13.
Recarsi
a scuola con la faccia pesta, corredata da due occhiaie terribili,
stava
diventando un’abitudine davvero discutibile ma, dopo la
nottata appena trascorsa
a parlare di mostri, come stupirsene?
Pur
se non aveva più avuto incubi – non aveva proprio
sognato, in effetti – il
ricordo di ciò che aveva visto attraverso lo specchio della
mente di Huginn e
Muninn, era ancora ben chiaro in lei. Mark, steso a terra in quello che
le era
sembrato un bosco, e circondato da una marea di sangue.
Chelsey
si era preoccupata molto nel vederla così sbattuta ma,
imputandone il motivo
soltanto alla notizia della morte dell’escursionista,
l’aveva pregata di non
pensarci troppo.
Liza
aveva preferito non metterla al corrente del
resto della storia perché, in tutta
onestà, l’amica si sarebbe soltanto
innervosita inutilmente. Finché Iris e Dev non fossero
tornati, era superfluo
che anche Chelsey sapesse proprio tutto.
I
lupi alfa erano stati allertati, così come le sentinelle
sparse in tutta la
contea, e Chuck Johnson aveva fatto scorta di bendaggi e aconito per
eventuali
interventi d’urgenza, perciò quel che si poteva
fare era già stato fatto. Il dottor
Cooper, a sua volta, aveva dato la sua disponibilità per
aiutare il collega
veterinario, qualora fosse servito, perciò tutto era stato
predisposto al
meglio.
Ora,
dovevano soltanto attendere che la situazione si evolvesse da sola.
Nell’oltrepassare
la porta a vetri della scuola, Liza incrociò lo sguardo di
Sasha a poca
distanza e, tra loro, passò un tacito assenso.
Si
sarebbero spalleggiate in qualsiasi frangente e, se fosse servito,
avrebbero
protetto Mark. Ormai, era assodato che i Sullivan non stessero cercando
loro,
perciò avrebbero fatto del loro meglio per proteggere
l’amico, ordini o non
ordini di Fenrir.
Sapere
chi sarebbe stata la vittima di quell’assassino,
però, era solo in parte un
vantaggio. Nessuno di loro, infatti, aveva idea se le premonizioni di
Huginn
potevano cambiare o significare altro e, anche chiedendo a Branson, non
aveva
ottenuto risposta.
I
pochi Huginn a possedere il dono della preveggenza erano ormai morti da
tempo,
e nessuno dei loro Geri aveva mai avuto modo di sperimentare
premonizioni così
infauste.
Fu
Fergus a strapparla forzosamente da quei pensieri, dandole una pacca
sulla
spalla e facendola letteralmente strillare per la paura.
Voltandosi
con una mano già levata per difendersi, Liza si
ritrovò a grugnire di fronte
alla faccia ridente dell’amico che, tenendosi la pancia con
le mani, la stava
bellamente prendendo in giro per il suo attacco di panico.
«Scusa,
scusa… ma eri così assorta nei tuoi pensieri che
mi è venuto spontaneo…»
ridacchiò il ragazzo, asciugandosi una lacrima di
ilarità.
«Fergus…
una volta o l’altra ti
ammazzerò…» sibilò Liza,
assicurandosi di far sparire
alla svelta lo stiletto retrattile che portava attaccato al polso, ben
nascosto
dalla manica della sua felpa.
Era
stato più forte di lei. Quando si era sentita sfiorare
all’improvviso, i suoi
istinti avevano mosso le dita della mano destra perché
agissero in risposta a
una minaccia.
Come
testato mille e più volte con Rock, il mignolo aveva fatto
scattare la sicura,
mentre indice e medio avevano protetto da sguardi indiscreti la lama
d’argento fuoriuscita
dal fodero.
Inconsapevole
del rischio corso, Fergus le batté altre pacche sulla
spalla, accompagnandola
poi verso l’aula di chimica e, divertito, asserì:
«Su, su… non essere
permalosa. Capisco che tu abbia passato una nottataccia, almeno a
giudicare
dalla tua faccia pesta, ma questo non vuol dire che tu debba diventare
She-Hulk, ti pare?»
«Se
avessi il ciclo, capiresti» si inventò
lì per lì Liza.
«Oh…
sei in fase ‘questa è
Sparta!’,
quindi» chiosò il giovane, levando leggermente un
sopracciglio per la sorpresa.
Liza
strabuzzò gli occhi a quell’uscita davvero assurda
ed esalò: «E chi la chiama
così, scusa?»
«Chanel.
Dice di sentirsi sempre un po’ Leonida in ‘300’,
quando è in quei giorni, perciò ha coniato questo
modo di dire» scrollò le
spalle Fergus.
«Bene,
visto che hai afferrato il problema, se non vuoi finire nel pozzo anche
tu1,
niente scherzi simili nei prossimi giorni»
sottolineò Liza, approfittando
subito della cosa. Non voleva davvero rischiare di accoltellarlo per
sbaglio, e
solo perché aveva i nervi a fior di pelle.
«Signorsì,
com…» iniziò col dire Fergus prima di
bloccarsi a metà della frase per poi fissare
basito Mark, a poca distanza da loro.
Impegnato
in una chiacchierata con Chanel, che gli stava carezzando divertita la
nuca ora
libera dai lunghi capelli, Mark appariva vagamente imbarazzato, ma
anche
soddisfatto dal risultato ottenuto grazie al suo nuovo taglio.
Liza
si sentì formicolare le mani, nel vedere Chanel
così vicina a Mark ma, trattenendosi
dal dire qualsiasi cosa, si limitò a celiare: «Oh,
non l’avevi ancora visto,
vero?»
«Amico!
Che taglio spettacolare!» esclamò Fergus dopo
qualche istante di sorpresa,
gettandoglisi praticamente addosso e avvolgendogli le spalle con un
braccio. In
quel modo, riuscì in un colpo solo a salutare
l’amico e ad allontanarlo di
fatto da Chanel.
Quella
manovra fece ridere sommessamente Liza. Fergus aveva trovato un modo
simpatico
e indiretto per distogliere l’attenzione di Chanel da Mark e,
al tempo stesso,
aveva fatto un complimento all’amico.
