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Autore: L S Blackrose    19/11/2020    0 recensioni
Quello che era iniziato come un normale viaggio post diploma si era presto tramutato in un incubo. Era successo tutto in un istante, un singolo attimo che aveva cambiato per sempre il corso degli eventi. Per quanto Isabella Swan non avesse mai pensato seriamente alla propria morte, di certo non credeva che avrebbe incrociato così presto il suo cammino. Né che sarebbe stata salvata da qualcuno molto più temibile della morte stessa. Un qualcuno che aveva il potere di donarle una nuova vita e di togliergliela altrettanto facilmente.
*
« Finalmente! » esclamò Tanya, sparendo in un lampo. Si diresse verso il limitare della radura, dov'era appena spuntato qualcun altro. Non appena lo misi a fuoco, un sibilo mi scivolò tra i denti. I miei occhi vennero calamitati da uno sguardo dorato, nel quale lessi lo stesso stupore che dovevo avere dipinto in viso. Tanya si lanciò verso il nuovo arrivato, che la afferrò con prontezza e si lasciò abbracciare. Mentre scambiava qualche parola con lei, tuttavia, il suo sguardo rimase incatenato al mio.
Era il vampiro della sera prima, quello che mi aveva inseguita fino alla costa. E il suo nome era...
« Cara Isabella, ti presento Edward Cullen ».
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clan Cullen, Clan Denali, Edward Cullen, Isabella Swan, Volturi | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Nessun libro/film, Contesto generale/vago
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Capitolo 4
 

With me into the night








Recensioni




 
Era calata la notte e il cielo limpido sopra la mia testa era una vista mozzafiato. A Volterra nemmeno i miei occhi ipersviluppati riuscivano a scorgere tutte quelle stelle. Lì, distesa su una spessa lastra di ghiaccio, mi pareva quasi di galleggiare nello spazio. L'aria era fredda e pulita, ogni tanto trasportava fino a me qualche soffice fiocco di neve.

Tuttavia quell'atmosfera rilassata non durò a lungo.

«Per quanto ancora intendi ignorarmi, Isabella?».

Chiusi gli occhi, fingendo di aver soltanto immaginato quella voce anche troppo familiare. Riuscii a trattenere anche l'impulso di correggere il mio nome intero in favore del diminutivo. Lo facevo sin da bambina, ormai mi veniva automatico. E Edward usava apposta il nome completo, ben sapendo di infastidirmi. Sembrava che quello fosse diventato il suo passatempo preferito: provocarmi per ottenere una qualche reazione da parte mia.

Forse dipendeva dal fatto che, sin dal nostro primo incontro ufficiale, avevo tentato in ogni modo di ignorarlo. Fingere di non notare la sua presenza costante richiedeva uno sforzo non da poco, visto quanto mi sentissi – mio malgrado – attratta da lui. Mi fingevo interessata ad altro, ma lo osservavo con la coda dell'occhio ogni volta che si muoveva e non perdevo una parola di ciò che diceva ai vampiri di Denali. La sua voce e i suoi modi erano piacevoli, mi ricordavano molto quelli di Carlisle. Dopo tutti quei decenni trascorsi fianco a fianco, era logico che Edward avesse assorbito qualcuno dei comportamenti del padre adottivo. Tuttavia, non era né pacato, né docile e decisamente non rispettava gli spazi altrui. Su quell'aspetto non assomigliava per niente al dottore.

Edward si era offerto di restare a Denali il più possibile, per supportare Eleazar e Kate durante i miei allenamenti. All'inizio mi ero opposta, ma, dato che quanto a testardaggine eravamo alla pari, mi ero presto dovuta arrendere. Avevo ceduto principalmente per far contenta Tanya: lei desiderava che Edward restasse lì e, oltretutto, in quel modo non avrebbe dovuto beccarsi le scosse di Kate a causa della mia incompetenza.

Avevamo approntato un nuovo metodo di allenamento. Stavolta era Kate a fungere da cavia, io avrei solo dovuto avvolgerla con lo scudo, in modo da isolare la sua mente affinché Edward non riuscisse più a captarne i pensieri. Era un metodo ugualmente efficace a potenziare il mio dono, ma più semplice e meno invasivo del precedente; nessuno rischiava di farsi male e io ero più rilassata e ricettiva nei tentativi.

