo burbero commilitone come un amabile padre di famiglia, quel pensiero lo fece sorridere. Di certo avrebbe trovato divertente vedere quell’uomo sempre serio ed austero alle prese con dei marmocchi. Ancora non era riuscito a comprendere le ragioni per cui Dawber avesse deciso di allontanarsi dalla sua famiglia, ma sapeva che il suo compagno era ancora legato al suo passato. Amava sua moglie e i suoi figli, e in quel momento aveva davvero bisogno di sentire la vicinanza dei suoi cari. Poteva capire i suoi timori, di certo non sarebbe stato semplice affrontare una situazione così drammatica. La guerra aveva lasciato segni indelebili sul corpo del suo commilitone, il quale non avrebbe mai potuto dimenticare ciò che era accaduto, ma questo non significava che non avrebbe potuto provare a ricominciare. Restava sempre un veterano, un eroe di guerra, non poteva essere costretto a vivere ai margini della società come un emarginato o un reietto. Aveva sentito parlare di tanti progressi della medicina, il dottor Jones era sempre stato molto ottimista a riguardo. Forse avrebbero potuto ridonare un aspetto più gradevole al suo volto, oppure aiutarlo a tornare a camminare. Hugh pensava spesso alla sorte del suo compagno, che ormai aveva imparato a considerare come un caro amico.
Tornando alla realtà provò una profonda tristezza per la condizione del suo commilitone e per tutte le famiglie distrutte per sempre a causa della guerra.
Mestamente Hugh abbassò lo sguardo, rivolgendo un ultimo e rispettoso saluto ai compagni caduti. Ripose la preziosa fotografia nel taschino del soldato, non sapeva se quell’uomo avrebbe ricevuto o meno una degna sepoltura, ma in ogni caso era giusto che quel prezioso ricordo restasse con lui, per sempre accanto al suo cuore.
 
Hugh si inoltrò ulteriormente all’interno della foresta, era certo di aver ormai perso il sentiero, in quelle condizioni faticava a trovare qualsiasi punto di riferimento. Era ancora troppo buio per scorgere i particolari del paesaggio, era impossibile orientarsi nell’intricato labirinto di rovi e rami bruciati.
Il giovane avanzò nella nebbia, affondando gli scarponi nel fango. All’improvviso avvertì un rumore, rapidamente si gettò al riparo nascondendosi dietro a un grosso cespuglio.
Hugh riuscì a distinguere il suono di alcune voci, due tedeschi si stavano avvicinando, probabilmente erano esploratori. L’inglese alzò lo sguardo, anche i soldati sembravano particolarmente inquieti. Egli rimase immobile e trattenne il fiato.
Ad un tratto un tedesco si accorse della sua presenza, gli spari echeggiarono nella notte. Hugh si gettò a terra, un proiettile gli aveva sfiorato la spalla, ma la ferita non era profonda. Il giovane non esitò a rispondere agli spari, si rannicchiò dietro a una roccia, prese la mira e premette il grilletto. Riprese subito la sua fuga, continuò a correre avvertendo il botto degli spari alle sue spalle.
Si diresse dove la vegetazione era più fitta, ignorando i rami appuntiti che graffiavano la pelle e i rovi che laceravano la divisa.
Hugh terminò la sua corsa accorgendosi che gli avversari avevano rinunciato all’inseguimento, probabilmente perdendolo di vista. Era riuscito a sfuggire al nemico e a salvarsi la pelle per miracolo.
 
Hugh non era sicuro di star avanzando nella direzione opposta alle postazioni tedesche. I bagliori delle esplosioni lo lasciarono disorientato e confuso. In ogni caso la disperazione lo spinse a proseguire.
All’improvviso un’intensa tempesta di proiettili si abbatté sul bosco. Le bombe cadevano ovunque sradicando alberi e sollevando nubi di fumo e polvere. Hugh si allontanò appena in tempo per evitare una pioggia di schegge. Un boato assordante lo lasciò stordito e frastornato. Ai suoi occhi comparve un’intensa nube scura, la quale risaliva da un profondo cratere infuocato. Rami roventi iniziarono a precipitare dall'alto.
Hugh avvertì i polmoni in fiamme, i vapori raggiunsero gli occhi lucidi e gonfi offuscandogli la vista.
I proiettili d’artiglieria volavano sopra alla sua testa, per ripararsi si proiettò frettolosamente in una buca. L’intensa forza d’urto di un’esplosione lo scaraventò con violenza sul fondo della fossa. Si ritrovò in un’enorme pozza di fango, ogni parte del suo corpo era indolenzita a causa della rovinosa caduta. In quel momento avvertì alcuni passi, con un sospiro di sollievo riconobbe la lingua inglese. A fatica si trascinò verso la superficie e tentò di farsi notare. I soldati, sorpresi e allarmati, si affacciarono sull’orlo del cratere. Hugh emise un lamento strozzato e allungò la mano verso i suoi soccorritori.
 