Era
proprio vero che le dinamiche giovanili erano assurde ma a lei, in quel
momento, sarebbe davvero piaciuto parteciparvi appieno come avrebbe
fatto solo
un anno prima.
Adesso,
invece, doveva soppesare ogni movimento, ogni parola e, più
di tutto, badare a
che il suo ruolo di Geri non passasse mai in secondo piano.
Avvicinandosi
più lentamente al trio di quanto non avesse fatto Fergus,
che stava
animatamente chiacchierando di fronte all’aula, Liza
esordì dicendo: «Allora… i
capelli sono piaciuti?»
Mark
le tributò un sorriso più sicuro del solito e,
annuendo, disse: «Ehi, ciao! Sì,
sono stati apprezzati. Persino mio padre ha detto che mi stanno bene.
Credo
soprattutto perché, finalmente, può guardarmi in
faccia senza che le ciocche dei
capelli mi cadano davanti agli occhi.»
Liza
rise di quella battuta assieme agli altri ma, tra sé, non
riuscì a togliersi
dalla testa il ricordo di Mark ricoperto di sangue e morente dinanzi a
lei.
«Sai,
Liza, stavo giusto dicendo a Mark che tu e lui dovreste partecipare ai
nostri
prossimi incontri di orienteering, visto quanto vi piace fare trekking
per i
boschi. Sarebbe un buon modo per impratichirvi con mappe e
bussole» intervenne
Chanel, tributando un sorriso tutto fossette a Mark, e scatenando per
diretta
conseguenza la reazione di Fergus.
Quest’ultimo,
infatti, assentì con vigore, sorrise tutto denti a Liza e
dichiarò: «Ma sì,
dai! Noi ci andiamo da anni, e ci piace un sacco. Sarebbe forte avere
dei
nostri compagni di classe nel gruppo, visto che sono quasi tutti o
più grandi,
o più piccoli di noi.»
Liza
soffocò a stento una risata divertita – a che
gioco stava giocando, Chanel? –
e, annuendo, lanciò un’occhiata ammiccante a Mark
e dichiarò: «Non mi sembra
male, come idea. Che dici?»
«A
me sta bene» assentì lui, sorridendole complice e,
ancora una volta, Liza
dovette mettere tutta se stessa per non confondere l’immagine
della Visione col
volto in carne e ossa dell’amico.
Doveva
fare in modo che quella maledetta premonizione non si avverasse. Non
importava
come, ma vi sarebbe riuscita.
Quando
la prima campanella suonò, avvertendoli di entrare in aula,
Liza si affrettò a
prendere posto ma, non appena Mark la imitò e le si
accostò per sussurrarle
qualcosa, raggelò.
«Dobbiamo
parlare di questi occhi pesti. Non me la dai a bere, sai?»
Liza
sollevò uno sguardo dubbioso al suo indirizzo ma, quando
trovò le smeraldine
profondità di Mark fisse su di lei, preoccupate e piene di
ansia, non ebbe
dubbi; non si sarebbe accontentato di una scrollata di spalle. Avrebbe
preteso
sincerità da lei, o almeno qualcosa che le si avvicinasse.
«Perché?»
si limitò a domandare, accomodandosi.
«Non
mi piace vederti così turbata» borbottò
lui, fissando la cattedra con
espressione torva mentre un piccolo accenno di imbarazzo gli
imporporava le
gote.
Liza
allora sorrise, annuì al suo indirizzo e,
nell’aprire il libro di chimica,
provò un assurdo moto di gioia nonostante la situazione
incasinata in cui si
trovavano.
Adorava
i suoi rossori, soprattutto quando era lei a causarli.
***
Approfittando
della mancanza di Chelsey – rimasta a scuola per le lezioni
pomeridiane – Liza
si incamminò lungo il marciapiede assieme a Mark per
accompagnarlo a casa.
Forse
ingelositosi per le attenzioni di Chanel rivolte a Mark, Fergus aveva
invitato
l’amica a pranzo allo Strawberry Moose, la loro base
operativa, e la ragazza
aveva accettato. Che la tattica di far ingelosire Fergus fosse voluta,
o il
tutto fosse capitato per casualità, Liza non lo sapeva.
Non
aveva chiesto lumi a Chanel ma, a giudicare dal suo sorriso furbo, era
stata
felice del risultato.
Quanto
alla loro passeggiata quotidiana, per lei e Mark era divenuta
un’abitudine da
più di un mese a questa parte, un appuntamento praticamente
irrinunciabile.
Raggiungendo
ogni giorno il negozio di Beth, per Liza e Chelsey era normale
imboccare quella
via e, trattandosi dello stesso percorso di Mark, era divenuto
spontaneo percorrerlo
assieme.
Per
i due ragazzi, quindi, quel tratto di strada in comune era diventato
speciale,
quasi una loro proprietà, da non condividere con alcun altro.
Camminando
più lentamente rispetto al solito, forse per dilungare il
più possibile il
tempo passato assieme, Liza deglutì a fatica prima di
ammettere: «Ti ho
sognato, stanotte.»
Mark
non parve contento di saperlo, perché disse: «Da
come ti ha ridotta quel sogno,
deve essere stato più un incubo, che altro.»
«Non
per colpa tua» ci tenne a dire Liza. «Ti
ho… ti ho visto steso a terra, coperto
di sangue, e io non potevo fare niente per salvarti,
e…»
Il
ricordo ancora la staffilò con la sua prepotente violenza e
la ragazza,
interrompendo i propri passi, si coprì la bocca con una mano
per non
singhiozzare.
Mark,
allora, dopo un attimo di tentennamento le avvolse protettivo le spalle
con un
braccio e, turbato, le domandò: «Vuoi che ti
accompagni io, a casa? Non è
necessario che dici altro. E’ chiaro che le notizie in TV di
ieri sera ti hanno
turbato moltissimo, se hai sognato una cosa simile.»
Sapendo
bene a cosa stesse riferendosi, Liza assentì e Mark,
gentilmente, la accompagnò
fino a un muretto sporgente perché si sedesse un momento,
così da riprendersi
dalla crisi.