Non che avessi compiuto molti progressi rispetto all'inizio: ero a malapena riuscita a liberarmi dello scudo e indirizzarlo verso Kate, per poi sentirlo rimbalzare verso di me come una sorta di elastico impazzito. Non mi ero data per vinta, ma era frustrante non notare dei successi rilevanti nonostante il mio duro impegno.

Avere Edward sempre intorno, inoltre, non mi aiutava affatto a mantenere la concentrazione. Potevo fingere che la sua presenza mi irritasse, potevo ripetermi che fosse soltanto una questione di attrazione fisica e quindi di non darvi troppa importanza, ma sapevo di mentire a me stessa. Mi piaceva la sua voce, bassa e melodiosa, che gli avrebbe di sicuro fatto guadagnare milioni se avesse deciso di intraprendere la carriera musicale. Mi piacevano i suoi modi da gentiluomo di altri tempi: era divertente notare come riuscisse ad eludere i continui tentativi di approccio di Tanya senza mai offenderla. Si notava da un miglio di distanza che quell'interesse spiccato nei suoi confronti lo metteva a disagio e Kate non faceva che infierire, punzecchiandolo quando Tanya non era nei paraggi, ma non l'avevo mai sentito lamentarsi.

Purtroppo per me, Edward Cullen era affascinante proprio come avevo immaginato. Capivo benissimo perché Tanya facesse il possibile per attirare la sua attenzione e si entusiasmasse ogni volta che lui le sorrideva. Io non ero certo migliore di lei: aspettavo ogni giorno l'arrivo del vampiro con la stessa impazienza della matriarca di Denali. Avevo finalmente capito cosa intendesse dire la volpe in quel famoso passaggio de Il piccolo principe. Impazienza mescolata a felicità, un sentimento pericoloso quanto emozionante.
E sapevo di non averne alcun diritto. Lo conoscevo da quanto, meno di una settimana? Come potevo essermi affezionata così tanto a lui?  
Ero davvero patetica.

«Isabella?», mi richiamò di nuovo quella voce dolce come miele.

Sospirai. Che vampiro ostinato.

Ora rimpiangevo di aver declinato l’invito degli altri Cullen. Avevano organizzato una partita di baseball per quella sera. Quando mi avevano invitata, li avevo fissati come se fossero impazziti. Dei vampiri che giocano a baseball? Come avrebbero fatto a non farsi scoprire dagli umani? Allora Alice mi aveva spiegato che dovevano aspettare che arrivasse un temporale per cominciare: in quel modo i tuoni avrebbero coperto i rumori del gioco. Era un'idea geniale e avrei tanto voluto proporla ai miei fratelli adottivi solo per poter ridere delle loro espressioni stralunate e schifate.

Avevo gentilmente rifiutato l'invito, dando per scontato che Edward avrebbe preso parte alla partita, invece, alla fine, il piano mi si era ritorto contro.

Un vero peccato, perché mi avrebbe fatto piacere rivedere Esme e Carlisle. Avevo incontrato Emmett e Rosalie due sere prima, quando erano passati per un saluto prima di andare a caccia, mentre Alice e Jasper mi facevano visita tutti i giorni. Lei adorava discutere con me di moda italiana (in quel campo avevo due anni di esperienza alle spalle, dato che uno dei miei passatempi consisteva nel memorizzare l'abbigliamento degli umani), Jasper, invece, mi impartiva delle lezioni sulle basi del combattimento tra vampiri. Mi aveva raccontato parte della sua storia personale e ora sapevo che era un esperto di strategie militari e anche di...neonati vampiri. Tutte quelle cicatrici che gli solcavano la pelle...quanto doveva aver sofferto? Non ero mai stata morsa da un mio simile, ma avevo assistito a degli scontri accesi a palazzo e sapevo che dovevo tenermi ben distante dai denti degli altri vampiri. E poi io non...

La voce insistente tornò alla carica, interrompendo le mie riflessioni. «Mi hai dato del maleducato, ma non pensi che far finta che io non esista lo sia altrettanto?».

Visto che ancora non mi degnavo di ribattere, Edward sospirò. Per un attimo pensai che avrebbe desistito e se ne sarebbe andato, ma poi avvertii uno spostamento d'aria e spalancai gli occhi. Si era seduto al mio fianco, decisamente troppo vicino.

