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Autore: Gaia Bessie    25/11/2020    2 recensioni
What if?:Asahi non è mai tornato in squadra.
[Epilogo: Quando si smussano gli scogli]
Io ti aspetto, te lo prometto.
[Long-fic di 15 capitoli | AsaNoya, Suga/Shimizu, accenni di KageHina | Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Seconda classificata al contest "Canon compliant? I think not!" indetto da Maiko_chan sul forum di EFP | Partecipa al "Gioco di scrittura" del Gruppo FB Caffé e Calderotti]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Slash | Personaggi: Asahi Azumane, Daichi Sawamura, Kiyoko Shimizu, Koushi Sugawara, Yuu Nishinoya
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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11. Crepe strutturali

 
C'è una crepa in ogni cosa.
Ed è da lì che entra la luce.
(Leonard Cohen)

 
Ella non sapeva che sulle terrazze delle case la pioggia forma laghetti quando le grondaie sono ingorgate, e avrebbe continuato a credersi al sicuro, quando a un tratto scoprì una crepa nel muro.
(Gustave Flaubert)
 
 
Tre giorni passano in fretta: il tempo scorre in maniera diversa, nelle assenze e, se per Noya dura tutto una manciata di secondi, per Asahi diventano tre secoli.
Yū ha giocato. Una partita solamente e per l’ultimo set, ma Ukai gli ha permesso di entrare in campo sotto lo sguardo scontento di Daichi. Un paio di volte, un Asahi-san gli s’è bloccato in gola, costringendolo a tossire – non si sarebbe mai perdonato, se lo avesse detto.
Così, ha partecipato alla partita, ha salvato quanti più palloni possibili e, dopo aver strappato la partita alla Nekoma, è uscito dal campo. Camminando lentamente, è arrivato fuori dalla palestra.
Lì, s’è accasciato sopra le proprie ginocchia ed ha urlato.
Daichi gli è corso dietro, insieme a Suga, e si sono seduti sul prato accanto a lui, senza osare sfiorarlo. Perché ha urlato così tanto che gli sarebbe venuto facile, lacerarsi la trachea e soffocare il un lago di sangue, ha urlato così tanto da perdere la voce. Ma non ha pianto, non avrebbe potuto, ha troppa rabbia dentro per permettere anche a soltanto una lacrima di sfuggire dagli occhi.
Il giorno dopo, Yū è andato a cercare Asahi: l’ha trovato a vagare di fronte alla palestra, con lo sguardo perso in un cielo talmente terso da risultare fastidioso.
«Noya?» lo chiama lo schiacciatore, appena lo vede comparire all’orizzonte. «Io vorrei parlarti. E lo so che non vuoi, ma io ti…».
Asahi non riesce a completare la frase, perché Nishinoya gli si avvicina a grandi passi, spintonandolo. E lui, più per la sorpresa che per la forza, cade sulle proprie ginocchia, sorpreso.
«Non dire più niente» sibila. «Hai rovinato tutto. Non… ti permetto più di dire che vuoi parlarmi, perché io non voglio!».
Ha gli occhi spalancati e il respiro affannoso, lo tiene legato al suolo, schiacciandolo con il peso di un singolo sguardo. In quel momento, Asahi comprende.
Noya è tornato in campo e gli è apparsa, chiara ed è evidente, la verità: può fare a meno di Asahi. Può continuare a vivere senza di lui, non è schiavo di quel bisogno ossessivo che li ha legati fino a quel momento.
Azumane lo comprende e ne è ferito a morte, ma non può nemmeno negare di aver legato Noya a sé, giocando con i suoi sentimenti e sul suo senso di colpa. E, ancora adesso, fatica a rassegnarsi all’idea di dover semplicemente permettergli di andare via.
Perché Noya trema ed è visibilmente sconvolto, quando ancora gli si avvicina – e sono della medesima altezza – con gli occhi spalancati e vuoti come buchi neri.
«Nishinoya!» il grido di Daichi apre il cielo come una ferita. «Spero vivamente che tu non stia facendo quello che penso, altrimenti…».
Ma Yū si guarda il pugno, stretto così forte da far sbiancare le nocche, prima di colpire Asahi con tutta la forza che ha in corpo.
 