Sempre
standole accanto, Mark le massaggiò la schiena con movimenti
circolari della
mano e, accennando un sorriso timido, mormorò:
«Dopotutto, mi fa anche piacere
essere finito nei tuoi sogni, pur se in modo così
cruento.»
Liza
arrossì a quell’accenno e, reclinando il capo,
borbottò: «Beh, io avrei
preferito vederti in un altro modo, onestamente.»
Mark
rise sommessamente, annuendo divertito, e chiosò:
«Chiaramente, anch’io.»
«Non
scherzare! Mi sono spaventata sul serio!» sbottò
Liza, fissandolo con aria
arcigna.
«Lo
so. Si vede dalle tue occhiaie, così come dalle lacrime che
hai tentato di non
versare al solo ricordo di quell’incubo»
assentì lui, tornando serio e sfiorandole
il bordo di un occhio per raccogliere una perla lucente sfuggita alla
sua
palpebra.
Mostrandogliela,
Mark aggiunse: «Sei la prima persona, al di fuori della mia
famiglia, che si
preoccupa così per me. E’ bello, credimi, ma
preferirei non stessi così male.»
Liza
sbuffò, borbottando: «Anche Fergus e Chanel si
preoccupano per te. O Sasha. Hai
tanti amici, qui.»
«E’
vero… e anche questo è strano» ammise
lui, accentuando il proprio sorriso. «Ma
tu sei diversa.»
Ciò
detto, rise imbarazzato, si grattò nervosamente una guancia
e si chiuse in un
mutismo teso che portò Liza a sentirsi male.
Era
un mostro. Aveva mentito a Mark per tutto il tempo e, anche se provava
effettivamente qualcosa per lui, tutto ciò che aveva fatto
fino a quel momento,
era stata una menzogna bella e buona.
Gli
era stata accanto in primo luogo perché aveva ricevuto l’ordine di farlo, e solo in
seguito aveva trovato quel compito al
tempo stesso interessante e straziante. Mentirgli, poi,
l’aveva devastata, e
sentire da lui quelle parole che, alle sue orecchie, potevano voler
dire una
cosa sola, la fece sprofondare nell’abisso della disperazione.
Coprendosi
il viso per non mostrargli tutto il disgusto che provava per se stessa,
Liza
mormorò roca: «Sono orribile…
orribile.»
«Perché
devi dirlo?» replicò lui. «Ti ho forse
messo in imbarazzo? Sai, non sono molto
avvezzo a questo genere di cose.»
Lei
scosse furiosamente il capo e Mark, proseguendo nel suo discorso,
aggiunse: «Mi
sono sempre tenuto in disparte, in passato, sapendo bene che il
peregrinare di
mio padre mi avrebbe impedito di farmi delle amicizie sincere. Inoltre,
è
inutile negarlo, il colore dei miei capelli ha cospirato contro di me,
tirandomi addosso le attenzioni non richieste dei bulli.»
Liza
si concesse di tornare a guardarlo e, scostando le mani dal volto, lo
vide
sorridere con aria rassegnata mentre mormorava: «Cominciai ad
allenarmi in
palestra, da solo, per fortificarmi ed essere in grado di difendermi
dagli
idioti, all’occorrenza, ma era frustrante non potersi
confidare con nessuno. Di
mio, c’è che non sono mai stato molto ciarliero,
perciò…»
«Fa
schifo essere presi di mira» replicò mogia Liza.
«A me non è mai capitato, però
mi sono messa in mezzo un paio di volte per difendere una mia amica, la
cui
unica colpa era quella di avere qualche chilo di troppo.»
Ripensare
a Candice McNamara, un’amica che aveva avuto al fianco fin
dalle elementari, la
fece stare anche peggio. Chissà come se la stava cavando?
Qualcun altro la
stava aiutando? Era rimasta di nuovo sola, dopo la sua partenza?
Le
lacrime tornarono più feroci di prima, a quel pensiero, e
Liza mormorò
straziata: «Sto facendo del male a un sacco di
persone.»
«Perché
la pensi così?» mormorò lui con tono
accorato.
«Perché
è vero!» esclamò Liza prima di
afferrarlo a una mano e, avanzando con lui lungo
il marciapiede, borbottare: «Non ce la faccio più.
Io mollo.»
Sapeva
che Sasha l’avrebbe udita, permettendole così di
scegliere come meglio
comportarsi. Non voleva che Lucas dovesse incolparla di non essere
intervenuta
per tempo, e farle capire le sue intenzioni era il modo migliore per
metterla
nelle condizioni di agire.
Lei
però non si avvicinò mai, né
tentò di dissuaderla, chiamandola al cellulare.
Mark, dal canto suo, si limitò a seguirla, lo sguardo
pervaso dal dubbio e
dalla curiosità.
Fu
così che i due giovani attraversarono la strada per
raggiungere il campeggio di
Lucas e lì, interrompendo all’improvviso la sua
avanzata, Liza si volse a mezzo
verso il giovane e disse roca: «Aspettami qui un minuto, per
favore.»
«Cosa
sta succedendo, Liza?» domandò Mark preoccupato.
Liza
allora lo abbracciò con forza, sentendolo irrigidirsi e
sorprendersi nel
momento stesso in cui vennero a contatto, e mormorò contro
il suo petto: «Non
volevo ferirti. Voglio che questo sia chiaro. Ora, però,
concedimi un minuto.»
Ciò
detto, entrò in tutta fretta nella piccola baita di tronchi
dove si trovava la
reception del campeggio, lasciando Mark ad attenderla, pieno di domande
e di
dubbi nel cuore.
***
Quando
entrò, il fiato corto e la minaccia delle lacrime a seguirla
come un’ombra, non
fu sorpresa di trovare Lucas pronto ad attenderla. Appariva guardingo,
ma non
necessariamente arrabbiato.
«Sasha
ti ha chiamato?» esordì Liza, vedendolo annuire
muto in risposta. «Mi spiace di
averti deluso, Fenrir. Pensavo di essere più forte di
così, ma proprio non ci
riesco. Mentire ancora a Mark sarebbe impossibile, per me.»