Ignorò il mio sguardo truce e mi rivolse un mezzo sorriso. «Non mi sono ancora scusato per averti spaventata, quella famosa sera» affermò, dopo qualche istante di silenzio. «In realtà ci ho provato, ma tu non fai che evitarmi, quindi...».

«Ti hanno mai detto che sei assillante?», non potei trattenermi dal chiedere. Ecco, l'avevo rifatto. Non capivo come Edward potesse essere deluso dal non riuscire a leggermi nel pensiero, quando bastava la sua sola vicinanza ad azzerare qualsiasi filtro avessi tra bocca e cervello.

«Intendi nei pensieri o ad alta voce? Forse entrambi?». Le sue labbra formarono quel sorriso sghembo che mi causava strane reazioni a livello dello stomaco. «Più volte di quante riesca a ricordare», confessò, per nulla offeso dal mio commento.

Distese le lunghe gambe davanti a sé e notai che, come me, era a piedi nudi. Avevo imparato che anche lui preferiva liberarsi del superfluo quando era certo non ci fossero umani nei dintorni. In quel momento entrambi indossavamo abiti che un mortale avrebbe portato solo in piena estate.

Abbassai lo sguardo e feci una smorfia. La maglietta che mi aveva prestato Alice era troppo aderente e scollata per i miei gusti, ma era anche la più sobria tra quelle che mi aveva proposto. Si era offerta di provvedere di persona al mio guardaroba e non avevo avuto cuore di negarle quel piccolo passatempo: a me la moda non interessava nemmeno quando ero umana, ma per lei la scelta e il giusto abbinamento degli abiti pareva di importanza capitale.

Alice era il mio esatto opposto, vivace, espansiva e loquace, e forse era per quello che mi sentivo tanto a mio agio in sua compagnia. Anziché sentirmi in qualche modo intimorita dopo aver saputo del suo dono, della sua abilità di vedere il futuro, quando ero con lei mi sentivo...me stessa. Non dovevo fingere, potevo dire tutto ciò che pensavo senza temere giudizi. Se avessi potuto restarle accanto in futuro, di sicuro saremmo diventate delle grandi amiche, proprio come lei aveva previsto.

Era un gran peccato che il destino avesse piani ben diversi per entrambe, pensai, cercando di sistemare la manica della maglia che minacciava di scivolarmi giù dalla spalla.

Edward spostò gli occhi sulla stoffa che stavo tormentando e inarcò un sopracciglio. «Opera di Alice, senza dubbio», mormorò, soffermandosi un po' troppo sul pezzo di pelle che la maglia lasciava scoperta. Accennò un sorriso. «Scommetto che ci consideri una manica di cafoni invadenti. Finora sei stata anche troppo gentile a sopportare le idee pazze dei miei fratelli. Le continue sfide di Emmett, le battute di Rosalie, ora la mania da stilista di Alice...».

«Oh, no», mi affrettai a smentire. «Mi piacciono molto i tuoi fratelli. Sono così...spontanei e calorosi. Niente a che vedere con i miei». Mi sfuggì una smorfia. «A Volterra non ci sono molte occasioni per divertirsi, ovviamente. Sembra quasi che ridere sia proibito. A meno che non si tratti di Aro, ma nel suo caso sono risate forzate e isteriche. Mettono i brividi, te l'assicuro».

«Non stento a crederlo». Dopo aver pronunciato a bassa voce quelle parole, Edward rimase per qualche minuto in silenzio a contemplare la notte stellata. Lo sentii muoversi appena. «Ti dispiace se rimango qui con te per un po'?», chiese, alla fine.

Cominciai a sospettare che ci fosse una ragione precisa dietro quella richiesta. Ricambiai il suo sguardo attento con uno ironico. «Qualsiasi cosa è preferibile ai complimenti spudorati di Tanya, dico bene?».

La sua occhiata colpevole fu percorsa da una scintilla che non seppi decifrare. «E tu conosci solo quelli verbali...», insinuò malizioso.

Non riuscii a trattenere una risata. Potevo soltanto immaginare che tipo di pensieri vorticassero nella mente di Tanya quando Edward era nei paraggi. Probabilmente molto più audaci dei miei, ma nel suo caso Edward poteva udirli come se lei li avesse pronunciati ad alta voce. Al suo posto io sarei morta di imbarazzo, invece Tanya ci provava gusto a provocarlo col pensiero. Tuttavia quella temerarietà non sembrava portarle gli effetti sperati: Edward stava ben attento a non mostrare niente più che un'educata cortesia nei confronti della vampira.