***
 
«Daichi, ti prego» borbotta Suga, cercando di non farsi sentire dagli altri. «Prova a mantenere la calma».
Ma il capitano dei corvi è tranquillo in maniera quasi innaturale, mentre osserva con interesse Nishinoya e Asahi.
«Nishinoya» lo chiama Daichi, calmo. «Spiegami un po’ per quale motivo avresti dovuto dare un pugno sul naso di Asahi».
Sembra calmo ma, in realtà, un’ombra oscura sul volto ne esprime pienamente l’arrabbiatura, fatto che terrorizza i suoi due interlocutori.
«L’avete proprio fatto arrabbiare» constata Suga, stupito. «Era da tempo che non lo vedevo così».
Asahi non parla, ma sembra tranquillo. Ma, se solamente fossero in grado di guardargli dentro, i suoi ex compagni di squadra si renderebbero conto che è totalmente incrinato e crepato, con pezzi di intonaco e calcinacci che crollano giù, investendogli il cuore con una pioggia di detriti.
Basterebbe solamente un leggero sfioramento, pelle che chiama pelle, e allora lo schiacciatore crollerebbe giù in una nuvola di polvere biancastra.
«E, soprattutto» continua Daichi, sorridendo in maniera inquietante. «Spiegami cosa dovrebbe trattenermi dall’andare dal vicepreside per farti sospendere dalle attività del club».
Suga trattiene il respiro, senza avere il coraggio di contraddire il suo amico, di fronte a tanta cieca delusione. Perché Daichi è solamente deluso, dal comportamento di Noya, anche se non lo dirà mai ad alta voce.
«Niente» sibila Yū, guardandosi la mano. Ha le nocche spaccate, nota con disinteresse. «Vai, se devi. È giusto così».
«Dimmi qualcosa» risponde il capitano, e ha quasi un tono supplichevole. «Dammi una spiegazione, dimmi che c’è un senso a tutto questo».
Ma Noya scuote il capo, senza espressione. «Non ne sento il bisogno, Daichi. Serviva davvero un motivo?» dice, atono. «Buttami fuori dalla squadra, non importerebbe nemmeno più».
«Non farlo» Asahi trova in quel momento la forza di parlare, anche se i suoni escono a fatica dalla bocca che sa di sangue. «Non… non dirò niente».
Yū sente che dovrebbe dire qualcosa, arrabbiarsi di più, ma è troppo preso a guardarsi le mani: sono sporche di sangue ormai secco, un po’ suo e un po’ di Asahi, e pulsano e dolgono come un cuore infranto. Lui nemmeno lo sente più, un cuore che possa dolere, perché nel petto risuona solamente un vuoto inquietante.
«Asahi, io capisco cosa intendi» interviene Suga, diplomaticamente. «Ma Noya ha fatto una cosa molto grave e non sembra averlo capito».
Lo guardano tutti, così intensamente che Yū sembra comprendere di dover ricambiare lo sguardo, ma non ci riesce: ha ancora nelle orecchie il suono del pugno che infrange la pelle, il rumore del sangue che esce, e ne è incantato. L’ha colpito davvero, con un pugno ha infranto ogni speranza o sogno che Asahi potesse nutrire nei suoi confronti.
«Nishinoya» lo richiama Daichi e, questa volta, suona quasi più disperato di Asahi. «Dì qualcosa».
Noya li guarda, soppesandoli con lo sguardo. «Gli ho fatto un favore» mormora, alzandosi. «Ve ne renderete conto, quando tornerà in sé».
Daichi vorrebbe replicare, arrabbiarsi, ma Yū gli volta le spalle e si allontana via a grandi passi. Ha il petto che batte silenziosamente, allargando le incrinature che lo costellano.
 
***
 
«Cosa?» Shimizu restituisce a Suga un’occhiata turbata. «Gli ha davvero dato un pugno sul naso?».
Sugawara annuisce, passandosi una mano tra i capelli, con aria stanca. «Precisamente» risponde. «Daichi era furibondo e… dovevi vederlo».
Kiyoko non lo interrompe, rimane pazientemente in attesa che Suga trovi le parole. Ma, ripensando all’espressione distrutta di Asahi, il palleggiatore fatica a trovarne.
«Nessuno di noi sapeva cosa fare» sussurra, mentre Shimizu gli accarezza il braccio. «Cosa potevamo dirgli? Ha detto di avergli fatto un favore».
Un favore spezzandogli il cuore e lasciandolo lì, sanguinante e sconvolto. Incrinato. Che favore può aver fatto, Yū, ad Asahi?
Un favore, ma Suga ancora fatica a credere che sia successo per davvero: che realmente Nishinoya si sia allontanato da Asahi, senza rimorso e senza rimpianti, dopo averlo colpito con un pugno.
«Forse, lo ha fatto per davvero» osserva Kiyoko, sistemandosi gli occhiali. «Di certo, se Asahi pensava di potersi poggiare su di lui… adesso sa di non potere».
Suga spalanca gli occhi, in un lampo di comprensione.
Yū ha distrutto Asahi con un pugno e uno scopo.
 