Ciò
detto, le lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento debordarono
e Lucas,
affrettandosi a raggiungerla, le offrì una scatola di
Kleenex e commentò
divertito: «E’ una prerogativa della vostra
famiglia, quella di piangere qua
dentro.»
Liza
scoppiò in una risatina isterica, rammentando il racconto di
Iris in merito al
suo primo incontro con Lucas e, annuendo, la ragazza
gracchiò: «Scusa… pensavo
di farcela.»
«Liza…non
ti faccio una colpa per quello che è successo. In fondo,
abbiamo stabilito che
loro non sono Cacciatori. Inoltre, so cosa significa avere un cuore che
batte
in un’unica direzione» cercò di
consolarla Lucas, carezzandole la schiena come,
poco prima, aveva fatto anche Mark. «Il paese intero credeva
che Rock mi avesse
traviato, che io non fossi in grado di riconoscere la verità
e che mi illudessi
e basta di sapere cos’era l’amore. Eppure, siamo
ancora insieme, e nessuno ha
più nulla da dire.»
«Ma
io… io non so se…»
Lui
la azzittì con un bacetto sul capo, aggiungendo:
«Non sto dicendo che domani
dobbiate giurarvi amore eterno. Se anche dovessi scoprire che non lo
ami come
io amo Rock, non conta. Ora, in questo preciso momento, tu provi dei
forti
sentimenti verso di lui, ed è questo che guida il tuo cuore,
e che ti impedisce
di agire in modo freddo e calcolato.»
«Ma
dovrei pensare al branco!» protestò Liza,
combattuta tra il dargli ragione e
l’autoflagellarsi.
«E
l’hai fatto. Hai permesso a Sasha di decidere come
comportarsi, facendole
capire che avresti mollato. E’ stata lei a lasciare che tu
venissi qui da me,
forse perché anche Sasha pensa che sia ormai inutile
mantenere questo segreto,
soprattutto perché Mark è legato a doppio filo
con coloro che stiamo cercando
di fermare» replicò Lucas.
«Quindi…»
esalò lei, piena di dubbi.
«Fallo
entrare. Gli parlerò, e vedremo se merita tutta la fiducia
che hai riposto in
lui.»
Ciò
detto, la invitò ad avviarsi verso la porta e Liza, non
potendo fare altro che
quello, raggiunse il battente e, dopo averlo aperto, fece segno a Mark
di
raggiungerla.
Cosa
sarebbe successo in seguito, neppure lei lo sapeva.
***
I
segni del pianto sul viso di Liza misero subito in allarme Mark che,
raggiuntala con grandi falcate, le poggiò protettivo le mani
sulle spalle e
domandò turbato: «Cos’è
successo?»
«Non
preoccuparti e, se puoi, perdonami» mormorò lei,
attirandolo all’interno
dell’ampio locale per l’accoglienza clienti prima
di chiudere a chiave la porta
alle sue spalle.
Sorpreso
da quel gesto, Mark inquadrò subito dopo l’altra
persona presente nel locale,
un uomo alto, piacente e dalla folta chioma bionda che aveva visto al
matrimonio della cugina di Liza.
Era
il proprietario del campeggio. Lo aveva incrociato spesso, in quei
mesi, mentre
girovagava per il paese, o quando lui si avventurava – in
solitaria – lungo il
sentiero che circumnavigava il Dutch Lake.
Gli
era parsa una persona disponibile e dal sorriso pronto, ma vedere Liza
in
lacrime glielo fece riconsiderare immediatamente. Se l’aveva
fatta piangere, si
sarebbe vendicato in ogni modo possibile.
Lucas
lo invitò ad accomodarsi su uno dei divanetti e, atono,
esordì dicendo: «Liza
ritiene che tu sia degno di fiducia e non se la sente più di
mentirti, perciò
io ti chiedo; sei in grado di onorare ciò che lei sta
facendo proprio ora?
Quanto sei disposto ad accettare, per lei?»
Mark
lanciò un’occhiata dubbia e preoccupata
all’indirizzo di Liza che,
accomodandosi accanto a lui, aggiunse: «Ti stiamo chiedendo
il silenzio, Mark.
Potrai accettare qualsiasi cosa ti diremo adesso, e tenerlo per
te?»
«Cosa
sta succedendo, Liza?» esalò Mark, iniziando a
preoccuparsi sul serio.
In
che guaio si era cacciata, per chiedergli un tale rispetto della
privacy?
Faceva per caso parte di qualche setta, e la loro amicizia
l’aveva messa nei
guai?
«Se
quest’uomo ti minaccia…»
iniziò col dire Mark fissando ombroso Lucas, che
però
si limitò a sorridergli.
Liza
lo afferrò a un polso prima che potesse fare qualsiasi atto
inconsulto e,
lesta, disse: «No, Mark. Non mi minaccia affatto. Io, in un
certo qual modo,
sono ai suoi ordini diretti.»
«Liza
aveva l’incombenza di spiarti a nome mio, e riferire a me
tutto ciò che avrebbe
eventualmente scoperto sulla tua famiglia e sulle vostre ricerche in
merito
all’assassino di tuo zio» espose senza mezzi
termini Lucas, sorprendendo il
ragazzo oltre ogni ragionevole dubbio.
«Cosa…
ma cosa c’entrate, voi
due, con mio
zio?!» esclamò Mark, fissando del tutto sconvolto
sia Liza che Lucas.
Di
cosa diavolo si stava parlando, in quel posto? E perché sia
Liza che il gestore
del camping apparivano mortalmente seri e preoccupati?
«Temevamo
poteste essere una minaccia per me e la mia gente, visto ciò
che stavate
cercando, perciò vi abbiamo tenuto d’occhio, e
Liza si è occupata di te su mio
ordine» sottolineò Lucas con tono
grave.
Sempre
più confuso, Mark tornò a volgere lo sguardo in
direzione di Liza in cerca di
spiegazioni e lei, con un sospiro, ammise: «Ero nel bosco,
quando tu e tuo
padre avete parlato di ciò che accadde a tuo zio e alla sua
famiglia, facendo
riferimento a dei lupi che avrebbe ucciso tutti loro. Io l’ho
riferito a lui
perché era mio dovere farlo.»