Trascorsero i minuti e d'un tratto mi resi conto di star trattenendo il respiro. Mi imposi di rilassarmi e di fingere che il vampiro che mi stava a fianco non fosse altro che un pezzo di ghiaccio modellato a forma umana. Non funzionò: il suo odore era sempre lì, stuzzicante e fresco come la prima brezza di primavera.

Stavo già meditando di alzarmi e allontanarmi alla svelta, quando lui ricominciò a parlare. «Starti accanto è...riposante», affermò, lasciandomi di stucco. Fece una breve pausa, respirando a fondo ad occhi chiusi. «C'è solo silenzio, nessuna voce nella testa tranne la mia... è inquietante, ma anche sublime. Non credevo avrei mai potuto sperimentarlo».

«Eppure non fai altro che tentare di entrarmi nella testa», gli feci notare, presa in contropiede dalla sua sincera ammissione. «È anche per questo che ti sei offerto volontario per aiutarmi con gli allenamenti, giusto?». Lui non negò e io mi accigliai. «Perché ci tieni tanto? Cos'è, una sfida con te stesso? O una sorta di esperimento?».

Edward inclinò la testa. Una di quelle arruffate ciocche ramate gli ricadde sulla fronte. «Sì e no. Lo faccio soprattutto perché voglio davvero imparare a decifrarti, capire il tuo modo di ragionare. La tua mente deve essere...affascinante da leggere. Non fai mai ciò che mi aspetto, sei una delle poche persone che riesce a sorprendermi».

Per un momento immaginai cosa avrebbe visto e sentito se fosse riuscito nell'intento. Venni assalita dall'imbarazzo. «Ti assicuro che nella mia testa non c'è proprio nulla di così interessante da ascoltare», ribattei, vagamente terrorizzata dalla possibilità che riuscisse davvero a superare il mio scudo.

Lui scoppiò a ridere. «Kate ha ragione: sei troppo modesta. Un'eccezione non da poco per qualcuno che vive con un clan di comprovati megalomani».

Scrollai le spalle. «Non lo dicevo per modestia. Sul serio, i miei pensieri non valgono lo sforzo». Inarcai le sopracciglia, scoccandogli uno sguardo pensoso. «Più ci rifletto, più mi convinco che, se fosse capitato a me un dono come il tuo, probabilmente sarei impazzita nel giro di pochi anni. Voci altrui nella mente, in continuazione, quando a malapena sopporto di sentire la mia... dev'essere tremendo».

Lui rise di nuovo. «Avrei tanto voluto poterti leggere nel pensiero quando ti ho vista la prima volta, nella foresta», confessò, e ogni traccia di ilarità scomparve.

Mi irrigidii e strinsi i pugni. «Chissà cosa devi aver pensato tu di me. Ho quasi ucciso due umani innocenti. Mi sono comportata da vera irresponsabile, avrei dovuto prestare più attenzione al mio percorso e non allontanarmi così tanto da Denali».

Edward affilò lo sguardo. «Non saresti riuscita ad attaccarli. Stavo per intervenire proprio quando ti sei lanciata sull'orso. Non riuscendo a captare i tuoi pensieri, mi sono tenuto in disparte per capire che intenzioni avessi». Corrugò la fronte. «E poi sei scappata. Credevo l'avessi fatto perché avevi fiutato la mia presenza, ma mi sbagliavo». Il suo intenso sguardo dorato trafisse il mio. «L'avevi fatto per non mettere in pericolo quegli umani. Li hai difesi dall'orso e da te stessa. Non so come tu sia riuscita a trattenerti, ma hai la mia totale ammirazione».

Tralasciai gli ultimi commenti e mi focalizzai su ciò che aveva detto all'inizio. «Mi avresti impedito di ucciderli?», chiesi, incredula. «E come avresti fatto a bloccare una neonata in piena caccia?».

Quando un vampiro puntava una preda, era quasi impossibile fermarlo. Durante la caccia perdevamo il controllo su parte dei nostri sensi, lasciandoci guidare dall'istinto. Fermare un neonato, poi, doveva essere l'equivalente di tentare di bloccare un treno merci lanciato giù per una discesa. Come aveva potuto pensare di potermi fermare?