***

Il caporale Speller era appostato con un gruppo di soldati in una grossa buca. Aveva ricevuto l’ordine di difendere quella postazione ad ogni costo ed era determinato a rispettare i comandi. I suoi commilitoni erano sempre più nervosi, la battaglia stava progredendo in modo sempre più intenso e violento.
In quelle occasioni gli capitava spesso di ripensare al suo primo attacco, quando per la prima volta aveva avuto prova della forza e della potenza delle armi moderne. Prima di allora non aveva mai visto il vero effetto un cannone, aveva studiato la fisica di un proiettile, sapeva calcolare la gittata e la velocità di moto, ma non aveva idea di quanto fosse devastante la reale esplosione. Nessun test aveva simulato una situazione del genere, nessuna esercitazione l’aveva preparato ad affrontare conseguenze così disastrose.
Le prime volte era stato sconvolgente, ma poi con il passare del tempo le cose erano cambiate. Aveva visto i commilitoni cadere, aveva perso amici e compagni, le esigenze della guerra avevano inevitabilmente sepolto i sensi di colpa.
 
Ad un tratto una figura saltò all’interno del cratere. Il caporale si ritrovò davanti a un soldato dal volto pallido e la divisa annerita dal fumo.
Il nuovo arrivato aveva il fiato corto, a stento si reggeva sulle gambe tremanti. Speller dovette sforzarsi per riconoscere in lui la sentinella che aveva inviato poche ore prima per contattare il tenente Green.
«Caporale…temo che la situazione sia davvero grave»
«Avanti, parla!»
«Diverse truppe sono disperse. Non ci sono notizie degli uomini che hanno raggiunto le trincee nemiche. Mi hanno anche riferito che il tenente Green è stato gravemente ferito»
Speller mostrò evidente apprensione per quell’ultima notizia.
«Che cosa è successo al tenente?»
«Mi dispiace, ma non ho notizie certe a riguardo»
Il caporale abbassò la testa, assunse un’aria assorta e il suo sguardo si rabbuiò. In quelle condizioni non avrebbe potuto fare nulla per aiutare i suoi commilitoni. Le unità britanniche erano state divise e frammentate durante l’avanzata. Sarebbe stato troppo rischioso mettere in pericolo la vita di altri soldati.
 
Quella notte sembrava interminabile. Nell’oscurità brillavano le luci accecanti dei razzi, la terra di nessuno era illuminata dagli argentei riflessi lunari.
Il caporale prese il controllo di una mitragliatrice, alcune ombre vagavano nell’oscurità per poi scomparire rapidamente all’orizzonte.
Ad un tratto Speller riconobbe due figure solitarie che lentamente si stavano avvicinando al cratere. Il caporale esitò, non riuscendo ad accertare l’identità di quei soldati. Nel momento in cui un razzo schiarì la visuale sul campo di battaglia non ebbe più alcun dubbio. Si trattava di due tedeschi, forse esploratori o fanti che si erano persi nella notte.
Speller non attese nemmeno un istante, rapidamente premette il grilletto. Con un grido di frustrazione scaricò l’intero caricatore contro al nemico.
Al termine di quello sfogo il caporale restò immobile, stremato e attonito davanti alla canna fumante e rovente della mitragliatrice. Il suo compagno si rivolse a lui con apprensione.
«Caporale, si sente bene?»
Egli si limitò ad annuire con un cenno del capo.
«Li abbiamo colpiti?»
Il soldato non poté dare alcuna conferma, le ombre erano sparite nella notte.
Quando i battiti tornarono regolari Speller si accorse di aver reagito con eccessiva foga durante quell’azione.
Lentamente tornò a riprendere il controllo di sé, in quel momento non poteva abbandonarsi alla collera.
Ovviamente era preoccupato per i suoi compagni, ma non poteva perdere di vista il suo obiettivo, doveva pensare ai suoi commilitoni, non poteva lasciarsi sopraffare dalla rabbia e dal desiderio di vendetta.
Speller si allontanò dalla postazione della mitragliatrice, tristemente rivolse lo sguardo ai suoi uomini. I soldati erano stretti uno vicino all’atro, cercavano di farsi coraggio a vicenda, scambiandosi frasi di supporto e condividendo le preziose scorte di tabacco o l’ultima tavoletta di cioccolato. Ogni tanto qualche battuta riusciva a sollevare l’umore grigio e su quei volti macchiati dal fumo e dal sangue incrostato compariva un grottesco sorriso.
Fu questione di un attimo, all’improvviso quella scena di solidarietà e cameratismo fu spazzata via dall’ennesima manifestazione di orrore. Un proiettile colpì il muro di terra sul lato opposto del cratere. Speller fu travolto da un’ondata di fango, si ritrovò sul fondo della buca, aveva la vista annebbiata dal sangue che scendeva copiosamente da una profonda ferita sulla fronte. Intorno a lui, tra il fumo e la polvere, intravide le sagome dei sopravvissuti che sconvolti e impauriti vagavano come fantasmi. La fossa era cosparsa di schegge incandescenti, carne umana e brandelli di uniformi. Le grida dei feriti erano strazianti.
Speller rimase paralizzato, in quel momento avrebbe soltanto desiderato fuggire da quella visione infernale.
Il caporale, impossibilitato ad aiutare in qualsiasi modo, si accasciò contro alla parete franata. Era stanco di assistere alle atrocità di quel conflitto, quella volta sentì di essere ormai giunto al limite.
Sconvolto e affranto Speller si rannicchiò su se stesso, nascondendosi il volto tra le mani e abbandonandosi a un doloroso pianto.
   
 
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