***
 
Asahi s’è rinchiuso in casa, senza parole, e da lì non esce da due giorni: Daichi e Suga non hanno materialmente il coraggio di recarsi fin lì e obbligarlo a riemergere, non ne hanno avuto la forza. Perché Asahi è frantumato e crepato come le sue speranze, e nessuno di loro ha il coraggio di tenerlo insieme, né potrebbero riuscirci a priori.
Così, Azumane rimane a letto per due giorni, fissando il soffitto che lentamente s’agita e si contorce sulla scia dolorosa della sua mancanza di sonno. Ha le vertigini, forse per la mancanza di sonno o forse per qualcos’altro, e tutto il mondo sembra stia traballando seguendo il ritmo dei suoi pensieri concitati.
Ogni tanto, alza una mano e si sfiora il naso e la bocca, per scoprire che non dolgono più: e, così, anche l’ultimo residuo di Nishinoya gli è scivolato via come acqua tra le mani. Non gli è rimasto più nemmeno il dolore, sul finire, e ciò costituisce solamente l’ennesima crepa nascosta.
Ma esisteranno mai crepe che non siano celate, che non vivono tra i muri intestini di una casa, e che non rovinino tutto improvvisamente?
Asahi s’è rinchiuso in casa, dentro di sé, una casa che potrebbe crollargli addosso da un momento all’altro: non ha il coraggio di chiamare Daichi e Suga e dir loro che è rimasto ferito non nel corpo, ma nella mente. Che è rotta e scalcinata, quella sua esistenza, e lui non riesce a pensare a un modo per ricostruirla.
Ma, quando riesce a trovare il coraggio di chiedere loro – no, di supplicarli – di raggiungerlo, ad Asahi mancano le parole. Perché c’è pietà, nello sguardo di Daichi, e comprensione in quello di Suga. Due cose che minano ulteriormente le basi friabili su cui si sta ricostruendo, facendolo tremare.
«Faremo ragionare Nishinoya» promette Daichi, con il pugno sinistro serrato. «Vedrai, capirà che…».
Che ha rovinato tutto, vorrebbe dire il capitano ma, di fronte all’espressione così incrinata di Asahi, semplicemente non ci riesce.
Che deve sistemare le cose, vorrebbe dire Sugawara ma c’è Asahi che è totalmente privo di speranze, quindi come potrebbe infrangergliene una seconda?
«Non serve» biascica Azumane, a capo chino. «Lui è fiero di tutto questo».
Lo dice con un’amarezza che stordisce, che confonde, lasciando solamente l’ennesima ferita in suppurazione sul cuore.
«Non diceva sul serio» lo interrompe Suga, con convinzione. «Nishinoya… è impulsivo, il più delle volte è irritante. Ma non ti darebbe mai un pugno, a meno che…».
«Non sia veramente furioso» mormora Asahi, stanco. «Lo so. È questa la cosa peggiore, sapere che è furioso con me».
Gli altri due non hanno il coraggio di contraddirlo.
 