Senza preavviso, Edward si sporse verso di me, arrivandomi a un soffio dal viso. «Grazie al mio irresistibile fascino, ovviamente», dichiarò, rivolgendomi un sorrisetto arrogante.

Mi morsi le labbra per non ridere e alzai gli occhi al cielo. Se qualcuno ci avesse visti in quel momento, avrebbe potuto pensare che stessimo flirtando. Come due piccioncini innamorati al primo appuntamento...

Dopo aver formulato quel pensiero sgranai gli occhi e mi tirai indietro di scatto, riportando una saggia distanza tra noi.

Edward inclinò la testa di lato, fissandomi ad occhi socchiusi. «Ecco, non sai che darei per poterti leggere nella mente in questo preciso istante», mormorò, la frustrazione evidente nella sua espressione.

Non risposi. Distolsi gli occhi dai suoi, puntandoli verso il cielo ricamato di stelle.

La conversazione con Edward mi aveva distratto, ma c'era un motivo se avevo scelto quel posto per starmene un po' per conto mio.

I miei occhi vennero attirati dai primi bagliori che attraversarono il cielo limpido come onde verdastre. Sentii le mie labbra aprirsi in un sorriso colmo di meraviglia, mentre altre luci, viola e gialle, si susseguivano sopra le montagne. Quando avevo salutato Alice, poche ore prima, lei mi aveva consigliato di recarmi lì, il posto perfetto per ammirare l'aurora boreale. Quella sera sarebbe stata speciale, aveva detto. Mi avrebbe convinta ad andarci anche se non avessi saputo che era in grado di prevedere il futuro. Aveva un modo tutto suo di dire le cose, diretto e schietto, non lasciava spazio a tentennamenti.

Da quando ero in Alaska non avevo ancora avuto l'occasione di assistere a quel magnifico spettacolo naturale. Quand'ero umana avevo desiderato di poterlo vedere con i miei occhi e fotografarlo. Mi ero imposta di farlo almeno una volta, prima di...bè, prima di morire.
Trovavo ironico che, per poterlo vedere davvero, fossi prima dovuta morire.

Sentii Edward trattenere il fiato e mi voltai di scatto verso di lui. Il modo in cui mi guardava mi lasciò senza parole. Il suo sguardo era talmente intenso da darmi i brividi. Brividi piacevoli e caldi che si sommarono allo sfarfallio che avvertivo nello stomaco ogni volta che lui mi era vicino.

Mi schiarii la voce. «Ora potrei rigirarti la tua stessa domanda. Tu pretendi di sapere cosa mi passa per la testa, ma non sveli mai nulla su te stesso». Posai un palmo sul ghiaccio, le mie dita sfiorarono le sue. «Per esempio, cosa stai pensando adesso?».

Lui abbassò gli occhi sulla mia mano, poi sorrise. Era un sorriso tenero e insieme...raggiante. Quando rialzò lo sguardo verso di me, sentii accendersi nel petto un calore anomalo. «Sai perché sono arrivato in ritardo, il giorno del nostro secondo incontro?».

Non mi era sfuggito il fatto che avesse deliberatamente evitato di rispondere alla mia domanda, ma decisi di stare al gioco. «Non ne ho idea. Sentiamo, perché?».

«Ti stavo cercando. Mi sono messo sulle tue tracce poco dopo averti vista saltare dalla scogliera. Ho percorso centinaia di chilometri per riuscire a ritrovarti, Isabella», confessò, lasciandomi letteralmente a bocca aperta. Notando il mio sconcerto, il suo sorriso si fece più ampio. «E, tanto per la cronaca, questa maglia ti sta d'incanto. Quella tonalità di blu ti dona molto. Devo ricordarmi di riferirlo ad Alice».





 
* * *




 
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La scorsa settimana avevo definito “pura tortura” il tempo da trascorrere tra le mura scolastiche. Non avrei potuto scegliere parole migliori.

Mentre fingevo di ascoltare la spiegazione della professoressa Goff sulla storia della lingua spagnola, mi sembrava di stare sulla graticola. Il tempo pareva scorrere al rallentatore.

Mi imposi di tenere gli occhi puntati sulla lavagna per non cedere alla tentazione di abbassarli sull'orologio ogni due secondi. Funzionò per i primi cinque minuti, poi tornai a fissare il quadrante, desiderando di poter accelerare il movimento delle lancette con la sola forza del pensiero.