Sgomento,
Mark esalò confuso: «Ma… ma non
c’era nessuno, lì! Ne sono certo! Eravamo in un
punto assai lontano da qualsiasi sentiero!»
«Mi
trovavo a venti metri d’altezza, sopra le vostre teste,
assieme al… al mio
maestro» tentennò Liza, prima di ricevere
l’assenso a parlare da parte di
Lucas. «E’ un licantropo, Mark, per questo sentirvi
parlare di lupi ci ha messi
in allarme.»
A
quel punto, il ragazzo la fissò con occhi fuori dalle
orbite, fece per
scostarsi da lei ma Liza, agendo d’istinto, lo
bloccò a un polso, estrasse il
suo stiletto da braccio e glielo mostrò, affermando subito
dopo: «Io non lo
sono! Ma sono addestrata a cercarli e ucciderli, se sono un pericolo
per il mio
branco.»
Ciò
detto, reclinò lo stiletto e glielo pose sulla mano libera
perché potesse
vederlo meglio.
Mark
lo sollevò con dita tremanti, ne sfiorò
l’affilatura perfetta, le bulinature arabescate
sulla lama e sulla piccola elsa ricoperta di cuoio e, sempre
più turbato,
domandò: «P-perché parli di branco,
se dici di non essere un … un licantropo? E
perché indossi quest’arma? Cosa mai
potresti fare, con essa?»
«Perché
nel branco esistono sia lupi che umani e perché, nel caso
specifico, l’arma che
stai maneggiando è letale, per noi lincantropi»
intervenne Lucas. «Temevamo
poteste cercare noi,
così ordinai a
Liza di tenerti d’occhio, e allo stesso modo feci con Iris e
Devereux, perché
tenessero d’occhio sia tuo padre che tua madre.»
Il
ragazzo lasciò andare di colpo il coltello, a quelle parole,
e l’arma tintinnò
sul tavolino da salotto dinanzi a lui prima di cadere con tonfo sordo
sul
tappeto. Passandosi poi le mani sul volto, esalò con voce
roca e graffiante:
«Non… non ha senso! Tutto ciò che state
dicendo non ha alcun senso!»
«Mark…
tuo padre aveva ragione. Era riuscito a centrare la pista giusta per
intercettare l’essere che ha ucciso tuo zio, ma sta correndo
un rischio enorme,
in questa ricerca. Si è messo contro un nemico che, se
è come temiamo, potrebbe
essere troppo forte anche per noi» mormorò Liza,
sfiorandolo a un braccio con
la mano.
Lui
però la scansò con violenza, portandola a
mordersi il labbro per il dispiacere,
ma ugualmente non demorse.
«Arrabbiati
pure, sfogati contro di me, ma ascoltami!
Abbiamo dovuto controllarvi perché potevate essere una
minaccia per noi, perché
non sapevamo quale lupo
steste cercando ma, quando abbiamo capito a chi vi steste avvicinando,
abbiamo
cominciato a indagare per conto nostro, e abbiamo scoperto quanto pericoloso sia
l’assassino che uccise la famiglia di tuo zio.»
«Come
posso crederti, se tu stessa
ammetti
di… di essermi stata vicino per
interesse?!»
sbottò Mark, ferito e offeso da quelle notizie
tutt’altro che facili da
comprendere e accettare.
Forse,
avrebbe anche potuto accettare tutto ciò che gli stavano
dicendo… ma sapere che
Liza gli era stata vicina solo
perché
le era stato ordinato, era davvero troppo da digerire.
Una
schiera di bulli, al confronto, sarebbe stata preferibile. Ma questo
no, davvero no.
Questo
calpestava il suo amor proprio, quel tenero sentimento che aveva
sentito
crescere in quelle settimane e che, forse, avrebbe potuto sfociare in
qualcosa
di più serio, se non fosse emersa questa orribile
realtà.
«Lei
è una mia sottoposta, e deve
prendere
per buoni i miei ordini» sottolineò Lucas con tono
freddo e lapidario e Liza,
pur non essendo un licantropo, avvertì il cambio di
intonazione del suo Fenrir.
Quella era la Voce del Comando che, pur non avendo alcun effetto fisico
o
psichico su di loro, metteva comunque una paura del diavolo.
Mark,
infatti, si immobilizzò, forse intimorito da quel tono
perentorio e Lucas,
levandosi in piedi, sguainò un autentico arsenale di zanne
che fece sobbalzare
persino Liza, mentre aggiungeva: «Ti paiono abbastanza
credibili, queste? Credi a quello
che ti ha detto,
ora?!»
Il
ragazzo imprecò senza tanti complimenti e fece
l’atto di alzarsi per andarsene
ma Liza, più veloce di lui, gli gettò le braccia
al collo per poi spingerlo
lungo riverso sul divano. Era vitale che rimanesse, od ogni cosa
sarebbe andata
in malora.
In
quella posizione scomodissima, oltre che oltremodo imbarazzante, la
ragazza
quindi esclamò: «Fermati, ti prego! E ascoltalo!
Non stiamo mentendo su niente!
Né vogliamo farti del male!»
Lucas
tornò a sedersi, i denti nuovamente normali e Mark, nel
risollevarsi assieme a
Liza, la fissò turbato e tremante prima di spalancare gli
occhi, colto da un
dubbio improvviso.
Senza
chiederle il permesso, allungò una mano verso di lei a
sfiorarle il bordo della
felpa e, subito dopo, la allontanò turbato quando le sue
dita tastarono
qualcosa di solido sotto il tessuto.
Lei
abbassò il capo, subito confusa, prima di rammentare cosa si
trovasse sotto l’indumento
e, senza più alcun
riguardo, lo sollevò per mostrargli la particolare cintura
che indossava.
Evidentemente,
nell’urto, doveva aver sentito il contorno metallico delle
armi affisse a
quella sorta di cinturone da guerra che indossava sotto gli abiti, e ne
era
rimasto meravigliato.