***
 
Noya non parla più: agli allenamenti, si trincera in un mutismo ostile e aggressivo, di fronte alla maggior parte dei suoi compagni – non chiedetemi cosa ho fatto, sembra urlare, in ogni suo passo. Nessuno ha per davvero il coraggio di farlo, così preferiscono lasciarlo sbollire in una vasca piena di silenzio. Persino Daichi è semplicemente troppo deluso per dirgli quanto sia stato stupidamente impulsivo e inutilmente violento, mentre Suga è troppo occupato a cercare di reincollare insieme Asahi.
Solamente Hinata sembra in grado di avvicinarlo, con la scusa di farsi dare ripetizioni di ricezione.
«Nishinoya-senpai!» si sente urlare, da un capo all’altro della palestra. «Insegnami il rolling thunder!».
E Noya lo fa, forse persino sorridendo, di fronte alle prove goffe di Shōyō. Ma, dentro di lui, il mare s’agita e divora la battigia un’onda dietro l’altra.
Hinata s’impegna a seguirlo ma, a un certo punto, si ferma e basta. «Nishinoya» trilla. «Ma è vero che hai tirato un pugno ad Asahi?».
Yū tace e lo guarda, vorrebbe non dir niente ma ha sul volto dipinto un del medesimo colore dei capelli del centrale, così, Shōyō ha immediatamente chiaro che non sono voci di corridoio. Che Daichi è nervoso e deluso, e Suga è sparito perché ha deciso di rimanere da Asahi.
«Non potresti semplicemente chiedergli scusa?» domanda il ragazzo, con gli occhi pieni di pungente speranza. «E dirgli che ti dispiace».
Noya vorrebbe tanto ma, sebbene lo neghi persino con sé stesso, quel pugno non gli ha drenato via la rabbia. «No» risponde, con sincerità. «Non posso».
Hinata vorrebbe controbattere, dirgli che certo che può, Asahi sarà sicuramente a casa sua a lamentarsi sulla spalla di Suga. Di certo non sarà scappato, o crollato a causa delle proprie crepe, basterebbe correre fin lì e, e, e… È che Noya non vuole farlo, semplicemente.
«Perché non puoi?» domanda Shōyō, seppur in cuor suo conosca già la risposta. «Non è difficile, scusarsi».
«Non posso» ripete Yū, serafico. «Perché ho fatto bene e un giorno verrà qui per ringraziarmi, quando si deciderà a tornare in squadra».
 
***
 
«Suga, scusami» Asahi guarda il palleggiatore, con aria esasperata. «Ma tu non avresti una casa tua, una famiglia e una ragazza?».
Sugawara scrolla le spalle, con semplicità. «Direi di sì» risponde. «Ma non hanno bisogno di me quanto te».
Asahi vorrebbe replicare, dire che lui non ha bisogno di Suga, che ha bisogno di ricostruirsi un pezzo per volta, fino a ritornare in sé. Ma, quando si siede davanti ai cocci e ai vetri della propria esistenza, si rende conto di aver di fronte un puzzle insensato e privo di scopo; e lui, da questo punto di vista, ha davvero bisogno di Sugawara e Daichi.
«E ti permettono di saltare gli allentamenti?» domanda, invece. «Daichi si è ammorbidito o si è ricordato di essere una persona “fondamentalmente cortese”?».
Suga ride, passandosi una mano tra i capelli. «Niente di tutto questo» risponde, con un sorriso furbo. «Gli ho semplicemente detto che non sarei venuto, non ha fatto domande».
Perché il capitano sa, ne è a conoscenza come lo è di avere un cuore, che Sugawara corre da Asahi per rimetterlo insieme, pur non essendo Noya. E Daichi è così stanco e deluso da non riuscire a negare al palleggiatore la possibilità di rimettere tutto insieme, di far quadrare nuovamente i pezzi della squadra.
«Tu non ti arrendi mai» osserva Asahi, quietamente. «Nemmeno di fronte alle cause perse».
«Io amo le cause perse» risponde Suga, sorridendo. «Pensa a Kiyoko, non so se riesco a pensare a una causa persa più grave di lei».
Ma, in realtà, Sugawara pensa alla propria battaglia con Kageyama: è destinato a perdere – ma è lui, l’ennesima causa persa – ma non a smettere di combattere per ogni secondo, ogni minuto in cui gli permetteranno di giocare. Ma, questo, Asahi non può saperlo.
Azumane ride, forse per la prima volta in quei giorni. «So dei soffioni» borbotta. «Non pensavo scrivessi haiku».
«Infatti non li scrivo» risponde Suga, divertito. «Penso di avere troppe parole, per scrivere dei buoni haiku. Così come tu hai troppa forza per rimanere fossilizzato qui».
Asahi non risponde: silenziosamente pensa che non può essere vero, che ha passato giorni a sentirsi stanco e inutile, finché Noya non è apparso al suo fianco.
Ma, adesso, è costretto a toccarsi il naso – e a trovarlo ancora lì, che non duole nemmeno più – e il viso, e riscoprirsi sempre uguale.
Non mentirà a sé stesso: le crepe ci sono ancora, nascoste tra l’anima e il cuore, e dolgono a ogni respiro come fossero incandescenti. Però non saranno quelle a impedirgli di rialzarsi, di dire a Noya di tornare, che il pugno forse ha persino funzionato.
Che, forse, da quel momento farà tutto meno male.
«Suga» lo chiama Asahi, abbozzando un sorriso. «Anche tu pensi che il pugno mi abbia fatto bene, non è vero?».
Suga lo guarda e la verità preme lungo il bordo delle labbra – tu hai troppa forza per rimanere fossilizzato qui.
«Penso che la violenza sia sbagliata» commenta, pacatamente. «E che a te servisse una spintarella e non un pugno».
«Ma funziona» sussurra Asahi, incredulo. «Intendevi questo, no?».
Sugawara annuisce, stupito dalla semplicità con cui quella parola gli esce dalle labbra, sformandole.
«Funziona».
 