Alla mia destra sentii la risata soffocata di Emmett – che lui fece passare per un colpo di tosse – e sospirai. Sembri sulle spine, fratello. Come se qualcuno ti stesse inseguendo e non sapessi dove nasconderti. Rise di nuovo. Ah, no, dimenticavo. Sei tu quello che si diverte ad inseguire la gente e...

«...apparirle alle spalle, spaventandola a morte», completai stizzito, con un tono che nessun umano avrebbe potuto udire.

Emmett rise ancora e mi strizzò l'occhio, per poi tornare a prestare l'attenzione all'insegnante.

Dal nostro ritorno a Forks dopo la breve sosta a Denali, Rosalie non mi aveva dato tregua: ogni occasione era buona per ripetere parte della ramanzina che mi aveva rivolto Bella, e Emmett le dava man forte con grande soddisfazione. Temevo che prima o poi decidessero di usare quelle parole per comporre una canzone e che l'avrebbero impostata a ripetizione. Ma, al contrario di quello che pensavano, a me quelle parole erano stranamente gradite. Lungi dall'offendermi, mi ricordavano il tono combattivo che aveva usato Bella nel rivolgermele e un sorriso spontaneo mi saliva alle labbra.

Mi bastava solamente pensare al suo nome per provare una strana sensazione, una piacevole stretta allo stomaco e...

Edward Cullen è stranamente agitato, oggi. Sembra quasi...impaziente. Chissà perché...aspetta! Non sarà che...forse esce con qualcuna? Avrà la ragazza? Sarebbe uno scoop sensazionale! Devo assolutamente dirlo a Jessica...anzi, meglio di no, o passerò il pomeriggio ad ascoltare le sue lamentele sulle ingiustizie della vita...come se una qualsiasi di noi avesse la minima possibilità, con uno come lui...

Quel flusso di pensieri proveniva dall'angolo della classe ed apparteneva ad una delle poche persone in quella scuola che fossero piacevoli da ascoltare. Strinsi le labbra per celare un altro sorriso. Se perfino una ragazza quieta come Angela Weber si perdeva in congetture sulla mia presunta impazienza, allora dovevo davvero cercare di mascherare meglio le mie emozioni. Ma lei era stranamente ricettiva per essere un'umana. Nessun altro nella classe – a parte Emmett – pareva essersi accorto delle mie strane reazioni e dell'agitazione che traspariva dai miei movimenti. Provai nuovamente a rilassarmi e a focalizzare l'attenzione sulla pagina del libro di testo.

In quegli ultimi giorni avevo seguito ben poco le lezioni. Per la prima volta da quando mi ero trasferito in quella scuola, non avevo saputo rispondere ad una domanda rivoltami dal professor Varner durante trigonometria. Ero rimasto muto come un pesce e lui si era perfino avvicinato per chiedermi sottovoce, con una certa preoccupazione, se mi sentissi bene.

In realtà, chiunque avrebbe potuto cogliermi di sorpresa in quei giorni. Se Emmett lo avesse sospettato e ne avesse poi scoperto il motivo, mi avrebbe preso in giro per secoli.

Non riuscivo a concentrarmi su nient'altro, se non sui miei pensieri. Nemmeno il chiacchiericcio mentale dell'intero corpo studentesco riusciva a superare il volume del mio. Non facevo che ripetere all'infinito le conversazioni avute con Bella, passando in rassegna le sue espressioni e il tono di voce. I miei occhi non vedevano le frasi in spagnolo che la professoressa Goff stava trascrivendo alla lavagna, ma la pelle di Bella, le sue braccia nude dove danzavano le luci multicolori dell'aurora boreale. E quella mano affusolata e delicata che per un breve istante aveva sfiorato la mia, proprio come nella visione di Alice…

In quel momento ricordai che ancora non avevo consigliato a mia sorella di prestare a Bella altri vestiti di quel blu cupo, che la rendeva ancora più attraente ai miei occhi.

Come se ce ne fosse stato bisogno.

Sospirai e cedetti, abbassando lo sguardo verso l'orologio. Mancavano meno di trentacinque minuti alla fine delle lezioni, poi mi sarei fiondato verso casa e, una volta parcheggiati l'auto e i miei fratelli, avrei corso il più veloce possibile per raggiungere Denali.