Appeso
in piccoli foderi di pelle, stava infatti un piccolo arsenale di armi
da taglio
di diverse forme e misure e Liza, estraendo la sua preferita
– una lama a forma
di foglia della lunghezza di cinque centimetri – disse atona:
«Lui è il mio
Fenrir, il capobranco, e prendo ordini da lui poiché io sono
Geri, il sicario
umano del clan. Mio compito è indagare su coloro che possono
essere un pericolo
per il mio branco e, nel caso, prendere dei provvedimenti, siano essi
umani o
mannari coloro che io devo predare.»
Ciò
detto, gli consegnò anche quell’arma e, stavolta,
Mark la tenne sulla mano per
scrutarla con attenzione e paura assieme.
«La
gerarchia del branco è piramidale, e a guidarlo sono Fenrir,
Hati e Sköll. Hati
è Iris, ed è la guardia del corpo di Fenrir.
Sköll, secondo in comando, è
Devereux e, prima che tu me lo chieda, sì, Iris è
dannatamente in grado di proteggere
Fenrir, anche se è una donna»
precisò Liza, vedendolo ancora piuttosto confuso.
«Quindi,
chi vi mette i bastoni tra le ruote, voi lo uccidete?»
commentò amaramente
Mark, restituendo comunque l’arma a Liza.
Lucas
scosse il capo, comprendendo appieno le paure del giovane –
che avvertiva come
un profumo amaro e asprigno sul palato – e, cercando di non
apparire troppo
duro, replicò: «Esiste una cerchia di uomini e
donne chiamata Cacciatori, che
predano noi al solo scopo di
sterminarci. Sono loro gli unici a cui prestiamo orecchio e che, in
casi
estremi, subiscono le nostre attenzioni. Il compito principale di Geri,
e cioè
di Liza, è quello di indagare. Le armi servono soprattutto
per la sua difesa
personale visto che, per l’eliminazione degli elementi
più forti, esiste un
sicario mannaro, e cioè Freki.»
«Mi
sembra assurdo che lei, che è sicuramente più
debole di voi – almeno a
giudicare dalle zanne che ho visto – sia deputata alla vostra
ricerca e
predazione» borbottò sprezzante Mark, mantenendo
il suo sguardo smeraldino
puntato su colui che Liza aveva identificato come Fenrir.
Fino
a quel momento, la ragazza che gli piaceva, che aveva saputo
trascinarlo fuori
dal buco in cui era solito rintanarsi – e che lo aveva appena
calpestato con le
sue bugie – aveva usato solo nomi della mitologia norrena.
Perché? Che
significato avevano, in realtà?
«Non
è sola, nel suo ruolo» sottolineò a
sorpresa Lucas.
Questo,
unitamente ai nomi che fin lì aveva udito, lo portarono a
volgere sgomento lo
sguardo verso Liza per poi esclamare: «I… i tuoi
corvi… non si chiamano così per
caso!»
Lei
annuì lentamente, ammettendo: «Sono i miei occhi e
la mia memoria… e non solo.»
Le
lacrime tornarono a ferirle gli occhi e Mark, con tono maggiormente
calmo,
mormorò: «Il sogno che hai
fatto…»
Liza
scosse il capo con veemenza, gorgogliando spaventata: «Non era un sogno! Huginn può
avere visioni premonitrici. Ti ho visto.
Lui ti ha visto. E non siamo stati
noi a ridurti così, ma credo sia
stata la creatura che insegue tuo padre, ora ne sono quasi del tutto
certa. Per questo ho voluto dirti
la verità. So
che non sei un pericolo per noi, ma tu
sei in pericolo. Non potevo mentirti anche su
questo!»
Ciò
detto, si levò in piedi e, senza più dire nulla,
uscì di corsa dalla baita.
Lucas
la lasciò fare e Mark, già sul punto di seguirla,
rimase però fermo a guardare
colui che Liza aveva chiamato Fenrir e che, a quanto pareva, era il
capo del
branco di cui l’amica gli aveva fin lì parlato.
Non
sembrava necessariamente pericoloso – pur se ricordava
più che bene quelle
paurose zanne – e, a giudicare dal suo sguardo contrito,
aveva a cuore i
sentimenti di Liza. Non aveva gradito vederla fuggire così
turbata.
«Tutti…
nomi norreni?» tentennò quindi il ragazzo,
cercando di non pensare troppo alle
zanne spaventose che aveva visto solo un paio di minuti prima.
Se
avesse voluto divorarlo, o semplicemente farlo sparire, lo avrebbe
fatto non
appena aveva messo piede lì dentro, invece lui e Liza
avevano fatto di tutto
per perorare la loro causa. Avevano voluto che lui capisse.
Avevano
tentato in ogni modo di spiegargli – anche coi fatti
– come si fosse giunti a
quel momento in stile Ai confini della
realtà.
A
quel pensiero, una risata spontanea quanto inopportuna gli
salì alla gola, e
solo a stento la trattenne. Per anni, suo padre era andato alla ricerca
di un
fantomatico lupo assassino e, per anni, lui aveva sempre creduto che il
padre
fosse pazzo. Ora, invece, si trovava davanti a quello che,
inequivocabilmente, non era un
essere umano e non poteva
dirlo a suo padre.
Inoltre,
a quanto pareva, i lupi erano almeno due, e quello che stava cercando
suo padre
sembrava essere il più pericoloso e sfuggente.
La
vita era davvero assurda, a volte.
A
ogni buon conto, se anche soltanto una parte del dolore che aveva visto
negli
occhi di Liza era vero, le doveva almeno il beneficio del dubbio.
Così come ne
doveva a quest’uomo, che aveva affidato a un perfetto
sconosciuto il suo
segreto più grande.
«I
nostri antenati sono legati al culto norreno, ma non ti
tedierò con storie che,
al momento, non ti servirebbero per capire la gravità della
situazione» disse
dopo qualche momento Lucas prima di estrarre il cellulare e cercare
qualcosa al
suo interno. «Ti basti sapere che non siamo persone crudeli,
anche se siamo in
cima alla catena alimentare.»
Ciò
detto, gli mostrò ciò che avevano trovato e Mark
rabbrividì, riconoscendo
nell’immagine mostratagli qualcosa che già aveva
visto, e solo pochissimo tempo
addietro.
Sgomento,
quindi esalò: «Questa cartina… come
l’avete ottenuta?»