***
 
«Io ti ho permesso di saltare l’allenamento per aiutarlo» sibila Daichi, irato. «Non per convincerlo che Nishinoya abbia fatto qualcosa di giusto e sensato, dandogli quel pugno».
«Non ho fatto niente» si giustifica Sugawara, alzando le mani con un’espressione innocente e al di sopra di ogni sospetto. «L’ha detto lui, che ha funzionato, te lo giuro».
«Voi due dovete esservi bevuti il cervello» prosegue il capitano della Karasuno. «Non me lo spiego altrimenti».
Ma Asahi sente forte e chiaro che lui e Suga hanno ragione: qualcuno ha riassestato le travi e i muri intestini che dimorano in lui, ponendo un limite a quella continua pioggia di calcinacci che lo investiva. Non si tratta solamente di un pugno – sarà lunga e dolorosa, ma adesso sente che ce la farà a tirarsene fuori.
«Tu hai parlato con Nishinoya?» domanda Suga, con curiosità. «Ti ha detto qualcosa?».
Daichi scuote il capo, mascherando un’espressione colpevole. «Mi ha preceduto Hinata» confessa. «Ma non ha ottenuto molto… è davvero convinto di aver fatto bene».
«E tu non gli hai nemmeno fatto una predica su quanto la violenza sia sbagliata e adatta agli animali?» chiede Sugawara, spalancando la bocca in una perfetta o. «Stai davvero perdendo colpi, Dai-chi».
Sawamura sospira, esasperato. «A cosa sarebbe servito, fargli la predica?» domanda. «Non penso cambierebbe idea».
Asahi annuisce, silenzioso: è vero, Nishinoya non cambia facilmente idea, è ostinato e costante come poche altre persone al mondo. Ed è disposto a fare di tutto pur di – salvarlo – portare avanti la propria visione delle cose.
«Ha sbagliato» conviene Suga, cauto. «Ma… sembra che abbia avuto un qualche tipo di effetto».
Perché Asahi non parla, ma si sfiora distrattamente il viso con le mani, quasi come faticasse a credere di non sentire più dolore. Perché non duole il naso, né la bocca, ma non duole quasi più nemmeno qualcosa di più viscerale.
Fa ancora fatica a respirare: l’oppressione non se n’è andata, né avrebbe potuto farlo, ma lui si sente incredibilmente meglio. Non ritorna a respirare, ma riesce almeno a regalarsi meno rantoli che gli spaccano i denti, e in qualche modo l’aria passa comunque.
«Puoi evitare di difendere ogni causa persa che incontri?» domanda Daichi, ironico. «Ha sbagliato, e basta. Non so nemmeno che provvedimenti prendere, con lui, ma non possiamo semplicemente far finta di niente».
Certo che no, pensa distrattamente Asahi, lui non potrà mai fare finta di niente. Quel pugno l’ha cambiato, senza mandarlo in frantumi come Daichi immagina: è deluso, forse, è persino stanco di lottare con Nishinoya. Ma è cambiato per davvero.
Scrutandosi dentro, non trova più polvere, muri incrinati e scalcinati, frammenti sanguinolenti di cuore che si staccano. Fa attenzione, girando tra le travi e i muri della sua anima, cercando segni di un crollo imminente.
Non ne trova: le peggiori crepe hanno cominciato a riempirsi di cemento, rendendo più saldi i muri. Qualcuna, invece, è già sparita.


 
Come avevo minacciato, paura e delirio in questo capitolo.
Fortunatamente non vi sono note, ma è solo perché la prossima contiene spiegazioni sulla mia peggiore battuta in questa fanfiction, quindi tenetevi pronti. Il prossimo appuntamento sarà il 29 novembre, con il capitolo 12 (non ci posso credere che siam già qui).
Spero che la storia continui a piacervi.
Gaia

 
   
 
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