Quando mi ero offerto volontario per presenziare agli allenamenti e dare una mano a potenziare il dono di Bella, l'avevo fatto per una ragione essenzialmente egoistica: volevo avere l'opportunità di riuscire a cogliere almeno un guizzo dei suoi pensieri. In più, desideravo davvero conoscerla meglio, parlarle, catturare la sua attenzione.

Ma, nonostante i miei costanti tentativi, lei non mi degnava di un'occhiata.

Il mezzo sorriso che si era affacciato sulle mia labbra al pensiero di rivederla si trasformò in una smorfia di disappunto. Era la prima volta che mi capitava di essere ignorato. Non avevo molta esperienza quanto a incontri con l'altro sesso, ma non ricordavo di essere mai stato trattato con indifferenza. Perfino Rosalie, nonostante l'istantanea antipatia nei miei confronti, mi aveva sempre considerato (suo malgrado) affascinante e cortese. Le altre vampire che mi era capitato di incontrare negli ultimi decenni non avevano mostrato particolare interesse verso di me, ad eccezione di Tanya, ma nei loro pensieri avevo colto comunque una vena di apprezzamento. Per il mio aspetto, se non altro.

Suonava arrogante anche solo pensarlo, ma come mai non facevo lo stesso effetto anche a Bella? Non ero il suo tipo? Era legata a qualcun altro? Sembrava che avermi attorno la irritasse, non mi aveva mai rivolto la parola per prima. Eppure più lei si mostrava reticente, più tentava di tenermi a distanza, più a me veniva voglia di avvicinarmi. Non sapevo dare un nome concreto a questo impulso: quello che volevo era restarle accanto il più a lungo possibile prima...prima dell'inevitabile separazione. Presto, troppo presto, lei sarebbe tornata in Italia, a quel destino infausto cui i Volturi l'avevano condannata.

Strinsi i denti. La sera prima ero riuscito a cavarle qualche parola di bocca, ma ancora non avevo avuto l'occasione di porle il migliaio di domande che mi ronzavano in testa da quando l'avevo incontrata. Sulla sua vita precedente, sulla sua trasformazione, sulla convivenza con quegli assassini...

Probabilmente a lei non faceva piacere parlarne ad un estraneo. Era una persona riservata e taciturna, ma avevo scoperto che era sufficiente farla innervosire per ottenere delle risposte. E io ce la mettevo davvero tutta per provocarla e farla parlare. L'altra sera, ad esempio, avevo compiuto dei progressi: ero riuscito ad aprire una, seppure minuscola, breccia nella sua corazza. Oggi avrei sfruttato quel metaforico squarcio per ottenere altre risposte. Trovavo ancora frustrante non riuscire a leggerla grazie al mio dono, ma dall'altro lato era emozionante e spassoso scoprire pezzi di lei un po' alla volta.

Com'era che aveva detto? Che nella sua testa non c'era niente di interessante da ascoltare?

Trattenni uno sbuffo ironico. Era la creatura più interessante che avessi incontrato in tutta la mia vita da vampiro. Aveva davvero una così bassa opinione di se stessa? O era tutta una strategia volta ad attenuare il mio interesse? In quel caso, era evidente che non mi conosceva affatto. Ero un buon lettore, non solo di pensieri. Grazie al mio dono ero in grado di percepire aspetti della personalità altrui che sarebbero sfuggiti ai più, e il mio intuito difficilmente sbagliava. Bella era una sfida, un'incognita affascinante, una persona che riusciva a tenermi testa e ad attrarmi come nessun'altra.

Ti hanno mai detto che sei assillante?

Nell'evocare il tono esasperato di Bella mi salì spontaneo un altro sorriso. Forse era il caso di osare di più, di sfruttare quel fascino che sapevo di possedere e che Tanya tanto decantava. In un modo o nell’altro, Bella non avrebbe più potuto ignorarmi.














* * * * * * *

Ciao a tutti! Come state? Che ve ne pare della storia? Avete colto i riferimenti ai libri?
Sarei felice di conoscere i vostri pareri, aspetto le vostre recensioni!

Ringrazio chi ha commentato, chi l'ha inserita tra le seguite/preferite/ricordate. Al prossimo aggiornamento!


Un bacio da Lizz.


p.s. I titoli dei capitoli sono ripresi dai versi di Spirit In The Sky dei Keiino. Per restare aggiornati e leggere i miei vaneggiamenti vari, questa è la mia pagina fb. Il resto lo trovate qui e sul mio blog.

 
   
 
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