«Seguendo
la stessa pista che ha seguito tuo padre in questi anni… con
alcuni controlli
incrociati che tuo padre, ovviamente, non poteva conoscere,
né fare» gli spiegò
Lucas prima di mostrargli una seconda cartina. «Questa,
invece, è antecedente
all’assassinio della famiglia di tuo zio. Ripercorre, a
nostro parere, la pista
che ha seguito uno dei due mostri.»
Interrompendolo
prima che continuasse nella sua spiegazione, Mark esalò
turbato: «Due? Credete che
siano due?»
Annuendo,
Lucas aggiunse: «Ci arriverò tra breve.»
Nei
successivi venti minuti, Lucas spiegò a Mark le conclusioni
a cui erano
arrivati e le scoperte che avevano fatto grazie all’aiuto di
non ben
specificati interventi esterni.
A
Mark non restò altro che ascoltare, veder collimare nella
mente molte delle
teorie paterne e scoprire, una volta per tutte che, non solo suo padre
non era
un folle, ma che aveva sempre avuto ragione.
Anche
loro pensavano che suo zio fosse stato ucciso da un mostro, e che
questo mostro
sarebbe presumibilmente rientrato nella sua zona di caccia attraverso
un
corridoio territoriale che comprendeva anche Clearwater.
«Quindi…
quindi non siete come
loro?» domandò
alla fine Mark, passandosi le mani tra i capelli, sconvolto da tutto
ciò che
aveva fin lì scoperto.
Lucas
scosse il capo, replicando con una scrollata di spalle:
«Stando alle ferite
riportate dai tuoi zii, e alle testimonianze di tua madre e altre tre
persone
sopravvissute agli attacchi, sappiamo che la loro stazza è
come quella di un
lupo naturale. Noi, invece, abbiamo le dimensioni di pony, per
intenderci.»
Quest’ultima
notizia parve sgomentarlo non poco, ma Lucas preferì non
indugiare oltre su
quel particolare per concentrarsi su altro.
Al
momento, la premonizione di Huginn aveva la precedenza su tutto, ora
che il
loro segreto era stato svelato.
«Liza
ti ha accennato a ciò che ha Visto… ebbene,
tendiamo a tenere in grande
considerazione ciò che riesce a sapere quella ragazza dai
suoi corvi, e averti
visto così chiaramente in quella visione l’ha
sgomentata non poco» dichiarò
Lucas, fissandolo con estrema serietà. «Credimi.
Liza non voleva affatto mettersi a
ficcanasare su di te,
o sulla tua famiglia, ma le esigenze del branco vengono prima, per un
Geri.
Essere venuta da me per chiedere questo incontro dovrebbe farti capire
quanto,
la sola idea di mentirti ancora, la facesse stare male.»
Mark
annuì silenzioso, passandosi una mano sul torace contro cui,
poco prima di
entrare, Liza si era poggiata per chiedergli perdono, ben sapendo che
lui
probabilmente l’avrebbe odiata.
Sapere
di quelle menzogne l’aveva ovviamente irritato e
sì, ferito, perché sentiva per
Liza qualcosa che non aveva mai provato prima. Ma, di fronte a quella
marea di
verità alternative, di realtà a lui finora
sconosciute, come poteva
colpevolizzarla?
«Perché
lei è…» tentennò Mark,
rivolgendogli uno sguardo pieno di domande.
«E’
una cosa complessa, e ha a che fare con il nostro retaggio, ma ti basti
sapere
che ho riconosciuto in lei delle doti che l’hanno assurta a
questo ruolo e, a
quanto pare, non mi ero sbagliato, visto quel che riesce a fare coi
suoi
corvi.»
«Anche
se… anche se mi ha condotto qui?»
Lui
assentì senza dire nulla, e ancora Mark si chiese quale peso
portasse Liza
sulle sue esili spalle. Quale enorme universo aveva tenuto nascosto,
per
proteggere coloro che amava? E quale enorme responsabilità
si era presa, visto
che non aveva più avuto cuore di mentirgli?
«Verrà
punita… per questo? Per aver preteso che tu mi
parlassi?» si interessò a quel
punto Mark, colto da un dubbio atroce.
Lucas
scosse il capo, sorridendo affabile, e replicò:
«Non mi ha portato in casa un
Cacciatore. Non ha sbandierato alla CBS il nostro segreto. Ha dato
fiducia a un
ragazzo a cui lei tiene moltissimo e che, a quanto pare, ha abbastanza
coraggio
da ascoltare anche le cose più strambe senza dare di matto.
E’ ben diverso.»
Mark
si limitò ad annuire a quell’accenno e, dopo
alcuni istanti di incertezza,
domandò: «Credete… credete che quella
visione sia reale? Sì, insomma…
abbastanza attendibile?»
«Purtroppo,
le capacità di Huginn sono assai rare, e non abbiamo modo di
sapere quanto
siano effettivamente certe, queste Visioni, ma è la prima
volta che quel corvo
ha un’immagine così chiara del futuro, e questo ha
preoccupato moltissimo Liza,
e così anche noi ci siamo impensieriti.»
Lui
annui più e più volte, pur non rendendosi ancora
del tutto conto di stare
parlando di se stesso,
apparentemente
in fin di vita in quella sorta di squarcio temporale nel suo prossimo
futuro.
Era
strano parlarne, e ancor più folle pensare che fosse stato un corvo ad averlo visto in sogno. Ma,
tra tutte le pazzie fuori
dal mondo che aveva udito in quell’ultima ora, davvero si
stava scapicollando
per un particolare così da poco?
Stringendo
le mani a pugno sulle cosce, Mark tornò a scrutare in viso
Lucas – ora più
determinato che mai – e domandò: «Posso
parlare con Liza? Tu sai dove…»
«Si
è diretta verso il lago, lungo il sentiero che
già una volta percorreste
assieme e che tu stesso, in queste settimane, hai percorso
più volte» gli disse
Lucas senza alcun problema.
Mark
assentì, ormai per nulla stupito che quell’uomo
– ops, licantropo – l’avesse
notato e, lasciandosi andare contro lo schienale del divano,
mormorò assorto:
«Cercavo di trovare pace dalle continue liti con mio padre e,
tolto tutto il
resto, a me è sempre piaciuto andare per i boschi. Ma ora mi
rendo conto che, a
sbagliare, ero solo io, e che ho accusato ingiustamente mio padre per
tutto
questo tempo.»
«Accettare
una verità senza prove, sarebbe difficile per chiunque. Tu
hai avuto testimonianza
dell’esistenza dei licantropi perché io ti ho
mostrato cosa essi possano essere,
ma tuo padre ha fatto unicamente
affidamento sulla propria convinzione e sulla propria
tenacia» dichiarò Lucas
con un mezzo sorriso. «Per quanto la cosa ci abbia causato
più preoccupazioni
di quante non desiderassi, non posso che ammirarlo per la sua
costanza.»
Passandosi
una mano tra i corti capelli – capelli che, in fondo, aveva
fatto tagliare per
piacere a Liza, per quanto si sentisse idiota al solo ammetterlo
– Mark
mormorò: «Sì, a questo punto, capisco
quanto le nostre azioni vi siano parse
sospette.»
Levandosi
in piedi, Lucas raggiunse il bancone della reception,
afferrò un cestino
ricolmo di caramelle e, nel porgerlo a Mark, gli sorrise e
asserì: «Chiarirsi è
sempre una buona cosa.»
Lui
assentì prima di alzarsi a sua volta e, dopo aver accettato
una caramella,
domandò ancora: «Ecco, parlando di
chiarimenti… posso… sì, insomma, posso
andare? Posso cercare Liza?»
Scoppiando
in una risatina leggera, Lucas indicò la porta e
asserì: «Non ti abbiamo
condannato a morte, né alla prigionia. Sei libero di andare,
ma ti prego di
mantenere il segreto che Liza ha voluto concederti. Ne va della vita di
molti.»
Il
ragazzo annuì e, tra il serio e il faceto,
chiosò: «Se tu avessi voluto
mangiarmi, l’avresti già fatto, no?»
«Esatto»
ammise con naturalezza Lucas.
Lui
disse solo questo, e Mark non gli lasciò aggiungere altro.
Non era davvero il
caso di sfidare la sorte.
In
fretta, perciò, corse fuori per poi dirigersi verso il
sentiero che, solo
alcune settimane prima, aveva imboccato assieme a Sasha, Liza, Chanel e
Fergus
e, mentre i suoi passi sempre più veloci lo avvicinavano a
lei, si chiese come
affrontarla.
Doveva
ancora digerire metà delle cose che aveva sentito, ma
più di ogni altra cosa
doveva accettare quanto, per lui, Liza si fosse messa in gioco.
Non
aveva la minima idea di cosa lei avesse rischiato in
realtà, dicendogli ogni cosa, ma era certo che il
suo capoclan
non fosse stato del tutto onesto
con
lui. Dubitava che questa sorta di tradimento da parte di Liza sarebbe
stato
lasciato passare sotto silenzio, se le cose fossero state un
po’ diverse.
Forse,
nel caso specifico – trattandosi lui stesso di una potenziale
vittima – il suo
capoclan aveva chiuso un occhio, ma dubitava che in una
società piramidale come
sembrava essere quella del branco, le cose potessero filare
così lisce.
«Deve
avere rischiato più di quanto loro hanno voluto farmi
credere» mormorò tra sé,
sentendosi male al pensiero di come l’avesse respinta, quando
la verità era
venuta a galla.
Era
stato davvero un codardo, a trattarla a quel modo, quando lei aveva
messo in
gioco tutta se stessa, per lui.
Certo,
lui si era sentito tradito nel profondo, ma avrebbe potuto affrontare
il tutto
con maggiore calma. Sperò davvero di poterlo fare adesso.
L’arrivo
in picchiata di due corvi, però, scacciò
qualsiasi altro pensiero dalla sua
mente e, solo per un soffio, Mark evitò di venire colpito da
due coppie di
zampe munite di pericolosi artigli.
L’attimo
seguente, l’urlo irritato di Liza interruppe un secondo
attacco e, dal fitto
del bosco, fece la sua apparizione la ragazza. Il suo volto appariva
scarmigliato e segnato dal pianto, ma i suoi occhi grigi erano sicuri e
fieri,
quando lei lo guardò.
Lanciata
poi un’occhiata verso l’alto, Liza
scacciò i corvi senza dire nulla dopodiché,
preso un gran respiro, domandò roca: «Avevi
bisogno di me?»
Lui
assentì ma non parlò. Si mosse verso di lei,
annullò la distanza che li
separava e, allargando le braccia, la avvolse in un abbraccio
soffocante,
mormorando infine tra i suoi capelli: «Scusa. Scusa.
Scusa.»
Liza
tremò tra le sue braccia ma, ben decisa a non piangere
ancora – per quel
giorno, aveva sprecato più lacrime che in un solo anno della
sua vita – replicò
rauca: «Sono io a dovermi scusare. Ti ho mentito
io!»
«Ma
solo per proteggere coloro che tu ritieni essere la
tua famiglia» ribatté a quel punto Mark,
scostandola da sé per
scrutarla negli occhi. «Tutto quello che mi avete
detto… era ovvio che tu
dovessi mantenere i loro
segreti!»
«Ti
ho ferito, però» sospirò lei,
reclinando il viso.
«Sì»
ammise lui, carezzandole il volto. «Ma avevi ottimi
motivi… e io avrei dovuto
ascoltarti senza ferire te per ripicca.»
Ciò
detto, le sollevò il viso con una mano leggermente tremante
e, tenero e
insicuro, le diede un bacio leggero sulle labbra.
«Scusa»
le sussurrò subito dopo, rosso in volto per
l’imbarazzo.
Lei
trovò quella visione la cosa più tenera del mondo
e, con un sorriso, annullò di
nuovo le distanze tra loro e lo baciò a sua volta, ma con
maggiore decisione.
A
Mark bastò quello. Domande, dubbi e risposte sarebbero
venuti dopo.
1
(parlo della scena di 300 in cui Leonida getta l’ambasciatore
di Serse in un
pozzo nel centro di Sparta)